Her e Nimphomaniac riflessioni sul sesso, la sessualità e l'amore di Roberta Viglino

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6 aprile, 2014 - 19:47
Anno: 2014
Regista: Lars von Trier
Ho avuto modo di vedere di recente due film in una maratona, uno di seguito all’altro, Lei di Spike Jonze e Nymphomaniac di Lars von Trier.
Non è una visione che lascia indifferenti e che dà occasione di pensieri, riflessioni, considerazioni.
Il primo, Lei, racconta di un uomo, Theodor, che per lavoro scrive lettere personali per conto di altri, servendosi di sistemi operativi all’avanguardia.
Già dalle prime scene emerge che l’emozione è possibile solo nella finzione e, soprattutto, se si tratta di vite altrui. Anche gli utenti che si rivolgono a Theodor, di ogni età e sesso, non sono in grado di esprimere sentimenti, emozioni e stati d’animo. Theodor lo fa per loro, simulando emozioni e storie da lui mai vissute come un perfetto scenografo. È solo, ha perso gli affetti, lasciato dalla moglie con cui era cresciuto e incapace di ristabilire una relazione con un’altra donna.
La sua solitudine sembra risolversi quando sul mercato compare una nuova generazione di sistemi operativi (OS) che si adatta su misura dell’utente. Il sistema domanda all’utente quale voce preferisca, se femminile o maschile, qualche abitudine e il rapporto con la madre. Forse perché il problema di vivere gli affetti di Theodor viene da un rapporto irrisolto con la madre? Mentre parla con il sistema operativo, infatti, il protagonista fa presente che un aspetto che non sopportava di sua madre era che non lo facesse mai parlare.
Nasce così Samantha, l’intelligenza artificiale con cui si misurerà Theodor, dalla voce dolce e dalla personalità quasi insignificante, capace di reagire al piattume emozionale del protagonista. È un’intelligenza che apprende, come dice lei stessa, misurandosi sugli utenti, acquisendo nozioni e facendo esperienza. Sa perfettamente cosa Theodor desidera. La voce, le risposte, le frasi, le reazioni di Samantha sono tutte modulate su Theodor. Persino il fatto che, a un certo punto, Samantha sia in grado di ‘innamorarsi’ di Theodor sembra voluto dal sistema operativo.
Lo spettatore si domanda, guardando il film, in cui domina il virtuale tanto che Theodor, rientrato a casa, gioca con un altro sistema operativo in 3D, facendosi aiutare da Samantha, è se l’intelligenza artificiale rappresenti una coscienza o un’autocoscienza. È impressionante come Samantha sembri rafforzare il processo narcisistico di Theodor.
Tutto sembra funzionare. Il mondo è perfetto.
Theodor riesce persino a firmare gli atti del divorzio con l’ex moglie Catherine con cui non riusciva effettivamente a separarsi. Solo Samantha gli permette di compiere quel salto. Theodor vive emozioni grazie a una voce informatica. Fa persino l’amore con la voce di Samantha. Autoerotismo o erotismo? Non c’è corpo.
Anche il regista, durante il rapporto virtuale tra Theodor e Samantha non mostra immagini. Theodor non ha bisogno del corpo, perché teme le pulsioni. Ma solo l’incontro con Catherine permette a Theodor di fare verità. Samantha non ha un corpo. Samantha è perfetta. Samantha non ha emozioni reali. Sono dure le parole dell’ex moglie che lo mette di fronte alla realtà: Samantha non è reale, non ha emozioni e non ha limite. Il problema di Theodor è proprio l’emozione filtrata dal corpo, tanto che voleva che Catherine prendesse il Prozac per alleviare sbalzi emotivi. Dove è l’amore? Nell’accogliere l’altro per come è o nel farlo a propria immagine e somiglianza?
La fine è sorprendente.

