Editoriale
il punto di vista di Psychiatry on line Italia
YES WE COULD, PER UNA POLITICA DELLA BELLEZZA
31 agosto, 2015 - 07:51
L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più niente da fare al mondo! La scienza stessa non resisterebbe un minuto senza la bellezza. (Fëdor Dostoevskij)
(Immagine di Aglaya per POL.it)
La bellezza è nutrimento dell’anima.
Come dice il poeta inglese Keats “La bellezza è verità, la verità è bellezza”. Noi abbiamo bisogno di una Politica che sappia percepire ed esprimere la bellezza e capire quanto sia importante “praticarla” come un mantra che colori gli atti e provi a contornare con essi la vita dei cittadini che, forse, purtroppo vanno rieducati al godimento che ne deriva, ma le cose buone s’imparano in fretta…
Esiste dunque una “POLITICA DELLA BELLEZZA” ovvero un ideale racchiuso nella parola che può e deve essere una costante fondante di ogni buon governare e che ha declinazioni ben più vaste di un semplicistico e riduzionistico richiamo all’estetica.
Praticare la “bellezza” nel governare vuol dire avere in mente la sostenibilità ambientale delle nostre scelte, vuol dire considerare il benessere non solo dal punto di vista economico ma della qualità del vivere, vuol dire fare sistema mediando tra le esigenze di sviluppo e la piacevolezza del vivere e del soggiornare, vuol dire avere coscienza che i servizi sono essenziali per l’appetibilità di un territorio e per la sua capacità di attrarre nuovi investimenti, vuol dire voler bene e insegnare, con le buone pratiche, a voler bene ai beni comuni, difendendoli quando è il caso con durezza e senza falsi populismi che nascondono in realtà l’incapacità di prendere decisioni.
Praticare la “bellezza” nel governare vuol dire anche avere cura dei dettagli e delle conseguenze degli atti nell’ecosistema umano in cui vanno a impattare, vuol dire fare anche piccole cose ma con grande cuore, avendo sempre in mente l’insieme e non solo il simbolo o l’emergenza del momento, anche se i simboli contano ma spesso, purtroppo, vengono disattesi o negativamente espressi.
Praticare la Politica della “bellezza” vuol dire anche considerare l’arredo urbano, la manutenzione e la vivibilità come elementi ineludibili e costitutivi della riconquista del territorio da parte delle persone, che riescano a “sentirsi” a casa propria percorrendo le vie di una città accogliente ed amica e proprio per questo anche intransigente nei confronti di atti o azioni che quel territorio lo rendono inospitale insicuro trascurato, brutto insomma.
Praticare la Politica della “bellezza” vuol dire anche e soprattutto lavorare per recuperare il senso di civica appartenenza a una comunità madre accogliente e non matrigna lontana dal sentire delle persone rese straniere in casa propria.
Praticare la Politica della “bellezza” vuol dire anche e soprattutto cominciare a fare le cose che servono davvero e tra esse scegliere quelle che si possono realizzare con poca spesa e tanta fantasia.
Una di queste è certamente la proposta di imparare dalle buone pratiche messe in atto altrove (New York City) e istituire Public Area diffuse nelle città, quale passo concreto visibile e, per me, mutativo del rapporto dei cittadini col territorio che, negli spazi pubblici, in realtà gli appartiene.
Io non credo ai messaggi teorici e alle parole a cui non seguano i fatti, per questo proseguendo nel tema dell’apertura di Public Area nel tessuto urbano di Genova ho proposto una prima serie di siti in cui valutare la possibilità di aprire appunto spazi attrezzati dove la gente può tornare a stare, risocializzando la propria vita, apertura che vuol dire lo sottolineo: recupero urbano, incremento della vivibilità degli spazi, senso di accoglienza, controllo del territorio non più abbandonato.
Aprire Public Area dotate di tavoli sedie e Wi-Fi NON E’ una soluzione magica a tutto, ma è un passo concreto, vero, tangibile che un buon governo di un territorio può e deve fare non perdendo di vista tutta la complessità di una metropoli ma neppure nascondendosi dietro al comodo dito del “ci sono sempre altre priorità” o del “non riusciremo mai a mettere d’accordo troppe teste”: governare bene vuol dire avere in mente un progetto e saperlo imporre per la sua forza mutativa, non con la forza costrittiva.
E’ evidente che per raggiungere un risultato di tal fatta occorre del tempo e occorre soprattutto che la politica si faccia carico di creare i presupposti di sistema perché nasca una sinergia positiva tra pubblico e privato dove il “pubblico” interesse si possa sposare con il “privato e legittimo” guadagno: l’ecosistema della bellezza è anche questo e va perseguito in una logica in cui non ci è tutto dovuto, ma ciò che facciamo lo facciamo per un interesse sociale da cui possiamo poi trarre un privato ritorno.
Enti e associazioni, privati e volontari, organi di governo e forze dell’ordine sono da coinvolgere in un progetto di tal fatta NON per porre veti incrociati ma per cooperare al bene comune trovando e cercando le soluzioni possibili anche ai bizantinismi della burocrazia.