IL FUTURO DELLA PSICOANALISI

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8 gennaio, 2018 - 20:12
(Questo articolo fa parte di un'antologia di scritti di Cremerius uscita nel 1995 in Germania presso l'editore Suhrkamp, pubblicata in Italia in un'analoga antologia per i tipi dell'editore romano Armando. I riferimenti bibliografici sono riportati così come li cita Cremerius. Solo i riferimenti relativi agli scritti di Freud portano l'indicazione di pagina secondo l'edizione delle Opere di Sigmund Freud di Boringhieri. Traduzione di Gabriele Vezzani)

 

Nel 1924 Freud esprime l'aspettativa "che la psicoanalisi possa diventare un importante fermento per lo sviluppo culturale dei decenni a venire e perciò aiutare ad aumentare la comprensione del mondo”. Ciò che si aspetta Freud un anno più tardi lo presume anche Carl J. Burckhard: "Questo Freud diverrà nel corso di questo secolo infinitamente più potente, come tutto ciò che ci circondò nella nostra infanzia in modo manifestante radicato” (lettera a Hugo Von Hofmannsthal, 1956). Nell'anno in cui la psicoanalisi compie cento anni, constato retrospettivamente che l'aspettativa di Freud e la premonizione di Burckardt per questo spazio di tempo si sono avverate. La psicoanalisi come idea in questi cento anni ha esercitato un'influenza senza pari in una progressione trionfale tanto sul modo di pensare degli studiosi quanto sui loro metodi di ricerca, sulle opere dei poeti, degli scrittori e degli artisti figurativi; è stata recepita ampiamente, anche se con controversie, dalle scienze umane; ha mutato toccandole nel profondo discipline quali per esempio la sociologia e l'etnologia; trova impiego pratico nel diritto penale, innanzitutto ha radicalmente trasformato il giudizio sui delitti giovanili in molti luoghi. Le scienze letterarie hanno trovato col suo aiuto nuove vie all'interpretazione del testo; molteplici sono anche gli sforzi per trovare vie di comunicazione con la politica, molteplici anche quelli verso la teologia di entrambe le confessioni (Cremerius, 1981). In nessun luogo ha raggiunto però eguale accoglimento che nelle opere degli scrittori e dei poeti (Cremerius, 1987, 1993). Freud rilevò che le sue storie di malati si leggono come novelle, così vale da novant'anni che novelle e romanzi si leggono come storie di malati. Io rimando, come prototipo di questa letteratura, a L'uomo senza qualità, di Musil (Cremerius, 1979).
La psicoanalisi si trova in una fase nella quale avvengono in sincronia avvenimenti incommensurabili. Alle soglie di un nuovo secolo l'interrogativo sul futuro della psicoanalisi si pone insieme sia sulla psicoanalisi come idea che sulla psicoanalisi come istituzione. Nella prima parte del mio lavoro tratterò del futuro della psicoanalisi come istituzione, nell'ultima del suo futuro come idea. In entrambi i casi ho la fortuna di non dover ricorrere a pure congetture, ciò vale soprattutto per il futuro delle istituzioni. Qui basta l'analisi dello stato attuale per poter fare una prognosi sicura. Perché questo dura ormai da decenni, dacché la fondazione del movimento psicoanalitico si colloca nel 1910 posso basarmi su qualcosa che è già storia. Non debbo perciò basarmi sulla casualità e la superficialità di una attualità mutevole. La prognosi per il futuro della psicoanalisi come idea, come scienza dell'uomo, si può basare su tendenze fortemente manifeste degli ultimi venti anni. Se le proietto in avanti, posso farne un quadro del suo futuro, se continuano tali tendenze. Perciò mi permetto di proporre la mia idea in questo quadro su ciò che essa deve fare per raggiungere come idea e come scienza ciò che io desidero, e cioè un futuro collegato alle altre scienze dell'uomo.
