GALASSIA FREUD
Materiali sulla psicoanalisi apparsi sui media
di Luca Ribolini

Dicembre 2014 II - Arti, delitti, educazione

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19 dicembre, 2014 - 20:37
di Luca Ribolini

CIONI: “VI SPIEGO COSA È LA PARANOIA AI TEMPI DI INTERNET” 
I casi di paranoia sono in aumento, nel libro di Cioni l’analisi e possibili soluzioni 
di Ciro Troise, voceditalia.it, 6 dicembre 2014

La paranoia è una condizione in aumento nel mondo contemporaneo, ci sono anche dei fenomeni inquietanti emersi anche attraverso Internet. Per saperne di più su questa tematica, rimanendo lontani dalle pericolose visioni più superficiali, abbiamo intervistato Paolo Cioni, autore del libro “Paranoia”.
Cosa è la paranoia? È curabile? 
“Kraepelin, psichiatra tedesco, fu colui che introdusse nelle ultime decadi dell’ottocento il termine “paranoia”, riservandolo a soggetti caratterizzati da una perdurante convinzione di essere perseguitati, sostenuta tenacemente contro ogni evidenza specifica. I temi deliranti, oltre a quelli persecutori, possono essere di grandezza, erotomanici, etc. Fin dall’inizio si è assistito a una diatriba tra gli esperti, in merito a questa condizione, con una divisione di fatto tra chi la considerava: a) un quadro clinico a sé stante, sia pure all’interno di quella che io definisco nel libro “la galassia di Kraepelin”: forme primarie “pure” (senza causa apparente, verosimilmente con una forte predisposizione genetica), e forme secondarie, reattive a cause esterne (ad es. da deprivazione sensoriale, come negli istituzionalizzati, nei sordi e ciechi, etc. o a varie altre condizioni ambientali o mediche); b) una variante attenuata della schizofrenia; c) una peculiarità della personalità, e quindi una variante del normale. I DSM (manuali classificativi dei disturbi psichici più utilizzati attualmente) dell’APA (American Psychiatric Association) non hanno certo contribuito al chiarimento della situazione e, nell’ultima edizione (DSM-5) è addirittura sparito anche l’aggettivo paranoide, mantenendosi solo, nei disturbi deliranti, la forma con deliri di persecuzione. Ma la paranoia, al di là delle “moderne” banalizzazioni americane non si esaurisce certo nelle manifestazioni deliranti. La psichiatria francese ne ha dato le definizioni migliori e più utili pragmaticamente. Lacan (1930) parlava di un “difetto del ragionamento orientato verso la formazione di un sistema” (il soggetto, cioè, non riesce ad affrontare ingenuamente e spontaneamente la realtà, ma fa forzature logiche anche quando non servono, non riuscendo a comprendere i sentimenti degli altri e travisandone quindi le intenzioni)), unito a una viscerale (e spesso sganciata da qualunque attinenza col reale) sensazione di grandezza (convinzione di avere una missione da compiere) e da una conflittualità sociale spesso esitante in un vero e proprio isolamento (“gli altri non mi capiscono, mi ostacolano, e io li devo combattere”). Più che argomentazioni logiche di livello elevato, il paranoico segue una logica modesta e facilmente criticabile. Solo che persegue le sue argomentazioni con grande tenacia, fervore emotivo, e riesce quindi spesso a essere persuasivo, a fare adepti e a “vincere” in fin dei conti sul suo avversario più temibile: lo psichiatra. Lacan stesso diceva che la peggiore eventualità era quella (puntualmente avveratasi) di derubricare la paranoia a variante della personalità normale. Contro questa deriva lui si è inutilmente battuto. Io nel mio libro sostengo in pieno la sua tesi: i paranoici sono tra i disturbati mentali più gravi e pericolosi e fornisco molti elementi di prova con una casistica specifica. Propongo una suddivisione tra paranoici “deboli”, che comprendono scarsamente la realtà con cui si confrontano e sono pericolosi socialmente agendo isolatamente sotto l’emozione della paura, dai paranoici “forti”, ben dotati intellettualmente, che agiscono in preda alla rabbia, con il loro carisma derivato dalla tenacia e tono emotivo con cui sostengono le loro idee bizzarre centrate sulla loro potenza, divengono leader e fanno proseliti, in una società sempre più paranoica essa stessa e diventata quindi incapace di evidenziarli e sapersene difendere. E’ stato spesso affermato che i farmaci con questi soggetti non funzionano, ma non è vero: una combinazione di farmaci antipsicotici di nuova generazione e antidepressivi di solito è efficace (tra l’altro il paranoico va spesso incontro a fasi depressive). Il problema è che essi non hanno spesso coscienza di malattia ed è difficile convincerli a curarsi. Nel libro propongo una serie di interventi riabilitativi specifici basati sull’introduzione in comunità che li aiutino a migliorare la loro difettosa comprensione delle emozioni degli altri (che sembra alla base della loro sospettosità e propensione al sentirsi perseguitati) e a dare forma simbolica condivisa alle loro idee (confrontandosi nel gruppo terapeutico), evitando ricadute nell’agito immediato (rendendoli in questo modo, per così dire, innocui).
