CLINICO CONTEMPORANEO
Attualità clinico teoriche, tra psicoanalisi e psichiatria
di Maurizio Montanari

Due scene di panico

Share this
25 maggio, 2015 - 19:23
di Maurizio Montanari

Per meglio comprendere l’attacco di panico è necessario inquadrarlo tenendo conto della molteplicità dei suoi aspetti. Questo comporta il rifuggire gli approcci unilaterali e le teorie che prescindono dal soggetto che ne soffre. La crisi di panico non è un evento generalizzabile, ma intimamente legato alla specificità della storia di chi ne è portatore. Il dap, prima di ogni definizione manualistica, è un evento che segna la vita e ne costituisce uno spartiacque. Un fenomeno complesso, non sempre ben identificato, la cui sottile differenza con l’affetto d’angoscia nella sua acuzie è oggi tema di studio e discussione. Un ospite indesiderato che non si fa annunciare ma irrompe nella vita del singolo. Non ci sono parole realmente efficaci per descriverlo , questo un clinico lo sa bene. Ma ancor meglio lo può testimoniare chi ne viene sopraffatto. Il terapeuta apre la porta a persone che cercano di parlare di quell’indicibile che sta loro accadendo, intenti a domare con le parole qualcosa che sfugge ad un’opera di classificazione; una crepa della propria casa che si espande mentre gli edifici del circondario appaiono saldi. ‘’Non so cosa mi stia succedendo’, ‘Sino ad oggi la mia è stata una vita tranquilla poi, di colpo….’, ‘Ho paura a prendere l’auto’, ‘Sto chiusa in casa da almeno due settimane..’. Questo è un piccolo esempio del repertorio di frasi con le quali si lancia una corda per aggrapparsi al mondo immune dal terremoto, nella speranza di poter placare la scossa non prevista da alcuno strumento. Il panico lascia uno stigma, si autoalimenta e conduce all’isolamento spezzando il legame sociale. E’ utile operare una distinzione tra il disturbo da attacco di panico che colpisce senza preavviso e la crisi acuta d’angoscia, della quale sovente il dap è il punto di arrivo. L’angoscia è un affetto connaturato all’uomo. Prima di divenire un elemento invalidante è il segnale di un’interrogazione interiore, legata all’opacità di un enigma, a situazioni che implicano una scelta. Una tensione che sopraffà senza che si sappia da dove venga, e a cosa tenda. Bisogna dunque, in via preliminare, mettere da parte la comune accezione negativa che si dà all’angoscia e intenderla come un elemento capace di aprire alla riflessione soggettiva . In alcuni casi l’angoscia può evolvere in uno stato paralizzante, tale da impedire il soggetto nel pensiero e nel movimento, culminando in malessere fisico e senso di costrizione . Il dap ha un tempo (ora) e un oggetto (il corpo), e nella maggioranza dei casi non presenta dei prodromi tali da permettere al soggetto che ne patisce di mettersi al sicuro prima della crisi. Allo stato visibile, dap e crisi d’angoscia sono fenomeni che appaiono identici nella loro manifestazione esteriore finale, quella che domanda aiuto. Tuttavia mentre l’angoscia introduce e modula il tempo della elaborazione personale, potendo il soggetto contare su alcuni punti che egli bene o male conosce ( ‘sono angosciato a causa di questa o quella questione, devo fare qualcosa per uscirne, ‘questo viaggio mi sta angosciando’, ‘l’idea di avare un figlio/cambiare lavoro mi blocca ..’), il dap non offre le stesse possibilità. Il panico implica una partenza da zero. Più sordo e monolitico, scardina la quotidianità dell’individuo e costituisce per lui un enigma in quanto evento senza precedenti. Il paziente che ne è colpito nella maggior parte dei casi giunge in un luogo di cura sprovvisto di un qualsivoglia appiglio simbolico al quale ricondurre questo stato inaspettato . Molti individui di fronte a scelte importanti della vita, avvolti dalla naturale angoscia che colpisce chi sta per decidere di muoversi in una direzione, cadono in una condizione di blocco che segnala un forte desiderio di cambiamento, il quale prima di dispiegarsi necessita di un momento di elaborazione per rimettere ordine tra la propria strumentazione simbolica.