L'apprensione per la minacciata situazione dell'istituzione psicoanalitica
La situazione attuale della psicoanalisi istituzionale è talmente preoccupante che è diventata oggetto di numerose pubblicazioni sul futuro della psicoanalisi: nel 1988 la redazione di Psycboanalytic Quarterly invita otto "personalità di primo piano della nostra professione” a prendere posizione sul tema del futuro della psicoanalisi (nn. 57 e 58, 1988, 1989). Nello stesso anno Sandler e in quello seguente Wallerstein tennero una conferenza con lo stesso titolo (Sandler, 1990; Wallerstein, 1991, non ancora pubblicate); analisti della cerchia di Bernfeld in Germania condivisero questa preoccupazione. Si riunirono con analisti svizzeri, inglesi, francesi e italiani sotto il nome: "die Vernetzung” ("La Rete”). Nel 1991/92 il Seminario psicoanalitico di Zurigo organizzò una serie di letture col tema: "la finitezza della psicoanalisi nella quale io parlai del "futuro della psicoanalisi” (Cremerius, 1992).
Nel 1993 Kernberg pubblicò un saggio: "Problemi attuali della psicoanalisi” nel quale si approfondiscono le cause della crisi e nel quale si offre un "contributo al rinnovamento (Kernberg, 1993). I testi pubblicati dopo la metà di questo secolo sulla crisi della psicoanalisi (Fromm, 1970; Kohut, 1973) rimasero largamente trascurati. Passarono inosservati anche la voce di un autore così famoso come Eissler, che predisse alla psicoanalisi un "futuro tutt'altro che luminoso (Eissler, 1965, pag. 469), o i seri sforzi della Rivista francese di psicoanalisi (1975) di trattare il tema del futuro della psicoanalisi. Il libro nel quale Eissler formulò la sua preoccupazione rimase senza eco, non è stato a tutt'oggi tradotto in tedesco; i saggi della Revue non sono stati recepiti in Germania. Gli sforzi della cerchia di Berhfeld e della "Vernetzung”, dapprima fortemente presi in considerazione, non hanno infine potuto smuovere, dieci anni più tardi, la rigidità della istituzione. In contrasto con questo rifiuto di accoglimento, i saggi sul Psychoanalytic Quarterly hanno trovato attenzione. Ma anche da essi non scaturì alcuna conseguenza carica di forza liberatoria. Questa si fonda una volta sul fatto che la psicoanalisi istituzionalizzata, della minaccia alla quale in tutti i testi si tratta, non ritiene necessario farne H tema di giornate e di conferenze, altre volte sul fatto che gli autori di "Quarterly” cercano le cause dei pericolosi mutamenti della nostra scienza e della nostra professione al di fuori della psicoanalisi istituzionalizzata, quindi in sviluppi sui quali l'istituzione non può influire: aumento di terapie alternative e la preoccupazione collegata a questo aumento di perdere perciò pazienti, che sarebbero idonei al trattamento analitico; l'ingresso in via di diminuzione agli istituti di formazione, innanzitutto un forte calo di medici che vogliono intraprendere la professione di psicoanalista; mutamento dell'orientamento dinamico in psichiatria verso un prevalente orientamento biologico e di terapia comportamentale; crescente predisposizione della popolazione, ad affidarsi a terapie farmacologiche, che oggi sono condotte dai medici pratici (ciò ha come conseguenza che molti pazienti bisognosi di terapia non giungono più precipuamente all'attività psicoanalitica); soppressione del finanziamento statale; progressiva caduta di prestigio della psicoanalisi nella società americana; delusione verso la psicoanalisi tanto in relazione alla sua azione terapeutica, quanto alla sua forza di indurre mutamenti sociali; in opposizione al suo atteggiamento elitario, "critica malevola” ed animosità.
La direzione dall'esterno dello sguardo impedisce ai diagnosti di riconoscere le cause interne della crisi e ciò li rende pertanto incapaci di fare delle riflessioni su queste, per come poter porre rimedio a questo fenomeno. Io cercherò di dirigere la mia attenzione sulle cause interne. Innanzitutto appare evidente da questo mutato punto di osservazione che si capovolge la relazione causa-effetto: ciò che i predetti autori descrivono esclusivamente come cause della crisi sono essenzialmente conseguenze di un malgoverno e di omissioni interne, innanzitutto la conseguenza dell'auto-estraniamento della psicoanalisi attraverso la rinuncia a principi fondamentali per la propria identità.