Quanto è diffusa? È in aumento nella società contemporanea?
Kraepelin sosteneva che la condizione fosse rara. Il DSM-IV dell’APA (v. sopra) riporta una prevalenza (numero di casi cumulativi nella popolazione generale) di disturbi deliranti dello 0.03%. Il dato è incredibilmente sottostimato. I servizi pubblici vengono sempre più a contatto con questa tipologia di pazienti, inviati da terzi: parenti, vicinato, forza pubblica, etc., perché questi soggetti non hanno coscienza di malattia. In ogni condominio si può dire che esista almeno un paranoico. Certo, si può parlare di gradiente di gravità, di “ spettro” (condizioni che vanno dal lieve al sempre più grave). Colpisce maggiormente in età adulta ed in età avanzata (le forme da deprivazione sensoriale -mancanza di stimoli esterni-, come quelle conseguenti a isolamento sociale, sordità, cecità…). La realtà contemporanea porta certamente ad un aumento dei casi attraverso alcuni meccanismi: 1) densità abitativa; 2) muri condominiali sottili con amplificazione di rumori e possibilità di ascolto di parole (magari estrapolate dal contesto) provenienti da appartamenti vicini.
Ci sono dei personaggi famosi cui è stata diagnosticata la paranoia?
La storia e l’attualità ci riportano casi di paranoici “forti” carismatici: dallo storico Ludwig di Baviera, approfondito nel libro, ai più o meno recenti dittatori e anche leader politici “democratici” che ci soggiogano col loro carisma. Perché la paranoia più sottile e pericolosa è proprio quella condivisa, dove c’è un induttore e uno/più indotti, cancellata, con danni incalcolabili, dal DSM-5, attualmente in uso. Questa è la paranoia di tanti siti che Internet ci propone e attraverso la quale viene fatto, ad es., proselitismo e arruolamento di jihadisti occidentali da parte dell’ISIS. Nel mio libro un paragrafo è dedicato a “Internet e paranoia”.
La paranoia è un argomento di attualità e di diversa interpretazione, per questo ha scritto un libro ora disponibile in libreria, ci indichi quali sono delle motivazioni importanti per acquistare il suo testo.
Sono molti anni che mi occupo con particolare attenzione dell’argomento, avendone una notevole esperienza clinica. I motivi che mi hanno spinto a scrivere questo libro sono i seguenti: 1) condivido l’opinione di Lacan, che la condizione sia sottovalutata e “derubricata” a una variante del normale, mentre invece è una delle condizioni psichiatriche più pericolose e da considerare e trattare con la dovuta attenzione; 2) la paranoia può essere “contagiosa” (v. le forme condivise) con un induttore (il paranoico) e soggetti indotti (anche intere masse), inermi perché ottenebrati a livello di reazione psichica dalla manipolazione sociale particolarmente efficace dei paranoici “forti” che esprimono con assoluto senso di sicurezza, tenacia, e virulenza emotiva, le loro convinzioni deliranti che mettono a repentaglio la civile convivenza; 3) sono stati fatti progressi nelle neuroscienze nella comprensione dei meccanismi cerebrali, per la maggior parte non considerati dalla comunità degli psichiatri; 4) ho la convinzione che per valutare attendibilmente questi soggetti non basti l’attuale colloquio psichiatrico (essi sanno difendersi molto bene e non esprimono facilmente le loro vere convinzioni) né i test psicodiagnostici e le scale valutative oggi disponibili (che sanno benissimo aggirare utilizzando la loro sospettosità per rispondere in modo pressoché ineccepibile), ma che sia necessario proporre stimoli e provocazioni, di cui nel libro faccio alcune proposte, per smascherare la loro assenza di empatia (condivisione dei sentimenti degli altri). Il libro, in cui ho cercato di usare un linguaggio il più possibile comprensibile ai non addetti ai lavori, è ben nutrito di esempi ricavati da casi concreti (in cui i paranoici sono anche “persone importanti”) e da casi particolarmente interessanti di paranoici letterati che hanno descritto mirabilmente i fenomeni psichici a cui erano soggetti, oltre al contributo del grande scrittore Robert Musil, che ha descritto in maniera insuperabile, un caso di paranoico “debole” (di scarse capacità intellettive), omicida “per paura”. Insomma ritengo che ci sia molto materiale informativo e innovativo, lontano dagli stereotipi con cui di solito si affronta l’argomento da parte degli “esperti” tanto da poter destare l’interesse di molti potenziali lettori, dato che è un argomento che ci riguarda tutti da vicino ed è “esplosivo” e molto sottovalutato, anche da parte dei periti per i Tribunali. Il libro è disponibile sul sito Amazon.it sia in versione cartacea che digitale (ebook).
http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=108629&titolo=Cioni%20%27Vi%20spiego%20cosa%20e%27%20la%20paranoia%20ai%20tempi%20di%20Internet%27

