GALASSIA FREUD
Materiali sulla psicoanalisi apparsi sui media
di Luca Ribolini

Luglio 2015 I - Capacità di pensare

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12 luglio, 2015 - 13:32
di Luca Ribolini

CONSULENZA FILOSOFICA O PSICOANALISI? UN CONFRONTO TRA L’ESSENZA DELLE DUE PRATICHE 
di Paolo Cervari, huffingtonpost.it, 1 luglio 2015

In un recente intervento Umberto Galimberti – noto filosofo e psicoanalista – ha affermato: “Molta gente si sposta dal mondo psicoanalitico al mondo filosofico. Non dimentichiamo che la filosofia è anche una teoria della vita, è nata soprattutto per questo”. Ma è vero? Ci sono diverse questioni da considerare. Di certo è vero che la psicoanalisi ha molto meno successo di una volta, ed è vero pure che da qualche tempo, come dice ancora Galimberti, “si è diffusa oltre alla psicoanalisi la consulenza filosofica”. Lui parla degli Sati Uniti, ma la cosa è vera anche per l’Europa, specialmente nel Nord della stessa – si sa, noi arriviamo sempre dopo: mi dicono i colleghi olandesi che ad Amsterdam una persona su tre sa di cosa si tratta quando si parla di consulenza filosofica! Ed è vero anche, inoltre, che molte persone che un tempo si rivolgevano alla psicoanalisi oggi si rivolgono alla consulenza filosofica, probabilmente perché, come la psicoanalisi, la consulenza filosofica offre la possibilità di rivedere la propria visione del mondo e di sé stessi e offre così la possibilità di una conoscenza che assume la forma di un viaggio, di una ricerca, di una scoperta continua. D’altra parte va anche detto che la psicoanalisi e la consulenza filosofica non sono la stessa cosa, e qui si apre il dibattito. Quali sono le differenze? In primo luogo la psicoanalisi è spesso anche una psicoterapia, ma attenzione, non lo è necessariamente e anzi, secondo molti illustri psicoanalisti, tra i quali per esempio Jacques Lacan, non lo è proprio: lo scopo di una psicoanalisi non è “guarire” il paziente, che infatti Lacan chiama “analizzante”, esattamente come per il consulente filosofico il suo interlocutore è un “consultante”.
 
Segue qui:
http://www.huffingtonpost.it/paolo-cervari/consulenza-filosofica-o-psiconalisi_b_7682028.html
 

SIEDI ACCANTO A ME 
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 1 luglio 2015

Sessant’anni fa nella città di Montgomery, in Alabama, era tutto tranquillo fino a quando su un autobus salì un uomo che vide una donna negra occupare il suo posto. Niente di grave se, chiedendo scusa, costei si fosse alzata; ma Rosa Parks non si alzò. Avrebbe ceduto il sedile a una donna incinta, a un vecchio claudicante ma non a un robusto signore che lo pretendeva per via della pelle bianca. Si dice che le rivoluzioni somiglino ai cicloni, ma le vere rivoluzioni, quelle che nobilitano la nostra tragica Storia di massacri, avvengono nel silenzio, tanto che nessuno in un primo momento se ne accorge. Rosa non stette al suo posto – la sottomissione – e questo scatenò la fine del mondo, il mondo che ancora si reggeva sull’apartheid. Vent’anni prima Hollywood aveva regalato agli americani un malizioso aforisma: “Le donne non sanno di essere sedute sulla loro fortuna”; Rosa lo sapeva. Possedeva un tesoro che avrebbe fatto fruttare, non esibendolo in un cabaret ma semplicemente poggiandolo su quello che non era il suo posto, del tutto indifferente alle esortazioni dei misogini bianchi di levarlo di torno.

Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2015/07/01/siedi-accanto-a-me___1-vr-130352-rubriche_c497.htm
 
 

FRANKENSTEIN RELOADED. Il Golem era ritenuto incapace di pensare, di parlare e di provare qualsiasi tipo di emozione perché privo di un’anima rivo di un’anima che nessuna magia fatta dall’uomo sarebbe stata in grado di fornirgli 
di Raffaele K. Salinari, ilmanifesto.info, 4 luglio 2015 

«Ti chiesi io, Crea­tore, dall’argilla di crearmi uomo, ti chiesi io dall’oscurità di pro­muo­vermi…?». Così parla Adamo dopo la Caduta nei versi del Para­diso Per­duto di Mil­ton. Oggi que­sta rela­zione tra crea­tore e crea­tura torna pre­po­ten­te­mente di attua­lità, spe­cie se l’agente cau­sale della crea­zione è l’uomo stesso. È recente, infatti, la noti­zia del riu­scito tra­pianto, per la prima volta in Europa — in Inghil­terra — di un cuore espian­tato da un cada­vere, di un organo cioè cli­ni­ca­mente morto, con­sen­tito da una tec­nica di «ricon­di­zio­na­mento» dei tes­suti. Una meto­dica che apre la porta all’entrata nella vita reale di quell’archetipo dell’immortalità fisica attra­verso la rivi­ta­liz­za­zione della mate­ria orga­nica, già magi­stral­mente illu­strato dal Frank­en­stein o il moderno Pro­me­teo di Mary Shelley.
 
