Cercare un luogo che c’è (Les Femmes du 6ème ètage), Francia, 2011, di Philippe Le Guay

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6 febbraio, 2013 - 11:17

"è necessario un certo spazio potenziale per collocare il gioco e l’esperienza culturale in genere" 
(
Winnicott. 223)

la storia

Anni ’60; Jean-Louis Jobert, consulente finanziario, abita con la moglie Suzanne un vecchio palazzo borghese dove conduce una vita, dalle abitudini piatte e ripetitive. Riceve ogni tanto la visita dei due figli mandati a studiare in collegio. Nella soffitta al sesto piano del palazzo, vive un gruppo di donne spagnole, domestiche, viste con sospetto e distanza dalla portinaia. Jean-Louis non si cura di loro fino a quando la vecchia governante Germaine, dopo 20 anni, si licenzia per divergenze con Suzanne. Viene assunta Maria, nipote di una delle donne spagnole, appena arrivata da Burgos. Jean-Louis comincia ad interessarsi a lei e, attraverso lei, a ciò che accade nella soffitta del sesto piano fino a trasferirsi egli stesso in una piccola stanza del sesto piano..

 

un possibile film

locandina film

Paola convive da circa 20 anni con il suo compagno e non vuole sposarsi. Raffaella e le amiche insistono, finché Paola cede e decide di sposarsi fra 10 giorni! Fa un gran caldo ad agosto e il gruppo di amiche girano per negozi. Paola prova i vestiti da sposa e si emoziona molto. Anche la signora del negozio partecipa e commenta che non ha mai visto una persona così emozionata! Alla fine sceglierà il primo vestito che aveva provato. In quello stesso negozio c’era già stata una delle amiche, Giovanna, ora Paola. Le amiche dicono alla signora che la prossima sarà Raffaella! Raffaella, in seduta commenta che, a differenza di altre volte in cui sentiva queste allusioni come aggressive ed ironiche, questa volta ha sentito che era possibile. Io penso fra me che la scorsa seduta ho sottolineato come lei, attraverso alcuni sogni, portasse temi di una particolare e nuova intimità in cui proponeva tra me e lei una delicata sensualità: in un sogno io l’abbracciavo da dietro e lei sentiva il mio corpo; in un sogno ancora precedente tirava fuori dalla sua borsetta tante cianfrusaglie e le metteva sul lettino con la sensazione di portare confusione e sporcare il lettino che è sempre molto pulito. Mentre seguo il discorso di Raffaella che vedo girare con le amiche per negozi in un caldo pomeriggio di agosto mentre sorridono e provano abiti da sposa, sto per commentarle: "sembra un film!" Poi, rifletto e mi rendo conto che il racconto di Raffaella ha toccato emozioni che da ieri porto con me dopo aver visto "Le donne del sesto piano". Forse il gruppo di donne che si muovono sensualmente sulla scena; forse la sensualità che io devo riconoscere finalmente nel mio contatto con la paziente. Penso che l’intersezione del racconto della paziente con la mia emozione del film renda chiaro un processo che da tempo Raffaella faticosamente sostiene, e che riguarda la possibilità di prendere contatto con elementi fisici e femminili di sé che, sente, devono passare attraverso il mio interesse e il mio contatto. Forse è un suggerimento perché, mi rendo conto, la sensualità e la sessualità sono sempre state tenute fuori dai suoi racconti in analisi e io e lei per tanto tempo non ci siamo mai interessati a cosa accadesse al sesto piano e, ora, io sono Jean-Louis che le dice: "per tanto tempo le abbiamo avute sulla nostra testa e non ce ne siamo neanche accorti!". Per ora evito di intervenire, ma gli psicoanalisti sanno - e il film conferma -, che "il sesto piano" contamina comunque (è l’altra versione dell’effettività di Bion) il campo e gli altri lo sentono anche se non ne parli. Per questo Suzanne commenta: "di solito non ti interessi mai di nessuno e di colpo ti interessi di un gruppo di serve spagnole!". Infatti, Raffaella la seduta successiva porta un altro sogno: "ero in analisi; mi alzavo dal lettino ed aprivo la porta per far entrare alcune persone perché osservassero quello che succedeva". Commenta che il sogno la fa sentire bene anche perché, nel sogno, può mostrare cosa succede qui in seduta, mentre di solito si tratta di qualcosa che gli altri vogliono sapere e lei non sa spiegare. Poi mi parla di una scena di alcuni giorni fa: parlava con un amico di psicoanalisi, mentre era sulla spiaggia e si è sentita in imbarazzo considerando che parlava di quei temi mentre entrambi erano in costume… sensazione di sentirsi esposta ed osservata fisicamente come quando da adolescente in piscina uno zio commentò: "ti sta bene questo costume!".