L’ANSIA SCIENTIFICA DI FREUD
di Sebastiano Maffettone, Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2014

Francesco Saverio Trincia, che insegna Filosofia Morale alla Sapienza (Roma), è l’autore di questa monumentale opera su “Freud”. Non mancano di certo libri e articoli scientifici, come non mancano le polemiche spesso tanto virulente quanto superficiali, sulla psicoanalisi e il suo autore. Ma questo volume ha caratteristiche, che lo rendono particolarmente utile, del tutto diverse dal solito. Trincia ha deciso di presentare Freud nella sua integrità e complessità, e di farlo in maniera insolita in specie per un filosofo come lui che ha dedicato parecchi lavori alla psicoanalisi. Il libro è diviso così in quattro parti, Biografia, Analisi delle opere, Concetti-chiave e Storia della ricezione, senza nulla concedere alle tesi filosofiche dell’autore che solo emergono indirettamente dalla lettura delle pagine dedicate a Freud, oggetto unico e incontrato dell’opera. Le osservazioni di Trincia sulla biografia di Freud, e sull’importanza di discuterla alla luce di quanto la psicoanalisi ci dice sul rapporto tra persona e azione, sono pertinenti e acute. Anche la sua rilettura della ricezione di Freud è interessante e non manca di entrare nel vivo di dibattiti talvolta complessi e animati. Lo stesso si può dire della disanima dei concetti chiave del pensiero freudiano. a la parte fondamentale di questo libro è senza dubbio costituita dalla analisi delle opere. Trincia ha infatti avuto l’ardire, non si può dire altrimenti, di presentarle al lettore una alla volta. Per chiunque abbia visto anche da lontano in una biblioteca il corpus delle opere freudiano è immediata la sensazione di stupore ammirato che un’impresa titanica del genere suscita. Si va così dai primi studi sull’isteria e il famoso (anche perché riletto da Lacan e Derrida) Progetto del 1895, ai grandi capolavori della psicoanalisi quali L’Interpretazione dei Sogni e La Psicopatologia della vita quotidiana, per andare infine sulle opere più direttamente culturali, quali Totem e Tabù e la Psicologia della masse. E così via.
La rilettura di Trincia è pacata, ma ovviamente non manca di esprimere una opinione di fondo. Freud è per lui un «romantico progressivo», volendo dire che le sue radici sono nel romancticismo anche se in Freud c’è un’ansia scientifica che lo trascende. Se non sbaglio, questa è all’incirca la tesi di Thomas Mann su Freud, ed è una tesi attendibile. Dovessi dire la mia, proporrei una visione più a metà strada tra romanticismo e illuminismo, ma si tratta probabilmente di una mia idiosincrasia. Quello che è invece certo è che Trincia presenta, in maniera assieme simpatetica e neutrale, una psicoanalisi “culturale” e non solo clinica, che è davvero indispensabile far conoscere al lettore.In altre parole, Freud non è solo l’inventore di una tecnica psicoterapeutica ma anche il creatore di una rivoluzionaria visione del mondo. In conclusione si tratta di un libro pregevole e utile. Se dovessi indicarne una sola mancanza, ma è evidentemente frutto di una scelta precisa dell’autore, direi che un capitolo sulla struttura filosofica della psicoanalisi sarebbe stato di qualche interesse. Anche se, devo ammetterlo, avrebbe tradito in parte la vocazione del volume nel suo complesso, che è quella di accompagnarci passo dopo passo alla comprensione di Freud.
Francesco Saverio Trincia, Freud, Editrice la Scuola, Milano, 2014, pagg. 473, € 26,00
http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5396&catid=726&Itemid=353

“LO SCANDALO DELLE FIGLIE DI LOT, ‘LA CARNE NON GIOVA A NULLA'” 
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 9 dicembre 2014

