PENSIERO PSICOTICO E ISTITUZIONE

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12 aprile, 2017 - 14:32

Se la malattia mentale è un lungo taglio, un arresto una dislocazione nella trama psicosociale, la problematica della continuità e discontinuità rinvia immediatamente alla fenomologia del tempo.

Persso Henri BERGSON la nozione di tempo pone già la problematica della continuità e discontinuità della nostra vita interiore e della nostra relazione con il mondo.

Il tempo che passa è un tempo vitale e sintonico che dipende dalla durata, dall'intenzionalità e dal significato dell'istante.

Un tempo che scorre troppo presto, un tempo maniacale, brucia il tempo; quando vi è un tempo che scorre lentamente, che sta per arrestarsi, è un tempo depressivo, un tempo circolare o stereotipato che ritorna su se stesso (è un tempo autistico).

Un tempo fermo e coagulato da molto, depresso, oppresso, rotto, di cui vi parlerò più avanti, può in ogni istante esplodere, scoppiare in mille pezzi se si sveglia troppo bruscamente o troppo in fretta.

E' il caso della psicosi… Poi, quando soppravviene la cronicità il tempo devitalizzato e meccanico, si spazializza.

La continuità e discontinuità del tempo è direttamente legato al problema della continuità e discontinuità dello spazio.

Vi è un "luogo" del tempo, così come ogni luogo vivente ha bisogno di tempo.

Poiché esistono in ogni individuo delle zone viventi e delle zone morte — (il problema si pone in modo particolare per lo psicotico) — la condizione e la qualità del "luogo del tempo" e il suo grado di fluidità adeguato sono molto importanti per la comprensione e la possibilità di comunicare.

Ogni relazione implica un rapporto di tempo e di spazio che fanno normalmente parte di un sistema di scambio culturale ed il modo dello scambio (il lato significante) è importante quanto la sua "mercanzia" (il lato significato).

Tutto questo pone il problema della metafora e del pensiero delirante. In Grecia il vagone di un treno che trasporta delle mercanzie si chiama "metaphora", dove si dirige allora il veicolo? ovvero il modo di comunicare e, poi, che cosa la muove? chi viaggia nel veicolo, e con quale disponibilità?

Si può parlare di uno spazio-tempo individuale, e di uno spazio-tempo culturale, ciascuno provvisto di un certo grado di alienazione.

La nozione di "tempo vissuto" (MINKOWSKI) si oppone alla nozione di "tempo spazializzato" o devitalizzato, ovvero di uno spazio non attraversato dall'esperienza emozionale.

L'esperienza del "tempo vissuto" è allora in relazione con la "funzione del reale", di cui, si comprendono tutta una serie di operazioni mentali che rendono l'immaginario fluido, produttivo e vivente.

Quando si ha una caduta della funzione del reale, ciò che è presente nella realtà esteriore può essere negato od essere presente come qualcosa che non si muove, che resta senza vita, come un'albero rinsecchito.

La scomparsa della realtà attuale o la sua trasformazione, implicita nell'idea di irrealtà, di sogno, di oniricità e d'estraneità, introduce dei problemi fenomenologici nella psicopatologia.

La nozione di realtà rinvia anche al problema dell'adeguatezza o della non adeguatezza della capacità di giudicare, valutare, dunque al problema "della verità"… Il pensiero psicotico è fondamentalmente "derealistico" (BLEURER) e si oppone al principio di realtà ed alla nozione di "verità conforme". Dunque non si può parlare di realtà senza porsi il problema dell'irrealtà, così come non si può parlare di "vero" senza parlare del falso, dell' errore.

Il principio di realtà pone in causa il principio di irrealtà e della realtà "immaginaria" propria di ciascuno di noi (è immaginario individuale). Il soggetto che delira o che pensa "fuori dalle norme" (delirare deriva dal latino de-lirare, che vuol dire "andare fuori dal solco") tenta di introdurre un discorso spesso "gonfiato" grandioso (delirio di grandezza) e avviluppante che introduce dei principi che ridefiniscono totalmente la realtà ordinaria e i suoi sistemi di valori.