Jean-Louis finalmente scopre il sesto piano e lo spazio che può abitare è molto più ampio di quello abitato fin’ora: "lavorano dalle 6 di mattina e tornano a casa dopo le 11 di sera; vivono in una stanza stretta, senza bagno e senza acqua calda… Sono sopra la nostra testa e noi non ne sappiamo nulla!". Suzanne è sorpresa da questo interesse del marito e la sorpresa, subito si declina in sospetto e paura: "strano che ti interessi tanto di quelle spagnole e non ti interessi affatto di quello che ho fatto oggi io!". Il suggerimento nuovo e creativo, e l’emozione di Jean-Louis non possono essere colte dal campo gravemente organizzato in modo conformistico (tutto al primo piano, dalle camicette di Suzanne, ai due antipatici figli, fino alla ritualità dell’uovo alla Koch, parla di conformismo…). Jean-Louis descrive il cambiamento in atto, restituendo a Suzanne il quadro esatto della loro vita in cui è persa ogni capacità di sorprendersi e dove tutto accade già prima. Il tono del paradosso crea la frazione: "ebbene: alle 8 sei andata in ufficio; alle 9,45 sei andata al parrucchiere e alle 12 ti sei vista con le tue amiche Nicole de Grandcourt Colette de Bergeret per il Bridge, alle 16 sei andata dalla sarta e poi sei tornata a casa: ho sbagliato qualcosa?"

Il sesto piano è il momento in cui possiamo vedere qualcosa che fino a quel momento sentivamo potenziale. Quando scopriamo il sesto piano, il campo (che sul piano intrapsichico tende a rappresentare il Sé) puntualmente si dissocia: da una parte l’eccitamento per qualcosa che finalmente si realizza, dall’altro la paura e l’ostilità. Il film dice che non scopriamo il sesto piano per semplice casualità o fortuna, ma è un processo che parte dalla perdita di certezze che non sono più funzionali alla nuova organizzazione: Germaine, la vecchia domestica, che dopo vent’anni va via perché deve accettare che la madre di Jean-Louis è morta; Suzanne vuole trasferire lo studio a casa "perché è sempre stanca" e, finalmente, Jean-Louis non può più tollerare che il suo uovo alla Koch sia puntualmente un uovo sodo. A Maria, la nuova domestica che irrompe con tutta la sua bellezza e subito la sensualità è nell’aria, verrà chiesto di sostenere alcuni elementi che non destabilizzino troppo il nuovo assetto: "sa fare l’uovo alla Koch?... se c’è una cosa su cui non transigo è l’uovo alla Koch!" Ma il prezzo del cambiamento sarà notevole e non negoziabile perché ne hai assolutamente bisogno e non puoi più permetterti di rinviare: "le darò cento franchi, come per Germaine!"; "No, risponde Maria, trecento franchi!". Anche la risposta di Jean-Louis suggerisce che puntualmente ogni processo evolutivo si declina attraverso due forme di dissociazione: una creativa (Bromberg, 2006; Riefolo, 2011): "va bene sia per trecento!"; l’altra difensiva: "ma sia un segreto fra me e lei: la signora non deve sapere!".

