A PROPOSITO DEI 40 ANNI DELLA LEGGE 180

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8 aprile, 2018 - 09:29
Il quarantennale della legge 180 dovrebbe rappresentare anche una occasione di riflessione per quanti oggi lavorano nei servizi pubblici con risorse sempre più limitate, problematiche forensi sempre più complesse, nuove dipendenze, e senza innovazioni fondamentali in ambito farmacologico, così come invece sta accadendo in altri settori della medicina, a partire dall’oncologia.
Senz’altro si sono rafforzate le evidenze scientifiche, ormai quasi generalmente riconosciute e condivise, sulla multifattorialità dei disturbi psichiatrici più gravi.
La riconosciuta interazione delle diverse componenti psicologiche, biologiche e sociali, a seconda dei casi più o meno rilevanti, dovrebbe delineare percorsi di cura condivisi.
E’ quanto già avvenuto con l’approvazione, nella Conferenza delle Regioni del 13 /11/2014, della definizione dei percorsi di cura da attivare nei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) per i disturbi schizofrenici, i disturbi dell’umore e i disturbi gravi di personalità.
Sempre più consenso e rilevanza stanno inoltre assumendo i processi di recovery e il budget di salute. Ma, ad oggi, stante le risorse disponibili, sono attuabili su tutto il territorio nazionale?
Una seconda problematica nasce dalla previsione nel Piano Nazionale di Azioni per la Salute Mentale (PANSM), di tre modelli di intervento clinico – organizzativi, anch’essi condivisibili: la collaborazione/consulenza, l’assunzione in cura e la presa in carico. Troppo spesso, però, nei DSM si deve fare una scelta di priorità tra i 3 modelli. E il buon senso ci indurrebbe ad intervenire in primo luogo nella presa in carico, con un percorso di trattamento integrato per gli utenti che presentano bisogni complessi, con un Piano di Trattamento Individuale.
Ma non possiamo tener conto del seguente dubbio: se non intervengo prima, anche per gli utenti che necessitano esclusivamente di trattamento specialistico continuativo o di cure specialistiche non continuative, non rischiamo che con il tempo gli stessi bisogni diventino complessi?
Una terza problematica che si trovano ad affrontare gli operatori  dei servizi pubblici, correlata alla evoluzione della giurisprudenza negli ultimi 40 anni, è legata alla posizione di garanzia, per la quale sono chiamati a rispondere non solo gli psichiatri ma ormai tutti le figure professionali sanitarie dei DSM.
La linea maestra delle cure appropriate rischia di entrare in contrasto con il possibile ritorno di un nuovo mandato di controllo agli stessi servizi territoriali.
Va, infatti, anche considerato che con la giusta e definitiva chiusura degli Opg e con il nuovo ordinamento penitenziario, chi prima era internato o detenuto, quando le condizioni cliniche -organizzative lo consentono, dovrebbe essere preso in cura dai servizi del dipartimento di salute mentale.
Una ultima riflessione dovrebbe riguardare la tutela della mentale e la riabilitazione nell’età evolutiva. Un ambito fondamentale, prima considerato una cenerentola in confronto alla cosiddetta psichiatria per gli adulti, ma che dovrebbe rappresentare invece il luogo prioritario degli interventi preventivi, a partire dal periodo dell’adolescenza, oggi senz’altro più difficile, e pieno di insidie rispetto a 40 anni fa.
Su queste queste problematiche, e anche su diverse altre, non solo gli operatori, ma anche il mondo delle associazioni dei familiari e del volontariato, la stessa cooperazione sociale, dovrebbero confrontarsi, con un rinnovato coinvolgimento anche degli attori istituzionali, a partire dal prossimo Governo e dalle Regioni.
Arrivando, in tempi brevi, alla realizzazione della seconda conferenza nazionale per la salute mentale, con precisi impegni delle istituzioni competenti, anche in termini di risorse, per ridefinire le modalità di attuazione dei principi della 180, per non ritornare alla passata logica manicomiale, e per dare nuove speranze di cura e di guarigione.
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