La psicoanalisi aggiunge al discorso psichiatrico un'apertura dinamica sull'uomo interiore (PLOTINO) che si deve confrontare con la società e le sue istituzioni. Lo psichiatra psicoanalista appare come il luogo-corpo della transizione, mediazione tra la realtà del mondo convenzionale e la realtà del mondo del malato (funzione "Pontifex" — di parte — ricordo qui anche la nozione di transizione in Bergson, come luogo o situazione di passaggio)…

Il delirio è quindi una ideologia, un sistema di idee, che contiene una certa continuità nel delirio sistematico, e che perde la sua continuità nelle forme non sistematiche, dove dominano la discontinuità e l'incoerenza. L'ideologia delirante è spesso dogmatica e piena di convinzione — la convinzione delirante, un pensiero rigido duro e impermeabile.

Tutto questo per dire che le teorie dogmatiche del malato possono mettere in crisi le teorie scientifico-dogmatiche dell'istituzione e delle sue scuole di pensiero.

Il tema della malattia mentale, il problema della follia si impone all'uomo cultura.

Aguuste STARCKE introduce già un approccio "etnopsichiatrico" nell'istituzione e segnala l'importanza di studiare la vita quotidiana dell'ospedale psichiatrico (cosa già suggerita in un certo modo da Philippe PINEL)… Bisogna conoscere da vicino la malattia e le sue istituzioni per arrivare a comprendere ciò che è presente e a volte mascherato — ricusato o negato — nella nostra cultura.

L'incosciente, non come una entità astratta ma come una struttura linguistica "corporizzata" e più o meno articolata o disarticolata, si mostra apertamente "sul campo"; la malattia mentale mostra il suo corpo, la sua incoscienza svelata, smascherata…: il principio di animalità...

La psichiatria psicoanalitica è una sorta di "archeologia", una ricerca sull'archè sociale, su ciò che è, nel medesimo tempo, arcaico e attuale. Tutto si manifesta e si nasconde nel medesimo tempo… La semiologia è una lettura del mascherato: non solamente della persona, ma anche della relazione interpersonale, del clima ("approccio ecologico") e del comportamento (approccio etologico).

Lo psicotico, fuori dal contatto con il "mondo ordinario" ha una vocazione falsa o naturale nei riguardi dei problemi ontologici e metafisici dell'esistenza. Nella sua moltitudine "folle" dove regna spesso la discordia o la dissociazione, il tempo vissuto si disarticola, si coagula, si gela e finisce per reificarsi o pietrificarsi.

La mia lunga esperienza con dei pazienti psicotici cronici nelle Istituzioni mi ha permesso di confrontarmi con il fenomeno della spazializzazione reificante del tempo, dove l'ideologia dell'uomo-robot o dell'essere meccanico prende il posto dell'uomo-natura e dell'uomo-cultura.

Vorrei adesso mostrare certi aspetti della mia ricerca "trans-personale" e "trans-culturale" (ho lavorato in istituzioni di differenti paesi, ciò mi ha permesso di imparare comparativamente i diversi modelli della follia e della relazione con altri modi di vivere nelle differenti culture).

Vrorei illustrare certi punti di vista utilizzando una esperienza psicoanalitica vissuta con un gruppo di pazienti psicotici cronici ospedalizzati presso l'Ospedale H. ROUSSELLE. Il gruppo era misto… Si riuniva una volta alla settimana nel servizio del Dott. AYME', ma i pazienti provenivano anche da altri padiglioni. Gli infermieri o infermiere che li accompagnavano hanno domandato, a poco a poco, di restare e di partecipare al gruppo. Erano anche presenti degli osservatori psichiatrici, psicologici e psicoanalisti ai quali io sono molto riconoscente.

Ogni seduta era seguita da una discussione tra di noi, discussione che è servita da punto di incontro e di articolazione nella disarticolazione del linguaggio psicotico e dei differenti approcci del personale. Così la continuità e discontinuità nello spazio e nel tempo ci mette a confronto tutti, pazienti, équipe, amministrazione… Ci mette a confronto con una dialettica del tempo, dunque con un tempo anche anti-dialettico, simbolizzato dall'orologio di Gérard. Gérard, un membro del gruppo viene alle sedute con l'orologio in mano: continuamente guarda l'ora, controlla il tempo... Questo orologio sarà per noi un simbolo ed un punto di riferimento.

