GLORIA di Sebastián Lelio (Cile 2013) Recensione di Isabella Bernazzani

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28 ottobre, 2013 - 09:36
Anno: 2013
Regista: Sebastián Lelio

“Gloria” film cileno di Sebastian Lelio scorre sul filo  conduttore della “perdita” e del “ritrovarsi”.
 
Colpisce nell’immediato la banale normalità, la lentezza di immagini insapori e inodori, scene di vita comune noiose , mediocri, e  talvolta irritanti per la loro “insipidità” .
Occorre andare oltre alla cruda rappresentazione delle immagini esterne, occorre “stare con” il “dentro” di Gloria per capire.
Così, come dentro la stanza d’analisi, occorre andare oltre al manifesto, occorre  entrare nei profondi  cunicoli , nelle  reciproche caverne,  quelle dell’analista  al lavoro e quelle dell’analizzando.
 
Al centro della scena una donna, ex-moglie, madre, nonna, amante. I ruoli scorrono uno successivo all’altro a volte si embricano.
Il tempo è il tempo dell’ ”ora” ,  dell’hinc e nunc :  Gloria ha  58 anni due figli, un nipotino un ex-marito, un lavoro.  Le strade degli affetti si allontanano e separano.
Gloria si confronta con la perdita e col suo sentire.
 Affronta le delusioni della vita, combatte contro la solitudine, la quotidianità noiosa.
Esplora e non rimuove la sua vitalità che impietosamente il mondo esterno vorrebbe  appassita.
Gloria si confronta con la perdita di un corpo giovane, stenico.
Con la perdita della giovinezza.
Lo sguardo duro e impietoso della telecamera segue la donna, non bella, non icona patinata, non sex-symbol.  Ma vitale.
La segue nell’espressione del viso, nelle parole non dette, nelle smorfie, nelle grimaces oscillanti tra autoironia e tristezza, spia del mondo emotivo di Gloria.
La perdita dell’immagine di un corpo eccitante agli occhi del mondo esterno, contrasta con la trepidazione e la determinazione con cui  Gloria  rivendica il suo esser ancora  femmina , desiderosa  di amore , di piacere,  di passione , di una sessualità ancora viva e urlante.
L’incontro con Rodolfo, è l’incontro con la speranza , con  l’illusione di una nuova esistenza  , piena, completa , dove nulla è tralasciato, dove  tutto viene preso a piene mani.
La passione che travolge i due amanti non si fa inibire né vergognare dai corpi molli, nudi flaccidi, che portano i segni implacabili e impietosi del tempo .
 La passione, l’eccitazione e il bisogno di ritrovare emozioni, sensazioni, sapori, odori, segue  il sentire dell’interiorità,  di ciò che mai si perde, se non  permettiamo che ciò accada.
Gloria non lo permette, nemmeno di fronte  alla delusione, al dolore della perdita di Rodolfo. Forse pensato come ultimo baluardo di una lecita felicità.
Gloria è indipendente, audace, “stenica “ nel desiderio.
 Rodolfo è dipendente dai suoi legami affettivi, insicuro, spaventato.
Rodolfo fugge alla vita, si rifugia nel suo triste, insoddisfatto passato.
Gloria vive la perdita dell’amore, della fatua felicità di esserci, della pienezza e del senso di risarcimento della vita.
Si confronta non solo con la perdita del ritrovato amore, ma con la delusione per sé, per il senso di fallimento che vi soggiace.
E lì trova i nuclei del dolore, dell’abbandono, della perdita dell’altro, di ciò che si era investito di carica affettiva.  Anche degli affetti del passato persi.

Per questo il dolore è lacerante, rabbioso. Il dolore divora rabbioso.
Il dolore dell’abbandono non ha età, 60 anni sono come 20, 30, 40.
La ferita è la stessa.
La scena della sparatoria è esilarante : la morte simbolica di Rodolfo , dell’uomo amato  che ferisce, e che viene ripagato  , nella fantasia,  con altrettanta  moneta ,  è forse  non solo  simbolicamente  il bisogno di proiettare il dolore della ferita, , ma anche  rappresentazione del fantasma  di perdita totale : la morte.
 
Morte è qualcosa che non c’è più.
 Perdita è qualcosa che non esiste più per come era. Forse in questa scena possiamo ipotizzare si coagulino, come un grumo di sangue riparatorio di una ferita traumatica, più dolori: il dolore della perdita del ruolo di moglie, di madre , di amante , della perdita della speranza.
Ma  Gloria , a differenza di Rodolfo, non  rinuncia.
Gloria non rinuncia alla vita, alla gioia di vivere, non rinuncia alla parte viva di sé.


 
Non “affoga” nel dolore, non ne resta schiacciata, agonizzante.
Non resta nel passato. Ci transita, ma non si ferma. E’ un percorso il suo, interno, sottile, impercettibile allo spettatore.
Trova la forza.
Dentro di sé.
Il “seme” mai perso della gioia di vivere esplode alla fine del film.
Gloria, ora totalmente indipendente non ha più bisogno impellente dell’altro (rifiuta di ballare con l’uomo che la invita), ama se stessa.
La musica puo’ ora esplodere dentro.
Quella musica, la bossa nova col Waters of March di Tom Jobim, che a tratti e brevi flash accompagna il film come estemporanea escursione in sintonia con la vitalità interna di Gloria, e che sembra simboleggiare la donna, figura intensa ma dall’andamento lento, un po’ malinconica un po’ intrigante, diventa ora una musica più leggera, carica di energia.
Ora è una musica che si espande in un crescendo prepotente e vitale, con un ritmo sintonico tra il “dentro” e il “fuori” di Gloria.
E’ il raggiungimento del senso di sé.
Come scrive lo psicoanalista Andrea B. Baldassarro “ Senza un altro si è perduti, ma senza la perdita di un altro non si costruisce la propria soggettività.”


 
Gloria è una storia, come tante, di una donna libera coraggiosa, vivissima, trepidante, Gloria non ha paura, puo’ vivere quel che “sente”.Gloria è un inno alla  gioia  di liberarsi alle emozioni.

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Commenti

Ho apprezzato molto la recensione, molto intelligente e generosa. Ancora più acuta, perché, paradossalmente e forse per deformazione soggettiva, a me il film non è piaciuto per nulla. Un dramma piccolo borghese del perdersi senza ritrovarsi, di una disperata vitalità che diventa inesorabile dissipazione. Di un mondo drogato in cui tutto viene vissuto senza rispetto degli altri e di sé stessi. Di un erotismo consumistico senza l'energia del desiderio e la modulazione dell'ascolto dell'altro. In cui l'unica cosa convincente e ben rappresentata è la valutazione del cantante pessimista moderato che paragona la situazione del Cile e della loro vita al sogno infranto alle prese con una ricostruzione sociale e umana finta, plastificata, con ruoli già scritti e immutabili. In cui l'unica consolazione finisce per essere la musica brasiliana della dolcezza e della speranza e la meta illusoria Gloria, la canzone inno degli anni '80 e dell'edonismo Reaganiano. Grazie per avermi stimolato a scrivere queste cose, per un film che non mi è piaciuto, ma sicuramente lascerà tracce in me.


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