Sulla trasmissione della psicoanalisi

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Nota editoriale de La Psicoanalisi, 38, 2005

Meraviglioso Lacan! E sconcertante! Tre anni prima di morire, concludendo il Congresso della sua Scuola sul tema della trasmissione della psicoanalisi - Scuola che avrebbe disciolto due anni dopo - scuote l'uditorio con frasi che pesano come macigni. Ma forse l' Ecole freudienne de Paris era già entrata in letargo, forse era già morta e non lo sapeva, forse ascoltava Lacan con l'aria annoiata di chi ha fretta di finire l'ennesima replica delle liturgie congressuali e far passare le sue frasi nel dimenticatoio senza rendersi conto o senza voler rendersi conto che già solo il tema del Congresso avrebbe dovuto svegliare l'assistenza dei suoi allievi. "Dico assistenza, ma non mi assiste", dice ironico, e continua, triste: "In mezzo a tanta assistenza, io mi sento particolarmente solo". Nonostante avesse poco prima elogiato, forse irridendola un po', tutta quella folla presente al Congresso.
In pochi minuti Lacan dice all'uditorio, senza mezzi termini, la sua posizione.
L'inconscio è un'invenzione di Freud, esordisce. E continua: "L'inconscio è forse un delirio freudiano". Citando Popper, egli lascia intendere che l'inconscio sarebbe un delirio se fosse inteso come la spiegazione di tutto. L'inconscio è invece la modalità inventata da Freud per collegare la parola con il reale, quel reale che è quel godimento che attanaglia l'essere che parla e che si rivela come qualcosa che lo fa soffrire nel corpo e nel pensiero. Il reale della pulsione si dice tramite il sintomo che parla, come parla il sintomo isterico, all'insaputa della persona in cui esso abita.
Lacan passa poi a un'altra notazione, che prenderà tutto il suo peso alla fine del suo intervento: nel parlessere - lemma inventato da Lacan che deve venire al posto del termine inconscio - non c'è sesso senza soggetto. Lacan polemizza con alcune affermazioni che aveva ascoltato nel Congresso. Il parlessere è sempre implicato in modo soggettivo nel rapporto sessuale, "di cui ho detto che non c'è". Nella frase di Lacan si delinea un chiasmo: per gli esseri viventi lontani dalla parola anche se c’è sesso non c'è soggettività; quando invece gli esseri viventi sono catturati dalla parola - com'è il caso per l'essere umano - allora non c'è rapporto sessuale ma c'è soggettività. È un chiasmo che esemplifica la posizione di Lacan rispetto alla teoria freudiana: laddove Freud considera che il trauma che colpisce l'essere umano è la sessualità, Lacan considera che se c'è trauma nell'uomo è perché l'uomo parla ed è nel campo del linguaggio. A partire da qui dire che la nevrosi è una diretta conseguenza del fatto che l'uomo è un essere di linguaggio equivale a dire che la nevrosi è una diretta conseguenza del fatto che non c'è rapporto sessuale. Inesistenza che, come Lacan dice altrove, è all'origine stessa della possibilità dell'esperienza analitica. Cosa che, con Freud, si direbbe in questi termini: come mai l'isterica, che si rivela incapace di amare nella vita di tutti i giorni, è invece tanto capace di sviluppare in modo così intenso l'amore di transfert?
Andiamo ora al punto centrale dell'intervento di Lacan e che è il tema stesso del Convegno: la trasmissione della psicoanalisi. Egli si domanda: “Che cosa fa sì che dopo essere stato analizzante uno diventa psicoanalista?" Freud stesso si era posto il problema, ma in altri termini, chiedendosi quale fosse il destino di una rimozione riuscita. Non avrebbe forse dovuto essere quello dell’oblio totale del trauma e delle sue conseguenze, analisi compresa?, si domandava Freud. Perché diamine da malato del proprio inconscio, come lo è un analizzante, uno si ritrova a far da pietra d'angolo della malattia dell'inconscio altrui e si lascia prendere nella funzione di polo negativo, seppur sempre attivo, nel discorso di un altro soggetto, spesso sofferente, e comunque sempre alla ricerca della propria verità? Qual è il meccanismo per cui uno si ritrova psicoanalista dopo essere stato psicoanalizzante?
