Colui che si nasconde

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15 aprile, 2022 - 05:48
Nei tempi antichi nascevano in ogni generazione alcuni uomini che io, il Maligno, non riuscivo a corrompere nel solito modo. Non potevo indurli a macchiarsi di omicidi, atti di lussuria o furti, e neppure distoglierli dallo studio della Legge. Per giungere alle più riposte passioni di quei giusti c’era un’unica via: quella della vanità.” (Isaac B. Singer - Racconti, I Meridiani, 1998) 

 

La vita psichica, in cui, come sostenuto da Jaspers, “tutto è in relazione con tutto”, non è solo caratterizzata dalla “reale interiorità dell’esperienza” e dalla “lucidità”, ma pure da “ciò che non è giunto alla conoscenza di stessi” (1). 

In quell’area del “non giunto”, inconsapevole e talora cieca, si annidano demoni, forze invisibili che alimentano sentimenti, fantasie, desideri e aspirazioni, che dirigono e comandano sulla nostra mente, talora con freddezza e capacità di calcolo, altre volte con istinti o emozioni incontrollabili che coinvolgono aree del corpo e spingono ad azioni impulsive e distruttive. 

Demoni che si intromettono nei nostri pensieri e scelte e inducono non esclusivamente desideri appetitivi e soddisfazioni materiali, ma anche delusioni amorose irrimediabili e conseguenti angosce e solitudine, o ancora, spinte  all’autoaffermazione e “vanità”, demoni che si rendono capaci di ogni scambio di favori, di ricchezze incalcolabili, di dominio delle menti, di mormorii continui per nuocere il prossimo, di soddisfazione  e crudeltà per le sofferenze e afflizioni cagionate ad altri: “l’ho eliminato, l’ho asfaltato, li ho uccisi...così ricorderanno chi è il più forte, intelligente, astuto, capace di visione di gioco”. 

Narratori, storici, pensatori di tutti i tempi si sono rifatti alle forze oscure e distruttive della psiche per comprendere i pericoli incombenti sul mondo. 

Tra gli autori più interessanti e meno noti, dediti all’individuazione e catalogazione degli spiriti maligni e  dunque raccontare i tratti personologici più bui di sudditi e governanti, gerarchi e censori,   manipolatori bisognosi di seguito popolare e prepotenti  altezzosi, vi è l'inglese Francis Barrett che, nel 1801, nel libro The Magus (Il mago) (2) propose la seguente classificazione in nove gradi: 

-finti dei, demoni che vogliono essere adorati; 

-spiriti mendaci che ingannano gli uomini con divinazioni e predizioni; 

-gli scellerati e i collerici, inventori di cose malvagie; 

-vendicatori del male; 

-ingannatori; 

-potenti dell'aria; 

-furie; 

-accusatori o inquisitori; 

-templari seduttori. 

Grazie a simili criteri, degni di un buon manuale diagnostico, non è impossibile riconoscere sia i propri (pochi) demonietti che quei diavoletti (abbondantissimi) che coabitano nell’animo di conoscenti e amici più stretti, o albergano tra politici esibizionisti, divi del web e saltimbanchi.   

 

Ma dove si nasconde in noi il male che sta nascosto? In quali aree del sistema nervoso? 

 

Ovviamente impossibile dirlo, sebbene, con una forzatura per cui si chiede venia e assoluzione,  ci appaia qui consono il linguaggio mitologico utilizzato da Paul MacLean nel definire “trino” il cervello umano e “rettiliane” ed evocanti il serpente biblico, le aree della paleocorteccia che presiedono a funzioni istintive, appunto rettili, e ad emozioni di base correlate ai piaceri carnali, al possesso, al corteggiamento e al comportamento sessuale, al carattere affettivo e umorale ed  quindi all’aggressività, alla fuga-nascondiglio (3). 

Concetti che, pur utilizzando ben altri, ma non meno sapienti, metodi di ragionamento, non sembrano così distanti da quanto affermato nella Genesi biblica: “l'istinto del cuore umano è incline al male fin dalla adolescenza” (4). 

Ma con quale critica e quale giudizio e quale libertà e pianificazione logica e linguaggio sofisticato si sceglie il male? 

Secondo la Jewish Encyclopedia “l’uomo è responsabile del peccato (smarrimento) perché è dotato di libero arbitrio; egli è per sua natura fragile” (5). 

Nelle leggi religiose il libero arbitrio sta nell’osservare e compiere i passi, definiti precetti, ossia comandamenti, comportamenti morali e regole di vita, affinché la "buona inclinazione" umana, la tendenza verso la bontà, una vita produttiva e a preoccuparsi del prossimo, contrasti la “tendenza verso il male”, verso il comportamento cattivo ed egoista. 

Ma esistono esperienze di vita che conducono quella “tendenza” ad esprimersi in tutta la sua virulenza e distruttività? 