I grezzi antefatti della psicoanalisi istituzionalizzata (tutte le idee cominciano come eresie e finiscono come dogmi)
Per poter comprendere queste attuali omissioni e questo cattivo governo come l'autoestraniarsi della psicoanalisi è necessario conoscere la sua preistoria, la sua origine dallo spirito del "movimento psicoanalitico”, uno spirito che si contrappone duramente ai principi della psicoanalisi, liberazione attraverso la chiarificazione. Cattive orme conducono da allora al nostro presente. Quel giorno di marzo dell'anno 1910, in cui fu fondato a Norimberga il movimento psicoanalitico non si è certo mostrato essere una data gloriosa. Qui fu posta la pietra miliare alla struttura autoritario-gerarchica dell'Unione psicoanalitica internazionale (Ivp): "il presidente è il padre, le cui richieste sono inconfutabili, la cui autorità è inviolabile. Il movimento dovrebbe avere un Oberbaupt con ampio potere” (Jones, 1955, vol. II, pag. 90), l'autorità di controllare i membri; il presidente dovrebbe avere straordinari pieni poteri, incluso la nomina e la destituzione degli analisti e l'autorizzazione alla pubblicazione di tutti gli scritti inerenti la psicoanalisi di tutti i membri.
Freud ha favorito questa struttura attraverso l'accettazione di queste formulazioni come attraverso il suo comportamento successivo: egli ad esempio stabili gli obiettivi della formazione psicoanalitica secondo modalità indottrinative (si veda più avanti). Per proteggere le sue idee dalla caducità, creò un "Comitato”, una "specie di Vecchia Guardia” che avrebbe dovuto "proteggere le sue opere da personalismi e contrattempi, quando non ci sarò più” (Jones, 1955, pag. 187). Egli stesso cercò, attraverso la fondazione di "sezioni locali” nelle capitali del mondo, il cui dirigente avrebbe poi dovuto essere da lui personalmente analizzato, di assicurare l'immortalità della sua opera; li chiamò "coloni”. Contro la fugacità era diretta anche la scrittura agiografica di certi frammenti teorici come massime. Parlò significativamente di "Schibboleths” (parole di riconoscimento, alla cui pronuncia si può distinguere chi è amico e chi nemico), di una "regola sacra”. Chi non poteva approvare tutte queste (le parole di riconoscimento), non poteva essere annoverato tra gli psicoanalisti, scrisse nel 1923 (vol. 9, pag. 440 e seg.).
In un ambiente che Freud e i suoi allievi vissero come ostile, si isolarono dal mondo in un atto di autoghettizzazione(1) riuniti intorno ad un padre fondatore, che diceva di sé: "La psicoanalisi è una mia creazione”(2). Come fondatore della psicoanalisi Freud temette, come l'altro grande innovatore del XIX secolo, Karl Marx, che le sue idee avrebbero potuto sopravvivere solo se le avesse protette - come quello prima di lui - attraverso una "Internazionale”, una organizzazione amministrata secondo criteri autoritario-gerarchici. Il contrario si è prodotto in entrambi i casi. Certamente l'"Internazionale psicoanalitica” ha conseguito forza internazionale, ma le idee di Freud sono state ampiamente sacrificate da questa forza e dalla sua conservazione. Le funzioni che una volta le avevano dato senso di mantenere in vita una scienza di chiarificazione e di critica sociale non le esercita più. È divenuta anacronistica (Erdheim, 1987). Ciò che è sopravvissuto in lei è la "psicoanalisi incatenata”. La struttura organizzativa che si sta sviluppando esprime ciò che Popper ha espresso nel concetto di "società chiusa” (Popper, 1942).
La formazione psicoanalitica tra scuola professionale e seminario
"La comunità psicoanalitica non ha fino ad oggi portato a termine questa eredità, non si è ancora posta di fronte alla propria storia. Ora e costretta a ripeterla. Due elementi della storia psicoanalitica appaiono ancora efficaci”, disse Knight nella sua allocuzione come presidente dell'APA: "l'immaturo attaccamento nel quadro di un "culto della personalità", e l'idea del movimento psicoanalitico come strumento di potere politico” (Knight, 1953); in un senso analogo si espresse il suo predecessore nel suo discorso come presidente dell'APA (Cooper, 1984).