Lacan ricorda che aveva istituito la passe nella sua "Proposta del 9 ottobre 1967” (Altri scritti, Einaudi) proprio per questo motivo. Proprio perché fosse chiarita quell'oscurità che ricopre il passaggio da psicoanalizzante a psicoanalista. È da notare che il problema della trasmissione della psicoanalisi Lacan lo concepisce tra due posizioni diverse in uno stesso individuo: dalla posizione soggettiva di analizzante alla posizione oggettiva di analista. Per Lacan, come del resto per Freud e per tutta la tradizione genuinamente analitica, il problema non si pone al di fuori dell'esperienza analitica stessa. In altri termini, non si diventa psicoanalisti se non tramite la propria analisi. In poche parole, né il sapere, per quanto universitario possa essere, né un titolo, per quanto riconosciuto possa essere, né la cooptazione, per quanto desiderata dal proprio analista e dai suoi colleghi, non potranno mai trasmettere la psicoanalisi in quanto tale, né conferire a uno psicoanalista gli strumenti adeguati.
Lacan si dice deluso del fatto che nella passe il raccordo tra lo psicoanalizzante e lo psicoanalista non sia stato trovato. Precisiamo: la passe al limite può indicare il passaggio dello psicoanalizzante allo psicoanalizzato. Ma, come ha ricordato a più riprese Jacques-Alain Miller, non dice perché uno psicoanalizzato possa autorizzarsi come psicoanalista. Non dice quindi in che modo la psicoanalisi si trasmetta dalla posizione soggettiva di analizzante alla posizione di oggetto in funzione in un analista. La passe dice dunque se qualcuno è stato psicoanalizzato, ma non dice nulla della trasmissione, né se l'ex-analizzante, ormai psicoanalizzato, possa autorizzarsi secondo la logica dell'inconscio a essere psicoanalista. Né dice perché uno se ne sia autorizzato, se non eventualmente a mettere a nudo il fatto che, come accade purtroppo molto sovente, essere psicoanalista è solo il risultato di una propria posizione soggettiva sintomatica. Da analizzare, dunque. Cosa che dovrebbe rinviare il preteso analista sul lettino di analizzante. In breve, la passe non dice né il perché né il percome ci sia passaggio da psicoanalizzante a psicoanalista.
La passe è quindi muta sulla trasmissione della psicoanalisi. Ma che vuol dire trasmissione della psicoanalisi? Vuol dire poter enucleare dall'esperienza analitica un sapere che abbia un valore universale e universalizzabile, un sapere, potremmo dire, che sia il più vicino possibile al discorso scientifico. Si tratta di un sapere che è suscettibile di essere trasmesso solo e unicamente quando passa dall'uno all'altro o da una posizione soggettiva a un'altra ricorrendo a piccole lettere come fa la scienza, ovvero, per usare la terminologia di Lacan, a dei matemi. Matemi che devono essere all'altezza di esprimere la trasmissione al di là della soggettività o della singolarità di colui che trasmette. Solo un sapere universale assicura una vera e propria trasmissione. Ora un sapere universale è agli antipodi rispetto al sapere analitico. Per questo motivo Lacan arriva ad affermare che "la psicoanalisi è intrasmissibile".
Eppure qui, arrivati al capolinea, invece di dichiarare forfait, Lacan tira fuori dal cilindro la sua soluzione: visto che è intrasmissibile, la psicoanalisi deve essere ogni volta reinventata. In altri termini ogni psicoanalista, se la propria analisi non gli dà accesso a quel sapere universale che assicuri la trasmissione, si troverà costretto a reinventare "il modo in cui la psicoanalisi possa durare". Reinvenzione che non dovrà essere fatta né a caso né a capriccio, poiché per poterla reinventare, lo psicoanalista si troverà nella stessa posizione di Freud di dover render conto del suo operato rispetto alla logica dell'inconscio. Se non sarà all'altezza, la sua reinvenzione sarà solo una comica buffonata se non, a volte, una tragica canagliata.
Ora, affinché lo psicoanalista possa essere all'altezza, Lacan ricorda di aver "inventato un certo numero di scritture" che non dicono l'universale ma dicono tuttavia l'impasse stessa del funzionamento dell'Altro - che è l'Altro della parola e del linguaggio - rispetto al reale del godimento. Questa estrema posizione di Lacan è illustrata da Jacques-Alain Miller nel sesto paradigma del godimento (I paradigmi del godimento, Astrolabio), laddove non c'è più un'articolazione strutturale tra il godimento e il significante - significante che Lacan aveva indicato come ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante - poiché, nell'Altro, non si trova "nessun altro significante". Laddove Lacan aveva preconizzato un dialogo, un rapporto tra il significante e il godimento, ebbene, nulla di tutto ciò: non c'è dialogo ma "c'è solo un monologo". L'intersezione tra il significante e il godimento è marcata dal non-rapporto.
In queste condizioni, diventa problematica la cura stessa. Come avviene, si domanda Lacan, che, "grazie all'operazione del significante, c'è gente che guarisce?" E' un dato di fatto che ci sia gente che grazie all'azione della parola e del significante si trova modificata "e che guarisce dalla nevrosi e perfino dalla perversione. Ma com'è possibile?"