In effetti, l'orologio di Gérard è una metafora essenziale, atta a rappresentare il tempo meccanico, che si oppone al tempo vissuto, e che tenta di imporsi come ideologia dominante nel gruppo. Gruppo che si risveglia stentatamente e penosamente alla vita, all'interno di una istituzione messa essa stessa in discussione in ogni momento…

Viene così posta la problematicità intrapersonale ed interpersonale, dramma tra vitalità e devitalità dell'esistenza.

Il tempo meccanico è un tempo arrestato, reificato. La reificazione è una pseudo-ideologia od una ideologia (DESTUTT DE TRACY) che evita la sofferenza e mantiene coagulato ed unificato senza ordine i pezzi o i frammenti di una esperienza catastrofica antica (Kurt GOLDSTEIN introduce il concetto di "esperienza catastrofica" nei riguardi della crisi psicotica). Con la devitalizzazione del tempo, il suo congelamento o pietrificazione, l'esperienza catastrofica, che è anche l'inizio della psicosi acuta, resta nascosta, bloccata e sotto controllo. Se la parte non psicotica della personalità si sveglia, la crisi può scatenarsi di nuovo come il segnale di una presenza vitale incastrata nel tempo. Questa esistenza bloccata, arrestata in un luogo del tempo, è uno spazio della vita senza vita, uno spazio devitalizzato. Così pure non si può cambiare tutto e tutto subito: "non si può guarire la vita" (Antonin ARTAUD)… né rendere la sofferenza e il tempo vissuto compatibile con l'esistenza.

L'essere non è un fenomeno isolato dal mondo, egli è lui stesso "mondo in sè" (WELT) che si deve confrontare con il suo ambiente, (l'Umwelt).

"Follia" deriva dal latino "follis" che significa "pallone pieno d'aria" "pallone gonfiato"…: per assumere la realtà di tutti i giorni, bisogna che il "pallone" si sgonfi, e che la moltitudine e molteplicità dell'essere spesso settorializzato presso i cronici, possa assumere la sua propria discontinuità ed incoerenza.

La presa di coscienza del mondo disarticolato e discontinuo introduce l'idea dell'articolazione e della continuità.

Tra presenza e assenza, la psicosi è una metempsicosi, il corpo è là, la psiche sovente altrove, dispersa, errante. Tra continuità e discontinuità i membri del gruppo, di cui vi sto parlando, si ritrovano da più di tre anni.

La nascita è stata difficile e patetica: il gruppo si presenta ai miei occhi senza forma, spersonalizzato, fermo in un tempo incoerente. Per lungo tempo i pazienti restano immobili, quasi senza prendere fiato, senza respirare, massa informe e congelata...

Il mio sentimento di contro-transfert di essere avviluppato da un clima glaciale e soffocante a volte, corrisponde, nei primi atti di questo lavoro drammatico, alla prima parola che è stata pronunciata da uno dei personaggi: "Io sono un pinguino" disse Claude. E la donna seduta al suo fianco, avviluppata interamente da un mantello ed un cappello di pelliccia, come pietrificata, sembra un igloo. Tra i due il pinguino e l'igloo, qualche cosa comincia a sgelarsi.

Gli altri membri del gruppo cominciano essi stessi a muoversi, a respirare.

Anche la signora Robin prende a sua volta la parola e parla di un teatro dove una parte sarà svolta dagli spettatori e l'altra dagli attori. Le sue parole sono fredde e meccaniche e racconta il suo dramma: "Non c'è posto per me… non c'è posto altrove… i miei figli sono troppo occupati tra di loro, essi non mi vogliono aprire la loro porta….".

La psicosi è una metempsicosi — io mi ripeto —: la signora Robin spera di trovare un altro corpo disposto ad accoglierla, un altro posto dove stare, o rinascere, ma non lo può trovare.

Segue una pausa dove le parole, mancanti di ossigeno, si sentono soffocate: il discorso gela, diviene senza ossigeno…

Una tristezza patetica rivela le sue tracce sulla maschera del gruppo.