I Pro­me­tei del passato
Pro­me­teo: il Titano che rubò il fuoco dagli dei per donarlo all’umanità; da sem­pre il sim­bolo della libe­ra­zione dalla schia­vitù dell’ignoranza e l’anelito alla cono­scenza come fonte di libertà. Ma anche la meta­fora della hýbris, dell’orgoglio che vìola leggi immu­ta­bili, con la con­se­guente néme­sis, la puni­zione divina, in que­sto caso per una cono­scenza di forze supe­riori che si pos­sono rivol­tare con­tro chi non è in grado di gestirle, per­ché il livello evo­lu­tivo non è ancora in grado di disper­dere le ombre che sca­tu­ri­scono dalla loro luce. E così, prima del mostro gotico per eccel­lenza, la Crea­tura di Mary Shel­ley, altri ante­ce­denti mito­lo­gici e let­te­rari ci nar­rano della volontà dell’uomo di ricreare la vita imi­tando il suo stesso Crea­tore. Già nella Bib­bia, nel Salmo 139–16 infatti, com­pare la figura del Golem. Il ter­mine deriva pro­ba­bil­mente dalla parola ebraica gelem che signi­fica «mate­ria grezza» o «embrione», che gli Ebrei acco­mu­nano ad Adamo prima che gli fosse infusa l’anima.
Secondo la tra­di­zione caba­li­stica, dai poteri legati alla medi­ta­zione sui nomi di Dio si può fab­bri­care un Golem di argilla che può essere usato come servo. Si dice che il Golem sia stato creato attra­verso le for­mule con­te­nute nel Sefer Yetzi­rah — «Libro della for­ma­zione» o «Libro della Crea­zione» — il più impor­tante testo di rife­ri­mento dell’esoterismo ebraico risa­lente alla sapienza diAvra­ham, Abramo, che si distin­gue per l’esegesi dell’alfabeto e della cor­ri­spon­denza tra la dieci Sefi­rot e l’anatomia del corpo umano. Le Sefi­rot nella Cabala ebraica sono le dieci «ema­na­zioni» divine, cioè le moda­lità o gli «stru­menti» attra­verso cui Dio si rivela e con­ti­nua­ti­va­mente crea sia il Regno fisico che la Catena dei Reami meta­fi­sici supe­riori (Seder hish­tal­she­lus). Il Golem era rite­nuto inca­pace di pen­sare, di par­lare e di pro­vare qual­siasi tipo di emo­zione per­ché privo di un’anima che nes­suna magia fatta dall’uomo sarebbe stata in grado di for­nir­gli. Que­sto sot­tile dia­framma separa, almeno nella tra­di­zione caba­li­stica, il Crea­tore dall’uomo, inca­pace di gene­rare la coscienza di sé: ciò che distin­gue in essenza la vita supe­riore da quella inferiore.
Nelle sto­rie nar­rate da Ahi­maaz ben Pal­tiel, cro­ni­sta medie­vale del XII secolo, si narra come nel IX secolo il rab­bino Ahron di Bag­dad, sco­prisse un Golema Bene­vento: era un ragazzo cui era stata donata la vita per mezzo delle for­mule magi­che con­te­nute nel Sefer Yetzi­rah. Sem­pre alla fine del IX secolo, secondo Ahi­maaz, nella città di Oria, in Puglia, risie­de­vano dei sapienti ebrei capaci di creare il Golem. È inte­res­sante notare come le let­tere, che per la tra­di­zione caba­li­stica potreb­bero essere uti­liz­zate per creare un Golem, sono le stesse con­ser­vate nelle pic­cole Mezu­zah — con­te­ni­tori del deu­te­ro­no­mio — sim­boli di alleanza con Dio, che si tro­vano presso le porte di ingresso delle case ebraiche.
Ancora oggi, ad esem­pio nel ghetto di Vene­zia, è pos­si­bile osser­varle. La Mezu­zah viene fis­sata obli­qua, come la vita. La sua fun­zione è ren­dere coscienti dei pro­pri doveri. Per i mistici ebrei, dun­que, la vita non si illu­mina se non c’è volontà con­sa­pe­vole. I caba­li­sti dicono che solo così si può var­care Mal­khut: lasefirà ove la luce cam­bia dire­zione, pas­sando dalla discesa alla salita. In chi non ha meriti è il luogo ove si fa espe­rienza della Caduta; per chi eser­cita la retta inten­zione è invece l’inizio della tra­sfi­gu­ra­zione; evi­den­te­mente tra le rette inten­zioni non rien­tra la volontà di ricreare la vita. Tutte le leg­gende ine­renti il Golem, infatti, hanno in comune sia la volontà crea­trice dell’uomo che si vuole ele­vare a Demiurgo, sia la puni­zione divina per un’opera pro­me­teica che tra­va­lica le sue capa­cità. Non a caso la figura delGolem viene richia­mata nel romanzo della Shel­ley come ispi­ra­zione del dot­tor Frank­en­stein sia dal punto di vista dei limiti della crea­zione umana, anche laCrea­tura è appa­ren­te­mente senza anima, sia dal punto di vista della par­ti­co­la­ris­sima nemesi divina che si mani­fe­sta attra­verso l’attivazione di una oscura forma di coscienza da cui l’essere creato dall’uomo è comun­que in qual­che modo ani­mato e che fini­sce, pro­prio per que­sto, per rivol­tarsi con­tro il suo crea­tore che non lo rico­no­sce per ciò che egli sente di essere: un’entità forse non umana e tut­ta­via dotata di una con­sa­pe­vo­lezza pro­pria che vuole essere gratificata.
