NO A GUERRE DI RELIGIONE, C'E' IL PROGETTO...

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19 febbraio, 2013 - 17:57


di Mario Maj*

(da IL SOLE 24 ORE SANITA del 2-8 ottobre 2001 n° 38, pag. 9)

pagina a cura di Gennaro Esposito, Pol.it - redazione di Napoli

 


La guerra di religione che si profila a proposito della legge 180 solo in minima parte è espressione di difficoltà e contrasti interni al mondo della tutela della salute mentale; in larga misura, invece, essa è il prodotto di conflitti e contrapposizioni ideologiche che a quel mondo sono estranei.

Il bipolarismo è probabilmente una novità utile per la politica italiana, perché può rendere più comprensibile per i cittadini il panorama politico e può aumentare la stabilità dei Governi. Tuttavia, il trasferimento della logica 
del bipolarismo allíintera società, al mondo della cultura e a quello delle professioni può essere assai pernicioso: può compromettere líautonomia e la lucidità di pensiero e di giudizio della gente, può radicalizzare le posizioni e renderle stereotipate e rigide, e può alimentare la conflittualità.

Ci sono, nella società e nel mondo della cultura e delle professioni, dei settori particolarmente vulnerabili a questi 
rischi del bipolarismo: uno di essi è la magistratura, un altro è la psichiatria. Al di là degli schieramenti politici e ideologici, la legge 180 non è un oggetto ragionevole per una guerra di religione. Infatti questa legge, pur essendo nata in un momento politico particolare e pur essendo stata generata in misura significativa da un movimento politicamente 
connotato, ha una valenza sul piano tecnico e socioculturale che i politici non possono ignorare.

La 180 è una legge-quadro che fissa alcuni princìpi generali, di cui i più significativi sono: 
1) il superamento degli ospedali psichiatrici; 
2) líintegrazione dellíassistenza psichiatrica nel Servizio sanitario nazionale; 
3) líorientamento prevalentemente territoriale dellíassistenza psichiatrica; 
4) la limitazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ad alcune situazioni ben precisate.

Si tratta di princìpi largamente condivisi dagli operatori della salute mentale e, mi sento di dire, dagli utenti. Anche il superamento degli ospedali psichiatrici, che per anni è parso a molti impossibile, è oggi una realtà che tutti considerano irreversibile.

Inoltre, non si può negare che, grazie alla legge 180, la maggior parte degli italiani abbia imparato ad avere nei 
confronti della sofferenza mentale grave un rispetto e una tolleranza maggiori che in passato.

La legge 180 delega alle Regioni il compito di individuare le strutture per la tutela della salute mentale, e líinadempienza di diverse Regioni ha creato per molti anni una situazione di incertezza e confusione. 
Tuttavia, nel 1994 e nel 1999, due progetti-obiettivo emanati con decreto del presidente della Repubblica (vedi) hanno definito in maniera chiara e articolata come la tutela della salute mentale deve svolgersi, quali sono le strutture in cui i dipartimenti di salute mentale debbono articolarsi, quante debbono essere queste strutture e quanti utenti esse debbono accogliere.

Le strutture previste da questi progetti-obiettivo sono state però realizzate solo in parte e gli organici dei dipartimenti di salute mentale rimangono gravemente carenti. Tra i presìdi elencati dai progetti-obiettivo ci sono anche le strutture residenziali, destinate a far fronte ai «bisogni di lunga assistenza» delle persone con patologie mentali gravi. 
Sono previste strutture residenziali a vari livelli di protezione, per situazioni di diversa gravità. È prevista la partecipazione del privato sociale e imprenditoriale alla gestione di queste strutture. Il numero massimo dei 
posti in ognuna di queste strutture è fissato in 20.

Le nuove proposte di legge attualmente in discussione in Parlamento, a un primo esame sommario, sembrano mettere in discussione tre aspetti principali dellíattuale organizzazione dellíassistenza psichiatrica: 
1) il numero e le caratteristiche delle strutture residenziali; 
2) il ruolo rispettivo del pubblico e del privato nellíassistenza psichiatrica; 
3) i luoghi e le modalità di attuazione del trattamento sanitario obbligatorio.

Si tratta di problemi che, a mio parere, è legittimo sollevare. Tuttavia, non credo che il modo in cui essi sono affrontati nelle proposte in questione sia il più appropriato e, soprattutto, sono convinto che affrontare questi temi non significhi affatto mettere in discussione i princìpi fissati dalla legge 180.

Le strutture residenziali vanno sicuramente meglio regolamentate. Sono necessari criteri per líaccreditamento 
di queste strutture, sia pubbliche che private, che riguardino non solo gli spazi, i posti e il numero degli operatori, ma anche le attività che in esse debbono svolgersi.

Già oggi purtroppo in alcune di queste strutture si ritrovano realtà simili a quelle dei vecchi manicomi, per la concentrazione dei pazienti, la spersonalizzazione, líincuria e líabbandono. Aumentare il numero dei posti in ciascuna di queste strutture fino a 50, con possibilità di accorpamento di più strutture, come una delle proposte di legge in discussione prevede, e accentuarne la natura custodialistica a spese della connotazione socio-riabilitativa, come fanno entrambe le proposte di legge, non farebbe altro che aumentare il rischio della riproduzione di realtà manicomiali.

Il coinvolgimento del privato sociale e imprenditoriale nellíassistenza psichiatrica va sicuramente incentivato, ma non ritengo proponibile che il privato gestisca tutte le strutture di un dipartimento di salute mentale, come una delle proposte di legge in questione sembra prevedere. Si può regolamentare in maniera più precisa il trattamento sanitario obbligatorio extra-ospedaliero, che la legge 180 non esclude, ma le condizioni e le procedure previste dalle due proposte di legge appaiono non convincenti, né sembra proponibile che il trattamento sanitario obbligatorio sia 
richiesto «da chiunque ne abbia interesse».

La proposta dovrebbe essere sempre di un medico. Il progetto-obiettivo emanato nel 1999 è scaduto il 31 dicembre 2000 e vige attualmente solo ìin prorogatioî. Io credo sia logico e opportuno che tecnici e politici, piuttosto che lasciarsi andare a una lacerante guerra di religione avente per oggetto líabrogazione o meno della legge 180, lavorino assieme 
per rendere il nuovo progetto-obiettivo ancora più articolato e convincente dei precedenti e, soprattutto, perché tale nuovo progetto sia realmente applicato, cioè, sia vincolante per le Regioni (con sanzioni ben definite in caso 
di inadempienza) e abbia un ben individuato e adeguato supporto finanziario.

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