MORIRE DI VERGOGNA (2009)

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Il nostro è un mondo senza vergogna.
Senza vergogna si mette in piazza ogni più intimo sentimento. Anzi, più spudorati si è e più si fa cassetta nei circuiti del Grande Fratello. La televisione ha lasciato ormai dietro di sé il pur labile rapporto con il teatro, non solo nella sua versione tragica ma anche in quella comica, per accostarsi sempre di più a una forma di pornografia che si vorrebbe soft ma in realtà è hard poiché proietta i suoi videodipendenti nel girone del voyerista svergognato.

Senza vergogna l’amministratore ruba facendo credere di gestire al meglio la Cosa Pubblica. Senza vergogna alti responsabili dello Stato irresponsabilmente asseriscono di non sapere da dove venga il flusso di denaro che riempie le loro tasche e concede loro viste irripetibili. Senza vergogna deputati e senatori propongono leggi che vogliono impedire alla gente comune di venir a sapere quello che tutti intuiscono o intravedono. Il colmo per i senza-vergogna è la pretesa che la legge dello Stato si porti garante affinché anche il mafioso sia tutelato nella propria privacy.
Macchie di fango hanno imbrattato perfino il manto della Chiesa cattolica. Fango per lei inabituale giacché non si tratta del fango della colpa. Il peccato è isomorfo al suo statuto, come lo è pure la sua purezza, sebbene la commistione dei due aspetti possa sembrare paradossale. In verità il suo essere vergine-puttana corrisponde fin dai primordi del cristianesimo al suo statuto, come del resto ci fa intendere l’autore dell’Apocalisse.
La vergogna però non è la colpa. Ci sono dei colpevoli che sono senza vergogna. Come del resto c’è chi sprofonda nella vergogna pur essendo senza macchia alcuna. La vergogna coglie infatti il soggetto e l’Altro in punti diversi rispetto a quelli della colpa.
A mio parere, a questo riguardo, è molto insegnante la tempesta che ha investito la Chiesa cattolica. In primo luogo perché la Chiesa di Roma è stata presa di mira nella sua globalità. La riprovazione ha forse colpito il colpevole, ma sicuramente anche l’innocente, colui che aveva trovato in essa quegli elementi atti a sostenerlo nella propria identificazione. E la riprovazione generalizzata tende a coniugare il comportamento anomalo con l’atteggiamento omertoso.
E qui si tocca il secondo punto : si tratta di omertà o di un silenzio che vorrebbe far riferimento, al di là degli uomini, al solo giudizio divino ? Si tratta dell’indice di un cambiamento che prende avvio con i Lumi : nessuno può esimersi del giudizio degli uomini in nome del giudizio divino. Chi ha buona memoria ricorderà che i primi passi dello Stato moderno sono correlativi con la diatriba che la Serenissima ingaggiò nel XVII secolo con Paolo V quando Venezia pretese di giudicare alcuni religiosi colpevoli di reati comuni.
Nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe allora dire. Non lo credo, quella di oggigiorno è una situazione che appare paradossale : da un lato viene accentuato il versante che il giudizio degli uomini prevale su quello divino ; dall’altro si assiste alla disgregazione della giustizia degli uomini a solo beneficio dei senza-vergogna.
In questo numero della rivista il lettore troverà, tra l’altro, un prezioso testo sulla vergogna estratto dall’ormai famoso Corso dell’ Orientation lacanienne che Jacques-Alain Miller tiene ormai da decenni al Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII. A questo testo si abbina il contributo di Eric Laurent, validi interventi di psicoanalisti del Campo freudiano, ma anche quello di un famoso avvocato di Milano, Giuliano Spazzali.
Abbiamo inoltre riportato, grazie alla gentile concessione della Casa Editrice Giulio Einaudi, la lezione XIII del Seminario Il rovescio della psicoanalisi in cui Lacan afferma che « morire di vergogna è un effetto ottenuto raramente ». E tuttavia la vergogna è « il solo segno di cui si possa assicurare la genealogia, che discenda cioè da un significante ».  Da qui possiamo dedurne che forse, al tempo d’oggi, un compito dello psicoanalista è quello di far sorgere la vergogna laddove essa è sparita : riportare i senza-vergogna a quella vergogna che marchia in modo indelebile il primo e basilare rapporto con l’Altro.

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