Dopo che Theodor è riuscito ad amare la sua OS, ad accettare e sublimare il fatto che non abbia un corpo, isolandosi completamente dalle relazioni vere, includendola in ogni sua minima attività, scopre che la OS, pur esprimendo sentimenti, non è solo per lui, ma ha migliaia utenti con cui si interfaccia. Come fa un narcisista ad accettare ciò? Come fa un narcisista ad ammettere di non essere unico? Theodor è disposto ad accettare anche questo pur di non ritrovarsi solo, incapace di emozioni, di incontrare corpi di donne, di misurarsi con se stesso. La OS però no, perché basta una riprogrammazione e non ne è più capace. Scompare, fingendosi innamorata e triste, lasciando Theodor cadere nel suo specchio di Narciso in un mare di solitudine.
Se in Lei il corpo non c’è, in Nymphomaniac il tema e la ricerca di emozioni passa per il corpo. Lo dice anche il titolo, si tratta della storia di una cosiddetta ninfomane, anche se l’appellativo è riduttivo.
È interessante l’inizio del film, diviso in quattro capitoli, in cui una donna, Joe, viene ritrovata per terra e ferita da un anziano misterioso, Seligman, che la soccorre e la porta a casa.
Qui Joe può raccontare la sua storia di ninfomane, il suo rapporto con la scoperta del sesso, i suoi travagli interiori e i suoi sensi di colpa.
È un film sul sesso e la scoperta della sessualità di una donna dall’infanzia alla pubertà all’adolescenza, fino alla prima giovinezza.
Lo spettatore immagina scene cruente e pronte a sollecitare spinte sessuali.
Non è così, perché Joe, ferita e con il volto deturpato, sdraiata a letto, affida a Seligman lo strazio della sua storia, in cui la sessualità è solo un accessorio per colmare solitudine.
Il racconto inizia dall’infanzia quando Joe giocava con l’amica B. a fare la rana, con la preoccupazione dei genitori fuori dal bagno sulla scoperta della genitalità di una bambina. La madre di Joe è una donna fredda, incapace di guardare in faccia lei e il padre, mentre il papà è un medico che conosce perfettamente l’anatomia e le piante. L’unico modo in cui comunica con la figlia è descrivendo le piante. Forse ha paura di altro? E Joe? Nella narrazione di Joe i ricordi del padre sono ricorrenti. Più volte fa memoria del padre che dolcemente le racconta delle foglie degli alberi del parco, dove Joe più grande si rifugerà spesso in cerca del padre, dell’amore impossibile, di un uomo che non può riempirla.
Joe, mentre la madre le volta le spalle e il padre la spia guardare i libri di anatomia, scopre le sue pulsioni e a sedici anni si imbatte in Jerome, un ragazzo poco più grande di lei, dalle mani grandi. Gli domanda in modo secco e diretto, senza esprimere emozione, di toglierle la verginità. Sembra un atto meccanico, come il tentativo di riparare il motorino su cui Jerome sta lavorando. Tre colpi davanti e cinque dietro. Joe si alza dal letto, vestita da scolaretta, e ripara il motorino al posto di Jerome. Colpisce la brutalità con cui Joe racconta a Seligman di questo evento. È evidente che non ha provato ciò che pensava, solo dolore e molta freddezza nell’atto.

Da quel momento il sesso è ricerca di quell’emozione non provata all’inizio, tanto che Jerome compare più volte nel racconto di Joe. La natura fredda e meccanica comparirà in diverse scene del film, perché il sesso è un atto meccanico, freddo, deciso. Il sesso non è amore. È chiaro per tutto lo scorrere del film.
Joe si imbruttisce nel narrarsi e Seligman, via via, ascoltandola la abbellisce: la scoperta della propria sessualità deve essere per forza negativa?
Sembra che sia così, se il corpo e l’emozione non si coinvolgono. Joe racconta della prima esperienza da ninfomane impegnata con l’amica B. a compiere una gara in treno a caccia di uomini. Espone le tecniche, la freddezza e il bisogno di fare numero, l’inizio della compulsione.
Sembra un contenitore di pulsioni e genitali maschili. È questo il suo ruolo. Un uomo dietro l’altro riempiono la sua vagina. Non le importa come siano, perché non è la relazione il centro dell’appagamento, la una dinamica che sempre si mette in atto di forzi dominanti e di sottomissione. A volte si imbatte in uomini che la schiacciano, opprimono, dominano ed esprime così la sua forza nell’apparente farsi sottomettere, a volte, invece, accade il contrario in atti ammaliatori e illusori.
Joe non prova emozione incontrando i corpi. L’immagine che utilizza nel racconto della sua esperienza è di una porta che si apre sempre di più al sesso maschile. Incontra uomini di tutti i tipi dall’uomo solo e frustrato al padre di famiglia che si illude di essere amato. Joe non ama nessuno. E non le interessa della vita di nessuno, nemmeno di quella del signor H che lascia la moglie e tre figli per lei. È una scena patetica la visita della signora H disperata. Unica disperata, perché Joe, abitata da drammi e frammentazioni interiori, non riesce a esprimere il suo dramma.
Il suo imperativo è non amare. Perché l’amore fa soffrire? Perché non sa come amare? Perché l’amore non esiste? Perché è difficile coniugare corpo ed emozione?
È difficile capire il motivo profondo che spinge Joe a provare un corpo dietro l’altro, persino davanti al letto in cui da sola assiste il padre morente, l’unico uomo con cui Joe realmente si misura. Qui è chiaro che il rapporto sessuale è per colmare il vuoto lasciato dal padre ed è uno dei pochi momenti del film in cui viene messa in scena la forza dell’atto sessuale. Qui Joe ha letteralmente bisogno di farsi ‘sbattere’ per compensare il dolore che prova. Emerge pienamente la compulsione che si genera proprio per fare tacere dolore, solitudine e sofferenza. Joe stessa nel suo rinarrarsi a Seligman si sente indegna, proprio per l’aver mancato rispetto al padre morente. In realtà, in questa scena emerge tutta la dolcezza della figlia che non sa più colmare quel vuoto che ora sarà definitivo.
Figlia e madre sul letto di morte del padre non si guardano in faccia, non si parlano. Forse Joe ha imparato dalla madre a non provare emozioni, a non esprimere sentimenti e a difendersi costantemente dalla pulsione. E forse è la madre che l’ha segnata dal senso di colpa e impurità nell’esplorazione della sua sessualità.

