INTERVENTI INTEGRATI

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19 gennaio, 2013 - 13:18

SINTESI DEGLI INCONTRI DEL GRUPPO DI STUDIO SUL MODELLO INTEGRATO COORDINATORE DR. VITO PETRUZZELLIS

Redazione a cura di: V. Petruzzellis, A. Di Cristina, M. Cimino, A. De Francisci, R. Magazzi

 

 

REGIONE SICILIANA

AZIENDA USL 6

SETTORE SALUTE MENTALE E TOSSICODIPENDENZA
Capo Settore prof. Francesco Caserta

UNITA' TERRITORIALE DI ASCOLTO E CONFRONTO
Coordinatore dr. Francesco La Rosa

STORIA DEL GRUPPO

 

Nell'ambito del processo di riorganizzazione dell'Azienda Usl 6, dal febbraio 1996 Ë stato avviato un programma di formazione e aggiornamento rivolto a tutti gli operatori del Settore Salute Mentale e Tossicodipendenze con l'obiettivo di favorire lo scambio di esperienze sia tra diverse professionalit che tra realt operative differenti, per promuovere una cultura dei Servizi unitaria ed omogenea.

Il programma di formazione e aggiornamento si Ë articolato in una serie di incontri seminariali autogestiti per aree di interesse, e nella attivazione di gruppi di studio multidisciplinari su temi specifici, uno dei quali centrato sulla definizione teorico-pratica di un modello operativo per l'intervento integrato.

Il gruppo di lavoro sul modello operativo integrato si Ë costituito sulla base di adesioni spontanee ed ha visto la partecipazione di figure professionali diverse: medici, psicologi, sociologi, assistenti sociali, educatori, pedagogisti.

Nel corso del primo incontro, in febbraio, sono state definite le modalit operative: il calendario degli incontri successivi, i loro tempi e la sede.

Probabilmente la definizione di questi aspetti organizzativi ha da subito favorito la costituzione del gruppo come "gruppo di lavoro", e forse non Ë un caso che questo "gruppo" abbia continuato il proprio lavoro, rispettandone i tempi e mantenendo un assetto relativamente costante.

Il gruppo si Ë proposto di riflettere sugli aspetti problematici di una modalit operativa integrata, per giungere alla formulazione non tanto di modelli o ricette preconfezionate, bens di una griglia di indicazioni che favorisca un percorso di integrazione a vari livelli: integrazione tra diverse professionalit e orientamenti teorici nell'ambito di uno stesso Servizio, tra Servizi diversi, tra Servizi e territorio.

Di volta in volta il gruppo si Ë strutturato in sottogruppi centrati su un compito e per lo pi aggregati su base territoriale, per fornire stimoli e spunti alla discussione.

Partendo da una analisi dei modelli di intervento, gi utilizzati nei Servizi di salute mentale, il percorso di riflessione del gruppo si Ë snodato attraverso l'identificazione di alcuni punti cruciali, via via messi a fuoco, con la presentazione di casi e di esperienze concrete, che hanno fornito lo spunto per successivi approfondimenti.

Il lavoro che qui presentiamo Ë il frutto degli incontri svoltisi nell'arco di pi di un anno e scaturisce dall'esigenza, condivisa da tutti i componenti del gruppo, di estendere ad altri un confronto, che sia il pi ampio possibile, sui temi affrontati.

Il bisogno Ë quello di rendere fruibile ai colleghi e a noi stessi il resoconto di un percorso di riflessione e di confronto che per noi si Ë rivelato anche "di conforto".

 

ORGANIZZAZIONE DEL DSM E MODELLO INTEGRATO

 

La prima esigenza condivisa dal gruppo Ë stata quella di definire le caratteristiche di base del Modello Operativo Integrato nel contesto dei Dipartimenti di Salute Mentale.

I riferimenti normativi, la presenza di diverse figure professionali, il mandato istituzionale rendono infatti i DSM " ambito naturale" per un lavoro di tipo integrato.

Quello che si sta cercando di costruire, nella sperimentazione pratica nei nuovi Servizi Territoriali, Ë un modello complesso di azione terapeutica che si propone di fornire risposte articolate e polidirezionali, utilizzando pi contesti operativi e l'apporto di diverse professionalit, in un programma unitario di intervento.

Queste nuove caratteristiche dell'agire terapeutico hanno posto l'esigenza di un assetto organizzativo, appunto di tipo dipartimentale, che potesse garantire una trama di relazioni operative complesse, sia nel versante interno al Servizio (i diversi gruppi di lavoro) che nei suoi rapporti con il territorio: altri Servizi, agenzie istituzionali e non, la comunit circostante.

Se da un lato il Dipartimento di Salute Mentale sembra costituire la indispensabile intelaiatura strutturale per una nuova modalit operativa integrata e multiprofessionale, d'altro canto la sua realizzazione, come realt operativa ben funzionante, non pu avvenire con un semplice atto burocratico ma richiede un vero e proprio percorso fondativo del Servizio.

Esso deve fare i conti con i vincoli normativi e strutturali ma anche con la specificit e storia di ciascun gruppo di lavoro, in una interazione processuale tra soggettivit dell'operatore e risorse, difficolt e adattamenti, linee generali e specificit locali.

Tutti questi aspetti, a partire dal confronto empirico con le esigenze operative, hanno contribuito in questi anni a sviluppare teoricamente e operativamente un insieme, solo parzialmente sistematizzato, di metodiche e concettualizzazioni, che spesso viene indicato come " nuova cultura dei Servizi". Ci ha portato a delineare alcune caratteristiche essenziali dei modelli integrati, di ordine organizzativo, metodologico ed operativo, rapportabili essenzialmente a 5 aspetti:

a) l'assetto organizzativo dipartimentale e l'impostazione progettuale

b) la peculiarit territoriale dei Servizi

c) la cooperazione in Èquipe multiprofessionali

d) l'integrazione delle "tecniche"

e) la valutazione dell'attivit e dei risultati.

 

a) Assetto organizzativo dipartimentale e impostazione progettuale

La strutturazione dipartimentale va vista non solo come un modello di razionalizzazione organizzativa, ma soprattutto come condizione strutturale, per svolgere interventi e funzioni a pi componenti integrate:

  1. assicurare funzioni di prevenzione, cura e riabilitazione nel campo della salute mentale in un ambito territoriale delimitato;
  • assicurare la molteplicit di funzioni terapeutico-riabilitative: assistenza ospedaliera, attivit del Centro di Salute Mentale, semiresidenzialit e residenzialit;
  • adottare un'ottica multiprofessionale per l'intera attivit del Servizio: prevenzione, accoglienza, progetto, trattamenti, riabilitazione, verifiche.