Questo sgonfiamento, questa fuga patetica nella depressione (la de-pressione è una pressione verso il basso) è subito contrastata da una pressione verso l'alto, una esaltazione maniacale: qualcuno comincia a muoversi.

E' Jean Pierre, "il polacco", che si mette a cantare la Marsigliese: vuole cantare la vittoria, nella sua canzone, la vittoria dell'onda che si sforza di trionfare sulla tristezza...

L'onda, dapprima prigioniera nell'acqua ghiacciata, è subito trasformata in vapore per un disgelo improvviso, imprevisto: il vapore che gonfia il corpo della follia… Kostas AXELOS, nel suo eccellente articolo sulla follia, riprende l'etimologia del termine ("pallone pieno d'aria") e sviluppa un aspetto fenomenologico del corpo psicotico.

La follia, simile ad un "pallone gonfiato", un corpo-palla o un'ombra vagante e lievitante, deve evitare il contatto immediato con gli altri, non importa che rischi di farlo scoppiare, esplodere... Il sé psicotico deve gonfiare il pallone senza arrestarsi; vi soffia, gonfia le proprie idee deliranti…

Bisogna dunque soffiarci ancora, soffiarci sempre… per lottare contro lo sgonfiamento, contro la caduta, (Geworfenheit): contro la condizione di "essere gettato".

Nlela misura in cui l'atmosfera delle sedute si fa più calda, talvolta anche bruciante e apocalittica, la separazione tra le sedute, l'articolazione dei discorsi, si fa più sofferente.

Il paziente esige, con ragione, che si sia puntuali alla seduta. Tra una seduta e l'altra vi è un "buco" una sorta di fessura, che pone il problema del "tempo di coagulazione" del corpo gruppale.

Se la coagulazione non è buona, il danno, è "l'emorragia" dice uno dei malati… l'apertura folle che diviene pubblica, privata del controllo, "affollata". Il risveglio, se il gruppo si risveglia, appare con la modalità di una crisi, crisi di apertura, una apertura eclatante, espressione di un tempo esplosivo/implosivo. E' il tempo che si sveglia, il tempo di un io infantile divorante e molteplice che cerca il suo posto, esprime i suoi desideri. Il desiderio è una presenza avida e divorante, e l'assenza dell'oggetto del desiderio è anche un buco, o delle bocche che vogliono parlare e mangiare nel medesimo tempo (come la presa in carico della parola nella Nave dei folli di BOSCH).

"Perché noi siamo pazzi?" "E perché voi siete psichiatri?" domanda M.P., un uomo intelligente, ospedalizzato da molti anni. La definizione della follia e della "norma" — dunque del ruolo dello psichiatra — si pone così da una parte e dall'altra.

A un certo momento Gérard introduce il suo orologio, che egli mostra con orgoglio: "è la saggezza, la sicurezza… la vita di tutti i giorni in cui gli avvenimenti sono già stabiliti…" sembra dire. E' Gérard che diviene il porta parola di una ideologia istituzionale dove i medici e gli infermieri stessi sono sovente schiavi dell'orologio.

Lo spazio della follia, è il silenzio vuoto, o ben pieno di vuoto, o pieno di frammenti e di parti del corpo che non si arriva più ad articolare né da un punto vista anatomico, né psicologico, né sociale...

Tra gesti, parole e pause, svuotati del loro vissuto o al contrario abitati, riempiti di sentimenti troppo sofferenti e troppo persecutori, l'io gruppale spera di trovare il suo "mezzo": la follia è estremista, sempre o troppo fredda o troppo calda, senza ossigeno o soffocante, erotica o mortale; talvolta interviene anche una confusione di investimenti, ed è la morte che è erotizzata: il feticismo è un tentativo di risvegliare "il cadavere" (il tempo vissuto coagulato).

Con il suo orologio, Gérard introduce nello spazio, vuoto o pieno, l'idea di un tempo spazializzato, incastrato simmetricamente in maniera ossessiva nella realtà "orologio".

