L'INSOSTENIBILE PESANTEZZA DI DOVER ESSERE SE' STESSI. RIFLESSIONI CRITICHE TRA FILOSOFIA, POLITICA E ARTE DEL VIVERE (ARMONICAMENTE)

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12 marzo, 2015 - 12:16
In una situazione mondiale in cui regna il caos e dove a primeggiare sono gli estremismi di qualsivoglia natura, l'esaltazione di una idea – che diviene presto ideologia – sortisce reazioni che si configurano come elementi di una dinamica distruttiva che pone le basi perché accadano avvenimenti che rinnovano la tendenza a ripetere comportamenti già agiti dalla Storia. Avendo scritto un articolo riguardo alla diatriba in corso tra il pensiero filosofico italiano e alcuni studiosi di Heidegger, ritengo sia opportuno precisare quanto ogni estremismo sia figlio d'inflazione dovuta a scarsa conoscenza sia della storia che delle vicende di popoli – o razze – cui si deve il progresso della civiltà e dell'attuale società moderna.
Nei giorni scorsi si è venuti a conoscenza di quanto stia vivendo la filosofa Donatella Di Cesare: oggetto di minacce – neanche tanto velate – da parte di gruppi di ultra – destra che si pongono in linea con quanto affermato nel corso dei secolo scorso da credo politici devianti già nel loro porre in essere le motivazioni con cui si progettano interventi di prevenzione nei confronti di parti della popolazioni ritenute “non adeguate”(per usare un eufemismo). Minacce che hanno trasposto in atto ciò che – silente – si è manifestato nella avventata valutazione di quanto è scritto su testi che devono essere ponderati all'interno di un sistema, non tenendo conto dell'idea/ideologia cui aderisce l'autore perché equivale a una mistificazione frutto di un meccanismo di oppressione che tende a certificare la propria forza attraverso un gioco che – a mio avviso – conferma, di converso, altresì la dinamica distruttiva che muove chi abbraccia un'ideologia. Naturalmente per idea politica/culturale o credo scientifico che muta in ideologia, si intendono tutto l'insieme di concetti che assumono forma di dogma divenendo oggetto di culto che, per natura, pretendono una completa adesione scevra da ogni possibilità di critica, che viene vissuta come elemento destabilizzante l'intero edificio “religioso” cui si fonda il concetto divenuto monstrum.
Ogni forma di idea – che niente altro è che lo sguardo intellettuale relativo ad un pensiero – diviene l'immagine che trae forza dall'operazione di analisi che l'individuo mette in atto per sentirsi protetto da minacce esterne. Agli occhi del soggetto, l'idea permane come punto focale ove far leva quando si vacilla dinanzi a supposte minacce che creano perturbazioni nell'alveo stesso dell'esistenza soggettiva. In tal modo ciò che è meramente soggettivo, diviene oggettivo perché denota il timore di non avere supporto che garantisca una vita ordinaria: l'idea, l'ideale si trasformano ben presto in ideologia – a mio avviso – quando avviene il passaggio dalla condizione di monade (intesa come individualità) a insieme di monadi che sussistono soltanto attraverso una forma di pensiero/azione denotante una formazione a testuggine, tecnica dell'esercito romano che garantisce protezione dinanzi alla minaccia incombente. Minaccia incombente vissuta come elemento che mina la stabilità del sistema creando dinamiche involutive che prestano il fianco a derive intellettuali e culturali generanti totalitarismi. È bene precisare che non v'è adesione a nessuna ideologia che spinge a scrivere l'articolo in difesa della libertà d'espressione, a maggior ragione se si svolgono professioni intellettuali, tanto vituperata, quanto preziose per l'evoluzione civile di uno stato e di un popolo. Prendendo a prestito quanto scritto dal filosofo Platone, l'idea è rappresentazione di ciò che nnon muta al mutare costante dei dati sensibili. Preciso quanto il filosofo greco enuncia: quanto il soggetto riesce a possedere attraverso la comprensione intellettuale, si configura come elemento portante di un edificio “teorico” su cui fondare la propria esistenza, che risulterebbe mera vacuità, se non supportata da azione. In tal modo Platone configura un' auspicio personale come riflesso di un mondo ideale – ecco il legame che sfocia nell'ideologia – che configura l'individuo a sua immagine e somiglianza. Un mondo di idee in cui si muovono concetti permettenti la strutturazione di una comunità coesa che si riconosce all'interno di valori (in alcuni casi svalutanti) forieri di deformazioni conducenti ad un forte senso di comunità. Il gioco psicologico avente onore