NUOVI PARADIGMI PER LA SALUTE MENTALE

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6 febbraio, 2013 - 13:04

di Benedetto Saraceno

Mental Health Department, Organizzazione Mondiale della Sanità, Ginevra

 

Un bilancio delle attività svolte dalla Organizzazione Mondiale della Sanità negli ultimi anni permette di fornire alcuni importanti spunti di riflessione.

1. Da un lato, le evidenze dimostrano un costante aumento della incidenza dei disturbi mentali nel mondo che colpiscono almeno 450 milioni di persone. Questo aumento è relativamente più alto nei Paesi in via di sviluppo, i quali hanno una minore disponibilità di risorse per affrontare il problema. Nessun gruppo sociale è immune dal rischio di contrarre disturbi mentali, tuttavia è noto che questo rischio è più alto fra i poveri, i bambini e gli adolescenti, le donne che hanno subìto abusi, i disoccupati, le persone con bassa educazione, gli anziani soli, le vittime di violenza, gli emigranti ed i rifugiati. Esistono interventi efficaci per la maggior parte dei disturbi mentali: spesso questi interventi, seppure non in grado di curare e guarire pienamente, sono tuttavia in grado di migliorare in modo sostanziale i sintomi, di diminuire le ricadute, di permettere il recupero sociale, di migliorare la qualità della vita dei pazienti.

2. Dall’altro lato, si assiste ad una scarsa diffusione e a un mancato incremento degli interventi efficaci ( e cost-effective) così che il gap fra persone che ricevono trattamenti e coloro che non li ricevono pur avendono bisogno, risulta enorme. Esistono ostacoli, di natura molto diversa, che impediscono che le persone con disturbi mentali ricevano i trattamenti appropriati:

  • lo stigma di cui sono vittime in tutto il mondo le persone che soffrono di disturbi mentali ed i loro familiari;
  • le discriminazioni e le disuguaglianze esistenti nel fornire assistenza ai pazienti con disturbi mentali: 1/3 della polazione mondiale (2 miliardi di persone) vivono in Paesi che spendono meno dell’1% dei loro budgets sanitari per la salute mentale);
  • la scarsa disponibilità di farmaci: sebbene l’85% dei Paesi si sia dotato di una lista essenziale di medicamenti, almeno il 20% di questi non ha incluso almeno un antidepressivo, un antipsicotico e un antiepilettico;
  • priorità errate: troppi Paesi, in particolare fra quelli sviluppati, spendono ancora la maggior parte delle risorse destinate alla salute mentale in grandi istituzioni asilari le quali non solo si occupano di una frazione molto ridotta della popolazione che necessita di trattamenti, ma offrono anche una assistenza di scarsissima qualità e spesso del tutto inumana;
  • mancanza di strategie adeguate e di addestramento sufficiente a livello di assistenza primaria: troppo pochi medici e infermieri sanno riconoscere e trattare adeguatamente i disturbi mentali. Il 41% dei Paesi non si è dotato di alcun programma per i professionisti delle cure primarie;
  • la scarsa diffusione di politiche razionali e di legislazioni efficaci: il 40% dei Paesi non è dotato di policy rivolte alla salute mentale; il 25% dei Paesi non possiede una legislazione per la salute mentale; il 30% non ha un programma nazionale di salute mentale.

Ridurre questo gap è un obbligo e non è credibile che ciò possa avvenire attraverso lo sviluppo di nuove classificazioni nosografiche e con il miglioramento dei procedimenti diagnostici oppure attraverso ricerche innovative nel campo della psicofarmacologia.

LE LEZIONI APPRESE

Se lo scenario non fosse in realtà più complesso, si potrebbe concludere che gli obiettivi prioritari nel campo della salute mentale sono costituiti dalla necessità di investire più risorse, di possedere migliori tecnologie e di avere maggiori conoscenze. La Organizzazione Mondiale della Sanità ha avuto modo di apprendere interessanti insegnamenti nel corso di iniziative di sostegno di alcuni Paesi, quali Brasile, Russia, Messico, Mozambico, Israele, Fiji, Mongolia Sri Lanka ed altri.

