HABEMUS PAPAM: Spaccato fedele italiano, con sorpresa. di Maurizio Montanari

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12 giugno, 2013 - 10:07
Anno: 2011
Regista: Nanni Moretti

Così si potrebbe definire  il film di Nanni Moretti, ‘Habemus Papam’. Si comincia con un formidabile attacco di panico, quello che colpisce il cardinal Melville appena investito della carica papale. Una crisi d’angoscia montante, limpida, che attanaglia il quasi Pontefice nell’atto di affacciarsi al balcone e sancire così’ l’accettazione del soglio  di Pietro. Un si che egli non si sente di dire , un desiderio che sembra non abitarlo.  Vittima di un troppo che lo schiaccia. Quel che Lacan ci insegna ( ecco dunque la psicoanalisi in primissima fila) è che l’angoscia è quel tormento che attanaglia l’uomo nel momento in cui cade nell’enigma del desiderio irrisolvibile: cosa vuole l’Altro da me? Quali le altrui aspettative? Come rispondere alle attese di chi mi ha assegnato questo posto? Come occupare quel luogo? 
E qua Moretti si mostra da  subito magistrale. Vagli tu a dire che essere moderni significherebbe prescrivere al  neo Papa  farmaci al primo attacco di panico, assestando una sberla chimica al sussulto del soggetto che dice ‘non ce la faccio’ per poi tornare di nuovo nei ranghi. Al suo posto. Guarito e normalizzato. La grande diffusione del panico oggi, è anche legata ad una iperproduzione diagnostica del dap. Sovente la persona sofferente si rivolge al medico, al farmacista, all’ospedale, portando una richiesta spiazzante: ‘Aiutatemi, sono angosciato’. Il corpus medico risponde  spesso cristallizzando il momento d’ angoscia insostenibile che il soggetto patisce etichettandola come ‘attacco di panico’, chiudendo fuori dalla porta la storia pregressa dell’individuo, pretendendo di curare il qui ed ora con una strategia centrata sull’attualità, senza tenere in considerazione i precedenti che hanno condotto alla richiesta di aiuto.  ‘E’ solo un attacco di panico’ è la frase che spesso condanna l’individuo ad una segregazione, il quale non incontra un apparato che sappia mettere al lavoro l’interrogazione che sta alla base del movimento d’ angoscia, quanto un surplus di rimedi pronto uso che chiude in un hangar un affetto sganciato dalla contingenza temporale.
 
Per fortuna Moretti non ama le mode, e ci mostra magistralmente quanto l’angoscia introduca e moduli il tempo di analisi. Alla faccia dunque di ogni prontuario, il cardinale si chiama fuori da quel posto, e si mette a riflettere. Senza che gli sia imposta una normalizzazione dell'affetto d'angoscia, uno schiacciamento.
Ha inizio, da questa rinuncia al posto assegnato, l’elaborazione personale del soggetto. L’analisi allo stato puro. Il segretario pontificio anche lui mostra di conoscere bene Freud. In particolare quando in ‘Psicologia delle masse e analisi dell’Io’ descrive il fenomeno del panico come un ondata che sommerge e scardina la massa nel momento in cui il referente barcolla, il capo cade da cavallo.
Accortamente intercetta i primi segnali di disgregazione e vi sopperisce con un figurante, la grassa guardia svizzera, che ne andrà  ad occupare il posto nei papali appartamenti, mostrando ogni tanto la sagoma che tranquillizza e placa la folla e la preserva dallo sgretolamento. Mentre  ridicolizza le figure di analisti saccenti   ( ‘io sono l’analista migliore!’ dice Moretti, che stiletta da par suo chi ha dimenticato    quel che diceva Lacan sul fare ‘ l’analista..senza troppe manie di grandezza’) il film mostra la forza di un percorso di analisi. Michel Piccoli abbandona il Vaticano ( il posto assegnato) e va nello studio di una caricatura d’analista: moglie infarcita di sapere posticcio e con problemi di coppia  per lasciarlo. La sua analisi, intesa come disvelamento del proprio desiderio, avviene infatti lontano da questi luoghi deputati . Il posto dell’analisi non coincide con il luogo di analisi. E’ infatti tra la gente, in strada, tra le bancarelle e dal panificio che inizia a dare forma al suo no. E mentre rimemora vaghe aspirazioni di attore, confessa davanti ad attori autentici ( eletti ad analisti ) che lui quel sogno l’aveva, ma non ha avuto al forza di portarlo sino in fondo.  Il finale è , come detto, una sorpresa. Una scena non Italiana.
Rasserenato, ormai certo delle sue intenzioni affinate per i borghi romani, Melville dice no a quel posto. Rinuncia con un coraggio inattuale ad un sontuoso incarico di Pontefice. Gonfio di benefit, agi,  e con potere incondizionato sui sottoposti. In un tempo di padri sbilenchi e rabberciati, di   narcisi ed opportunisti pronti a cavalcare ogni moda pur di apparire, o di menar vanto di titoli di plastica  per  un posto al sole, è un insegnamento  formidabile. E’ la scena che vale il film. Come il balletto iniziale di De Niro in ‘Toro scatenato’.
Questo film ha dei collegamenti con l'attualità: il no di Papa Ratzinger  e la lenta consunzione di Giovanni Paolo II hanno come punto centrale il soglio pontificio. La 'funzione' di Vicario di Cristo. Un elemento significante in nome del quale essi hanno annullato la loro soggettività. Il primo lasciandosi consumare sul soglio, convinto che il servigio che l'individuo dà alla alla funzione comporti anche l'estremo sacrificio del corpo. Il secondo eliminando ogni propria velleità di regno temporale, scegliendo di nullificarsi non nel corpo, come nel primo caso, ma nella persona, pur di impedire che il trono pietrino venisse sporcato con faccende troppo umane.Siamo in una prospettiva antimoderna. E' infatti frequente assistere al fenomeno opposto, nel quale la funzione viene asservita all'individuo sino a svilirla. Le cariche 'politiche' o manageriali, vengono occupate da narcisismi in preda a godimenti bulimici di ricchezza, fama e successo, che utilizzano la funzione per asservirla ai loro bassi istinti. Il caso dei consiglieri sorpresi a dilapidare denaro pubblico è storia recente.

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