Rientra in questo livello la definizione di una cornice procedurale delle attivit. Essa Ë comunque rintracciabile nel funzionamento pratico di ogni DSM ma Ë importante che sia resa esplicita e affrontata come un insieme di regole e scelte condivise da tutti i componenti del gruppo di lavoro.

Ad esempio nel definire le modalit di presa in carico di una situazione andrebbero chiariti i seguenti aspetti:

  • come viene raccolta la richiesta di intervento
  • come viene effettuata la prima valutazione del caso
  • come vengono tracciati degli obiettivi da raggiungere
  • con quali modalit operative si cerca di raggiungere quei traguardi
  • in che modo si attua l'integrazione tra diversi livelli di intervento (diversi operatori, differenti impostazioni, differenti contesti)
  • come viene data una valutazione del lavoro svolto

 

b) Radicamento territoriale del Servizio

Per definire la qualit del rapporto che viene a stabilirsi tra DSM e territorio - il versante esterno della pratica di lavoro - va fatto riferimento ai seguenti criteri in cui dovrebbe essere tangibile la peculiarit territoriale del Servizio:

  • e' sufficientemente accessibile e conosciuto
  • le richieste di aiuto vi giungono precocemente
  • riesce a raccogliere l'intera domanda e pochi si rivolgono ad altre agenzie
  • l'aggancio terapeutico funziona, si instaura una continuit di trattamento e sono pochi gli abbandoni si riesce ad attuare una modalit di trattamento programmata e strutturata
  • si lavora a coinvolgere la famiglia
  • si tende a mobilizzare le risorse attivabili nel contesto di vita del paziente vi Ë una ricaduta, a livello di comunit, sugli atteggiamenti nei confronti del disagio psichico e sugli stili di vita

Sono molti i nodi problematici ed i risvolti operativi collegati ad una modalit "territoriale" di assistenza.

Æ E' indispensabile in primo luogo che il Servizio assuma la responsabilit di costituire il punto di riferimento istituzionale nei confronti dell'utenza complessiva del proprio territorio, disponendosi a organizzare nel modo pi funzionale la raccolta della richiesta di aiuto professionale, la costruzione dell'aggancio terapeutico, il mantenimento della continuit della presa in carico.

Ci richiede ad esempio l'acquisizione di una mappa generale dell'utenza e la possibilit di un riscontro evolutivo delle situazioni segnalate o indirizzate al Servizio, comprendente sia i casi entrati in un piano di trattamento sia le situazioni per le quali non si sono risolti i problemi di "opposizione alla cura" e che sono spesso i casi a maggior rischio di cronicit o di esiti infausti.

Æ Al fine di favorire la continuit di rapporto e progetto tra utente e Servizio, sembra necessaria la responsabilizzazione di un referente o meglio di un'Èquipe di riferimento per ciascuna situazione, in modo da contribuire a costruire una strategia di aggancio ed a mantenere nel tempo un filo conduttore, rispetto ad altri interventi diversificati e delimitati (ricovero in SPDC, o inserimento in Comunit Terapeutica, in Centro Diurno) o anche a fasi critiche nel rapporto con il Servizio (interruzioni non concordate di trattamento o altre situazioni non previste).

Æ Bisogna superare una concezione quasi "geografica" o burocratica del territorio e imparare invece a considerare il territorio come risorsa terapeutica. La conoscenza della realt di vita e dei suoi riflessi sulla condizione psicologica dei pazienti, i referenti significativi di quel particolare contesto familiare e sociale, i supporti attivabili a livello di comunit, la ricostruzione della trama di relazioni in cui Ë inserito il paziente, la contrattazione tra aspettative, bisogni e vincoli di realt, sono altrettanti aspetti decisivi nell'evoluzione del disagio. Sono anche componenti essenziali dell'esperienza e competenza professionale di territorio che non si improvvisano e che il gruppo di lavoro deve poter maturare nel tempo.

 

c) Cooperazione in Èquipe

La questione riguarda in questo caso l'obiettivo di far funzionare l'insieme del gruppo di lavoro del DSM (e le diverse Èquipe multiprofessionali) come insieme organizzato, in grado di costruirsi una rappresentazione articolata della propria attivit, di mettere in comune i diversi pezzi di conoscenza e di osservazione, di rispondere alla frammentazione con una capacit di riunificare, di programmare e attuare sequenze di azioni finalizzate, di fare verifiche e aggiustamenti. I molti aspetti coinvolti sembrano riferirsi essenzialmente a due piani.

Æ Un piano pi organizzativo che implica una trama formalizzata di incontri operativi dei gruppi di lavoro in cui tutte le componenti del Servizio possano riconoscere un assetto stabile e garantito di reale confronto e cooperazione e che costituisce la base razionale della integrazione operativa di gruppo. E, sempre a questo livello, l'assunzione di un metodo di negoziazione senza perdenti, attraverso il quale affrontare costruttivamente i processi decisionali dell'Èquipe sui programmi di intervento e sulla attribuzione dei differenti compiti nella gestione dei casi.

Æ L'altro piano riguarda invece la possibilit di assumere le dimensioni emotive e relazionali coinvolte nel funzionamento delle Èquipe che costituiscono dei gruppi con storia, degli insiemi di relazioni e di regole a sviluppo processuale.

Ne deriva la necessit di attivare nei DSM momenti specifici da dedicare alla elaborazione delle problematiche del gruppo di curanti in cui sia possibile ripensare a questi aspetti ed alla relazione operatore/utente in una dimensione pi protetta e meno pressata dalla routine. Quali modalit si rivelano pi opportune? E come si valuta l'apporto di un eventuale interlocutore esterno al gruppo?

 

d) Integrazione delle tecniche

L'integrazione delle tecniche riguarda la possibilit di integrare tecniche ed interventi farmacologici, sociali, psicoterapeutici, riabilitativi, condotti con tecniche e metodiche di diverso orientamento.

Questa esigenza fa riferimento alla prospettiva di lavorare ad un concetto di cura, di aiuto professionale che sappia adottare una visione complessa dei fenomeni psicopatologici.

Qualche tempo fa si sottolineava l'importanza di risalire a monte del sintomo, cercando di comprendere i meccanismi psicologici, i tramiti mediativi, che collegano il piano personale a quello relazionale e sociale.