Lezione 1. La quantità di risorse disponibili per il finanziamento dei servizi psichiatrici non è proporzionale alla qualità del sistema (esiste, ovviamente, una massa critica di risorse minime al di sotto della quale è semplicemente impossibile garantire la qualità. Ma, al di sopra di della quantità minima necessaria, la qualità non è garantita dalla quantità).

Lezione 2. La tecnologia disponibile al sistema dei servizi (capacità diagnostiche e terapeutiche, livello di specializzazione dei servizi, diversificazione delle professionalità) non è proporzionale alla qualità del sistema (tuttavia, anche a questo proposito, esiste ovviamente una massa critica minima di risorse al di sotto della quale la qualità è semplicemente impossibile ma, al di sopra della quale, la qualità non è garantita dalla quantità). In altri termini, la equazione R (risorse) più T (tecnologia), per essere uguale a Q (qualità) richiede una o più variabili sconosciute.

In Patagonia, nella provincia di Rio Negro, l’Ospedale psichiatrico è stato sostituito da visite domiciliari, riabilitazione, interventi nell’Ospedale generale, assistenza nella comunità strutturata attraverso una rete di efficaci agenti informali: la comunità è utilizzata come una risorsa. Nella città di Santos in Brasile, l’ospedale psichiatrico consiste di una rete ricca e articolata di professionisti che gode di grande popolarità fra la popolazione. I pazienti stessi vengono utilizzati come risorsa aggiuntiva. In questo caso, il "costo" viene trasformato in risorsa. In Tamil Nadu, nella India meridionale, la mancanza di un solido sistema di servizi pubblici è rimpiazzata da una forte rete di professionisti appartenenti ad organizzazioni non governative che operano in stretto contatto con associazioni di famigliari. In questo caso, un providerinformale diventa un partner formale.

Questi esempi mostrano che risorse informali e tecnologie informali svolgono il ruolo di variabili sconosciute che producono qualità.

Lezione 3. Le differenze fra i vari sistemi sono molto inferiori di quanto ci si potrebbe aspettare. Malgrado le ovvie ed enormi differenze esistenti nella dotazione di tecnologie e risorse fra i vari Paesi, i problemi e le soluzioni (incluse le cattive soluzioni) sono piuttosto simili, nonostante le differenze culturali ed economiche esistenti fra i Paesi.

Si può sostenere che le variabili sconosciute, del tutto simili in tutto il mondo, possono avere un ruolo forte nel determinare l’aumento o la diminuzione della qualità dei servizi malgrado le differenze di risorse e tecnologie. Queste variabili sconosciute, spesso sono determinate dalla adozione di paradigmi che sono relativamente indipendenti da risorse e tecnologie. Questi paradigmi rappresentano assunti che impediscono la implementazione di interventi cost-effective a favore dei disturbi mentali, provocando una utilizzazione inefficace delle risorse. Tali assunti riflettono essenzialmente dei "valori". Abbiamo identificato 4 paradigmi come possibili fattori in grado di ridurre o di aumentare la qualità.

PARADIGMI

Esclusione versus inclusione

L’approccio basato sull’esclusione non è centrato sull’esperienza ed i bisogni del paziente, ma piuttosto sulle percezioni e sui bisogni dell’ambiente. Questo approccio porta a un eccessiva enfatizzazione degli aspetti riguardanti la sicurezza, inclusa una sopravvalutazione della pericolosità del paziente. Abbiamo notato che i sistemi dove prevale la preoccupazione per la sicurezza, sono generalmente di peggior qualità di quelli in cui prevale la comprensione del paziente. Quando le organizzazioni sociali sono fortemente verticali (lo Stato prevale attraverso un sistema chiuso di valori), esse tendono ad investire sul controllo piuttosto che in direzione dell’inclusione. Di solito queste organizzazioni sociali realizzano l’esclusione in grandi istituzioni. Viceversa, quando le organizazioni sociali sono orizzontali e lo Stato è quasi assente, esse tendono ad organizzare l’esclusione dentro "istituzioni diffuse" nelle quali permangono la logica e le regole asilari, nonostante la assenza di pareti visibili (ad esempio, attraverso la mancanza di casa o l’abbandono del paziente ad un sistema assistenziale selvaggio, senza alcun controllo di qualità).