La signora R, alle soglie di importanti scelte (lasciare un matrimonio ormai al termine ed accettare un’allettante proposta lavorativa), è colpita da forti crisi di panico. Queste crisi, anche notturne, sono ormai divenute una sorta di corazza che riveste la sua vita, dedicata alla cura dei suddetti dap: farmaci, telefonate a persone care, ricoveri. Le due questioni centrali che sta affrontando, sono ormai uscite di scena, totalmente occupata dai ripetuti attacchi. Nel corso del suo lavoro terapeutico, una volta ottenuta una sedazione farmacologia delle crisi, arriva a dire: ‘ di fronte a questa scelta sono invasa dal panico perché non so prendere una decisione’, aprendo ad una profonda rettifica personale che la porterà a lasciare il marito e accettare le nuove sfide lavorative . L’angoscia relativa a quelle scelte era diventata massime sino a paralizzarla, dovendo ella rispondere alla questione ‘Quale posto occupare rispetto a questa nuova realtà, traduzione del ‘Quale posizione devo tenere rispetto a quel posto dell’ io? ’ che è la domanda di fondo che alimenta l’angoscia nella sua dimensione interrogativa. In questo caso l’acuzie di questo affetto indica una scelta difficile, un conflitto interiore doloroso, ma non irrisolvibile. Segnala il desiderio di percorrere le nuove strade, ma , proprio perché sono sentieri che portano cambiamenti molto forti nella vita di R., colpisce con forza apparendo un impedimento. Si tratta in questo caso ‘Della lieve comparsa d’angoscia che si produce ogni volta che si tratta veramente del desiderio del soggetto . Parliamo dunque di un blocco dell’esistenza che può preludere ad una ripartenza, ad una ritessitura della trama della propria vita. In altri casi il panico si dimostra
un evento di portata tale da indurre ad un ripensamento delle scelte di vita che si stanno per compiere.          
M, che ha perso il bambino al terzo mese di gravidanza, tre anni dopo l’ evento è colpita da forti attacchi di panico. Non si capacita del perché. Il lutto è lontano nel tempo, ormai in via di elaborazione. La richiesta pressante del suo compagno di riprovare ad avere un bambino determina in lei una serie di crisi d’angoscia non gestibili. Ogni volta che si avvicina il momento fertile, o si appresta alla visita dal ginecologo, il panico la colpisce e le impedisce di andare avanti. Con la frase ‘ io non voglio ripetere quel che ho già provato’, sancisce la sua rinuncia a partorire, dimostrando di aver ascoltato il monito delle crisi le quali, al contrario del primo caso, sono una sorta di impedimento a procedere. In questa contingenza il dap costituisce un monito a non percorrere una strada per la quale l’individuo non possiede gli strumenti. Occupare di nuovo quel posto, ripetere la trafila di esami e visite mediche è per lei una prova verso la quale la spinta si è esaurita. In altri casi ancora, crisi d’angoscia si manifestano nel momento in cui sintomi strutturati cedono, perdono funzionalità o vengono eliminati medicalmente: è Freud a indicare che ‘ ogni formazione sintomatica sarebbe intrapresa unicamente per sfuggire all’angoscia’ Molte persone affette da disturbi del comportamento alimentare, vanno incontro a profonde crisi di angoscia nel momento in cui sono sottoposte ad alimentazione forzata e vedono il peso salire inesorabilmente senza che possano governare il meccanismo di controllo delle calorie. Nel caso altri sintomi nevrotici sappiamo che : ‘ Se si abbandona in strada un agorafobico, egli manifesta un attacco d’angoscia, se si impedisce a un nevrotico ossessivo di lavarsi le mani dopo un contatto, sarà preda di un angoscia quasi incontrollabile’ .   
La contrapposizione terapia breve- analisi interminabile, farmaco vs parola, non ha modo di sussistere se noi siamo clinicamante capaci di osservare la scansione temporale del cammino individuale. Un percorso psicoterapico individuale sovente è scelto anche da appartenenti ad un gruppo di auto mutuo aiuto. La persona che chiede aiuto perché le ‘crisi di panico’ gli stanno impedendo la vita, può scegliere di staccarsi dal terapeuta nel momento di un benessere raggiunto. E questo accade assai frequentemente. Altri invece possono aver scelto un trattamento farmacologico come terapia unica del proprio disagio, o come complemento ai percorsi prima citati. Dopo, solo dopo, accade che quello stesso individuo, messo al lavoro da ciò che egli ha saputo toccare, chieda di approfondire le questioni spinose che sente dentro di lui agire alla stregua di movimenti tellurici, e per le quali il cosiddetto ‘panico’ è stato solo un elemento di disvelamento. In quel momento si apre una fase qualitativamente diversa, non più focalizzata sull’emergenza sofferente che ha costituto il ‘casus belli’ che lo ha portato a domandare un aiuto, ma chiama in causa un opera di approfondimento, di rettifica. A questo punto non possiamo parlare dello stesso trattamento, quanto di un ‘riprendere le fila’ ad emergenza passata. Consapevoli, l’individuo e il terapeuta, che il panico può ripresentarsi, ma in modo tale da non fare più paura come prima. Trovando un soggetto che spesso ha ripreso a vivere, utilizza il farmaco al bisogno, lavora e coltiva i propri interessi. Un uomo che non è più quel mare gelato e terrorizzato che aveva visto il dap bloccare e compromettere le sue normali attività. Questa è l’essenza della multidisicplinarietà, la via più laica, l’unica praticabile nell’affrontare oggi il dap
 Al di la dell’etichetta diagnostica La grande diffusione del panico oggi, è anche legata ad una iperproduzione diagnostica del dap. Sovente la persona sofferente si rivolge al medico, al farmacista, all’ospedale, portando una richiesta spiazzante: ‘Aiutatemi, sono angosciato’. Il corpus medico risponde sovente cristallizzando il momento d’ angoscia insostenibile che il soggetto patisce etichettandola come ‘attacco di panico’, chiudendo fuori dalla porta la storia pregressa dell’individuo, pretendendo di curare il qui ed ora con una strategia centrata sull’attualità, senza tenere in considerazione i precedenti che hanno condotto alla richiesta di aiuto. Quando la prospettiva è totalmente riduzionista, si viene a creare una barriera farmacologia contro la quale va ad infrangersi qualsiasi barlume di interrogazione provenga dal soggetto. Più che di una diffusione epidemiologica del dap possiamo quindi parlare della distribuzione sistematica di un etichetta che scoraggia la rettifica soggettiva, e lavora per la segregazione introducendo ad una logica che favorisce il disabbonamento dalla propria interiorità. ‘E’ solo un attacco di panico’ è la frase che spesso condanna l’individuo ad una segregazione, il quale non incontra un apparato che sappia mettere al lavoro l’interrogazione che sta alla base del movimento d’ angoscia, quanto un surplus di rimedi pronto uso che chiude in un hangar un affetto sganciato dalla contingenza temporale.

Parte di questo scritto è stato pubblicato su http://rolandociofi.blogspot.it/
 

> Lascia un commento



Totale visualizzazioni: 2415