Qui abbiamo un'affermazione che ci lascia sconcertati ma che ci riempie anche di ammirazione per la radicale onestà intellettuale di Lacan: "malgrado tutto quello che un tempo ho detto, io non ne so niente". Un niente, diciamocelo pure, che è tuttavia ben carico di insegnamenti. E che ridurrei a questi due punti: in primo luogo, l'analista deve saper usare del registro del sembiante. È a questo livello che la passe lo aveva deluso poiché se la passe dice se un analizzante è stato analizzato non dice però la capacità dell'analizzato di saper utilizzare, correttamente e in logica rispetto all'inconscio, la dimensione del sembiante nella sua nuova posizione di analista. In altri termini, in che modo l'analista avrà accesso a quella funzione centrale e perno di una cura che Lacan chiama il desiderio dell'analista?
Certo - e passo al secondo punto - l'analista userà della parola e di tutto quel che gli metterà a disposizione il campo del linguaggio. Ma è forse sufficiente per curare il soggetto dal sintomo che lo fa soffrire? Secondo Lacan, no. Non è sufficiente. Bisogna che l'analista sappia usare della parola e del significante in modo da "levare il risultato, vale a dire quello che si chiama il sintomo". Leggiamo il termine lever, levare, come la traduzione dell'hegeliano Aufhebung, termine che Lacan riprende per indicare un'operazione che ha due versanti: da una parte quello di togliere, di annullare, nel caso specifico, il sintomo, ma contemporaneamente quello di elevarlo e di innalzarlo a un'altra dimensione. Si tratta della capacità dell'analista di far passare il sintomo, che è quel godimento dell’inconscio, del parlassere - sintomo che affligge però l’individuo che lo vive come una disfunzione - a quell'altra dimensione a cui Lacan dà l'antica grafia francese di sinthome, sinthomo, che è quel godimento che invece è ciò che funziona meglio per un essere umano. E come esempio si rivolge al suo stesso uditorio: "voi tutti, quanti voi siete, voi avete, come sinthomo, ciascuno la propria ciascuna". È quanto rimane del rapporto sessuale. Non c'è rapporto, ma al suo posto viene il sinthomo a prendervi posto e a permettere un certo collegamento del soggetto con il godimento, potremmo dire a ristabilire una nuova alleanza del soggetto con le istanze pulsionali.
E in che modo il significante opera? "Abbiamo il sospetto - ci dice Lacan - della maniera in cui possa operare: è tramite l'intermediario del sinthomo". È il sinthomo dunque l'operatore, ciò tramite cui si tengono insieme in un soggetto più aspetti, aspetti che Lacan dirà altrove che sono l'immaginario, il simbolico e il reale. Ora, sta all'analista saper comunicare all'analizzante "il virus di questo sinthomo sotto forma di significante". Ecco a che cosa serve la propria analisi a qualcuno quando questi funziona e opera come analista: non già a trasformare la propria esperienza, che è un'esperienza di parola ovvero di significante, in un sapere universalizzabile, ma a usare nella cura il significante come ciò che collega al meglio l'immaginario, il simbolico e il reale dell'analizzante. Non si tratta quindi, nella cura, di trasmettere un sapere, ma di trasmettere all'analizzante un uso, un utilizzo nuovo e inedito del significante, tramite cui egli riuscirà a saperci fare meglio con le istanze pulsionali.
Tuttavia nulla esimerà lo psicoanalista di doversi sottoporre alla prova del suo operato a partire dagli effetti: è un lavoro di valutazione che non potrà essere consono se non alla logica del funzionamento inconscio e di cui l'insieme degli analisti deve saper portarsi garante.
Una breve nota personale. Ero presente al Congresso. E anche a me le frasi di Lacan mi erano scivolate come scivola l'acqua sulle penne di un'anatra, per utilizzare una metafora cara ai Francesi. E così l'anatra zoppa che ero, anni dopo, rileggendo il breve intervento di Lacan, ne scoprì con meraviglia un discorso che metteva in questione dei punti che si considerano acquisiti, sempre com'egli era alla ricerca di una risposta al quesito di fondo della psicoanalisi: che cosa fa sì che in analisi la parola incida sul reale del sintomo, ossia sul godimento?
Oltre al testo di Lacan, dal titolo “Sulla trasmissione della psicoanalisi”, questo numero de La Psicoanalisi riprende l'insieme degli interventi tenuti in seduta plenaria durante l'ultimo Congresso dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi, che si è svolto nel 2004 sull'isola di Comandatuba nello stato brasiliano di Bahia. È in omaggio a tale evento e ai nostri Colleghi di America latina che nella copertina abbiamo riprodotto un quadro dell'artista brasiliano Gilvan Lima che rappresenta la piazza del Pelourinho, centro e cuore di Salvador de Bahia.

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