Ad un certo punto Annie, la donna-igloo, diviene più viva, si riscalda, è ora una donna preoccupata e desiderosa di ritrovare un linguaggio a se stessa. La realtà circostante è ancora troppo minacciosa...

"Tutto è predestinato..." dice Claude il pinguino "non si può essere liberi…".

La libertà, è una libertà selvaggia, uno scoppio di collera, di dolore o di gioia o falsa gioia incontrollata. Nella misura in cui il tempo si disgela e riprende a scorrere, e in cui le onde si risvegliano, si riconoscono il naufragio e le prove della catastrofe.

Gérard fissa un vetro rotto dove gli sembra di riconoscere i resti del suo proprio naufragio. Dice: "Povero Gérard!". Si riconosce dunque in questo altro passato-presente che lo riguarda dello specchio e gli invia la sua immagine tremolante, spezzata.

"Si rompe spesso la figura, nel ritrovarsi, nel ricordarsi, e nel riscaldarsi. Il gruppo, in effetti, si riscalda persino troppo, poi si raffredda, poi si riscalda ancora, si mette a bruciare, si volatilizza e si ricongela di nuovo… L'apertura è una speranza ma anche un rischio, la messa in moto del tempo vissuto coincide nel tempo reale ad un risveglio pericoloso. Le divisioni convenzionali del tempo, l'ideologia di un orologio sono una protezione meccanica che difende il robot, il morto-vivente, da un avvenire inquietante.

Come si può ritrovare il proprio corpo? il proprio tempo vissuto ed uscire dal corpo istituzionale e dal tempo istituzionale, corpo-habitat in cui tutto sembra previsto, anticipato? e dove la relazione parassitaria dell'oggetto trova il suo punto di ritrovo? come individuare un'uscita nello spazio (das Offene, RILKE) nell'inquietante estranietà del non familiare? Il principio di realtà, oltre che imprevisto, esigente, intollerante, non ha una disponibilità di ascolto verso il principio di irrealtà (la realtà del delirio). Occorrerà forse ricorrere a una trasformazione magica, ad una metamorfosi inattesa?…

E' stato provato che nella vita di tutti i giorni i pazienti non trovano tutti il loro posto nella scena del mondo, nella dimensione orizzontale o sociale della vita (molti tra di loro non sono più attesi e hanno perso tutto; sono ormai dei fantasmi per i loro familiari che credono di incontrarli…) può darsi che essi possano trovare un posto, sembra domandarsi il gruppo, in un'altra dimensione di spazio e di tempo, cercando un "grande altro" per esempio: l'io ideale che li può proteggere e guidare.

Calude il pinguino parla improvvisamente di un coccodrillo che si trova nel suo stomaco; poi alza gli occhi alla finestra, come se seguisse qualche cosa, e dice: "se n'è volato via!": il coccodrillo è uscito dal suo stomaco ed è scomparso attraverso la finestra trasformato in oggetto divino, dragone alato che va a cercare il suo luogo sacro in un altro mondo. Tra orologio e mostro, Gérard ha paura. Tutto deve essere calcolato, programmato, l'imprevisto è un pericolo che può schiacciarlo di colpo, deprivarlo… come lo ha deprivato la tossicosi di cui ha sofferto quando era bambino, e lo conduce costantemente a confrontarsi con la morte: una "esecuzione" attraverso l'evacuazione. Durante le sedute, Gérard beve incessantemente, si reidrata… Il pensiero "evacuativo" è anche una ideologia psicotica che si viene a contrapporre al pensiero riflessivo o integrante ma al prezzo del vuoto. La psicosi dissociativa contrasta l'unione, la riunione, poiché dalla riunione può di nuovo riemergere un ricordo, un tempo spezzato e spezzante, troppo pieno di sofferenza e dunque intollerabile.