La dissociazione creativa è ciò che è potenziale non appena si affaccia alla possibilità di essere conosciuto: il sesto piano, dove i padroni non vanno, lo scopri (se una nuova funzione apre la strada) quando eventi della vita ti ci portano senza che l’abbia chiesto: "posso stare qui con voi?" ; "ma questa e casa sua! è lei il padrone!"; "Ah… sì è vero, sono io il padrone!". Anzi: avresti sempre evitato di andarci, e infatti, la meraviglia dei tuoi figli e delle amiche di tua moglie sottolineano quella necessità che viene da un grave transito nella sofferenza, ma la vecchia cameriera ti lascia perché non vuole che si riattivi la stanza dove è morta tua madre da 6 mesi e tu devi necessariamente mantenere la cura di te: "scusa Suzanne, non ho più camice! Come vado in ufficio?"; "Metti un maglione!". Tutti ti suggeriscono di non cambiare nulla, di risolvere la sofferenza semplicemente sospendendo quella dolorosa pulsione al cambiamento. La sequenza del film è precisa: Jean-Louis pone una istanza di cambiamento; le risposte necessarie sono due, da un lato una soluzione difensiva ("metti un maglione") che tenta di anestetizzare la sofferenza attraverso la coazione a ripetere, dall’altro la soluzione creativa della scoperta del sesto piano. Si tratta di uno spazio potenziale (Winnicott) a cui ora abbiamo accesso. Infatti le creazioni dei processi analitici non sono mai esattamente "magiche", ma, quando va bene, riguardano sempre un allargamento dello spazio che possiamo abitare. Quella che chiamiamo dissociazione creativa ha bisogno dello spazio potenziale aperto dalla presenza dell’altro: la dissociazione creativa è lo stato di scissione che viene a saturarsi attraverso la presenza originale dell’altro.

Al sesto piano ti introduce Maria. A questo punto il film parla un linguaggio ambiguo: si potrebbe pensare che Maria sia la sensualità vitale che mancava nella opaca vita dei piani residenziali, ma a me piace pensare che Maria sia una funzione che ti conduce lì in quella situazione di vita e di sensualità che fa girare un gruppo di amiche per negozi di abiti da sposa in un caldo pomeriggio di agosto (ma ad agosto — come per l’analisi - non sono chiusi i negozi? Evidentemente negli scenari psicologici i negozi sono sempre aperti se ne hai bisogno…). Maria non è l’amore, ma, il tramite che permette di entrare al 6 piano che è li da sempre, potenziale, e ci puoi arrivare solo se qualcuno te lo permette. Per questo non mi ha fatto piacere trovare Jean-Louis e Maria nel letto: quello è il film che vuole la gente e il regista se lo concede, ma, nel mio film non saprei collocarlo: è la paura di Raffaella che teme di sporcare il lettino dell’analisi portando la sensualità che ha sempre evitato tenendo sempre pulita e piatta la sua vita Ma io so che c’è l’altro sogno in cui presenta agli altri i suoi incontri con me in cui non c’è più la violenza sottile di uno zio, ma gli sguardi e le sensazioni che scambi mentre parli di psicoanalisi. Maria è il dispositivo vivo dell’amore che ti fa crescere: quando ci vai a letto non è più un dispositivo, ma un fine finalmente raggiunto. Per fortuna, anche nel film è solo una breve sosta perché subito Maria riparte e Jean-Louis deve rimettersi alla ricerca: "perché prendendo conoscenza si toglie qualcosa all’oggetto…Perciò non esiste neppure la verità per gli amanti; sarebbe un vicolo cieco, una fine, la morte del pensiero…" (Musil, 543). Ho pensato che Maria non è l’amore che ciascuno vuole trovare nei film e nelle storie, ma è l’amore di cui parlano gli psicoanalisti che deve descrivere non un oggetto concreto, ma una tensione che ti spinge a cercare uno "spazio potenziale" che non è mai esistito prima e che puoi abitare: quello spazio è necessario non perché devi essere più comodo, ma perché devi sopravvivere e quello spazio ha bisogno della presenza di un altro perché ha una dimensione precisa estendendosi "fra il bambino che gioca da solo e la ‘madre’ la cui presenza è necessaria" (Winnicott, 1967, 604).

Dopo tre anni Jean-Louis va a cercare ed incontra Maria, che intanto ha avuto la sua vita ed un’altra figlia. Per fortuna il film si sospende nell’incontro degli sguardi dei due. A me piace immaginare che Maria continui ad avere la propria vita e Jean-Louis possa andar via, perché ora conosce dov’è Maria e la propria vita potrà organizzarsi e continuare sapendo che lei c’è e che non deve vivere come se lei non esistesse: "Sign. Jean-Louis, io so dov’è Maria… è ad un paesino a 20 Km!… è che mia moglie non capisce l’amore!…". (*)

"Chi ama non conosce nulla della creatura amata, 
se non che essa in maniera non descrivibile 
lo mette in attività interiore" (Musil, 542).

(*) pubblicato anche su www.istitutoricci.it

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