La psicoanalisi istituzionalizzata evidenziò immediatamente il proprio sistema formativo quando iniziò ad organizzarsi burocraticamente all'Istituto psicoanalitico di Berlino (BPI) nel 1925 in funzione di questo "sistema chiuso”, di una "chiesa”, come affermarono Graf e Sachs. Pietre angolari di questo sistema divennero la procedura di ammissione, l'analisi didattica ed il curriculum. Il criterio di ammissione mostra i caratteri della formazione ecclesiastico-seminariale (Kernberg, 1984).
Il candidato deve sottoporsi a dei colloqui, che non sono formalizzati, ed è per tanto rimesso all'arbitrio dell'interrogante. In caso di abuso non può rivolgersi ad alcuna istanza superiore di ricorso. Non esiste. Il presupposto ideologico di questa iniziazione è rivelato dalla sua resistenza, sia attuale che passata, a ogni tentativo di modificarlo. Anche l'autorità di Anna Freud si dimostrò impotente di fronte a ciò. E criterio "non si concilia col rispetto delle personalità del candidato” ella annota (A. Freud, 1966, pag. 227). Un ulteriore segnale del carattere ideologico è il fatto che la sua efficienza nei settant'anni della sua applicazione non fu mai verificata scientificamente, così come fino ad oggi non è mai stato provato(3). Balint si accorse che nel periodo di tempo che va fino alla fine della seconda guerra mondiale non ci furono pubblicazioni che si occupassero della qualificazione personale del candidato per l'ammissione alla formazione (Balint, 1947). La conseguenza di ciò è che fu scelto secondo il metodo "primitivo-fisiognomico”, basato sul concetto: "Mi assomiglia - non mi assomiglia”. L'osservazione di Balint non significa che non ci si occupasse delle domande di selezione. Questo avveniva senz'altro, ma "a porte chiuse”. In cosa consiste il collegamento tra la carenza del metodo e la crisi delle istituzioni? Consiste in questo, che il metodo di selezione è uno pseudo-metodo di selezione e quindi non offre alcuna garanzia per la qualità degli ammessi. Anna Freud osservava: "Il tipo che gli attuali istituti di formazione prediligono è conformato più ad un forte senso della realtà ed alla laboriosità, che ad una predisposizione alla lungimiranza ed alla creatività” (A. Freud, 1972, pag. 21). Hanns Sachs intravide gravi conseguenze per la professione dell'analista: "E' paradossale che ci sia un gruppo che debba essere inutilizzabile per il lavoro dell'analista poiché mostra troppo pochi sintomi psiconevrotici. La sua libertà da vistosi sintomi nevrotici dipende da una forte rimozione e ha come conseguenza una incapacità a raggiungere l'inconscio e a comprendere le sue manifestazioni (..). È probabilmente necessario aggiungere che questa separazione dal proprio inconscio esclude ogni reale comprensione dell'inconscio altrui” (Sachs, 1947, pag. 157). Egli pose il quesito di come mai li si volesse formare ad una professione per la quale questi candidati non avevano al momento e forse mai nessuna dote. Freud aggiunse in modo lapidario alla metà degli anni venti: "I bravi non sono valorizzati ed i cattivi vanno avanti” (Roazen, 1976, pag. 301).
Nonostante questi avvertimenti, questo metodo è stato mantenuto fino ad oggi. Ciò spiega il gran numero di "normopati” (Bird, 1968), di "candidati d'imitazione” (Gaddini, 1984) e di "dull - normal people” (Kernberg, 1984, pag. 23), che passano le procedure di ammissione, a tutto danno della professione e della scienza psicoanalitica. Qui c'è un chiaro rapporto col basso livello scientifico dell'associazione psicoanalitica. Ancor più del criterio di ammissione è funzionale alla finalità della "chiesa” l'analisi didattica. Freud stesso ha assegnato queste finalità: l'analisi didattica(4) dovrebbe produrre un grande livellamento della "personale equazione” degli analizzandi, "cosicché un giorno possa essere raggiunta una soddisfacente concordanza” tra gli analisti (Freud, 1926, vol. 10, pag. 385 e seg.). L'idea inizialmente opportuna di sviluppare un metodo di insegnamento/apprendimento corrispondente ai bisogni specifici della professione di analista, fu contrastata da questo punto di vista (Cremerius, 1989). Il risultato finale distorto fu di ottenere entusiasti proseliti al posto di candidati autonomi (Balint, 1947, pag. 326), "analisti credenti” (Widloecher, 1983). Con ciò si ottenne ciò che secondo Sachs occorreva, e cioè qualcosa che corrispondesse al "noviziato della Chiesa” (Sachs, 1930). Voci critiche degli autori di oggi denunciano che perdura l'antica intenzione di abusare dell'analisi didattica come forma di indottrinamento e di estraniarla dal suo scopo specifico.