Ora Gerard preferisce rimanere malato o andare ad evacuare nel suo gabinetto e controllare anche ciò che gli scappa, anche le sue eiaculazioni, che egli provoca e gestisce con le sue masturbazioni. Dopo molto tempo che non veniva più alle sedute del gruppo, poiché si sentiva perseguitato ma soprattutto perché egli credeva di uscire dalla sua ideologia-orologio, riappare; dice in un certo senso che la vita si risveglia in lui come un orologio-mostro che rivela un tempo vissuto bloccato da molto. Il tempo vissuto emerge dunque come un selvaggio: in effetti il suo comportamento nel servizio è sovente violento e incontrollato; ha bisogno di scaricare e di esprimere la sua aggressività con violenza…

Quando l'alternativa cambia, è la ruminazione che prende posto, una sorta di nostalgia di identità. Ogni giorno lo stesso problema, ogni giorno lo stesso movimento e lo stesso comportamento, lo stesso manierismo… Che ora è?… Occorre obbedire al Dio-orologio… E' il familiare, lo stereotipo che lo contiene. Quando la ruminazione e la tendenza alla ripetizione svaniscono è la deflagrazione, la frammentazione, la dispersione: lo spazio-tempo circolare di un orologio non arriva a contenere tutto e risolvere tutto meccanicamente.

La sua molteplicità discontinua e disarticolata si risveglia anche con uno "spirito ancestrale" che piange senza tregua: "non c'è niente da fare con me… io sto per divenire cieco, dice Gérard, io sto per essere punito… Io sto per divenire cieco a causa del mio sesso…"

La vita è apertura, rottura della ruminazione, del suo tempo circolare dove la masturbazione-erotizzazione di uno spazio stereotipato, la circolarità senza tregua di un tempo spazializzato, è sul punto di rompersi, di spezzarsi come un vetro frantumato, per divenire di nuovo colui che è guardato dal proprio occhio sofferente, come a dire l'occhio del "povero Gérard" che parla mentre si rispecchia...

Ma può darsi che non occore lasciarsi rompere, sembra dire ancora Gérard.

Occorre sorvegliare, controllare la minaccia, occorre, può darsi, occupare il posto del padre, fare la legge piuttosto che accettare la punizione e la castrazione. Il suo io infantile colpevole e vulnerabile reagisce: per divenire il grande altro, il padre, il padre di tutti, una specie di dio o di porta parola della voce divina che parla sempre e detta la legge.

Sdeuto davanti a Gerard, M.P. si mette a parlare di Marie CHOISY, una psicoanalista esistenzialista del dopo guerra. M.P. è un uomo di cultura: utilizza Marie CHOISY per rispondere a ciò che egli crede di riconoscere come problema eterno in Gérard e negli altri, dunque anche in se stesso: vi è un momento della vita in cui occorre scegliere.

Occorre uscire dal cerchio della ruminazione fredda meccanica, della lamentazione eterna, della masturbazione senza sosta, dell'istituzionalizzazione senza scelta.

Per uscire occorre parlare forte, ad alta voce, occorre gridare o cantare bene… ed è Gérard che prende la parola: "Sono io che devo parlare forte" dice e si ribella protestando… Poi, di colpo, vi è una sorta di "corto circuito" ed è un altro personaggio che si mette a parlare e mostra la sua maschera attraverso la bocca di Gérard: è la voce di un bambino o di un adolescente che cerca un padre e che dice e dice a se stesso nel medesimo tempo: "non bisogna farsi ingannare, occorre cercare aiuto!".

Mi domando allora, ad alta voce, e domando anche a Gérard: "Chi è che parla?" "Chi parla per mezzo della sua maschera, chi ha preso il potere nella sua molteplicita, chi ha spezzato l'altro?" "E' un altro che ha spezzato l'altro" risponde Gérard.

M.P. osserva che Gérard ha accettato di essere un bambino, un paziente in questo momento, poiché ha trovato finalmente un padre, una padre disponibile all'interno dell'istituzione-madre, che l'ascolta e lo comprende, che "ascolta il suo ascoltarsi".

La contraddizione è messa in chiaro; vi è l'altro della contraddizione che prende la parola, la "dizione", ed è la voce che piange su se stessa, che prende il microfono ancora una volta. Questa altra voce, è la voce del destino inesorabile, la voce di un predestinato all'inferno, che dice: "Sto per diventare cieco, non c'è più speranza per me".