Al contrario, quando l’organizzazione sociale pone attenzione ai bisogni del paziente e guarda alla sua patologia senza negare il diritto alla piena cittadinanza, la necessità di esclusione cala. Spostare il paradigma dalla esclusione verso l’inclusione ha ovviamente enormi conseguenze rispetto all’investimento in ospedali e letti.

La deistituzionalizzazione è perciò molto più che una semplice deospedalizzazione: ha a che fare con una radicale assunzione della comprensione della esperienza del paziente. La nozione di posto letto è ancora prevalente nella pianificazione dei servizi di salute mentale. E’ interessante notare che, da un lato, nel mondo ci sono troppi letti; quando ce ne sono troppo pochi, la sola idea innovativa che emerge è quella di creare nuovi letti. I posti letto non sono la soluzione ma piuttosto rappresentano la illusione di rispondere in modo semplice (semplicistico) ad una domanda complessa: vale a dire, cure migliori, riabilitazione efficace, più diritti ad una piena cittadinanza.

Assistenza a breve termine versus assistenza a lungo termine

E’ indispensabile un radicale cambiamento dei paradigmi assistenziali. I sistemi sanitari sono concepiti per rispondere ai casi acuti e sono organizzati sul modello ospedaliero. Quando la fase acuta è risolta, il paziente entra in un limbo di infrastrutture, di risorse umane, di abilità, di responsabilità. A questo punto la Medicina di base diviene una specie di deus ex machina, che nelle tragedie greche era usato per risolvere qualsiasi difficoltà. Il problema chiave è: "come l’intero sistema sanitario può servire i bisogni del paziente quando egli ha bisogno di assistenza protratta per tempi lunghi (ponendo attenzione al suo diritto di piena cittadinanza)?" Si badi bene che questo non è un problema che riguarda solo i disturbi mentali, ma tutte le le condizioni croniche che richiedono assistenza a lungo termine (Aids, tubercolosi, cancro, etc.). La tentazione di rispondere attraverso istituzioni asilari appare davvero come la risposta più semplice e devastante.

Abbiamo invece bisogno di un radicale cambiamento di prospettiva: da un modello centrato sulla collocazione spaziale del provider (ospedale, ambulatorio, clinica) ad uno centrato sulla dimensione temporale del cliente. Acuto e cronico sono condizioni, non spazi e possiamo immaginare di affrontare disturbi acuti e disturbi cronici a livello di comunità invece che a livello ospedaliero.

I sistemi sanitari tendono a investire risorse e competenze nella assistenza a breve termine (in particolare negli Ospedali) e ad ignorare o a delegare l’assistenza a lungo termine. Come conseguenza, viene creato un sistema parallelo, caratterizzato da risorse e competenze povere. Invece l’assistenza a lungo termine richiederebbe modalità e strategie molto più complesse di quelle che sostengono il modello medico: diventa necessario differenziare competenze, luoghi, attori sociali. La parola chiave diventa comprensione. Se si assume seriamente la prospettiva a lungo termine e si abbandonano soluzioni semplicistiche (istituzionalizzazione, abbandono) è necessaria una seria analisi della storia reale, naturale e sociale dei disturbi mentali severi.

Approccio biopsicosociale versus approccio biomedico

La dimensione sociale del disturbo mentale dovrebbe rappresentare un intrinseco componente dell’intervento e non una semplice concessione al modello eziologico. La dimensione sociale del disturbo mentale richiede una dimensione sociale del trattamento. Le neuroscienze hanno fornito uno straordinario contributo per comprendere il funzionamento del cervello, ma poche soluzioni pratiche. Questo stato di cose ha implicazioni drammatiche perché l’enfasi dell’intervento dovrebbe essere spostato dai sintomi al funzionamento e alla disabilità.

