YOUTH by Paolo Sorrentino Recensione di Isabella Bernazzani

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25 maggio, 2015 - 07:30
Anno: 2015
Regista: Paolo Sorrentino
YOUTH emoziona.

YOUTH è un film estetico e profondo.

La visione del film fa entrare in una dimensione  contemplativa ed onirica. La fine riconduce “inconsciamente” lo spettatore all'inizio, e accende il desiderio di “rivedere” avvolto in una morbida sensazione  di ritorno al grembo materno, là dove inizia la vita.
Eppure il film tratta di  fine della vita, di vecchiaia , di morte,....apparentemente!
Come nel sogno dove, la trama, la narrazione arriva in ordine sparso, frammentato , disordinato,  senza nessi, ed  occorre un viaggio ad occhi aperti  durante la veglia per dare significato,  così nel film  i pensieri, le immagini, i dialoghi le ossessioni, i temi della vita toccati, a volte con delicatezza, a volte con ilarità e talvolta con drammaticità, necessitano di un profondo contatto con parti interne di sé , ripensate a posteriori, per comprenderne il senso.

Come allora non pensare alla metafora  del racconto del sogno in seduta analitica, dove l'analista- regista srotola  la storia del sogno davanti agli occhi dello spettatore – paziente, che  nell'identificazione  con i vari personaggi del film-sogno, si mette in contatto con parti di sé.
C'è nel film un “contenuto manifesto” che, come nel sogno è fatto di discorsi, immagini, affetti, sensazioni, qui è fatto di un linguaggio cinematografico di esilarante impatto estetico: un magnifico Hotel -Spa delle Alpi Svizzere di incantevole bellezza, quiete , armonia, cura.
 Un luogo dove il tempo sembra  fermarsi, in uno stato di “sospensione “ del pensiero e dove i malinconici e contemplativi personaggi, decaduti nel corpo ( ma ancor prima nello spirito ) sembrano tornare in un limbo, in una sorte di “attesa” e “sospensione dalla vita”, nell'oblio dell'esistenza e che si lasciano guidare da  giovani addetti al loro benessere, come bambini.
 Neonati  immersi nelle calde acque termali , come in un mare amniotico primitivo, un grembo materno accogliente, un ritorno alla vita nell'avvicinamento della morte, psichica soprattutto.
Tutti i personaggi sembrano in questo luogo paradisiaco al “ riparo dalla vita”, ognuno, inconsciamente, alla ricerca di  un cambiamento .
La colonna sonora splendida nella sua melodia lenta, continua, a tratti struggente, a tratti malinconica  e incantatrice di Mark Kozelek e David Lang, è la” membrana amniotica “che contiene e sostiene la trama della narrazione e il cambiamento.

Ma , come avviene nel sogno, accanto al contenuto “manifesto” c'è un contenuto “latente” che come ben definì S. Freud è in relazione alla gratificazione dei desideri.
 Occorre un lavoro onirico, un processo mentale caratterizzato da modalità arcaiche di pensiero ( spostamento, condensazione, sostituzione..) per trasferire i pensieri onirici latenti nel sogno manifesto.
Il lavoro onirico è fatto anche di rappresentazione simbolica, cioè trasformazione di pensieri in simboli sensoriali e immagini ( in questo il regista ne è maestro) e anche di “elaborazione secondaria “dove  la connessione delle immagini vengono immesse in una funzione narrativa , che è quella che farà lo spettatore nella sua mente.
Quale sarebbe allora il contenuto “latente”? : La gratificazione dei desideri ci dice S.Freud.

Nel film YOUTH il potente motore-latente è la narrazione del desiderio e della passione per la vita, anche nella vecchiaia, aldilà del corpo, aldilà dell'età cronologica , il cui epilogo lo troviamo nell'”ultima scena” del film.

Due amici , alla soglia degli 80 anni, Fred e Mick vivono in un Hotel “sperduto” tra le Alpi, tra ricordi del passato, disagi del presente, e futuro .
Fred  Ballinger ( magistrale Michael Caine) è un famoso compositore e  direttore d'orchestra mondiale, ritiratosi  dalle scene, apatico, indolente, indifferente, rassegnato,  in preda ad uno stato di “sonnambulismo emozionale”,spento nella gioia di vivere da quando ha perso il” suo amore “( la moglie) da circa 10 anni. Donna tanto amata quanto trascurata per “amore” dell'arte, nonché musa ispiratrice  .
Fred conosciuto al mondo per  un'Opera “ Simple Song”, rifiuterà anche l'invito della Regina  per suonare a Palazzo, adducendo il suo rigido rifiuto a “ motivi personali”.
 Fred è stenico nella decisione, sembra aver rinunciato da molto tempo a trovare” piacere” là dove  prima  metteva tanta passione.
 Nel film troviamo anche sua figlia , una donna di 40 anni in crisi coniugale, che mette Fred a confronto con il suo “ruolo” di padre, silenzioso, anaffettivo, narcisisticamente chiuso nella propria realizzazione artistica, solo all'interno della quale  sembra esser depositata la parte  dolce,  calda , sensibile  emozionale. Un padre e un marito  privo di calore. Un artista pieno di passione.
Nella trama appare però prioritario il rapporto di Fred con l'arte e con l'amore , amore inespresso, scisso, allontanato.