La polisemia e la multicausalit intrinseche all'evento psicopatologico, richiederebbero una prassi terapeutica capace di sviluppare risposte polidirezionali e non riduttive o parcellizzate, utilizzando appieno, come risorsa e ricchezza, la pluralit di apporti, di persone e saperi, presenti nei DSM.

Nella pratica si avverte insieme la potenzialit ma anche la difficolt di un compito cos complesso, peraltro nella incertezza di modelli di riferimento condivisi e unificanti.

Diffusa Ë pertanto la sensazione che non esista un'esperienza formativa capace di racchiudere in sÈ tutto il bagaglio teorico e pratico necessario, mentre sembra pi utile porsi in una condizione di sperimentazione e formazione permanente per accrescere l'esperienza e la cultura degli operatori in un percorso di confronto-interazione con i propri schemi di riferimento e con le altre linee di sviluppo delle conoscenze di settore, in una circolarit di approfondimento e sperimentazione.

Per questo ci si ritrova in una impostazione che tende verso l'integrazione di modelli e tecniche e verso una riformulazione di metodiche e concetti dei vari approcci psicoterapeutici.

In questa direzione si pu fare riferimento ad alcune esperienze di lavoro condotte in questi anni da:

  • Piro (Tecniche complesse basate su residui operazionali)
  • Zapparoli, Pontalti (Modelli integrati e multimodali)
  • Burti, Siani (Modelli terapeutico-riabilitativi)
  • Saraceno, Cirillo (Modelli clinico- extraclinici).

 

e) Valutazione dell'intervento

Si ritiene che un Servizio articolato e complesso come un DSM non possa funzionare senza un ritorno di informazioni sul proprio operato e sui suoi risultati.

A tal fine Ë necessario strutturare la raccolta di informazioni sul profilo clinico-sociale dei pazienti e sulla sua evoluzione nel tempo come parte integrante della attivit clinica di routine.

Ad un primo livello di rilevazione puramente quantitativa dei dati dell'attivit generale, il volume complessivo delle prestazioni e la loro tipologia, Ë necessario aggiungere altri indicatori che ci diano una prima idea sui risultati dei trattamenti, almeno per alcuni aspetti pi evidenti e pi facilmente rilevabili: il funzionamento globale, la psicopatologia, la disabilit sociale, i bisogni espressi dagli utenti, la qualit della vita, la soddisfazione degli utenti rispetto al Servizio.

Inoltre dovrebbe essere possibile arrivare ad una metodologia confrontabile delle diverse pratiche terapeutiche e riabilitative, partendo per proprio dalle operazioni concrete attuate nei percorsi di trattamento e dal modo in cui viene formulato un giudizio sui risultati del lavoro effettuato.

Lavorare ad una "intesa" su un modello di valutazione nella pratica routinaria "a partenza dal basso" sembra possibile e il punto di partenza dovrebbe essere rappresentato proprio dal definire - in un percorso condiviso dai diversi soggetti in campo - i criteri con cui valutare i risultati nella seguente progressione:

  • Intesa sugli obiettivi generali e sui criteri
  • Descrizione operativa delle modalit con cui vengono raggiunti quei risultati
  • Traduzione in aspetti in qualche modo misurabili (indicatori)
  • Definizione di protocolli di rilevazione

Circolarit del percorso attivit - verifica – aggiustamento

 

CONFLITTO E NEGOZIAZIONE

 

Il gruppo, dopo avere riflettuto su alcuni aspetti del Modello Operativo Integrato e individuato alcuni nodi problematici per la sua realizzazione, ha avvertito l'esigenza di confrontarsi sulla conflittualit interna ai Servizi e su alcune ipotesi di superamento.

La complessit del sistema preso in esame, il DSM - che opera attraverso gruppi di lavoro multiprofessionali ed al cui interno si muovono e comunicano soggetti diversi e su piani diversi - genera inevitabilmente conflitti attraverso i diversi piani su cui ruota l'operativit dei singoli e del gruppo: il piano normativo, cioË la cornice legislativa che determina compiti, funzioni e obiettivi; il piano istituzionale, cioË l'insieme di regole gerarchiche e stili di lavoro; il piano organizzativo, cioË quello che determina gli aspetti strutturali e funzionali del Servizio; il piano affettivo, cioË quello delle relazioni umane e della storia del gruppo.

Pur non essendo pensabile l'adozione di un modello operativo integrato unico ed esaustivo delle diverse esigenze e specificit di ogni Servizio, si pu comunque indicare un "passaggio", ipotizzare un possibile percorso che conduca alla realizzazione di una organizzazione integrata, ma adottata da ogni Servizio in relazione alle proprie competenze istituzionali e alle proprie risorse (personale, strutture, strumenti....).

Dal confronto delle esperienze quotidiane Ë emerso un elemento costante, riferibile alla conflittualit all'interno dei gruppi di lavoro che di volta in volta pu essere pi o meno esplicitata o rimossa.

E' stato possibile individuare alcuni elementi che possono generare, alimentare o evidenziare il conflitto: storia del gruppo, nuove immissioni, identit e ruoli, la presenza di figure professionali forti/deboli, la presenza di personalit facilitanti o disturbanti, carenze strutturali, relazioni interpersonali improntate alla gerarchizzazione e/o al burocratismo, scarso riconoscimento reciproco tra le figure professionali diverse, affermazione non negoziata di giudizi di valore, mancanza di progettualit comune, obiettivi non esplicitati, autorit senza autorevolezza, ecc.

E' apparso particolarmente significativo il fatto che all'interno di ogni gruppo di lavoro esiste un punto di equilibrio tra potere, inteso nell'accezione positiva di "possibilit di ...", e la funzione regolativa di questo stesso potere. Quando questa funzione assume la caratteristica di un potere che limita, possiamo parlare di un dominio che a sua volta pu determinare diversi gradi di conflitto. Per esempio quando una leadership troppo forte, quasi sempre rappresentata da chi Ë al vertice del Servizio, tende ad assumere il ruolo di "risolutore" dei conflitti che si vengono a creare, adottando scelte, decisioni, impostazioni non negoziate nÈ condivise, e che pertanto non appartengono al gruppo.

Affrontare una riflessione sul conflitto, sulla sua gestione e sulla sua potenziale risoluzione, costituisce un passaggio preliminare al tema della negoziazione.

La mancata risoluzione della conflittualit, infatti, genera una spirale negativa che va dal mancato scambio di informazioni ai boicottaggi, alle squalifiche, alle ripicche, a relazioni interpersonali fondate su meccanismi speculari, a gelosie e strumentali alleanze...e cos via, fino alla violenza fisica.