Tutti que­sti ele­menti sono magi­stral­mente rias­sunti nella vicenda delGolemcreato da Rabbi Loewe (1513–1609), cele­bre rab­bino in Praga, costrut­tore, secondo la leg­genda, di un poten­tis­simo essere di fango, usato come schiavo ma che, ad un certo punto, si ribella al domi­nio del suo dispo­tico crea­tore. La sto­ria narra come il Golem si rivol­tasse pro­prio per­ché non era rico­no­sciuto in lui lo «spi­rito», la sua vita equivalente. Nel XII secolo esi­steva una ver­sione della leg­genda secondo la quale, per ani­mare il Golem, veniva scritta sulla sua fronte la parola «verità», in ebraico תמא emet; quando veniva can­cel­lata la let­tera ini­ziale, l’Aleph, restava la parola «morte», תמ met, ed egli si disa­ni­mava. Un giorno il rab­bino lasciò il servo di fango da solo; arri­vata la sera il Golem trovò una sua forma di esi­stenza e libertà tra le pola­rità oppo­ste della vita e della morte. Ine­briato da que­sta nuova sen­sa­zione fuggì semi­nando panico tra gli abi­tanti del ghetto ed alla fine solo la pre­senza di un bam­bino, un essere come lui inno­cente, lo fermò. La scena finale è que­sta: il Golem si inchina dinanzi al bam­bino che, invece di can­cel­lar­gli la let­tera, acca­rezza tutta la parola, così che egli possa final­mentemorire, come un essere che ha vera­mente vissuto. Una ver­sione della leg­genda, illu­strata da Dino Bat­ta­glia e pub­bli­cato sulla rivi­sta Linus nel mag­gio del 1971, fini­sce con que­sta frase illu­mi­nate: «Chi potrà dirci cosa pen­sava Dio nel guar­dare il suo rab­bino in Praga?».
Altro essere creato dall’uomo attra­verso le arti arcane è l’Homun­cu­lusattri­buito, tra gli altri, a Para­celso, il cele­bre medico ed alchi­mi­sta sviz­zero (1493–1514), il cui vero nome era Phi­lipp Theo­ph­rast von Hohe­n­heim. Nel testo del suo De natura rerum, per la verità più pro­ba­bil­mente un testo pseu­do­pa­ra­cel­siano, tro­viamo una ricetta in pro­po­sito, che parte da uno sper­ma­to­zoo (la fonte di vita), oppor­tu­na­mente alle­vato: «Se la fonte di vita, chiusa in un’ampolla di vetro sigil­lata erme­ti­ca­mente, viene sep­pel­lita per qua­ranta giorni in letame di cavallo e oppor­tu­na­mente magne­tiz­zata, comin­cia a muo­versi e a pren­dere vita. Dopo il tempo pre­scritto assume forma e somi­glianza di essere umano, ma sarà tra­spa­rente e senza corpo fisico. Nutrito arti­fi­cial­mente con arca­num san­gui­nis homi­nis per qua­ranta set­ti­mane e man­te­nuto a tem­pe­ra­tura costante pren­derà l’aspetto di un bam­bino umano. Chia­me­remo un tale essere Homun­cu­lus, e può essere istruito ed alle­vato come ogni altro bam­bino fino all’età adulta, quando otterrà giu­di­zio ed intelletto».
Que­sta tra­sfi­gu­ra­zione gui­derà anche la crea­zione dell’Homun­cu­lus nelFaustII di Goe­the. A que­sto pro­po­sito Pie­tro Citati, nel suo Goe­the, osserva che la meta che Faust si pro­pone è la più alta meta sim­bo­lica che Goe­the abbia mai pro­po­sto agli uomini: redime e sal­vare la natura. Da notare anche in Para­celso, come poi sarà in Frank­en­stein, il rife­ri­mento alla «magne­tiz­za­zione» come forza agente della rivi­ta­liz­za­zione di sostanze orga­ni­che, che tro­viamo già nel ‘700 ad ani­mare un «falso automa» per eccel­lenza, il Turco del barone unghe­rese Wol­fgang Von Kem­pe­len. Anche que­sta fan­ta­stica mac­china, infatti, capace di gio­care a scac­chi e di scon­fig­gere i più grandi scac­chi­sti euro­pei ed ame­ri­cani di quel secolo, si diceva fosse ani­mata dal «magne­ti­smo ani­male» stu­diato da Franz Anton Mesmer (1734–1815) e dun­que noto con il nome di «mesmerismo».
La noto­rietà del «mesme­ri­smo» è tale che Mozart, nel finale del primo atto della sua cele­bre opera Così fan tutte, fa «resu­sci­tare» Fer­rando e Guglielmo dalla came­riera Despina la quale, tra­ve­stita da medico, ria­nima i due ser­ven­dosi di una cala­mita, men­tre canta: «Que­sto è quel pezzo di cala­mita: pie­tramesme­rica, ch’ebbe l’origine nell’Alemagna, che poi sì cele­bre là in Fran­cia fu». Va detto che anche E. A. Poe, inda­ga­tore del segreto del Turco, era un seguace del «mesme­ri­smo», tanto da scri­vere alcuni cele­bri rac­conti sull’argomento, tra i quali Rive­la­zione Mesme­rica (o Magne­tica), in cui rac­conta di un sog­getto «mesme­riz­zato» che, in punto di morte, comin­cia a descri­vere la vita nell’aldilà. Qui lo scrit­tore dei più avvin­centi rac­conti dell’orrore senza nome rove­scia, in que­sto modo, l’archetipo delle crea­zione della vita mon­dana in quella dell’aldilà.
 