L’unico filo che rimane costante è la solitudine. Joe ha tanti uomini, tanto che deve giocarseli a dadi per decidere i turni degli appuntamenti, ma è sola e finge sentimenti e sensazioni. Solitudine e compulsione. In una mansarda riceve gli uomini uno di seguito all’altro, come una prostituta a pagamento. Non riceve in realtà nulla, né soldi, né piacere, né tenerezza. È proprio questo continuo non poter ricevere, non appagarsi che non dà fine alla compulsione di Joe. Il viso trasmette stanchezza e tristezza, ma nel film non si vede un gesto di affetto ricevuto per sbaglio da qualche uomo. Solo sesso, solo ricerca di piacere maschile in una giovane donna che invece vive solo sofferenza, solitudine e smarrimento. Joe è una bambina smarrita, ma nessun uomo se ne accorge o, meglio, a nessun uomo fa comodo accorgersene. La compulsione di Joe è funzionale al piacere maschile. Joe si appaga del piacere maschile? Questa domanda non trova risposta in uno spazio in cui tutto è filtrato da finzione e paralisi emotiva.
Nessuno spettatore proverà sensazioni viscerali di fronte alle immagini erotiche del film, perché l’erotismo è fittizio, è solo un presupposto per mettere chi guarda di fronte alla desolazione di Joe che viene restituita anche dai continui primi piani sul letto da cui racconta.
È così sola anche nell’esperienza d’amore. Si è ripromessa di non innamorarsi, ma tre uomini la coinvolgono. Il primo è un uomo servile che l’aspetta e la riempie di cure, il secondo è un uomo dominante e brutale e il terzo è Jerome che la vorrebbe amare e che le tira davvero fuori il suo vuoto.
Il film infatti trova senso e chiave di lettura nella frase finale urlata in un pianto straziante, mentre Joe fa l’amore con Jerome: “Non riesco a sentire”.
È questa la profonda verità di Joe, non sente.
Il suo corpo è sordo, incapace di coinvolgersi. Non aveva sentito che dolore a sedici anni e ora, ormai donna, non sente l’orgasmo di cui è andata alla ricerca con mille uomini, fingendo spesso di provarlo per la prima volta. Lei invece non è in grado di provare, perché le sensazioni forti la spaventano, la terrorizzano. È capace solo di farsi contenitore di emozioni altrui e accrescere il cratere del proprio dolore in modo ripetitivo, compulsivo e, al tempo stesso, lacerante come è il volto della donna soccorsa da Seligman.
È significativa nel corso del film l’osservazione di Seligman che dice di tagliarsi prima le unghie della mano destra, per lasciarsi il piacere della sinistra. Osserva che i più fanno il contrario per semplificarsi la vita. Joe, invece, gli fa presente che lei inizia sempre dalla mano sinistra perché è quella del piacere, la più difficile, poi segue la destra che è quella complicata, ma che non richiede piacere. Altra chiave di lettura che ci permette di non leggere con superficialità la dinamica di questo film insieme alle frasi di Seligman che liberano Joe dal senso di colpa. Il suo dramma non è nell’essere andata con più uomini, ma nel non riuscire a vivere passione e piacere.
Lei e Nymphomaniac sono due film molto diversi. Vederli di seguito dà molte occasioni di riflessione. In uno non c’è corpo, nell’altro c’è troppa presenza del corpo, in entrambi c’è la fatica del sentire, dramma di uomini e donne segnati da sempre dalla ferita dell’io e dal senso di essere ingrombanti.

SCENEGGIATURA ORIGINALE DEL FILM "HER" SCARICABILE IN FORMATO PDF

HER, un film "parlato": analisi della sceneggiatura originale

 

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Commenti

Una riflessione preventiva , per me importante. Dopo che avrò visto il film, imperdibile secondo l'aria che tira, farò un intervento più puntuale.
Nel film di Von Trier, che vuole essere una riflessione critica e colta sulla pornografia, le scene di sesso vere sono girate non con gli attori protagonisti ma con controfigure che di mestiere fanno film porno di tutti i tipi. L'uso di queste persone per tutelare gli attori, altre persone, mi sembra alquanto squallido, mercificato, pornografico. Uno scatto di volgarità.


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