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Così, nel 1971 Basaglia, dopo il breve passaggio per Parma, accetta la proposta di Michele Zanetti, presidente della provincia di Trieste: avrà carta bianca e pieno appoggio per arrivare a chiudere l’ospedale psichiatrico. Intanto, altre esperienze stanno crescendo: a Perugia, Voghera, Nocera Inferiore e tanti altri centri, in tutta Italia, le cose sono partite per conto loro, mentre dell’équipe di Gorizia Nico Casagrande rimane lì ancora un po’, poi raggiunge Basaglia a Trieste; Antonio Slavich è a Ferrara; Agostino Pirella ad Arezzo; Giovanni Jervis a Reggio Emilia, dove la scelta è di ostruire i servizi territoriali senza passare per la distruzione del manicomio.
Artisti, giornalisti, intellettuali hanno sostenuto l’operazione, e Gorizia dissemina un po’ dappertutto in Italia.
A Trieste tutto procede più speditamente che a Gorizia; l’appoggio dell’Amministrazione rende più facile trovare case per i dimessi, lavoro per le cooperative che si sono formate sulle ceneri della vecchia ergoterapia. Si decide di saltare la fase della Comunità terapeutica dove Gorizia si era bloccata, si punta diritto all’inclusione nella città. Nascono dal 1975 6 Centri di Salute Mentale nelle 6 zone nelle quali è divisa la città, sono aperti 24 h e 7 giorni la settimana, dotati ciascuno di spazi ricreativi per chi ha bisogno di trascorrerci la giornata e di 6-8 posti letto per chi deve trattenervisi qualche giorno. Si aggiungeranno prima un servizio per l’emergenza, poi un SPDC di 8 letti, centri riabilitativi riferiti all’arte, allo sport, alla formazione, un numero importante di posti di lavoro nelle cooperative e anche un servizio carcerario che nasce già all’inizio degli anni ‘80. «Marco Cavallo», il cavallo blu di cartapesta costruito da un gruppo di degenti e di artisti, lascia il manicomio verso la città coinvolgendola in una grande festa di strada per la liberazione dal manicomio e così già alla fine del 1977, prima dell’approvazione della legge 180, Zanetti e Basaglia possono annunciare in conferenza stampa che l’ospedale psichiatrico è chiuso.
Di lì a poco, il 13 maggio 1978, la Legge 180 chiuderà gli ospedali psichiatrici in tutta Italia e dopo qualche mese la Riforma sanitaria, legge 833, assorbirà la legge 180 e in ciascuna regione si allestiranno i servizi della nuova psichiatria.
Anche l’esperienza di Trieste in manicomio è proceduta per gradi dal 1971 al 1977:
- Apertura dei reparti, rimozione di reti e sbarre
- Qualificazione degli spazi dei reparti e introduzioni degli oggetti della vita quotidiana
- Trasformazione dei ricoveri coatti in volontari
- L’ospite (cioè la persona formalmente non più ricoverata che può trattenersi in ospedale finché non ha una casa dove andare)
- Fine della segregazione tra uomini e donne
- Feste, concerti e spettacoli che fanno entrare nel manicomio la città
- Degenti e ospiti cominciano a uscire nella città
- Costituzione della prima cooperativa di lavoro con i dimessi dell’ospedale
Il lavoro con i ‘lungodegenti’ è partito dalla ricostruzione delle storie e dei contesti, poi di percorsi lavorativi, e reddito. L’apertura di gruppi di convivenza prima negli edifici dismessi in ospedale, poi nella città. Quello con gli ‘acuti’ è passato per la soppressione delle terapie di shock e di ogni forma di contenzione, la ricerca del consenso e trasformazione del ricovero da coatto in volontario, la non interruzione dei legami con il contesto famigliare e lavorativo, la ricerca di dimissioni il più possibile precoci e il sostegno fuori, l’interruzione dell’invio dal reparto di osservazione agli altri reparti del manicomio.
Il superamento dell’Ospedale passa per la costruzione di accettazioni collegate a territori definiti sul modello del settore e poi, tra 1975 e 1978, l’apertura dei 6 centri di salute mentale. Con la chiusura del manicomio e l’apertura di Centri di Salute Mentale, SPDCD, atelier riabilitativi, cooperative di lavoro, il luogo della psichiatria non è più il manicomio, ma è la città. Basaglia e i suoi hanno fatto l’operazione opposta a quella della quale Menavino era stato testimone: spingere fuori le persone dal Timerahane perché si disperdano nella città. E costruire servizi nella città per dare loro sostegno. Lui stesso lo scrive molto chiaramente nel 1967: «La salvezza del malato mentale è quella di restare nelle nostre case, coinvolgendo nella sua problematica la nostra vita reale, così che la sua presenza richiederà strutture terapeutiche vicino a lui, psichiatri a domicilio, organizzazioni comunitarie in cui possa sentirsi protetto, luoghi di lavoro dove possa trovare un ruolo, una funzione che giustifichi – davanti a se stesso – la sua presenza nel mondo». Oltre la deistituzionalizzazione insomma, c’era ancora strada da fare. C’era bisogno di lasciarsi tutti, operatori, degenti, futuri pazienti, la vecchia istituzione alle spalle e costruire un circuito di nuovi servizi, sull’esempio del settore francese e della psichiatria di comunità anglosassone, ma senza conservare al manicomio neppure quel ruolo residuale che in quei modelli gli era riservato. Insomma, c’era da costruire una psichiatria senza manicomio fatta di luoghi e di gruppi accesi qua e là, e tra loro connessi e organizzati a formare una rete.