Segue qui:
http://ilmanifesto.info/frankenstein-reloaded/


SPOLETO58: NICCOLÒ AMMANITI ED EMANUELE TREVI AGLI INCONTRI DI PAOLO MIELI 
di Leonardo Perini, tuttoggi.info, 4 luglio 2015

Due grandi scrittori italiani hanno chiuso la quarta giornata degli Incontri di Paolo Mieli, in corso di svolgimento nell’ambito del Festival dei 2Mondi di Spoleto. Niccolò Ammaniti ed Emanuele Trevi hanno parlato di sé e del loro universo personale e letterario con il grande giornalista. “Sono arrivato a metà degli anni novanta – racconta l’autore di “Io non ho paura” -, quando sembrava che la letteratura fosse finita con De Carlo e prima ancora con Calvino. Non era così. Io mi sono molto divertito a scrivere, soprattutto quando ero più giovane. Ora che è un vero e proprio lavoro, faccio più fatica”. “Io – spiega Trevi – ho iniziato nella critica letteraria e scrivo ancora abitualmente sui giornali. Per me un articolo è un libro corto e un libro è un articolo lungo. Tutte le idee che mi sono venute hanno un germe in un articolo”. Figli entrambi di figure note nella cura del cervello, lo psichiatra Massimo Ammaniti e lo psicoanalista junghiano Mario Trevi, i due scrittori hanno dovuto fare i conti con il confronto con la figura paterna.
 