Lo scrittore Erri De Luca ha dedicato un volumetto alle Sante dello scandalo (2011): Thamar, Rut e altre, ascrivendosi così il merito, non trascurabile, di aver tratto queste figure bibliche di donna dalla naftalina e dalla rimozione, più di quanto i catechismi degli ultimi 50 anni non si siano neppure sognati di fare. Ma come si dice: quando è troppo, è troppo! Così neppure De Luca, l’operaio autodidatta, un po’ anarchico, un po’ antagonista, un po’ cabalista e traduttore di alcuni libri della Bibbia, se l’è sentita di commentare la vicenda delle sconcertanti figlie di Lot.
Neppure se l’è sentita di destinare loro una “casella” nel complesso disegno della salvezza, che nel Vangelo secondo Matteo snocciola la discendenza di Gesù fino ad Abramo, passando per Thamar la cananea e per Ruth la moabita, che di Lot e delle sue figlie è, appunto, discendenza.
Anche per chi non avesse mai letto un solo rigo dell’ebreo Sigmund Freud, ecco spiegato in cosa consiste la forza attiva della rimozione. L’esito è una forma di analfabetismo di ritorno, che a lungo andare produce forme di analfabetismo di andata. Una forma di damnatio memoriae che Joseph H. H. Weiler non ha neppure preso in considerazione, iniziando proprio dalle Figlie di Lot la sua pro­vocante conferenza su Alcune figure periferiche nella Bibbia (Meeting di Rimini, 2014).
Rimuovere, come insegna Giacomo B. Contri a proposito di Freud, non è rinnegare. Sottile differenza di cui si apprezza lo spessore con un veloce passaggio dalle pagine del Corano, dove la vicenda delle figlie di Lot non è solo trascurata, ma propriamente rinnegata.

Per continuare: 
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2014/12/9/LETTURE-Lo-scandalo-delle-figlie-di-Lot-la-carne-non-giova-a-nulla-/562631/

COME SISIFO 
di Susanna Tamaro, avvenire.it, 10 dicembre 2014

Perché non vai da uno psicanalista, o da uno psicologo? mi suggeriva qualcuno, ogni tanto. Ma, a parte il fatto che non avrei mai potuto permettermelo economicamente, ero perfettamente cosciente che, nel migliore dei casi, non sarebbe stato altro che mettere un cerotto su una ferita che continuava a suppurare. Ogni bambino che viene al mondo ha un assoluto bisogno di amore, è la sua struttura ontologica a porlo in questa condizione.
 
Per continuare:
http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/Un%20cuore%20pensante/Come%20Sisifo_20141210.aspx?Rubrica=Un%20cuore%20pensante&utm_content=bufferc370d&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer
 

LA PSICOANALISTA: “LORIS E GLI ALTRI NON SONO MAI RAPTUS” 
di Redazione, consumatrici.it, 10 dicembre 2014