Il problema è la relazione fra medico e sociale, quali due aspetti di uno stesso approccio esauriente oppure come due dimensioni indipendenti. Laddove l’assistenza psichiatrica e l’assistenza sociale sono gestite da diversi sistemi politici o amministrativi, esiste il rischio di un fallimento: infatti i pazienti possono essere smistati da un servizio all’altro, con ovvie conseguenze negative sulla continuità della cura. In alcuni casi nel servizio di salute mentale è presente la sola componente medica. Il risultato di un simile approccio è che, da una parte, il servizio di salute mentale si riduce al solo trattamento bio-medico in ospedale, per brevi periodi; dall’altra parte, il servizio di riabilitazione offre generiche e povere prestazioni di tipo assistenziale.

La mancanza della dimensione sociale comporta un inappropriato investimento nella assistenza a lungo termine. La riabilitazione psicosociale non è intrattenimento di pazienti organizzati da staff o da specialisti nelle tecniche più bizzarre (pittura, gioco, canto, scultura, etc.); è ri-costruzione della cittadinanza attraverso la capacità di vivere ogni giorno. La riabilitazione può essere un investimento molto più sofisticato rivolto alle persone con malattie mentali severe, ma richiede strategie e alleanze interdisciplinari e intersettoriali.

Il bisogno di di una molto più grande permeabilità fra discipline ci porta al 4 paradigma.

Morbidità versus co-morbidità

La distanza fra una diagnosi DSM/ICD e i casi reali è molto grande. La "interferenza" che disturba ed inquina il caso "pulito" è semplicemente la realtà. Gli psichiatri hanno spesso la tendenza a guardare la realtà come ad un pericoloso fastidio che rende troppo caotico il loro laboratorio. I pazienti reali sono molto più complessi di una semplice diagnosi. Per esempio, i pazienti reali presentano comorbidità. La comorbidità può riguardare disturbi solo psichiatrici o anche disturbi di pertinenza di altre discipline ( la cardiologia o l’oncologia, ad esempio). La comorbidità può anche essere inter-umana: dentro un micro ambiente quale la famiglia (abuso di alcol, violenza domestica, depressione, enuresi) o in un macro ambiente (post-conflitto, rifugiati, vita in aree urbane povere).

Se si cambia il paradigma da un intervento verticale basato su una sola patologia ad un approccio che tenga conto della co-morbidità, si produce una maggiore efficacia; inoltre un approccio a matrice può evitare la sottoutilizzazione o la cattiva utilizzazione delle risorse umane. Un paradigma orientato alla mono-morbidità porterà a programmi verticali nei quali la efficacia si disperde e lo spreco aumenta. Un approccio alla co-morbidità è destinato a facilitare le connesioni fra trattamento dei disturbi mentali ed il conseguente aumento della compliance e della aderenza ai trattamenti rivolti alla comorbidità di disturbi fisici.

Conclusioni

La OMS riconosce la esclusione delle persone con disturbi mentali come un fenomeno universale da combattere. Eliminare la esclusione è una pre-condizione per la cura. Le cure che vengono fornite all’interno di un contesto di esclusione sono poco credibili ed efficaci. C’è bisogno di un coraggioso collegamento fra conoscenze scientifiche, empiriche ed etiche, se vogliamo offrire risposte che siano umane, eticamente accettabili, adattate culturalmente e cost-effective. Per fare questo abbiamo bisogno di costruire una rete di conoscenze, di persone e di Istituzioni. In caso contrario, offriremo risposte semplicistiche a domande e a questioni complesse.

La sofferenza umana non è lineare, perché dovrebbe esserlo la risposta?

 

Saraceno B. (2004). Mental health: scarce resources need new paradigms. World Psychiatry 1, 3-5.

World Health Organization (2001). Atlas: Mental Health Resources in the World 2001. WHO: Geneva.

World Health Organization (2001). The World Health Report 2001. Mental Health: New Understanding, New Hope. WHO: Geneva.

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