Segue qui:
http://tuttoggi.info/spoleto58-niccolo-ammaniti-ed-emanuele-trevi-agli-incontri-di-paolo-mieli/281776/
 

GRECIA, QUELLE ANALOGIE CON LE CINQUE GRANDE CRISI DELL’ARGENTINA 
di Roberto Da Rin, ilsole24ore.com, 4 luglio 2015

Grecia e Argentina sono Paesi lontani e la struttura delle due economie presenta caratteristiche ben diverse. Ma vi è un comune denominatore: entrambi i Paesi sono stati investiti da cinque crisi, distinte ma interrelate: finanziaria, economica, politica, sociale e giudiziaria. Proprio 15 anni fa Buenos Aires entrava nel tunnel di un disastro annunciato, per poi implodere nel dicembre del 2001. Nelle preoccupazioni che Atene genera ogni giorno, vi sono molte analogie con la grande crisi dell’Argentina. Oggi come allora viene presentata una ridda di ipotesi, ricette ortodosse e soluzioni radicali. Nel caso della Grecia quelle di Mario Draghi e quelle di Yanis Varoufakis, l’austerità di Wolfgang Schäuble e il “pensiero laterale” di Alexis Tsipras. Nel caso dell’Argentina le scelte di Domingo Cavallo, l’economista che introdusse la parità fissa tra peso e dollaro, e l’inflessibilità del Fondo monetario internazionale; sull’altro fronte, quello dell’eterodossia argentina, la spinta verso la rottura del Washington Consensus e l’avvio di una politica economica con un’architettura post-keynesiana disegnata in contrapposizione ai desiderata di Washington.

Segue qui:
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-07-04/quelle-analogie-l-argentina-095454.shtml?uuid=AC1FunL

ECCO PERCHÉ ODIO E AMO L’ENIGMA CÉLINE 
di Julia Kristeva, repubblica.it, 7 luglio 2015

LOUIS Ferdinand Destouches, detto Céline (1894-1961), non cessa di suscitare emozioni e indignazioni. La prova: la continua riproposta delle sue opere. Alcuni plaudono al coraggio degli editori, e necessariamente a quello dello scrittore che scava con il bisturi del medico in fondo agli esseri umani, che il genio di questo viaggiatore al termine della notte chiamava «opera del diluvio». Altri bacchettano questo incensamento di cui non dovrebbe essere onorato l’autore antisemita di “Bagatelle per un massacro”. Molti di voi ne hanno sentito parlare. Pochi l’hanno letto, lo so, non dite il contrario. Se mi arrischio a parlarne, è in primo luogo perché quegli scritti non sono solo letteratura: toccando tutte le corde della lingua, Céline mette a nudo l’inconscio fino all’insostenibile, e fa ridere l’essere parlante della sua stessa bestialità. D’altro lato, e al tempo stesso, la sua angoscia distrugge quella barriera di sicurezza chiamata sublimazione e si compiace in un’eccitazione mortifera alla quale la storia europea offre una via discarico: l’antisemitismo. Céline attraversa la vita e la morte in un’esperienza che lo spoglia della sua identità e lo conduce all’apice della sua eccitabilità e delle sue angosce. Una esperienza come quella che crea mistici e che i filosofi (da Hegel a Heidegger) cercano di delucidare a posteriori? Con una differenza, e si tratta di una differenza radicale: che Céline pratica la sua esperienza e ce la consegna nella lingua più curata che ci sia: il francese «regale», dice. Fino a farlo vibrare in danza e in musica, e portarlo ai limiti del senso, ebbro del solo piacere dell’esattezza della parola e del ritmo, per piangere d’orrore e di risa.
 
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/07/07/ecco-perche-odio-e-amo-lenigma-celine46.html?ref=search
 

IL SEGRETO DELLA FELICITÀ CONTINUA A SFUGGIRCI 
di Oliver Burkeman, internazionale.it, 7 luglio 2015

Tutti amano la terapia cognitiva comportamentale (tcc). Ha solide basi scientifiche ed è il sistema più pratico, veloce e relativamente economico per alleviare la sofferenza mentale, senza tutte quelle fesserie di Sigmund Freud. Perciò è stato piuttosto sconcertante scoprire, in un saggio pubblicato dalla rivista Psychological Bulletin, che con il passare del tempo sembra risultare sempre meno efficace. Dopo aver analizzato 70 studi condotti tra il 1977 e il 2014, i ricercatori Tom Johnsen e Oddgeir Friborg sono giunti alla conclusione che per la cura della depressione la tcc funziona solo nel 50 per cento dei casi rispetto al passato.
Che cosa sta succedendo? Un’ipotesi è che, quando una terapia diventa molto popolare, aumenta la percentuale di terapeuti inesperti o incompetenti. Ma l’articolo suggerisce una spiegazione ancora più interessante: quella dell’effetto placebo. La pubblicità iniziale aveva fatto credere che la tcc fosse una cura miracolosa, e quindi per un certo periodo di tempo aveva funzionato come se lo fosse davvero. Oggi, invece, è molto più probabile che si conosca qualcuno che l’ha provata e non è miracolosamente guarito dalla sua infelicità. Le nostre aspettative si sono ridimensionate, e di conseguenza anche l’efficacia del metodo è diminuita. Johnsen e Friborg temono che il loro articolo peggiori le cose riducendo ulteriormente le aspettative.
 