 

Partendo dal confronto tra le diverse esperienze Ë stato possibile individuare due modi di gestione del conflitto: quello che parte dal mancato riconoscimento e quello che viceversa parte dalla consapevolezza di una realt conflittuale.

Æ Il primo modo di "gestire" la conflittualit pu produrre una cristallizzazione, in cui ruoli, funzioni, progetti e azioni restano contrapposti e sclerotizzati, impedendo al gruppo di lavoro qualsiasi tipo di cambiamento o di mediazione, ovvero quella che si potrebbe definire una fusione, nel senso di un annullamento delle differenze professionali e relazionali che di fatto appiattisce e vanifica le risorse del gruppo. La cristallizzazione e la fusione talvolta determinano uno spostamento del conflitto verso "nemici" esterni, che possono essere altri referenti istituzionali o addirittura gli utenti del Servizio! Infatti il conflitto, non riconosciuto e quindi non risolto, permane all'interno del gruppo e pu determinare una crescita della violenza.

Æ Il secondo modo di gestire la conflittualit attraverso la consapevolezza, pu evolvere in due diverse direzioni: l'impossibilit di affrontare e risolvere un conflitto che pure Ë riconosciuto come tale e che possiamo definire congelamento, anche in questo caso si pu verificare una escalation di violenza.

La seconda direzione, invece, Ë quella della crisi per la rinascita, che si verifica quando all'interno del gruppo di lavoro ci sono condizioni che facilitano il riconoscimento del disagio e rendono possibile comunicare anche il malessere, ammettendo le responsabilit individuali. Questo favorisce una maggiore elasticit ed apertura delle relazioni, che anzichÈ essere contrapposte, sono suscettibili di mediazioni, modifiche e riparazioni, attraverso un processo attivo di negoziazione. Sembra infatti che la negoziazione fornisca una possibilit di rifondazione delle relazioni all'interno del gruppo di lavoro e segni quindi l'inizio di un percorso di integrazione.

Accettare la complessit con le svariate articolazioni umane, professionali, relazionali, significa riconoscere l'esistenza di ruoli, compiti, obiettivi, esperienze diversificanti, che rappresentano la "ricchezza" di un gruppo di lavoro multiprofessionale e che pertanto devono potere trovare, attraverso la negoziazione, un adeguato riconoscimento.

"Crisi" e "rinascita", sono tappe di un processo dinamico di continuo rinnovamento, non punti di arrivo. Un gruppo di lavoro integrato dovrebbe essere in grado di seguire questo percorso con flessibilit, ridefinendo di volta in volta la propria identit e i propri obiettivi.

Adottare un modello operativo integrato, implica quindi, la possibilit di interrogarsi e, se necessario, mettersi in discussione rispetto alla efficacia del Servizio, rispetto ai complessi bisogni dell'utente visto nella sua globalit, rispetto alle risorse attivate ed attivabili.

Restano naturalmente in sospeso alcuni interrogativi circa gli spazi, le modalit, le capacit per pensare e agire una effettiva negoziazione all'interno dei singoli gruppi di lavoro e tra gruppi di lavoro diversi

 

IL PRIMO CONTATTO IN UN'OTTICA DI MODELLO OPERATIVO INTEGRATO

 

Il primo contatto con l'utenza, soprattutto con quella che viene a presentare problemi gravi Ë parso subito un punto cruciale nella organizzazione di una operativit integrata. Quelle che seguono sono riflessioni teoriche e proposte operative, frutto anche del dibattito apertosi nel gruppo di studio su questa tematica, e del confronto fra le diverse esperienze.

Proporre un primo contatto che tenga conto di un approccio al paziente psichiatrico rispettando un'ottica integrata crea non poche resistenze in quegli operatori che per cultura e formazione, sostengono la insostituibilit terapeutica del rapporto duale nell'accostarsi al paziente e che, in questi anni hanno subto, piuttosto che condiviso, il lavoro in Èquipe.

Dare delle regole e dei modelli di comportamento trova contrari quegli operatori che sostengono la "fantasia" come migliore tipo di approccio e che vedono in qualunque assetto di lavoro una coercizione ed un imbrigliamento alla libert di operare che finisce per essere controproducente.

Se Ë vero che la psichiatria, proprio per l'enorme diversit di vedute che la permea, Ë una materia che si presta difficilmente ad una strutturazione in schemi rigidi, Ë ugualmente vero che fare uno sforzo per organizzare l'accoglienza entro un sistema condiviso da tutta l'Èquipe presenta numerosi vantaggi, primo fra tutti l'immagine di coerenza e di unit del Servizio che ben dispone l'utenza in generale e in modo particolare l'utente psicotico, soddisfacendo uno dei suoi bisogni primari, quello di continuit.

Questa integrazione sta alla base del funzionamento di Èquipe quale insieme coordinato in cui la funzionalit delle singole parti dipende dalla possibilit di una loro interazione. L'Èquipe si connota allora come gruppo operativo capace di strutturare l'approccio e di elaborare un progetto di intervento che pu essere discusso e modificato.

Il primo contatto, che Ë unanimemente considerato un momento fondamentale del processo di presa in carico, stabilisce un rapporto tra l'intera Èquipe - o i suoi "delegati" - e l'utente, proprio perchÈ inizia a definire la relazione e pone le basi per il prosieguo del rapporto terapeutico.

In una struttura pubblica, quale il DSM, il primo contatto Ë il primo momento strutturato di incontro tra chi fa la richiesta e gli operatori del Servizio che hanno la funzione di filtrarla.

In un'ottica integrata di trattamento, il primo contatto si caratterizza per i seguenti aspetti:

a) primo contatto come anello di un lavoro programmato in Èquipe

b) primo contatto come lettura iniziale del bisogno

c) primo contatto come definizione e messaggio all'utente

d) primo contatto come primo momento dell'integrazione

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a) primo contatto come anello di un lavoro programmato in Èquipe

Dove non vi Ë integrazione, il primo contatto Ë solo il primo anello di una catena lineare, in cui avviene un passaggio da operatore ad operatore senza un ritorno circolare dell'informazione; paziente e famiglia sono presi in carico o "deviati" fino a trovare un punto di arrivo nell'operatore di riferimento, generalmente piuttosto sganciato da ogni Èquipe.