“Non basta ricordarsene ogni tanto, occorre continuare a ripeterlo: il raptus non esiste”. Elisa Grazia, psicanalista italiana che da anni lavora all’estero (soprattutto tra Stati Uniti e Canada) e che ha condotto studi comparati su violenza di genere e contro i minori, è categorica: “Può essere un uomo che ammazza la ex e magari anche i figli rivolgendo poi contro se stesso la sua presunta furia. Oppure capita che una donna si macchi di infanticidio. Poco cambia dal punto di vista dell’impulsività: non si tratta di gesti che nascono un momento prima di compierli. È un processo degenerativo, talvolta non riconosciuto o ignorato, che ha una genesi complessa e spesso lunghissima”.
La storia di Loris e della madre Veronica
La storia di Andrea Loris Stival, 8 anni, per il cui omicidio è stata accusata la madre venticinquenne, Veronica Panarello, non è l’unica a riportare d’attualità questo tema.
Doppio omicidio con suicidio a Numana
Ce ne sono altre, recentissime, come l’omicidio-suicidio consumatosi in provincia di Ancora, un padre di 38 anni, Daniele Antognoni, che ha ucciso la moglie di 28, Paula Corduneanu, e il figlio Christian, di 5.
C’è anche Lorenz Renda
O, ancora, la vicenda di un coetaneo di Alcamo, Lorenz Renda, trovato morto lo scorso 13 luglio nel suo letto e che, secondo i risultati dell’autopsia confermati alla fine di novembre, sarebbe stato stroncato da un’overdose prodotta dagli antidepressivi della madre, la trentatreenne messicana Aminta Altamirano Guerrero, rimasta a vivere in Sicilia dopo la separazione del marito emigrato in Germania e accusata di omicidio aggravato. E, di nuovo, Patrick Lorenzi, 9 anni, rinvenuto senza vita a fine agosto dentro una tenda a oltre 1800 metri d’altitudine dalle parti di Cusio, in Val Brembana, mentre la madre si sarebbe gettata in un dirupo non molto distante. Ma, andando a ritroso, ce ne sono ancora di vicende molto simili a queste.
In Italia 100.000 bambini vittime di violenza
Secondo una recente indagine curata dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (che, sul caso di Andrea Loris Stival, ha chiesto di non sfruttare “la strategia dell’emozione” per fare informazione sensazionalistica), in Italia i bambini vittime di violenza sono stimati in 100.000. Di questi, 16 su 1.000 sono vittime di “violenza assistita” determinata dal contesto familiare e 1 su 100 entra nell’orbita dei servizi sociali per maltrattamenti.
500 casi di infanticidio da parte dei genitori
A queste stime si aggiungono i dati diffusi la primavera scorsa dall’Associazione degli avvocati matrimonialisti italiani che hanno contato, dal 1970 alla fine dello scorso anno, 500 casi di infanticidio perpetrati da uno dei genitori, lo 0,6 per cento degli omicidi domestici, secondo il manuale per operatori criminologici psicopatologi forensi. “Non è vero che quando la coppia scoppia, la violenza e la furia omicida si proiettino soltanto nei confronti del coniuge o del convivente”, ha commentato Gian Ettore Gassani, presidente dell’Ami, chiedendo misure urgenti contro l’infanticidio.
Chi ha subito un danno, lo farà…
Ma, andando oltre i parametri della statistica, aggiunge Elisa Grazia: “Un adulto, uomo o donna che sia, potenzialmente violento contro un bambino può a sua volta venire da un passato in cui ha subito le stesse vessazioni che infligge.
Oppure l’omicidio di un figlio può essere qualcosa che si manifesta nel corso del tempo come frutto di un trauma o anche solo di uno sbilanciamento emotivo risalente nell’infanzia. Ma non è mai un’esplosione imprevedibile di violenza”.
Le perizie parlano di donne che si sentono inadeguate
E per dimostrarlo, la psicanalista fa riferimento alle cartelle e alle perizie su alcune delle donne accolte tra il 1999 e il 2009 dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. “A prescindere dai dati, che parlano comunque di madri con un’età media di 36 anni, quasi tutte sposate e nella maggior parte dei casi con un paio di figli”, dice ancora Grazia, “spesso emerge un senso di inadeguatezza della donna nei confronti del suo ruolo che non viene preso sul serio – a volte nemmeno percepito – dal contesto familiare”.
Dissociazioni della mente
In questi giorni di attenzione mediatica sul caso di Santa Croce Camerina, altri sono stati gli “addetti ai lavori” intervenuti in senso analogo. Paolo Boccara della Società psicoanalitica italiana, proprio in tema di raptus, ha detto che bisognerebbe parlare piuttosto di “situazioni di dissociazione della mente che fanno prevalere l’aggressività”. Non si tratta di uno stato “sempre patologico”, ha affermato ancora, raggiunto dall’Ansa, “spesso queste varie parti di noi convivono abbastanza tranquillamente, ma può capitare che una prenda il sopravvento sulle altre e succeda qualcosa di grave”. E quanto il contesto sociale può predisporre a eventi di questo genere?
Storie antiche, ma oggi l’atomizzazione pesa
Per Elisa Grazia, “l’infanticidio e il figlicidio sono fenomeni antichi tanto da far parlare del complesso di Medea. Ma oggi gioca non poco l’atomizzazione che porta ogni famiglia a essere nucleo a sé, ristretto, senza supporto né aiuti tempestivi”.
La famiglia è più sola
Ancora una volta in linea con Paolo Boccara, secondo il quale “sicuramente oggi clima intorno famiglia è cambiato, si è perso il sostegno di istituzioni come la scuola e lo stato, ma manca in molti casi anche l’appoggio dei nonni e della comunità intorno. Ciò mette più a repentaglio la fragilità, che ognuno di noi ha e che si porta dietro anche da genitore”.
http://www.consumatrici.it/10/12/2014/genitori-e-figli/0004175/la-psicanalista-loris-e-gli-altri-non-sono-mai-raptus
 

EMERGENZA EDUCATIVA TRA FAMIGLIA E SCUOLA 
di Rocco Buttiglione, formiche.net, 10 dicembre 2014