Segue qui:
http://www.internazionale.it/opinione/oliver-burkeman/2015/07/07/felicita-teoria-comportamentale
 

IL NUOVO CUORE DI SUSANNA TAMARO 
“Volevo scrivere da tempo un’autobiografia spirituale, per raccontare il cammino interiore di una bambina” 
di Raffaella Silpo, lastampa.it, 7 luglio 2015

Un palombaro trascinato a fondo mentre gli allegri nuotatori sguazzano in superficie. Una bambina speciale, diversa, solitaria, cui le maestre d’asilo profetizzano una fine in manicomio. Una bambina che va dove la porta il cuore, come da titolo del suo romanzo più famoso, ma in modo del tutto razionale, perché il suo è Un cuore pensante. Il nuovo libro di Susanna Tamaro porta il titolo della sua rubrica su Avvenire ed è una citazione da Etty Hillesum («Lasciate che io possa essere il cuore pensante di questa baracca»): «La considero, da quando la lessi a 20 anni, una compagna di ricerca e di vita. Non vedevo l’ora di dedicarle un omaggio». Il suo «diario dell’anima» alterna lampi di ricordi personali a vibranti prese di posizione sull’attualità: «Volevo scrivere da tempo un’autobiografia spirituale, raccontare il mio cammino interiore». Tamaro procede distillando i pensieri, quasi trasformandoli in «folgorazioni, adatte a un tempo in cui va di moda la brevità – dice -. La vita è così piena che anche il modo di leggere è cambiato». Il tentativo è «cogliere il respiro più grande che ci avvolge» contrastando la deriva del tecnoefficientismo «che non lascia spazio ai più deboli, a valori come la mitezza e la gentilezza, perché abbiamo rimosso l’Ombra nell’anima di ciascuno di noi».
Lei è stata una bambina «diversa» negli Anni 60, quando si prestava molta meno attenzione alle difficoltà psicologiche. Eppure guarda con diffidenza alla medicalizzazione del disagio di oggi. Come mai?  
«Per i “diversi” la vita era indubbiamente più dura ieri, invidio la felicità dei bambini di oggi che hanno un’esistenza apparentemente semplice, facilitata: messi in strada, dove vivevamo noi, senza rete, crollerebbero dopo un giorno. Ma qualche ostacolo nella vita non fa male, fortifica, prepara alle sfide future: bisogna potersi confrontare con sfide forti, fin da piccoli».
Davvero un aiuto psicologico da piccola per lei sarebbe stato inutile, se non dannoso?
«Non mi fraintenda: amo il pensiero psicanalitico, sono triestina, nata nella Mitteleuropa, un mio avo è Bruno Veneziani, cognato di Italo Svevo, che conosceva benissimo Freud e Jung. Mia nonna, presenza fondamentale nella mia vita, citava gli scritti dei padri della psicanalisi e li riteneva culturalmente affascinanti, ma senza poteri taumaturgici. Per carità, nutro rispetto per le terapie brevi, sono una stampella, un aiuto, ma attenzione, creano dipendenza. Gestire la complessità dell’animo umano non è cosa da niente».
 
Segue qui:
http://www.lastampa.it/2015/07/07/cultura/tuttolibri/il-nuovo-cuore-di-susanna-tamaro-XaSmDX1lG6JuYIJzC7iycN/pagina.html
 
 
 Video

“E LASCIATEMI DIVERTIRE”: L’IRA, CON MASSIMO RECALCATI E ALTRI OSPITI 
da rai.tv, 4 luglio 2015

L’intervento di Massimo Recalcati è a 4′ 47” dall’inizio della trasmissione.
Vai al link:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-30080eff-741e-482b-8c2c-500c682e828b.html 

I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
 
Da segnalare le seguenti rubriche: "Laicamente, Dialoghi su psichiatria, arte e cultura" di Simona Maggiorelli, al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/5673
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
 
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

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Su Céline e Kristeva.