Nel caso dell'integrazione, invece, il primo contatto Ë parte di un percorso svolto all'interno di un Èquipe, in cui l'informazione circola fra gli operatori, ritorna periodicamente da coloro che sono pi impegnati e coinvolti a coloro che sono pi periferici nella gestione del caso. Anche qui diventa centrale l'idea del progetto comune che deve essere presente, prima a un livello pi generale, e quindi nella predisposizione delle regole a cui l'Èquipe fa riferimento (chi svolge il primo contatto; come si decide l'invio; quanto e come ci si incontra in Èquipe ecc.) e poi a un livello pi concreto nell'avvio di ogni singola presa in carico (progetto terapeutico-riabilitativo). Vi Ë sempre, infatti, il rischio che l'integrazione non sia sostanziale ma apparente, cioË limitata al ripetersi stereotipato di momenti di raccordo (riunioni di Èquipe, lavoro in sottogruppi), che per - proprio per la mancanza di una reale volont di portare avanti una progettualit comune - divengono dei vuoti "rituali di integrazione". Ci che qualifica un lavoro di tipo integrato non sono quindi solo le consuetudini di quella Èquipe quanto la presenza reale, fin dal primo momento, della disponibilit da parte dei diversi operatori a costruire un progetto comune.

 

b) Primo contatto come lettura iniziale del bisogno

La lettura della domanda di aiuto del paziente, che deve essere costantemente e attentamente effettuata durante tutto il processo terapeutico, Ë importante anche durante il primo contatto perchÈ, come nel caso dello psicotico, pu non essere evidente ma camuffata in vari modi (vissuti di angoscia e di panico, comportamenti ostili ed aggressivi, richieste impossibili), attraverso dinamiche complesse.

La realt psicotica, ma non soltanto quella, non va considerata come qualcosa da eliminare a tutti i costi ma come una modalit espressiva, pur se certamente incongrua e non sempre facilmente decifrabile, dei bisogni fondamentali del paziente, tra cui la resistenza al cambiamento, talvolta cos onnipotente da vanificare ogni sforzo e da aumentare l'angoscia quando si tenta di valorizzare le parti sane, o il bisogno di non avere bisogni, che spiega l'ostinata resistenza all'emancipazione. Abituarsi a tale lettura, fin dal primo momento, attenua nell'operatore il senso di sconforto o di impotenza che suscita il rapporto con lo psicotico e che pu indurlo a forzare il paziente verso una impossibile guarigione. E' importante, invece, comprendere ed accettare questi bisogni e cercare di stabilire in un confronto di Èquipe le reali capacit emancipative ed evolutive del paziente per potere ben modulare tempi e modalit di intervento.

Naturalmente a questa dimensione, quella delle problematiche e dei bisogni sul versante "interno" al soggetto, va collegata la dimensione riferita all'intreccio delle relazioni in cui la persona Ë inserita.

In questo modo la lettura dei bisogni si allarga, divenendo la lettura complessa non tanto di una "persona con un problema", quanto di una intera "situazione-problema", in cui la dimensione familiare costituisce una parte particolarmente significativa del contesto.

Per finire, non vanno dimenticate, quelle problematiche concrete (autonomia, mezzi di sussistenza, difficolt pratiche) che avessero un rilievo importante.

 

c) Primo contatto come "messaggio" all'utente

E' importante sottolineare che il primo contatto veicola messaggi significativi nei confronti di utente e familiari. Infatti, l'operatore del primo contatto, pur svolgendo fondamentalmente un lavoro di lettura del bisogno, non pu non costruire insieme all'utente/i un'iniziale definizione del "problema". La posizione dell'operatore non pu essere neutrale, asettica, di sola lettura ma influenzer, comunque - ed a volte in maniera significativa - il prosieguo del trattamento.

Hanno gi un significato per l'utente aspetti come: le figure professionali che effettuano il primo contatto; la scelta dei contenuti del colloquio; la scelta di chi convocare (individuo, coppia, famiglia) ed il diverso ascolto dato ai presenti; la scelta di chi convocare per l'incontro successivo ecc..

Questi messaggi inviati volutamente o non volutamente, proprio per il fatto di essere collocati al livello dei comportamenti e dei fatti concreti vanno a definire - spesso con maggiore forza delle parole - la relazione con il paziente e la sua famiglia.

 

d) Primo contatto come primo momento dell'integrazione

In un'ottica di lavoro integrato il colloquio di primo contatto, pur vedendo la partecipazione soltanto di alcuni degli operatori dell'Èquipe, rappresenta il primo momento di un processo che coinvolge le diverse figure professionali appartenenti all'Èquipe stessa.

Spesso in questo primo colloquio potranno mettersi a confronto due diversi operatori, ottiche e prospettive diverse, tese ad una lettura quanto pi completa possibile della situazione presentata. Ma anche nel caso in cui un solo operatore si prendesse questo compito, l'Èquipe interverr subito dopo: prima per rendere complesso quanto osservato inizialmente e poi per semplificarlo, in un momento successivo, attraverso la scelta di una strategia di intervento; verranno cioË scelte la o le professionalit da impegnare nel momento successivo, la prospettiva pi utile, le risorse, gli operatori di riferimento e la modalit di prosecuzione dell'intervento. L'Èquipe stessa, attraverso l'operatore o gli operatori scelti, incontra la situazione problematica e trova poi le risorse interne ed esterne pi adatte per venire incontro al problema presentato.

Il primo contatto Ë dunque un primo momento di integrazione se Ë frutto, nelle modalit di attuazione della operativit dell'Èquipe, di un suo pensiero e progetto.

 

MODELLO OPERATIVO INTEGRATO E MODELLI ORGANIZZATIVI NEI SERVIZI

 

Nella fase del lavoro in cui si chiedeva la presentazione al gruppo di esempi clinici o operativi, alcuni degli operatori hanno svolto un lavoro di analisi e riflessione sui modelli organizzativi propri del DSM di appartenenza ottenendo una esplicitazione dei nodi problematici che un DSM incontra a livello organizzativo nella strada per la costruzione di una operativit integrata.

La ricerca dei possibili percorsi verso modalit operative integrate, non pu prescindere dal riconoscimento della complessit della strutturazione dipartimentale: nell'ambito dei DSM vengono svolte molteplici attivit terapeutiche, riabilitative e di promozione della salute mentale attraverso pi gruppi di lavoro multiprofessionali.

L'esistenza di esperienze, modelli organizzativi, stili di lavoro e relazionali diversi, sia tra diversi Servizi, sia all'interno dello stesso Servizio - al di l dell'articolazione per ruoli e compiti delle varie figure professionali - deve essere riconosciuta, in connessione con la storia di ciascun Servizio o unit operativa.