Mick Boyle ( splendido Harvey Keitel) , grande regista è alle prese con un” film – testamento”, il più gran bel film della sua vita, opera finale che ha il compito di rassicurarlo di non aver vissuto invano e di poter tramandare il patrimonio morale della sua vita,  a cui si accinge con ardore e passione sostenuto da un gruppo di giovani sceneggiatori.
 Spirito  vivace, cinico, e tuttavia poco incline a “non prendersi troppo sul serio” , a differenza dell'amico Fred,  dopo il rifiuto della amica attrice  di Hollywood a esserne la protagonista, subisce una “ferita irreparabile” alla sua illusione di “immortalità” e cade bruscamente.
 Mick entra nell'apatia fino a compiere  un gesto estremo che però “risveglia” Fred dall'indolenza e dall'apatia, come in una sorta di regalo che “feconda” la vita dell'amico.

C'è però un  corteo di altri personaggi interessanti nel film , come quello di Jimmy Tree, giovane attore californiano in “pausa” perchè in crisi professionale, incastrato nel ruolo di una interpretazione giovanile di un “robot con armatura- Mister Q”,  ruolo che lui detesta, ma per il quale viene “riconosciutro” dal mondo esterno  e con il quale viene identificato.
L'identificazione che gli viene riconosciuta e che  gli dà una identità esterna, rende vani tutti i suoi tentativi di “costruirsi” un'altra immagine di sé più consona al suo sentire e al suo interno.
 Jimmy  accetta quindi “passivamente” ruoli cinematografici che non ama ,e seppur “giovane” è un personaggio, statico, rassegnato ed infelice, chiuso in una gabbia che lo rende impotente.

Ma ad un certo punto nel film c'è un cambio di registro, generato da  frasi semplici, da gesti, da parole che suscitano però emozioni.
 Insomma c'è qualcosa che “tocca “ le corde interne dei personaggi ed avviene un cambiamento. Inaspettato.
Vibrano le corde della passione che genera un nuovo approccio alla realtà (interna).

Per Jimmy sarà la voce  narratrice di una bambina  portatrice di una  “verità”, che passa dal subconscio al conscio, per dirla alla Freud.
 La scena tenera e bellissima ci mostra una bambina  che si avvicina all'attore per fargli i complimenti , e lo “riconosce” non per Mister Q robot corazzato(esternamente) - non umano,  ma per il personaggio di un film che “non ha mai visto nessuno”.
Qui avviene  il cambiamento che apre nuovi scenari: compare  il riconoscimento per quello che siamo  e che  pochi sanno vedere, “quasi nessuno”.... dove non  è necessario “corazzarsi ”per evitare il contatto con parti più fragili di sé.
Il film mai visto da nessuno parla di un padre terrorizzato dalla paura di esser “inadeguato” che fugge e lascia crescere i figli da soli.  Sarà il pensiero “libero” e profondo della bambina che aprirà le” porte interne chiuse “ del giovane attore.
“ Quella scena – dice la bambina- mi ha colpita perchè ho capito che tutti siamo inadeguati alla vita. Ed è proprio per questo che non possiamo averne paura”.
 Convivere con il proprio senso di inadeguatezza e insoddisfazione aprirà nuove porte alle scelte dell'attore, che deciderà poi  di impersonificare soltanto personaggi che non veicolano “distruttività,” rifutando il ruolo di Hitler.