In che cosa consiste l’emergenza educativa del nostro tempo, sulla quale aveva tanto ha insistito Papa Benedetto XVI? Cerchiamo di spiegarlo con un esempio che prendiamo dalla cronaca. In una scuola un insegnante ha fatto leggere a dei ragazzi di 14 anni un romanzo che contiene la storia di un amore omosessuale. Alcuni genitori si sono arrabbiati ed hanno denunciato alla autorità giudiziaria gli autori dell’esperimento. Noi non sappiamo bene come sono andati davvero i fatti. Abbiamo solo letto i resoconti dei giornali. Non pronunciamo pertanto nessun giudizio su questo caso particolare.
Partiamo da esso, semplicemente, per porre una questione di carattere generale. E’ giusto che in una scuola si legga un romanzo a contenuto omosessuale a dei ragazzini di quattordici anni senza che i genitori ne siano informati ed abbiano dato il loro assenso? E inoltre: se io genitore dico che non voglio che mio figlio sia esposta a letture omosessuali vuole dire questo che sono omofobo o che odio gli omosessuali?
Chi ha il diritto di educare
Prima di appartenere alla scuola a allo stato mio figlio appartiene a me (più esattamente a mia moglie e a me, cioè alla famiglia). Dice San Tommaso che il bambino è contenuto nella sua famiglia “quasi in quodam utero spirituali”. In quello spazio protetto nessuno ha il diritto di raggiungerlo senza il consenso della famiglia. Il compito ed il diritto all’educazione della scuola, dello stato ed anche della Chiesa vengono dopo ed hanno un carattere sussidiario. Sussidiario in questo caso vuol dire che essi entrano in azione per aiutare e sostenere il compito educativo della famiglia ma non possono mai ed in nessun modo sostituirsi ad essa od agire in modo contrario alle sue intenzioni, ai suoi valori ed alle sue convinzioni. San Tommaso ci credeva così tanto che pensava che non fosse lecito somministrare il battesimo ad un bambino senza il consenso dei genitori. Perfino il diritto soprannaturale della Chiesa a salvare le anime si ferma davanti al diritto naturale della famiglia sul proprio bambino.
Purtroppo nel nostro tempo San Tommaso non è più una autorità universalmente riconosciuta e quindi rafforzeremo la nostra argomentazione con la autorità di Sigmund Freud, che ha il vantaggio di essere ebreo e pure ateo, quindi non sospetto di vicinanza alla Chiesa Cattolica. Freud ha inoltre il vantaggio di non dirci solo che è così ma di aiutarci anche a capire perché è cosí. Il bambino forma la sua coscienza in un dialogo originario con la madre (e poi anche con il padre). Quando è molto piccolo il bambino non è neppure in grado di distinguere la propria identità da quella della madre. Poi, progressivamente, il bambino si separa dalla madre. Allora avviene un processo inverso: Il bambino non è più nella madre ma la madre adesso (ed il padre) è nel bambino. Il bambino interiorizza i genitori, li sente presenti in se stesso e nel dialogo con essi sviluppa la propria individualità, la propria coscienza e la propria personalità morale. Questo dialogo è la forma prima ed originaria di educazione. Non solo e non tanto con dei discorsi ma con l’esempio ed il proprio modo di essere i genitori trasmettono ai figli i valori fondamentali che nella vita hanno riconosciuti come veri. Ha scritto una volta Platone, nella sua Settima Lettera, che le cose di maggior valore (i valori fondamentali) non si possono scrivere sulla carta ma si scrivono, attraverso la convivenza e la partecipazione dell’uno alla vita dell’altro, nelle anime degli uomini. Questa scrittura è riservata alla famiglia se non altro perché solo essa è in grado di svolgere questo compito. Se altri tentano di intromettersi forse riusciranno a ostacolare la famiglia nel suo compito fondamentale di trasmissione di valori ma certo non riusciranno a sostituirla.
È per questo che il compito primario della educazione, ed il diritto corrispondente, ricade sulla famiglia, che è l’unica in grado di esercitarlo.
 
http://www.formiche.net/2014/12/10/emergenza-educativa-famiglia-scuola
 
Il testo completo su Fede e scienza:
http://www.fedescienza.it/emergenzaeducativa/
 