di cronaca prevede che l'attivazione di un complesso – mi sovviene la portata affettiva del complesso quando si ha di fronte una stortura demiurgica di un'idea filosofico/politica – risulta essere l'unica via percorribile per quegli individui che necessitano di punti fermi su cui far ruotare il proprio quotidiano. Tale necessità confluisce – per naturam – nell'ideologia, insieme di idee che, coagulandosi, rendono possibile una visione mistificatoria potenziata della quotidianità, capace di generare l'orda assassina degli istinti animaleschi connotanti l'uomo privo di razionalità, quella razionalità – dono dell'intelletto – che dovrebbe essere alla base stessa della formulazione dell'idea del singolo individuo. L'uomo che aderisce – passivamente ad un credo “religioso”, offre il sacrificio della propria unicità a colui che, generando il credo, utilizza l'orda a fini propagandistici e distruttivi. La distruttività -personale – viene elevata a volontà collettiva perché si abbia l'esaltazione di un personale senso di inferiorità che cattura l'attenzione attraverso azioni eclatanti, che si configurano anche come semplici minacce o scritte nei luoghi cari a individualità appartenenti a determinate comunità. Il gioco delle proiezioni sortisce una impossibilità di vedere in trasparenza il proprio limite d'accettare il ruolo marginale nella società: non accettando il ruolo si finisce con l'adoperare violenza verso terzi e conto terzi.
Si mostra violenza negli interventi pubblici ove si tende a reiterare comportamenti devianti che pretendono la sottomissione del diverso per natura – in quanto afferente a diversa estrazione culturale - poiché vissuto come ponente in pericolo lo statu quo di una supposta supremazia di un'idea di popolo e cultura che fondano la loro ragion d'essere nelle pieghe della Storia. Cos'è la Storia? È l'insieme di accadimenti che, ciclicamente, si ripetono favorendo la riemersione di costrutti devianti che hanno l'obiettivo di rafforzare il sentimento di precarietà e pericolo, elementi cui far leva per favorire la sedimentazione dell'ideologia medesima. L'insegnamento della storia ha radici profonde: si pensi a quanto avviene con gli islamici, essi stessi verso la distruzione medesima delle proprie origini; l'europa degli estremismi conducenti ad odio razziale, capace di creare blocchi simil guerra fredda; gli Stati Uniti d'America che osservano con fare osservante il disfacimento di un sistema costruito in sessant'anni etc. sostanzialmente l'adesione indifessa ad un archetipo che – subdolamente – si riflette sugli individui creando tensioni sociali che mostrano quanto l'ordinario – inteso nella capacità di assumersi responsabilità tenendo conto dei propri valori e della propria educazione – diviene, ogg, l'elemento destrutturante il vissuto del singolo, capace di riconoscersi soltanto all'interno di uno schema ove l'esaltazione del collettivo diviene esaltazioni di valori trasvalutati, per cui è lecito affermare – ad esempio  la supremazia di un individuo rispetto all'altro. A tal riguardo le riflessioni socio- psico – pedagogiche sono necessarie perché l'educazione al cambiamento e alla diversità, come valori aggiunti, non sono più presenti sia nei rappresentanti delle istituzioni (si pensi ai politici e alla mancante propensione alla moderazione) che nell'opinione pubblica, favorenti dinamiche disfunzionali che fondamento fin dai primi moti di critica che si hanno all'interno di università e delle scuola. Prestando il fianco a storture di idee filosofiche, elevate ad ideali trasformati – dal corso della Storia – in ideologia si favorisce l'emersione di derive intellettuali che approdano al sentimento di insoddisfazione figlio di una perdita costante di punti di riferimento. Si assiste al rifugio alla deriva in quanto non v'è certezza di un futuro, almeno roseo. L'imbarbarimento delle relazioni, l'inasprimento dei conflitti intergenerazionali e la guerra silente nel mondo della finanza sfociano nelle idee deliranti di soggetti che sfruttano l'insoddisfazione dell'individuo come volano di una sfida aperta alla convivenza sociale attraverso attacchi all'incolumità personale di coloro che, attraverso una modalità di comportamento che esula dai contesti ultra conservatori – si ritiene che l'ultra conservatorismo non abbia né colore né ideale di base, bensì soltanto la proiezione di una mancanza che riluce nell'Altro – mostra l'importanza dell'ambizione pubblica che favorisce una maggiore consapevolezza del ruolo svolto all'interno del contesto di riferimento.