Come trovare una co-esistenza, una continuità nella discontinuità? Come maritare il Cielo e l'Inferno per utilizzare l'allegoria di W. BLAKE?. "Occorre trovare l'armonia, occorre trovare l'armonia, sembra dire Annie, il vecchio igloo ora spesso caldo e caloroso. "Ci sarà bisogno di un piano per accordare le cose come si deve, per ben maritarli... Ora c'è più accordo tra di loro" osserva M.P.

Ma c'è anche un problema politico — aggiungo io — si tratta di sapere chi ha il potere, chi parla per mezzo della maschera, chi ha scacciato gli altri ed ha la forza di controllare e di dominare la situazione, colui che deve essere scelto come leader carismatico nella molteplicità senza ordine. C'è anche un bambino che si sforza di parlare e che grida dietro alla maschera; egli chiama la sua mamma e non la vede venire, essa lo ha abbandonato…

Qaundo non ci sono delle scelte, è allora che la madre-istituzione diviene importante e deve confrontarsi con la "situazione-madre". L'istituzione presta il suo "utero", dunque un letto, un luogo in cui stare, dove si possono seguire spesso degli itinerari conosciuti e stabiliti… Ci sono degli infermieri materni e paterni, dei medici, delle medicine da dare "con misura": "medico" deriva dalla parola latina "medicus" la cui radice rinvia al sanscrito MED da MEDERI che vuol dire "misurare".

Essere vuol dire esistere, essere fuori nel mondo, vivere il tempo e lo spazio, misurarlo. Così ciascuno di noi ha il suo proprio orologio, i suoi obblighi, le sue divisioni convenzionali del tempo proprio ed il proprio tempo vissuto, la propria sofferenza, la propria disponibilità, le sue impossibilità, i suoi limiti, la sua storia…

Assumere l'irrazionale nell'esistenza, accordare l'incosciente di ciascuno di noi con la vera coscienza professionale, pone il problema della vera e falsa coscienza (Joseph GABEL). La personalità di base (LINTON e KARDINNER) nella nostra cultura, se essa non è psicotica, è nevrotica, ossessiva, e domanda ordine… essa è paranoide, soprattutto quando vuole "rientrare dentro" e sapere ciò che si fa, e se ciò che si fa e che si pensa è nella norma, e la norma è dettata dalla legge del padre… con le regole a cui accordare per vivere con gli altri.

Ma dov'è la verità di tutto ciò? E qual è l'altro della verità? Per comunicare con il mondo occorre scegliere, sacrificare qualche cosa, pagare un prezzo, può essere l'egocentrismo personale ed assumere una nuova vulnerabilità; dove noi ci vestiamo di "duro" se si è molli, o di "ricco" se si è poveri…

Ma cosa fare con lo spazio del tempo? La prima espressione dello spazio è il caos originario, questa bocca aperta che beve, beante, per far nascere, e ci attende anche per morire… Il caos è l'altra parte dell'abominio, questa realtà senza fondo che si scopre quando l'altro appare tanto "altro" al nostro orizzonte.

Dal sincretismo di Henri WATON fino alla frattura originaria (Kostas AXELOS) la triade, l'uno, lo spazio e l'altro, si configurano come "linee di vita". La "triade o triangolo lineare" contiene già gli elementi costitutivi del triangolo edipico (pre genitale e genitale) dove la presenza del padre si introduce nell'esistenza, come un logos esplicito che separa il cielo dalla terra.

Tutto questo come l'espressione di una necessità inesorabile: l'esistenza è discontinuità nella continuità, schiavitù reiterata, cesura, dolore "spezzato".

Ongi passaggio nello spazio rivela il tempo, il tempo vissuto: se questo passaggio non è meccanico, se si tratta di uno spazio e di un tempo vissuto, questo sarà una "piccola morte", che occorrerà accordare con la vita… Ma questa piccola morte diviene nella psicosi morte irreparabile… e la cronicità è una sorta di una riparazione patologica che si sforza di tappare l'apertura beante del caos al prezzo di una mancanza, una mancanza di vita.

Come si può "rendere alla vita" il paziente cronico?

Qeusta esplorazione clinica e psico sociale fa per me parte di una apertura ontologica e metafisica dell'esistenza, di una vocazione relativa ad un sentimento di riparazione e di restaurazione che ci riguarda tutti.

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