Le specificit dei modelli organizzativi devono essere valutate e deve essere ricercata la possibilit di giungere ad una operativit integrata definendo le funzioni svolte ed evidenziando gli eventuali nodi problematici nei contesti operativi.

A questo proposito Ë stata condotta un'analisi dei modelli organizzativi coesistenti in un DSM dell'Azienda 6, attraverso la definizione della strutturazione dei momenti operativi, delle modalit, dei tempi e delle attivit svolte dai diversi operatori.

Sono state individuate alcune costanti nell'articolazione dei tempi e degli interventi, partendo dalla raccolta della richiesta di intervento e seguendo la successione dei contatti con gli utenti e degli incontri fra operatori; sono state raggruppate in maniera sistematica le possibili attivit degli operatori di varie figure professionali.

E' chiaro che l'analisi riferita al piano organizzativo (quindi relativo agli aspetti strutturali e funzionali del Servizio) non pu non tener conto dell' "implicito istituzionale", di quella "cultura" del Servizio che ne informa la definizione degli obiettivi.

Nell'ambito del Servizio preso in esame, si ritiene che sia in corso un'evoluzione (non indolore) da un modello teorico-operativo privilegiante la dimensione medico-biologica alla coesistenza di pi modelli e riferimenti teorici, con una maggiore attenzione alla dimensione relazionale e all'ampliamento degli apporti e degli "spazi" delle figure psico-sociali.

Sembra qui utile richiamare quelle che appaiono le caratteristiche fondamentali di una operativit integrata anche in modelli organizzativi diversi:

  1. pieno riconoscimento e valorizzazione di tutte le figure professionali
  • efficacia della comunicazione fra gli operatori e tra questi e gli utenti
  • possibilit di giungere alla soluzione dei conflitti attraverso la negoziazione
  • possibilit di esplicitare e ridefinire gli obiettivi del Servizio
  • integrazione di modelli teorici e tecniche per la definizione di un progetto terapeutico anche composito
  • valutazione comune degli interventi e dei risultati

Di seguito vengono sintetizzati due diversi modelli relativi alla concreta organizzazione delle attivit, per distinte unit operative, nell'ambito di uno stesso Servizio. Il primo modello Ë stato definito "porte aperte", il secondo "accoglienza programmata".

Gli schemi seguono un ordine cronologico, sintetizzando le attivit svolte da operatori appartenenti a diverse figure professionali.

 

 

ACCOGLIENZA/PRIMO CONTATTO

ARTICOLAZIONE DEI MOMENTI OPERATIVI IN UN DSM DELL'AUSL 6

 

1) RACCOLTA RICHIESTA, ACCESSO, PRESTAZIONI

L'accesso immediato alla struttura, caratteristica del modello "porte aperte", fa si che l'utente entri in contatto con gli operatori presenti in quel momento in ambulatorio (assistente sociale, psichiatra, psicologo) subito dopo la raccolta della richiesta. Nel modello "accoglienza programmata" si ha una designazione di operatori di riferimento sulla base della natura del problema e di una ripartizione territoriale in precedenza stabilita.

 

MODALIT¿/TEMPI

OPERATORI

ATTIVIT¿

"PORTE APERTE"

ogni giorno

(anche attraverso il contatto telefonico)

un operatore designato

(ad esempio l'infermiere) "introduce" l'utente

A, E*

"ACCOGLIENZA PROGRAMMATA"

ogni giorno

(anche attraverso il contatto telefonico)

uno o pi operatori della U.O., dopo una consultazione con altri operatori, fissa l'appuntamento

A, C, B, E*

2) PRIMO CONTATTO CON L'UTENTE

Nel modello "porte aperte" l'utente generalmente viene accolto dall'assistente sociale, che effettua separatamente l'analisi della domanda. Il primo contatto viene realizzato congiuntamente col medico o con altri operatori solo negli ambulatori periferici o in relazione a particolari caratteristiche del caso. Nel modello "accoglienza programmata", la prassi di far attendere l'utente in una stanza dopo il contatto, mentre l'Èquipe si riunisce nell'altra stanza per confrontarsi, d la possibilit di giungere ad una decisione comune sulla presa in carico; nell'altro modello, invece, tale decisione viene assunta dal medico o dallo psicologo (se la richiesta faceva riferimento a questa figura).

 

MODALIT¿/TEMPI

OPERATORI

ATTIVIT¿

"PORTE APERTE"

ogni giorno subito dopo la raccolta della richiesta

separatamente:

- assistente sociale

-operatore/i presente/i

ass. soc.: D, E, I, C*

altri oper.: F,G,H,I, M, L, B*

"ACCOGLIENZA

PROGRAMMATA"

per appuntamento in giorni prestabiliti

separatamente o congiuntamente:

- assistente sociale

-operatore/i designato/i in precedenza

ass. soc.: D, E, I*

altri oper.: F, G, H, I, M*

tutti: C*

oppure C, L, B*

 

3) INCONTRO TRA GLI OPERATORI IN RELAZIONE AL PRIMO CONTATTO

Nel modello "porte aperte" la definizione comune di un progetto terapeutico non sempre avviene dopo il primo contatto; nel modello "porte aperte", soprattutto per la mancanza di una precisa programmazione di momenti e spazi di incontro fra gli operatori. La possibilit di riservare tempo a tali incontri ci appare essenziale per il raggiungimento di una operativit integrata.

 

MODALIT¿/TEMPI

OPERATORI

ATTIVIT¿

"PORTE APERTE"

in modo informale/irregolare

tutti gli operatori coinvolti

C, I, N + O*

al contatto successivo

"ACCOGLIENZA

PROGRAMMATA"

subito dopo il primo contatto

tutti gli operatori coinvolti

C, I, N, L, B*

oppure C, I, N + O* al contatto successivo

 

4) CONTATTI SUCCESSIVI

Nel modello "porte aperte", il contatto successivo, fissato solo con riferimento temporale, viene effettuato generalmente dagli stessi operatori del primo contatto. Quando, per esigenze di servizio, manca l'operatore di riferimento, pu intervenire un altro medico. Per il modello "accoglienza programmata" anche i contatti successivi sono stabiliti per appuntamento.