Leggendo le non facili pagine della Kristeva, riesco meglio a comprendere il valore di un certo tipo di intellettuali, rimasti rigorosi e coerenti nei confronti di un corpo sociale che li ha allontanati, prendendone le distanze quasi come esseri infetti. La psicoanalisi insegna che l’uomo e il suo sistema simbolico si costituiscono attraverso la costruzione di barriere tra l’osceno (la sozzura) , escrementi, sangue, saliva, i quali , limitati da una ben definita linea di demarcazione dopo l’espulsione, sono destinati a non essere toccati o maneggiati ( se non, appunto, con disgusto), pena l’ammenda. ‘Non giocare con i tuoi escrementi’ è l’imperativo categorico che tutti noi abbiamo subito e dispensiamo ai nostri figli. Ciò che determina il lordo, l’immondo, è appunto il pulito, il lindo, il lecito. Che può definirsi come tale solo grazie all’esistenza del suo contraltare. E viceversa. Tra i due sistemi non ci sarà mai comunicazione se non in casi, appunto, di perversione. Il passaggio che Kristeva fa parlando di Céline è esemplare. Egli si occupò di indagare quello ‘sporco’ che la Francia non voleva vedere, testimone di Vichy e dell’antisemitismo assai diffuso all’epoca in cui LFC Scriveva. O si pensi alla veemente accusa contro Sartre e tutti gli intellettuali in fondo conniventi con quel regime , senza mai sporcassi troppo, velo squarciato su legami non ufficiali, ma reali. La cesura tra i due mondi era radicale ed irrimediabile, quanto le due posizioni erano l’una elemento costituente dell’altra (nel Viaggio al Termine della Notte, sono ben chiare le atmosfere coloniali sulle quali la Francia costruì la sua fortuna). Solo una netta distanza permise ai due mondi di vivere distanti, necessari l’uno all’altro. Come accade oggi. Ovunque, Dunque in questo caso è chiara la funzione dell’intellettuale che si sporca le mani con le cose schifose della madre patria, e per questo suo agire perverso, viene messo fuori contesto. Da qua la cifra del vero intellettuale che non è sufficiente definire ‘contro’, quanto ‘altro’ Distante, isolato perché compromesso con le sozzure indicibili sottoposte ad interdetto. Intoccabile. Scrive Julia Kristeva: ' inizialmente la sporcizia non è una qualità in sè, ma si applica solamente a quanto si riferisce a un limite, e più in particolare rappresenta l'oggetto caduto di questo limite, l'altro suo aspetto, un margine. (Poteri dell'orrore. Spirali. p. 78). Céline incarna questo limite. La sua lucida analisi della sozzura, dell'orrore della Francia coloniale, del capitalismo e del Comunismo, l'aver dunque visto il lato oscuro, celato, di ogni rappresentazione che diviene quindi allegorica, lo pone come guardiano, gestore del passaggio codificato tra i due mondi, affinché l'uno possa sostenersi in forma negativa dell'altro. Fu, con il suo argot, l'inventore di una neo lingua, la sola che servì da cesura rinnegata dalla Francia tra il mondo abitabile e quello che tutti sanno esistere, ma al quale non vogliono accedere. Céline è colui il quale coglie e narra quel ' che non si confessa, ma si sa comune'. Céline è quell'abbietto che, come dice Kristeva, ' si separa, erra anzichè riconoscersi'. Céline fu tutto questo. E pagò un prezzo alto nel voler venire meno a questa sua funzione di guardiano silente dello scambio tra i due mondi, di controllore dei canali in entrata e uscita tra mondo legale e mondo illegale, sbattendo in faccia ai proprio connazionali l'oscenità della normale collusione tra i due universi. Céline era un kynico, termine usato da Zizek per definire chi mina coscientemente gli apparati dell’ideologia dominante, al fine di esporre gli interessi corrotti che si celano dietro le dichiarazioni ideologiche. Al contrario il cinico è ‘ ben consapevole degli interessi particolari che sono alla base degli assiomi ideologici, ma (..) sostiene e riproduce i medesimi apparati ideologici come se ne fosse inconsapevole’ 'Tutto quello che è interessante accade nell'ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini' è una delle sue frasi piu' pregnanti in tal senso . Quale è dunque il destino di questi 'delatori' del malcostume sotterraneo? Questi novelli infanti che, dopo anni passati sulla diga che separa il mondo grigio da quello regolato, si lanciano nella più' provocatoria delle esclamazioni , ' il re è nudo' ? L'isolamento. La deriva. La marginalizzazione preceduta dalla reprimenda sociale qualora osino strappare la tendina che separa i due universi. Orit Yushinsky sostiene che il Céline del 'Viaggio al termine della notte' 'gode dello svelamento dei rozzi interessi che si celano dietro le pretese ideologiche', ponendosi al contempo come gestore del limite, ma preso dal desiderio di tenere aperto lo squarcio che cela