Cos'è l'ambizione pubblica? Da navigatore del web, lettore compulsivo di giornali e libri ci si imbatte in testate che mostrano la differenza esistente tra una società ospitante e tollerante – nonché multietnica – e l'essere retrograda e arretrata di una nazione che vive ancora nel ricordo dell'Impero Romano o – peggio ancora – della polis greca. Ambizione pubblica vuol dire favorire il benessere del cittadino attraverso l'adozione di provvedimenti e e misure tese a migliorare la vita e la convivenza tra individui, a maggior ragione se appartenenti a nature diverse. Non v'è ambizione pubblica se ci si ferma dinanzi ad istituzioni temporali che si ammantano di di “santità” laddove esprimono, anch'esse, il mero gioco di proiezioni. Per cui v'è contenimento di ideologie – all'apparenza – più moderate, confluendo in critiche aperte e mistificanti nei confronti di idee (o ideali?) afferenti ad un background culturale inviso a determinate istituzioni. Adoperando pressioni si svilisce il concetto stesso di ambizione pubblica, che si trasforma in mero strumento coercitivo nei confronti delle minoranze che di contro rivendicheranno -anch'esse – il loro primato perché perseguitate e limitate nella possibilità d'espressione.
Si è scritto dell'impossibilità di avere possibilità di esprimersi liberamente: nei regimi totalitari, filgi di ambienti dove l'”Ultra” è dogma, l'azione della censura è subdola. Un grande scrittore del secolo scorso, operante nella Russia staliniana, Michail Bulgakov, non ha avuto la giusta risonanza perché ritenuto inviso al Partito Comunista e oggetto delle proiezioni di un paranoico come Stalin. Tanto Bulgakov, quanto nell'attualità il timore di chi si rifugia in ideologie devianti – per chi scrive l'ideologia è sempre deviante – mostra quanto vi sia l'attivazione di un meccanismo mostrante il potere involutivo dell'archetipo del potere, che diviene la giustificazione di azioni violente ne confronti di chi ha la capacità di assumersi – oltre il diritto dovuto di esprimersi liberamente – la responsabilità di quel che scrive rinnovando la libertà del singolo individuo dinanzi al pubblico ludibrio che usa strumentalmente la libertà negata dal diverso. È invisa agli ideologi la dinamica liberatori che garantisce la crescita non soltanto dell'individuo, bens^ della società tutta, nelle dimensioni sociali, culturali e politiche. Non si può negare che l'ideologia permette il passaggio dalla speculazione filosofica alla politica grazie alla nascita dei partiti; nel contempo è doveroso riconoscere l'invadenza che l'idea deformata – si ricorda che è pur sempre frutto di un individuo il pensiero marxista o il pensiero maoista – connota all'atto dell'applicazione pratica. Ciò che è idea, non può divenire pratica: quando il passaggio diviene automatico, a generarsi sono limitazioni, cortocircuiti aventi base nella Storia medesima. Nel 2015 non si può assistere ad attacchi antisemiti, verso i disabili e cavalcarne l'onda per un tornaconto meramente strumentale per ottenere proseliti. La meta stessa dell'ideologia è fare proselitismo, figlio legittimo di una natura che, trasvalutando i valori non nella dimensione nietzscheana, ha ribaltato il ruolo dell'individuo, capace di accumulare energia soltanto attraverso l'energia succhiata, a mo' di vampiro, agli individui capaci di individuarsi. Quanto scritto non vuol essere una difesa della cultura del sospetto e