RIPARTIRE DALLA PAROLA 
di Aldo Bertagni, laregione.ch, 12 dicembre 2014

La scuola che verrà, giusto per riprendere il titolo che il Decs ha voluto dare al proprio progetto riformatore, dovrebbe saper trasmettere un sapere che “non significa solo accrescere le conoscenze, potenziare la propria istruzione, ma anche e soprattutto imparare ad aprirsi all’apertura del desiderio, aprire attraverso questa apertura altri mondi rispetto a quelli già conosciuti” come sostiene Massimo Recalcati nel recente e fortunato volumetto ‘L’ora di lezione’. E per arrivare a tanto, tutti sanno che la vera riforma passa attraverso le parole dell’insegnante. Le parole, e non altro, strumento capace di trasmettere il desiderio. Al punto che una sola ora di lezione, aggiunge lo psicoanalista milanese, può cambiare la vita. Il progetto di riforma della scuola dell’obbligo ticinese presentato ieri potrebbe modificare se non proprio la vita degli adulti di domani, almeno la qualità della formazione primaria. Che non è poco. Su tutto un concetto ci pare contenga il seme della riforma: la responsabilità del docente, in un mondo più complesso. Tutta da reinventare, magari ripartendo da quell’alleanza generazionale genitori-insegnanti che ha permesso la crescita non solo scolastica d’intere generazioni. In una società dove l’io e l’altro interagiscono costantemente, la scuola deve saper dare a tutti un’eguale formazione senza perdere mai di vista la variegata differenziazione (delle culture, delle possibilità, dei difetti, delle qualità individuali). Una nuova modalità d’approccio, dove l’istituto scolastico acquista più autonomia organizzativa e, al contempo, dove il docente ritorna punto di riferimento della Parola e dunque del sapere. Senza eccessive rigidità formali. Da qui la volontà di abolire, alle Medie, gli attuali ‘livelli’ (sostituiti dalle parole consapevoli), come di flessibilizzare la griglia oraria. E va sempre in questa direzione lo stimolo a una maggior cooperazione fra i docenti, la legittimazione di nuove didattiche, l’abolizione delle valutazioni aritmetiche e fredde, la maggior autonomia dei singoli istituti con aumentata responsabilità per i direttori. La proposta di riforma, ci piace pensare, vuole una scuola che “non pretende di spiegare la vita con le lettere dell’alfabeto, ma invita i suoi allievi a impossessarsene per nominare il mistero della vita senza presumere mai di giungere a governarlo” (vedi l’autore sopraccitato). Trasmettendo magari al contempo il sentimento che sbagliare, inciampare, è parte del processo didattico; di più, strumento di crescita non solo professionale. La vera sfida, a questo punto, procede su due fronti: interno ed esterno alla scuola. Da un lato coinvolge gli insegnanti e la loro capacità (nonché volontà) di rimettersi in gioco, riappropriandosi del motore, dell’energia che muove il desiderio (proprio e altrui), dall’altro l’intera società ticinese – politica compresa – che dovrebbe finalmente aprire le porte e i cuori all’alterità. Perché non c’è scampo: il futuro lo prepariamo oggi e solo nel confronto col diverso raggiungiamo un processo superiore d’integrazione formativa. Anche per far fronte alle nostre fragilità. Non solo tecniche.
http://www.laregione.ch/articolo/ripartire-dalla-parola/3489
 
NELLA BOTTEGA DI SIGMUND FREUD
Esploratori dell'onirico, profeti dell'inconscio. Così le teorie psicoanalitiche ispirano l'arte
di Vincenzo Trione, lettura.corriere.it, 12 dicembre 2014

Un paradosso. Sigmund Freud non ha particolarmente amato l’arte della sua epoca: come dimostra il museo allestito nel suo ultimo appartamento londinese, egli aveva un gusto prevedibile e convenzionale. Eppure, siamo dinanzi a uno tra i pensatori che ha maggiormente orientato alcune tra le più rilevanti forme dello sperimentalismo novecentesco: dalla stagione delle avanguardie a quella delle post-avanguardie. È quel che rivela un’affascinante mostra, Sigmund Freud and the Play on the Burden of Representation, curata da Mario Codognato, Joseph Kosuth e Luisa Ziaja, allestita presso la 21er Haus di Vienna (fino all’11 gennaio). Un’esposizione ricca e sorprendente, promossa in occasione del 75° anniversario della morte del padre della psicoanalisi (1856-1939), che raduna opere provenienti dalle collezioni del Belvedere e del Freud Museum di Vienna. Una ricognizione che si concentra sugli «allievi» freudiani del secondo dopoguerra, ma che ha soprattutto il merito di farci riflettere su uno dei più delicati nodi critici della storiografia artistica del XX secolo.
 