l'abbietto sul quale la società benpensante si fonda, e si sostiene’.Solo con questo apparato simbolico l'individuo può sostenere determinate affermazioni ideologiche mantenendo in pratica le proprie convinzioni sconfessate. Si pensi ad esempio alla promiscuità sessuale, e l'adesione all'ideologia moralizzante (censoria nei confronti della prostituzione) che permette di tenere celata l'inconfessabile spinta a frequentare i bordelli. LFC pagò, come hanno pagato uomini come Snowden, Julian Assange, o gli ufficiali che sapevano dell'uso dell'uranio impoverito, per molto tempo obbedienti custodi del finto confine tra questi universi. Hanno pagato con l'infamia, con la gogna, con la rabbia degli abitanti dell'uno e dell'altro mondo, entrambi infastiditi dal loro aver scoperchiato quel calderone del quale tutti sapevano, e che per tutti stava a tacito fondamento dell'ordine della città. Lo dice bene Dostoevskij: ‘ E, del resto, sapete che vi dico? Io sono convinto che noialtri uomini del sottosuolo, dobbiamo essere tenuti al guinzaglio. Siamo capaci di starcene magari per quarant’anni rinchiusi in silenzio, nel sottosuolo., ma se una volta riusciamo a liberarci e a tornare alla luce, allora cominciamo a parlare, parlare, parlare..’ Nel suo voler a tutti i costi tornare in Patria, incombente con le parole e col corpo che si lascia degenerare a Medoun, troviamo negli atti quel che Julia Kristeva dice sull’abbietto che :’ Risulta come gettato colui per il quale l’abbietto esiste e cioè (si) pone, (si) separa, si situa e erra anziché riconoscersi, desiderare, appartenere o rifiutare’. Céline è più di ogni altro quel viandante ‘smarrito’ in una ‘notte senza fine’ Céline non è mai monotono, pur con la sua scrittura ‘cattiva’. Non scivola mai nella ripetizione estenuante delle noiose righe sadiane, intrise di un godimento senza interesse, sempre identico a sé stesso, mai nuovo per chi ascolta. Cinico, appunto. Il brutto di Céline è intimamente divertente e scorrevole, mai banale. Non c’è alcun desiderio di apparenza dietro al suo volersi seppellire tra gatti e scartoffie. E’ un dolore vero, di chi non teme alcuna accusa di vittimismo. Lui è a tutti gli effetti un arto strappato dal corpo letterario francese, che rimane monco senza dolore, lasciando a lui tutto il male della lacerazione. Su questo non c’è scampo, politico o morale. I reietti della città, vivono e sono in bella evidenza proprio per permettere alla parte ‘buona’ della polis di esistere, e di compiacersi nella propria immagine. Le cene per i poveri, la raccolta indumenti o giocattoli per i disgraziati delle case dimenticate, sono la quotidiana passerella sulla quale il ‘buon cittadino’ cammina esibendo la sua appartenenza e le sue buone doti, rigorosamente in una zona libera dalla povertà, dalla sozzura e dal disagio. Senza i quali, la sua stessa appartenenza sarebbe messa in discussione, obbligando ad un vagare in una infinta zona franca, libera, nella quale ricchi e poveri, malnati e privilegiati, sfigati e imbellettai possono incontrarsi col rischio di confondersi. L’insopportabile reale di Céline, poteva essere allontanato con la bellezza: la forma dello stile, le gambe delle ballerine. Essere stile anzitutto. La scrittura come sintomo, come punto di tenuta e galleggiamento sulle acque del fiume sporco. 'Il francese è una vecchia lingua, secca, decrepita’. (..) 'Io sono uno stilista, solo questo. Mi importa solo lo stile, dunque solo il colore’ Le sue opere sono una condanna a scavare sino all’osso nel lato oscuro dell’umanità. Il dr Destouches fa il medico e va al fronte. Il medico conosce la malattia, la caducità dei corpi. ‘…. In guerra conosce la violenza e la sopraffazione come regola di vita, come elemento ineliminabile dell’essere umano. Céline non trova alcuno scampo, alcuna consolazione. Né nell’uomo, né nelle ideologie. Céline svela la mostruosità del sistema produttivo americano, nonché la brutalità del sistema sovietico. Céline fugge tutta la vita in cerca di quelle piccole bellezze che rendono sopportabile questo viaggio ( ‘ un lampo di luce che finisce nella notte) Dopo tutto quel peregrinare egli confessa la sua obbedienza totale alle lettere, la sua condanna a scrivere. Un godimento malefico dal quale non riesce a liberarsi. Un uomo che ha visto e patito tutto il buio degli uomini, scoprendo mentre avanzava che non esiste speranza né luce. La sola possibilità è un identificazione totale, una immedesimazione che da stordimento alla scrittura, all’estetica dell’argot. Sarebbero sue le frasi della serie televisiva 'True detectives' 'Sai cosa farebbe la gente se non credesse in Dio?' 'No' 'Le stesse cose che fa ora. Ma alla luce del sole'

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