del martirio che come vittime annunciate sempre determinate popolazioni; si scrive per portare in auge la dinamica farneticante di chi usa strumentalmente il pensiero di terzi per elaborarne un progetto di distruzione del tessuto sociale e annientamento di chi è responsabile. Scrivendo si è responsabili, sia nei confronti di chi legge, sia nei confronti di chi è oggetto dell'articolo e/o della riflessione. Mostrare le proprie idee, filtrate con l'occhio individuale, sostiene e rinvigorisce l'attitudine dell'essere umano di porsi domande. L'aspetto farneticante dell'ideologia - in particolare quella dell'Ultra destra romana in particolare – è la ferma convinzione che esprimere le proprie idee sia sfinimento morale di una supposta superiorità nella scala evolutiva. Le farneticazioni sono simpatiche perché deliranti e paranoiche come l'oggetto stesso dell'articolo, l'ideologia. James Hillman ricorda che la paranoia è già di per sé una via verso l'illuminazione che genera coscienza. Nel caso degli estremismi è foriera di autodistruzione.
Pur dissentendo da quanto scritto dalla filosofa Donatella Di Cesare riguardo Heidegger, sul quale si è scritto altrove, non si ammette che questa venga ritenuta degna d'essere minacciata e posta in pericolo da soggetti cresciuti nell'odio verso sé stessi e l'altro. Chi è l'Altro? Semplicemente – per chi usa violenza su terzi – quell'immagine deformante di sé stessi che non è in grado di individuarsi e cerca conferme attraverso la distruzione costante del diverso.
Il delirio non si presenta nelle parole citate nei quaderni da Martin Heidegger, al pari di come non si  manifesta una preclusione verso il mondo esterno alla cultura ebraica della filosofa. Le idee deliranti sono frutto di mancata integrazione tra le funzioni delineanti la tipologia psicologica: nel caso di Heidegger e della Di Cesare, attraverso gli scritti esce la dimensione intellettuale frutto di riflessione filosofica; nel caso di chi si oppone con la violenza, più o meno agita, si mostra l'accesso ad una dimensione ove l'individuo è incapace di sedare gli istinti. L'ideologia è puro istinto non mediato da atti razionali. La coesione di una comunità, raggiunta attraverso l'ideologia, è apparente. L'apparenza garantisce il galleggiamento e non l'individuazione che conduce al nucleo centrale dell'individuo, tanto personale da divenire – attraverso la riflessione – collettivo, perché mosso da idee.
La meta non è la distruzione, bensì l'integrazione del diverso. Se ciò non accade, gli individui posseduti dall'archetipo del supposto potere si porranno come meta l'eliminazione di chi dissente dal potere. Vale per l'ideologia di destra, di sinistra e per ogni forma distorta di idea che, attraversando l'illusorio spazio non contenuto dell'ideale, rende l'ordinario elemento che mina la stabilità del ritenersi il primo e per natura stra – ordinario.
L'ideologia è fuorviante: ogni forma d'espressione va relegata nell'oblio.
Cosa ne sarebbe della civiltà se trionfassero gli estremismi?
Oggi come ieri si affacciano dittatori celati sotto la bandiera della democrazia, quella democrazia apparente che ha generato la fine stessa del più grande Impero della Storia: l'Impero Romano.
È l'uomo che crea se stesso minando la sua esistenza con orpelli che disintegrano la sua stabilità.
Osservare il mondo non vuol dire deformarlo.

 

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