 

MODALIT¿/TEMPI

OPERATORI

"PORTE APERTE"

programmati con riferimento solo temporale

generalmente gli stessi operatori del primo contatto

"ACCOGLIENZA

PROGRAMMATA"

programmati per appuntamento (data e ora)

stessi operatori del primo contatto

5) INCONTRI SUCCESSIVI TRA OPERATORI IN RELAZIONE AL CASO IN CARICO

La definizione di una trama formalizzata di incontri fra operatori Ë considerata necessaria da molti di essi. Per l'U.O. adulti le date degli incontri vengono stabilite di volta in volta e spesso con difficolt, in relazione all'articolazione dei turni di servizio presso l'S.P.D.C.

 

MODALIT¿/TEMPI - OPERATORI

"PORTE APERTE"

in riunioni periodiche senza una cadenza fissa, tra tutti gli operatori della U.O.

"ACCOGLIENZA

PROGRAMMATA"

regolari, in giorni stabiliti. tra tutti gli operatori della U.O.

Attraverso l'analisi effettuata, sono stati individuati alcuni punti nodali nell'articolazione dei momenti operativi, nel cui ambito sono state evidenziate le principali disfunzioni rispetto alla realizzazione di una operativit integrata. Essi possono essere cos sintetizzati:

  •  
  • la circolarit dei flussi informativi, mediante incontri formalizzati fra gli operatori;
  •  
  • la decisione sulla presa in carico del richiedente;
  •  
  • la designazione dei referenti dei casi;
  •  
  • la definizione della traccia del progetto terapeutico e le eventuali modifiche.

E' nell'ambito del modello operativo "porte aperte" che si riscontrano le maggiori difficolt, soprattutto in ordine ad un'efficacia e regolarit della comunicazione tra gli operatori, alla presa in carico, spesso demandata alla sola figura medica, alla possibilit di individuare "spazi" per lo sviluppo di una progettualit comune.

Tali difficolt possono essere ricollegate anche alle caratteristiche del Servizio, quali l'elevato numero degli utenti in carico e degli interventi globalmente effettuati, il che determina uno squilibrio tra le risposte strutturali ed umane e la domanda di salute mentale espressa dal territorio.

Tenendo conto delle concrete realt dei diversi Servizi - evidenziate nel confronto tra operatori - si possono auspicare una maggiore attenzione nella definizione di obiettivi comuni nell'ambito del percorso terapeutico ipotizzato, pi spazio per incontri tra operatori, la possibilit di una supervisione interna ed anche esterna e la realizzazione di momenti formativi per tutti gli operatori.

 

DALL'INDIVIDUO AL CONTESTO

 

Nella discussione condotta su casi clinici, riportati nei vari incontri del gruppo e' emersa l'attuale difficolt a scegliere fra il muoversi su percorsi che si rifanno a modelli pi tradizionali e rassicuranti (psicoanalitico o sistemico relazionale o psicofarmacologico) e il tentare nuove strade mutuando e ricomponendo gli aspetti pi integrabili dei vari modelli di riferimento in nuovi schemi a supporto dell'operativit pratica.

C'Ë chi ad esempio e' convinto che in un gruppo di lavoro si debba perseguire l'adozione di un orientamento univoco, cui tutti siano tenuti ad adeguarsi in funzione della coesione e della coerenza operativa. Una sorta di "integrazione per adattamento".

Si ritiene, al contrario, che ci releghi i componenti del gruppo di lavoro nell'alternativa secca tra conformismo o autoemarginazione, mentre Ë da salvaguardare la possibilit che ciascuno possa integrarsi pienamente in un lavoro di Èquipe pur mantenendo i propri sistemi di riferimento (la propria definizione) professionali e personali.

I modelli di riferimento tradizionalmente "forti", in particolare quando sono veicolati da figure professionali a forte peso istituzionale, possono assumere un rilievo predominante nello stile operativo del gruppo di lavoro o del Servizio e portare ad una marginalizzazione di altri apporti di orientamento non omogeneo, e ad un impoverimento di un reale confronto dialettico tra posizioni differenziate.

E' stato sottolineato come sia importante al contrario rafforzare un approccio basato sull' ottica della multiprofessionalit nella quale siano comprese diverse chiavi di lettura della realt, valorizzando anche apporti di matrice pedagogica, sociale, antropologica, etnopsichiatrica ecc., cosi come Ë avvenuto in modo fecondo nella fase del rinnovamento psichiatrico, e contrastando i tentativi di involuzione di quest'ultimo periodo.

Il lavoro di confronto e mediazione dell'Èquipe dovrebbe essere infatti indirizzato non tanto a dimostrare "quale sia il modello migliore", cui forzatamente adeguarsi, quanto a costruire un percorso di cambiamento che sia "sentito" come risultante dell'elaborazione del gruppo di lavoro nel suo insieme.

Di conseguenza proprio la capacit di garantire la coesistenza di differenti griglie di lettura e di valutazione, in una interazione costruttiva, va considerata una risorsa importante del gruppo di lavoro e quasi un indicatore della qualit di funzionamento dell'Èquipe.

Forse Ë da questo universo sperimentale e caotico e da un paziente lavoro di riconnessione, senza pregiudizi e a tutto campo, che dovr ripartire e procedere il tentativo di ritrovare pian piano ordine, coerenza e sistematizzazione teorico-pratica. Del resto si Ë constatato come la descrizione della pratica quotidiana risultasse pi concreta ed efficace e precorresse i tempi di una riflessione metodologica ancora attestata sulle griglie dei modelli codificati.

Appunto per questo Ë indispensabile che il Servizio assuma e garantisca la funzione di costruzione di una nuova metodologia di lavoro in cui sia possibile favorire un clima di confronto per sedimentare, elaborare e riunificare idee, sensazioni ed esperienze.

I resoconti dei casi dimostrano inoltre come il percorso iniziale del rapporto tra utenza e Servizio sia spesso molto tortuoso e come a volte proprio il lavoro di "motivazione al trattamento" e di superamento delle "opposizioni alla cura" che si stratificano a diversi livelli, costituisca gi una parte impegnativa e prolungata dell'attivit del Servizio. A volte la richiesta di aiuto non proviene direttamente dall'utente, possono essere presenti problemi di allarme sociale o meccanismi di espulsione del soggetto disturbato e il Servizio deve confrontarsi con esigenze contrapposte di terapia e controllo.

In questi casi sembra opportuno identificare le figure di riferimento nelle situazioni problema con le quali sar inevitabile un lavoro di collegamento e di mediazione, una sorta di contrattazione allargata.

E' stata inoltre riconosciuta l'importanza di giungere ad un accordo iniziale (contratto) su alcuni obiettivi compatibili con la situazione del paziente in quel momento, con un livello minimo di adesione da parte del paziente ma anche dei soggetti che si valuta siano significativamente in gioco in quella situazione.