Dobbiamo ricordare, però, che non è stata solo la psichiatria a muoversi, non è solo il manicomio a essere messo in discussione; e Franca Basaglia, la donna che è sempre stata in questi anni formidabili accanto al marito, ci rende quel clima in un passaggio di grande chiarezza, con il quale chiudiamo questa, certo molto lacunosa ma speriamo efficace, ricostruzione: «In questi ultimi anni si è imparato che i bambini abbandonati hanno bisogno di una famiglia, non di un istituto; i bambini ritardati hanno bisogno di stare insieme agli altri, per esserne stimolati, anche se non arriveranno a imparare la lezione, e i bambini normali ne impareranno una molto più importante da questa convivenza; che i vecchi hanno bisogno di continuare a partecipare alla vita collettiva e continuare a sentirsi in qualche modo utili, non di essere chiusi in un ospizio in attesa di morire; che i malati stanno bene in ospedale nella fase acuta della malattia, ma guariscono meglio a casa, in famiglia, con i loro affetti; i disturbati mentali hanno bisogno di essere assistiti, nelle loro crisi, in strutture terapeutiche che garantiscano protezione e sostegno sia per loro che per i familiari, ma che non considerino e non traducano come definitivo il loro stato» (Franca Ongaro Basaglia).
Quindi, in conclusione: in questo necessariamente rapido percorso, abbiamo affrontato la storia della riabilitazione psichiatrica a partire dal trattamento morale nei manicomi; passando per le esperienze a carattere prevalentemente psicoanalitico o socioterapico delle comunità terapeutiche e della psicoterapia istituzionale; per arrivare alle esperienze fondate sulla filosofia fenomenologico-esistenziale e la sociologia radicale del movimento antiistituzionale.
Dopo la chiusura del manicomio, i servizi di salute mentale italiani hanno intercettato e sperimentato numerosi modelli e tecniche di carattere riabilitativo, per lo più di derivazione dal mondo anglosassone, centrati sul soggetto considerato in se stesso, nella famiglia e nella società, in qualche caso applicandoli in modo più rigido e in altri dando luogo a originali contaminazioni, ma mi pare che in molte di queste esperienze sia possibile ritrovare, in diverse proporzioni:
– l’idea, che è originariamente caratteristica del trattamento morale, che applicando tecniche riabilitative di carattere psicologico e/o comportamentale al soggetto ed eventualmente alla famiglia sia possibile fargli acquisire (o riacquisire) abilità delle quali la malattia stessa e/o la sua risposta e quella dell’ambiente malattia lo rendono privo
– l’idea, che è originariamente caratteristica del movimento della comunità terapeutica, che per il miglioramento della qualità della vita e per la riabilitazione sia necessario garantire innanzitutto la possibilità di un clima o un luogo di relazioni affettuose, costruttive e incoraggianti, individuali e gruppali, e una presa in carico complessiva degli aspetti materiali e simbolici dell’esistenza del soggetto
– l’idea, che è originariamente caratteristica del movimento antiistituzionale, che proteggendo il soggetto dai rischi che comporta l’interazione con l’istituzione di cura e aiutandolo a contrastare la spinta espulsiva che nella famiglia e nella società può generare la malattia (aiutandolo cioè a poter contare su casa, lavoro, reddito, socialità, affetti) sia possibile costruire con lui nella società situazioni nelle quali possa essergli più.
In aggiunta alle cose che ci siamo scritti, vi propongo una serie approfondimenti disponibili in questa rubrica, e la lettura di una serie di fonti (i film sono in gran parte open access online).
Approfondimenti che trovate sulla rivista «Pol. it. Psychiatry on line Italia»
1. Varcare i confini. Spunti antiistituzionali nella storia dei manicomi genovesi. Parte I, POL it, 4/10/19; Parte II, POL. it, 14/10/19.
2. 50 anni di "Corpo e istituzione". Parte I: Basaglia e Genova, 20/3/17; . Parte II: Il corpo e il serpente, 27/3/17; Parte III: Deistituzionalizzazione, 3/4/17.
3. «Che cos’è la psichiatria»? 50 anni dopo. Parte I. Gorizia e Parma, 28/5/17; Parte II. Lavoro, psicoterapia, istituzione, 6/6/17; Parte III. Tutta un’altra storia, 17/6/17; Parte IV. E oggi?, 27/6/17.
4. «L’istituzione negata». 50 anni dopo, è ancora da lì che dobbiamo ripartire, Parte I, 1/4/18; Parte II, 30/6/18.
FONTI PROPOSTE:
Libri
VP. . Babini: Liberi tutti. Psichiatri e manicomi in Italia. Una storia del ‘900.
F. Basaglia (a cura di): Che cos’è la psichiatria?
F. Basaglia (a cura di): L’istituzione negata
F. Basaglia: Conferenze brasiliane
F. Basaglia: L’utopia della realtà. Scritti
J. Foot: La repubblica dei matti. La psichiatria radicale in Italia
A. Slavich: All’ombra dei ciliegi giapponesi (su Gorizia)
P. Dell’Acqua: Non ho l’arma che uccide il leone (su Trieste)
G. Scabia: Marco Cavallo
F. Rotelli: L’istituzione inventata / Almanacco. Trieste 1971-2010
M. Colucci, P. Di Vittorio: Franco Basaglia
Film/Video
Sergio Zavoli: I giardini di Abele (open access su RAIPLAY)
Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Sandro Petraglia, Stefano Rulli: Matti da slegare (open access su youtube)
Marco Turco: C’era una volta la città dei matti (open access su RAIPLAY, in due parti)
Milos Forman: Qualcuno volò sul nido del cuculo
Ken Loach: Family life
Nel video allegato: Marco Cavalo, di Giuliano Scabia
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