E se in Jimmy le porte si aprono nella accettazione e nella consapevolezza della fragilità e inadeguatezza umana, per Fred si apriranno nel momento in cui può affrontare e calarsi nel dolore.
Da circa 10 anni aveva tenuto il profondo dolore della “perdita” lontano da sé, come enucleato, scisso, non pensato o pensabile.
Fred sembra essersi costruito quello che John Steiner chiama il “rifugio della mente” , un luogo mentale in cui ci si ritira quando si vuole sfuggire a una realtà insostenibile perchè angosciosa. Luogo del sollievo in cui trionfa l'onnipotenza del pensiero e della fantasia ove tutto è permesso.
Non sappiamo, perchè il film non ce lo dice, cosa rappresenti la “perdita” della moglie e/o quali “altre perdite” racchiuda in sé, ma sappiamo che Fred da anni non  va a “trovare” la moglie, come gli rimprovera la figlia.
E se sembra scontata la perdita legata alla morte  ( “ ho perso mia moglie 10 anni fa”), in realtà alla fine del film si avrà la conferma che la perdita non è legata alla morte fisica , ma a quella psichica della donna, ed è fondamentalmente un perdita dentro alla mente  di Fred.
L'immagine della donna, del suo volto statico, incartapecorito, privo di espressioni ed emozioni, vuoto, morto e mortificato nello spirito è tagliente. Non servono le parole.
Possiamo pensare  allora  che il distacco dal mondo reale, dall'arte , dalla vita, dalla felicità sia una sorta di “rifugio delle mente” una sorte di “anestesia alla vita” per Fred per non esser distrutto o frammentato dall'angoscia del dolore.
 Come dice B.Joseph una quasi assuefazione alla morte.
Il “rifugio” come scrive Steiner  può essere considerato necessario se si deve affrontare un dolore psichico insostenibile collegato con la paura della perdita o con l'esperienza della perdita”.
Sarà soltanto quando Fred “recupera” il coraggio e la fiducia in sé di affrontare la realtà e va a trovare la moglie nella casa di cura, che la sua vita, pur nella 3° età, avrà un risvolto verso la vita e non nell'attesa della morte.
Fred ha vinto la paura, l'angosciante paura di non esser, fino ad allora, “sufficientemente  attrezzato” per una esperienza emotiva troppo intensa.

E come scrive A. Ferro “...la paura nasce ogni volta che il nostro “narratore interno” viene messo alla prova oltre misura”o per dirlo con Bion “ l'apparato per pensare i pensieri- la funzione alfa- sembra non sostenerci o pensiamo di non riuscire”.
Ma è solo facendo affiorare alla mente quello che S.Freud definisce “Il Perturbante” cioè tutto ciò che  è connesso con costellazioni emotive e affettive e che viene rimosso e che improvvisamente  può irrompere nella coscienza  e fa paura ( “ Unheimlich ...tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto e che invece è affiorato”) che avviene un cambiamento psichico positivo.
Per questo A. Ferro dice che nel perturbante c'è qualcosa di familiare , perchè si tratta di qualcosa che ci è appartenuto e ci appartiene ( e che avrebbe dovuto rimanere nascosto nella psiche).
  Bion ci riporta alla madre con la sua capacità di reverie per la quale gli elementi beta ( protoemozioni, sensazioni corporee indifferenziate e confuse) vengono trasformati in elementi alfa quali pittogrammi emotivi, immagini visive e pensieri, e solo allora anche le sensazioni angoscianti e terrificanti possono essere pensate.
Fred ad un certo punto sembra “recuperare” dentro di sé la fiducia di poter pensare e farsi attraversare dal dolore senza il terrore di “ andare a pezzi”, annullando quindi la paura perchè ha la giusta attrezzatura psichica.
E lo fa “ guardando” ciò che non voleva vedere. La perdita e la morte psichica.

La scena finale è bellissima per il profondo impatto emotivo: serenità, armonia, consapevolezza, pacatezza, amore, libertà di veicolare i propri desideri “incistati e annullati nella paura e nella angoscia “.
Fred  non rinuncia alla sua passione e all'amore per la vita nonostante i suoi 80 anni.
Dirige l'orchestra  e la sua opera “Simple Song”, lasciando  che un'altra voce e un'altra bocca  inondino la platea del suono della musica e delle parole scritte  per amore.
L'intensità della voce della cantante e i primi piani sulle sue rosse labbra  esprimono nell'immagine la passione, l' intensità, la dolcezza che invadono il pubblico del teatro, ma che inondano anche lo spettatore del film.

Nel film la potenza dell'amore vince oltre la morte, perchè finchè ci sono emozioni, passione desiderio libertà c'è vita.

La morte poi verrà....

Mi piace concludere con una frase di Michelangelo Antonioni :“Non bisogna lasciare che un film finisca con la fine del film, ma bisogna fare in modo che il film si prolunghi proprio all'esterno di se stesso, proprio dove siamo noi, dove viviamo noi che siamo i protagonisti di tutte le storie”.

Dice Mark “ Le emozioni sono tutto quello che abbiamo”.

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