Dalla parte del Servizio, come gi detto, il referente non e' un operatore singolo ma una Èquipe curante che dovrebbe funzionare da momento di riunificazione dei diversi aspetti e caratterizzarsi proprio per la capacit di porsi come soggetto collettivo di un lavoro programmato e finalizzato.

Formulare un progetto significa interrogarsi innanzitutto sull'essere chiamati a fornire "un aiuto per che cosa?", quali obbiettivi ci si pone, quale ipotesi evolutiva della situazione ci si sente di fare.

Non si tende ad offrire all'utente delle risposte pre-codificate, ritagliate rigidamente sulle competenze di singoli operatori e su modelli di trattamento standardizzati, quanto ci che risulta pi aderente volta per volta ai bisogni e alla peculiarit del caso.

In tal senso l'Èquipe pu connotarsi come gruppo operativo capace di porsi in un'ottica processuale: strutturare l'accoglienza, individuare le modalit della presa in carico, elaborare un progetto di intervento che va discusso e aggiornato. Quando ci Ë possibile si creano le condizioni per rapportarsi al disagio psichico nella sua interezza e per utilizzare l'incontro terapeutico come occasione di esperienza significativa non solo per la persona in difficolt ma anche per chi Ë pi direttamente coinvolto.

Dalla pratica di lavoro si evidenzia che il gruppo svolge una funzione non solo diretta al singolo ma anche di orientamento e mediazione attiva tra una pluralit di soggetti significativi del contesto familiare e sociale: famiglie, servizi sociali, sindaci, parroci, organi giudiziari, reti sociali della solidariet, ecc. Ci richiede una metodologia di collegamento e di contrattazione, in una sinergia di interventi, ruoli ed ambiti, che costituisce l'aspetto pi costruttivo dell'agire psichiatrico nel territorio.

In questo modo i vari spazi dell'assistenza tendono a trasformarsi da luoghi di erogazione di farmaci e parole, in laboratori di salute mentale, non solo per l'utenza, ma per l'intera comunit. Occorre inventare luoghi dove si possano produrre contesti, avviare contatti, costruire relazioni che possano evolvere in strumenti per la prevenzione e per nuovi progetti di vita.

Da ci consegue che Ë possibile - col contributo di operatori, utenti, famiglie, istituzioni, organismi del privato sociale - valorizzare l'intenzione e la tensione verso la costruzione di rapporti sinergici anche tra l'assistenza e la produzione, perchÈ anche le attivit a finalit produttiva (ci riferiamo ai laboratori artigianali, alle imprese sociali, alle cooperative), possono diventare spazi formalizzati e riconosciuti di cura e promozione di salute mentale.

Ci comporta, per, una capacit organizzativa per cui l'Azienda, articolata in unit, dipartimenti, distretti, diventi un sistema autoorganizzato rivolto all'utenza che non si limita a prendere atto dei bisogni di salute, ma - secondo un'ottica costruttivista, attraverso diverse modalit organizzative funzionali di lavoro, che accrescono la complessit dell'Azienda stessa - agisce in modo da accrescere il numero totale delle possibilit di scelta.

 

 Ottobre 1997

 

Hanno partecipato in maniera stabile ai lavori del gruppo:

 

Maria Ales, Psichiatra ex usl 59
Claudio Battaglia, Psichiatra ex usl 59
Maria Rosa Caleca, Sociologa ex usl 55
Gaetana Nuccia Cammara, Ass. Soc. ex usl 55
Maria Cassataro, Pedagogista ex usl 61
Rosaria Maria Cassisi, Psichiatra ex usl 55
Marta Cimino, Sociologa ex usl 61
Rosa Culotta, Psicologa ex usl 59
Antonio De Francisci, Psicologo ex usl 52
Anna Di Cristina, Psicologa ex usl 59
Caterina Di Giovanni, Pedagogista ex USL 05
M. Carmela Di Paola, Pedagogista ex usl 55
Maria Francaviglia, Psichiatra ex usl 57
Sebastiana Genzone, Pedagogista ex usl 50
Giovanni Iannuzzo, Psichiatra ex usl 50
Tiziana Magaddino, Ass. Soc. ex usl 61
Rosangela Magazz, Sociologa ex usl 59
Cinzia Meli, Psicologa ex usl 61
Mario MulË, Psichiatra ex usl 52
Vito Petruzzellis, Psichiatra ex usl 49
Vincenzo Sanfilippo, Sociologo ex usl 49
Itala Stancampiano, Educatrice ex usl 61
Maria Stellino, Pedagogista ex usl 60

 

 

  • Asioli F., Berti Ceroni G., Ballerini A.: "Psichiatria nella comunit. Cultura e pratica", Bollati Boringhieri, 1993
  • Cirillo S.: "Il cambiamento nei contesti non terapeutici", Raffaello Cortina Editore, 1990
  • Correale A.: "Il campo istituzionale", Borla, 1991
  • Di Marco G. (a cura di): "Esercizi di psichiatria italiana", Castelvecchi, 1997
  • Di Marco G.: "Unit terapeutica e positivizzazione dell'esperienza schizofrenica" in Lo Verso, Federico:"Attraverso il cerchio", Borla, 1993
  • Pellegrino R., Ruta R., Crosato S., Bearzi C.: "Psichiatria e cura"Fogli di informazione, n(infinity) 167, 1995
  • Perris C.: "Psicoterapia del paziente difficile", Metis ed., 1993
  • Piro S.: "Antropologia trasformazionale", Franco Angeli, 1993
  • Piro S.: "Trattato sulla psichiatria e le scienze umane", Idelson, pp. 68 e ssgg., 1986
  • Pontalti C., Menarini R.: "I trattamenti multimodali in psicoterapia" in Lo Verso G., Giarrizzo E., Guzzo, Papa M.:"La psicoterapia nei servizi pubblici", GiuffrË Editore, 1989
  • Saraceno B.: "La fine dell'intrattenimento", Etaslibri - RCS, 1995
  • Siani R., Siciliani O., Burti R.: "Strategie di psicoterapia e riabilitazione", Feltrinelli, 1991
  • Siani R.: "La psicologia del sÈ", Bollati Boringhieri, 1988
  • Stolorow R.D., Atwood G.E.: "I contesti dell'essere", Bollato Boringhieri, 1992
  • Zapparoli G.C.: "La psichiatria oggi", Bollati Boringhieri, 1988
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