Nota italiana di Lacan del 1973

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Nota editoriale de La Psicoanalisi, 29, 2001

    Jacques Lacan inviò nel 1973 una missiva a tre personaggi residenti in Italia con l’intento di dare inizio a una Scuola italiana di psicoanalisi che avrebbe dovuto prendere forma nel 1974. Come spesso capita nel campo psicoanalitico, la missiva fu ricevuta ma non arrivò a destinazione. Lacan stesso lo segnala: “Le persone in questione non daranno seguito alle suggestioni qui proposte”, scrisse di suo pugno sui fogli, ancora inediti, di questo testo che sarà pubblicato, con questo appunto, nel 1982 sulla rivista Ornicar?, n. 25.
Forse i tre personaggi presero la nota inviata loro come testimonianza della loro posizione, come prova della loro prestanza, forse la presero invece sotto gamba, mettendola tra le altre carte, forse la presero addirittura come un’ennesima trovata del Maitre. Non lo sappiamo.
Di tutta questa faccenda sappiamo però due cose: la prima è che della Scuola italiana che avrebbe dovuto nascere dalla missiva non se ne fece nulla, nonostante carte firmate, protocolli vidimati, nonostante Lacan, con aria stanca, chiedesse al cameriere dell’Albergo milanese dove alloggiava di servire Champagne, s’il vous plait a tutti i presenti, tra cui mi trovavo anch’io, giovane trentenne.
La seconda cosa che sappiamo di certo è che i tre personaggi, se hanno letto il testo della missiva, di certo non l’hanno capito. Cosa del resto assai comprensibile: senza dubbio Lacan non scriveva le sue lettere per coloro che le avrebbero ricevute, ma per coloro che le avrebbero lette, rilette e studiate.
Finalmente la missiva è arrivata a destinazione: conosciuta ora come Nota italiana e ripubblicata in francese nel recente volume di Lacan Autres écrits (Seuil, Paris, 2001) edito da Jacques-Alain Miller, essa è forse il testo più lavorato, più studiato, più soppesato di tutti i testi lacaniani che riguardano la formazione dello psicoanalista. A mio parere è il più toccante, il più incisivo, il più intimo, anche se è il più difficile e impervio.
Lo pubblichiamo in italiano senza commentarlo, perché tutto il contenuto di questo numero - ma anche di altri numeri - è già un tentativo di commento: tramite un discorso che dica qualcosa della pratica clinica, che dica qualcosa del modo in cui la pratica di analizzanti trasforma un soggetto e che dica qualcosa del modo in cui bisogna riuscire a reinventare la psicoanalisi, pur rimanendo, come insegnava Lacan, rigorosamente freudiani.
Farò solo una sottolineatura: colui che si autorizza a occupare - non di fatto, ma di diritto (diritto non elargito dalla legge ma conforme alla struttura dell’inconscio) - la funzione di analista per un altro soggetto, deve saper arrivare non solo a diventare l’elisir dello scarto, la quintessenza del rifiuto, a essere insomma al punto del sicut palea di cui parla Lacan nella sua Nota italiana, ma deve riuscire a produrne un sapere, farne insomma un sapere da trasmettere a una Scuola psicoanalitica degna di questo nome, all’altezza cioè di garantire che l’autorizzazione che l’analizzante si dà metamorfosizzandosi in analista sia conforme alla struttura dell’inconscio.
Oltre al testo di Jacques-Alain Miller che indica gli orizzonti della seduta analitica, questo numero riporta, nelle sezioni La seduta analitica, Sulla passe, Quattro casi e Politica del Campo freudiano, gli interventi in seduta plenaria dell’undicesimo Incontro internazionale del Campo freudiano che si è svolto dal 13 al 17 luglio 2000 a Buenos-Aires.

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