Un esempio è il male vissuto durante l’infanzia, le ingiustizie, le umiliazioni, ma anche le prepotenze persecutorie subìte dagli adulti o i grandi dispiaceri, che causano ferite capaci, se non rielaborate e rese possibili da superare, di trasformarsi in trappole complesse e disadattamento, conducendo a solitudine profonda, a ferire noi stessi e gli altri, a renderci  prigionieri di un inconscio malevolo che trascina con se ogni cosa oscura e repressa e travolge  o fa sabotaggio della propria vita e si proietta distruttivamente sul mondo circostante.  

Ma quale scelta strategica attuare contro il vortice del male che trascina con se ogni cosa? 

Come impedire che diventi uno sfogo d’odio che rende ciechi? 

Come trasformare il male in modo che non possa più nuocere? 

Appare utile a tal proposito la lettura di “Per vincere il male” di Anselm Grun, che, rifacendosi alla tradizione Freudiana e Junghiana, ribadisce la necessità di una analisi che eviti di combattere il male prendendolo di petto, nel qual caso  “ci annientiamo da soli”; ma che dia la possibilità d’esprimere il proprio malessere, come si è venuto a strutturare e come si presenta, con quale demone si presenta, con quali pensieri e immagini collegate, ad esempio quali tristezza o ira, o bisogno sistematico di smontare tutto. Non scontrarsi, ma concentrarsi sui modi di agire, per poterlo affrontare nell’attimo presente (6). 

 

Al contrario, nella mente in cui “tutto è in relazione con tutto”, quel male interno misconosciuto e nascosto, quell’infanzia, quell’umiliazione, quella natura, quella vanità e violenza e capacità accusatoria, quel demone che desidera essere adorato, diverrebbe un’arma potente di distruzione propria e altrui. 

 

D’altra parte, così come il male nascosto, anche l’inganno che nasce dall’illusione del bene, dal bisogno di amore, di pace e redenzione, può esser foriero di delusione, rabbia, frustrazione e vergogna. Appare istruttivo e allegorico in tal senso, il racconto di un evento accaduto ad Isaac Singer, riguardante il capodanno ebraico del 5666 (nostro 1906); ambientato in Polonia nel villaggio di Leoncin, cui rabbino era padre dello scrittore, in un periodo contrassegnato da pogrom, repressioni sanguinose contro gli Ebrei, si attendeva con fiducia l’imminente arrivo del Messia liberatore (7). 

 

Venne l’ultimo mese dell’anno 5666.  

Lo shofar (il corno d’ariete, il cui suono annuncia il capodanno) si fece sentire, ma non quello del Messia, bensì quello della sinagoga, che Reb Barukh Volf si esercitava a suonare.  

Ogni giorno la tensione cresceva. L’anno si avvicinava sempre più alla fine, ma del Messia non c’era traccia. Mio padre non aveva perso la speranza. In fondo c’era ancora tempo, il Messia poteva rivelarsi in qualunque momento. Le giornate sembravano non finire mai. Per tutta la vigilia di Rosh hashanah (il capodanno religioso ebraico) l’intero paese non smise di fissare il cielo, di tendere le orecchie a ogni minimo rumore. Tutti erano convinti che, come accade con gli ospiti di riguardo, anche il Messia sarebbe arrivato all’ultimo minuto. Perfino quando fu ora di andare in sinagoga per la preghiera pomeridiana, la gente si diceva che non erano ancora spuntate in cielo le prime tre stelle, e quindi l’anno non era ancora finito, la redenzione poteva arrivare. Ma poi le stelle apparvero, e il cielo non era diverso da quello delle altre notti. Attraverso il campo adiacente alla sinagoga il porcaio stava riportando a casa i suoi animali impuri. Ogni cosa era usuale e grigia come in qualunque sera dell’esilio. Mio padre lanciò un ultimo sguardo al cielo e con voce spezzata diede inizio alla preghiera. Il cantore la intonò con voce vibrante, come si usa a Rosh hashanah, e i ragazzini del coro lo sostennero con passione, ma il canto non aveva alcun gusto, e nemmeno gli auguri di buon anno che la gente si scambiò alla fine. Perfino il tradizionale pane intinto nel miele era meno dolce del solito. Gli ebrei erano delusi, turbati, e mio padre più di tutti gli altri. Si vergognava.  

Si vergognava davanti ai notabili del paese, davanti a me, davanti alla mamma, davanti a stesso. Io ero rabbioso, colmo di amarezza. Niente Terra d’Israele, niente Leviatano, niente schiavi e serve”. 

 

Bibliografia 

  1. Karl Jaspers, Psicopatologia Generale, pag. 148-149, Il pensiero scientifico ed., ristampa 1982 

  1. Francis Barret, The magus - https://it.wikipedia.org/wiki/Gerarchia_dei_demoni 

  1. Paul Mac Lean, https://it.wikipedia.org/wiki/Triune_Brain 

  1. La Bibbia, Genesi, 8-21 

  1. Jewish Encyclopedia - https://ebreieisraele.forumfree.it/?t=75914494 

  1. Auslen Grun, Per vincere il male, pag. 7-13, Biblioteca Universale Cristiana ed. 2003 

  1. Jsaac B.Singer, La Pecora Nera, pag. 213-220, Adelphi ed. 2015 

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