Per continuare:
http://lettura.corriere.it/nella-bottega-di-sigmund-freud/
 
NELLA TESTA DELLE MADRI CHE UCCIDONO I FIGLI
di Umberto Galimberti, la Repubblica, 13 dicembre 2014
Quando una mamma uccide un figlio genera la riprovazione generale senza riserve. Se poi si ostina a negare il fatto, nonostante le prove contrarie nelle mani degli inquirenti, la riprovazione non ha più attenuanti. Qui non vogliamo discutere se Veronica Panarello ha ucciso o meno il suo piccolo Loris, ma capire, con l’aiuto della psicoanalisi, perché fatti del genere possono accadere, e perché, una volta accaduti, ci si ostina a negarli. La psicoanalisi non è un tribunale della verità, ma può aiutarci a comprendere quello che per il senso comune e per la nostra ragione è incomprensibile. A questo proposito tre sono le considerazioni che ci possono aiutare a capire.
1. In ciascuno di noi, ma più marcatamente nella donna in quanto depositaria della specie, ci sono due soggettività: una che dice “Io” con i suoi progetti, i suoi ideali, i suoi sogni, le sue aspirazioni, l’altra che ci prevede come semplici “funzionari della specie”. Le due soggettività sono in conflitto, in quanto le esigenze della specie non coincidono con quelle dell’Io. Per questo l’amore materno non è mai disgiunto dall’odio materno, dal momento che il figlio vive e si nutre del sacrificio della madre che, dal concepimento in poi, deve assistere alla trasformazione del suo corpo, al trauma della nascita e, successivamente, al sacrificio del suo tempo, del suo spazio, del suo sonno, del suo lavoro, della sua carriera, delle sue relazioni, dei suoi affetti e talvolta anche dei suoi amori, per la totale dedizione al figlio. Questa ambivalenza di amore e odio, che il mito dell’amore materno stenta a riconoscere, chiede una soluzione che, in particolari condizioni psichiche, può generare il più terribile degli eventi. Anche il linguaggio ne è testimone. Quante volte abbiamo sentito dire dalle madri al proprio bambino “ti ammazzerei”.
2. Tra le sofferenze psichiche più diffuse, Freud annovera il senso di colpa che, nel nostro caso, Veronica può avere inconsciamente interiorizzato in ambito familiare per i difficili rapporti, per non dire ostilità, con la madre e con la sorella. A questo proposito Freud scrive in un saggio del 1922 che ha per titolo L’Io e l’Es: “È stata per noi una sorpresa lo scoprire che un’accentuazione di questo senso di colpa inconscio può trasformare gli uomini in delinquenti.
Eppure è senza dubbio così. Si può individuare in molti delinquenti, specialmente quando si tratta di giovani, un potente senso di colpa che preesisteva all’atto criminoso, e che quindi di questo atto non è l’effetto bensì la causa: come se il poter collegare il senso di colpa inconscio a qualche cosa di reale e attuale fosse avvertito da costoro come un sollievo”. Non so se questo è il caso di Veronica Panarello, anche se l’aver cercato nella sua adolescenza di punirsi con un tentato suicidio per liberarsi del suo senso di colpa può essere una traccia che ci aiuta a comprendere.
3. Il fatto poi che Veronica neghi quelle che per gli inquirenti sono evidenze non ci consente di considerarla, senza riserve, una bugiarda, perché chi mente sa di mentire, ma può accadere anche che, non avendo la forza di guardare in faccia l’atrocità che si è commosso, si neghi, prima a se stessi che agli altri, di essere responsabili dell’accaduto. Non si tratta di rimozione (Verdrängung) che Freud descrive come un meccanismo di difesa inconscio con cui allontaniamo da noi immagini o fatti che sentiamo inaccettabili, ma di negazione (Verneinung) per cui il soggetto nega l’esistenza di ciò che esiste e conosce.
Nella negazione Freud vede l’origine della scissione dell’Io che è l’anticamera della follia, in cui il soggetto nega, sinceramente a se stesso prima che agli altri, che sia accaduto un fatto che è accaduto. Stanley Cohen, professore di sociologia alla London School of Economics and Political Science, ha scritto un bellissimo libro: Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea (Ed. Carocci) in cui mostra quanto diffuse siano le forme di negazione e quanto devastanti siano gli effetti, nel mondo privato e in quello pubblico, di questo atteggiamento che nega ciò che esiste e si conosce. Con queste considerazioni non vogliamo esprimere alcun giudizio sui terribili fatti di Santa Croce Camerina, e neppure giustificarli, ma semplicemente cercare di comprendere quello che in apparenza appare incomprensibile, ricordando a tutti noi quel che Freud non cessa di ribadire, ossia che “l’Io non è padrone in casa propria”.
http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/giustizia-nella-testa-delle-madri-che-uccidono-i-loro-figli
 

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