“Qual è la funzione dell’ego nella formazione cattolica?” Nota editoriale de La psicoanalisi, 61, 2017.

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“Un cattolico veramente formato nel cattolicesimo è inanalizzabile”. Lacan è perentorio. Quest’affermazione Lacan la fece durante la discussione che seguì la conferenza tenuta da Jacques Aubert il 9 marzo 1976. Il lettore troverà la conferenza in questo numero della rivista sotto il titolo “Su James Joyce: gallerie per un ritratto”. La conferenza e la discussione furono pubblicate su Analytica, supplemento al n. 9 di Ornicar?. Il titolo dell’intervento di Lacan è dato dalla redazione della nostra rivista ma è tratto da un interrogativo che Lacan si pone nel corso della discussione: “Qual è la funzione dell’ego nella formazione cattolica?”
Dopo aver precisato che nei testi di Joyce viene messa in atto la struttura del sintomo, contrariamente a quanto avviene nei testi di Sade dove il suo fantasma viene a fare da schermo, Jacques-Alain Miller lancia la discussione chiedendo quale sia la funzione di Stephen Dedalus nell’economia soggettiva di James Joyce.
Lacan interviene affermando che il cattolico è inanalizzabile, ma dandone anche il motivo: il vero cattolico è inanalizzabile perché è formato da un sistema che ha il suo perno in un ego che viene a raddoppiare nel soggetto l’ego comune. Questo nuovo ego, suggerisce Jacques Aubert, è fabbricato sul modello del De imitatione Christi. Diremmo piuttosto, leggendo Dedalus, che almeno per Joyce è fabbricato sulla base dei novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso. Comunque, in un cattolico già formato, la psicoanalisi scivola via come acqua fresca. Ma essendo fabbricato, questo nuovo ego è, dice Lacan, “staccabile”. Forse risiede qui la possibilità che l’analisi abbia un suo peso per l’orecchio di un cattolico. Ma perché avvenga occorre che qualcosa si evapori perché l’analisi possa incidere. Arriverà allora un Papa che se ne accorgerà, prospetta Lacan, e inviterà tutti a farsi psicoanalizzare. Si potrebbe così andare al di là di quel cattolicesimo timido in cui consiste la posizione di Freud. Freud infatti non ha fatto altro che salvare di nuovo il Padre. “Imitando Gesù Cristo. Modestamente, certo”, com’ebbe a dire Lacan nel corso del suo Seminario Ancora.
Jacques-Alain Miller, nella discussione, apporta un altro elemento chiarificatore. Joyce nel Dedalus si “costruisce” un ego. Si tratta forse di un ego che funziona come un oggetto per il nevrotico ossessivo? Miller precisa che, sebbene nel suo romanzo autobiografico si costruisca un ego, ossia un io di questo tipo, non sembra proprio che Joyce corrisponda a questa struttura.
Effettivamente nel Seminario Il sinthomo Lacan ricorda che l’ego di Joyce è un ego non comune, è di tutt’altra natura. Non solamente non è la forma dell’ego comune che corrisponde all’io come oggetto, ma non è neppure la forma dell’ego cattolico, sebbene tutto il Dedalus attesti questa formazione, da Joyce ampiamente detestata. Si tratta insomma di un ego singolare, un ego che appartiene al solo Joyce. Oserei dire che si tratta di un Un-ego, espressione del sinthomo joyciano. Freud considerava che tutto si regge sulla funzione del padre. Lacan propone che in Joyce è questo ego a farne la funzione. Si tratta di un ego che è un artificio di scrittura tramite cui viene ripristinato il nodo borromeo.
In questo numero de La Psicoanalisi, oltre al testo di Jacques-Alain Miller tratto dal suo Corso, abbiamo una serie di articoli scritti da noti studiosi, sia dal punto di vista della letteratura come dal punto di vista della psicoanalisi.
Ringraziamo Thomas Corey, artista di origini irlandesi, che ha delineato per questo numero della rivista il ritratto di James Joyce.

 

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