Balint descrisse nel 1947 l'analisi didattica come un rito di iniziazione, che aveva come tutti i riti di iniziazione l'obiettivo di costringere il novizio a identificarsi col clan (Balint, 1947). Altri autori concordarono in questa critica: nel 1950 Anna Freud rinnovò la sua critica già espressa nel 1938. Essa sarebbe una "analisi non sufficiente”(A. Freud, 1938, 1950) o, secondo la formula ancora più tagliente che usò nel 1976, "una analisi selvaggia” (A. Freud, 1976, pag. 2805), che avrebbe condotto ai peggiori risultati ed ai più insolubili legami transferali (1938, 1950). Nel 1962 Bernfeld definì l'analisi didattica una "analisi non freudiana” (Bernfeld, 1962): nel 1967 Mc Langhlin si chiedeva "per quali motivi restiamo fedeli così ostinatamente ad un modello, che giudichiamo altrimenti non analitico?” (Mc Langhlin, 1967), e Limentani (allora presidente dell'IPA): "per il fatto che noi prendiamo qualcuno in una cosiddetta analisi didattica, perpetriamo un attacco distruttivo al Setting, totalmente a prescindere da ciò che creiamo come problema transferale e controtransferale” (Limentani, 1986).
Eissler riconobbe nel suo carattere di sottomissione il motivo della "simbolica uccisione del figlio” (Eissler, 1969). Contro queste voci l'analisi didattica nella sua antica forma si è consolidata sempre più e per il fatto che è divenuta sempre più lunga (oggi dura mille e più ore da quattro o cinque ore alla settimana, mentre fino al 1933 durava solo un anno, un anno e mezzo), cresce il pericolo che si accrescano i danni sunnominati: indottrinamento, insuccesso e legame transferale irrisolto(5).
Dove sta il legame tra questi difetti dell'analisi e la crisi della istituzione? In primo luogo il legame infantile, del complesso edipico irrisolto col suo legame affettivo ambivalente, non consente alcun pensiero libero da pregiudizi, alcuna libera scelta (se il complesso edipico non è elaborato, cade la capacità di conoscere): questa inibizione del pensiero ostacola l'addestramento professionale di quella società scientifica che la psicoanalisi istituzionalizzata pretende di essere. (Da un altro punto di vista, riacquista i suoi diritti di "Chiesa”: la limitata capacità di pensare giova alla fede). Su questo problema già nel 1938 Anna Freud aveva indicato e riconosciuto tranfert irrisolti (col didatta) come causa dell'atteggiamento manchevole da un punto di vista scientifico dei candidati (A. Freud, 1938/1950).
Questa limitazione del pensiero scientifico e critico si riflette nel basso livello scientifico dell'IPA. Dopo sforzi quarantennali di molti noti analisti, Wallerstein constata che nessun movimento ha messo piede in uno sviluppo scientifico (Wallernstein, 1991). La commissione insediata dall'IPA che avrebbe dovuto chiarire come mai "manchino nuove conoscenze psicoanalitiche nelle aree centrali del sapere analitico” (Kohut, 1969), lavorò infruttuosamente. Non ne venne fuori alcun vantaggio in termini di impulsi scientifici, di libertà d'insegnamento e di apertura dell'istituto alle scienze limitrofe, ma ancor più ristrettezza, prima di tutto in rapporto ai criteri di selezione nel processo di formazione. (Kohut ibid.; cfr. anche Kohut, 1973/1975). Questa lagnanza è antica, già nel 1957 Franz Alexander constatò questa carenza (Alexander, 1957). È degno di nota che Wallerstein, ma anche altri come Edelson (Edelson, 1988) e Kernberg (Kernberg, 1993), che parlano di un deficit scientifico, non stabiliscono esplicitamente un rapporto tra il basso livello scientifico e l'analisi didattica. Klauber sembra essere un'eccezione. "La formazione dell'identità dell'analista avviene secondo il modello della conversione religiosa” (Klauber, 1980). Questo corrisponde in pieno all'ingresso delle idee di Kohut in Germania all'inizio degli anni '70. Queste produssero "una specie di movimento di risveglio che si impadronì di tutti i centri analitici - come un'epidemia” (Jappe, 1983). Un altro nesso tra l'analisi didattica, "l'analisi selvaggia” e la crisi dell'istituzione si mostra nei movimenti permanenti di scissione e di rivolta che accompagnano il percorso della comunità psicoanalitica internazionale(6). Essi avevano la loro origine nelle analisi didattiche, nelle quali un pezzo fondamentale dell'analisi, la rielaborazione dell'aggressività, della rabbia e della gelosia, non è possibile, perché il didatta è insieme il rappresentante dell'istituzione nella quale si vuole entrare(7). Da lui dipende, in realtà o nella fantasia, l'accoglimento in essa(8). La paura di irritarlo con un transfert negativo è perciò di per sé comprensibile. In molti paesi è una preoccupazione reale: in cinque società-membro dell'IPA (Barcellona, Inghilterra, Danimarca, Norvegia, Vienna) il didatta interviene sempre, come usava abitualmente fino al 1925 all'Istituto psicoanalitico di Berlino nelle decisioni del comitato di formazione. Egli contribuisce col proprio giudizio riguardo al progredire dell'analisi e all'idoneità del candidato. Queste relazioni hanno luogo ogni sei mesi e ad hoc.
Solo nel 1994 la Conferenza europea sulle domande di formazione discusse se il didatta dovesse dare un giudizio, se era opportuno oppure no. Le relazioni transferali irrisolte verso il didatta hanno di regola due tipici risultati: ribellione, protesta, distacco o identificazione Quest' ultima è la causa di quella che Balint ha definito la "formazione del clan” intorno al didatta. Ed infine questo eccesso di autoformazione negli istituti vale a dire l'eccesso di didattica (quattro ore la settimana più tempi di trasferimento per un periodo che va dai cinque ai sette anni) favorisce necessariamente il rafforzarsi dell'autoghettizzazione dell'istituto, poiché questo processo segrega i candidati dal mondo esterno e favorisce il ripiegamento nel mondo interno. (lo pongo perciò un rapporto causale tra l'autoghettizzazione della psicoanalisi e l'analisi didattica). Tale chiusura è infatti molto difficile per un istituto aperto a vivaci attività interdisciplinari Questo ripiegamento verso l'interiorità spiega, io suppongo, anche l'interesse, che si riscontra a livello internazionale allentarsi sempre più, un interesse in molti luoghi addirittura assente per gli scritti di Freud di teoria della cultura ed alla sua critica sociale. Questo interesse progressivamente calante ha prodotto la conseguenza che gli analisti contemporanei (con poche eccezioni: Parin e Richter) prendono malvolentieri posizione sulle questioni sociali come sulle grandi questioni di storia contemporanea (Parin, 1978). Queste cose sono ritenute incompatibili col ruolo dell'analista: se rende note le sue idee private in campo politico o religioso, la sua Weltanschaaung esce dal proprio richiesto anonimato, provocando un danno al proprio paziente (problema transferale). Questo non è certo l'unico motivo del tacere. Spesso questo atteggiamento del singolo riflette la tendenza della comunità psicoanalitica a non intromettersi, a conformarsi: negli Stati Uniti alla medicina ufficiale, in Germania dopo il 1933 alla psichiatria tedesca, nella Germania attuale alla sanità pubblica ed ai suoi compiti. La IPA tacque sulla guerra del Vietnam e su altre guerre, sulla repressione delle minoranze (neri ed omosessuali), sul divieto alla interruzione della gravidanza, sulle sofferenze dell'infanzia (violenze sui bambini ed abusi sessuali sull'infanzia) e dei giovani per la disoccupazione. Adorno annotava già nel 1962 in modo critico, come gli analisti negli Usa (e ciò vale anche per l'Europa) avessero già da lungo tempo fatto un giuramento di fedeltà al modello di cultura là dominante ed avessero preparato, autocastrandosi, la strada alla convenzionalizzazione della psicoanalisi.
Freud non ha condiviso questo bisogno degli analisti contemporanei. Egli ha preso posizione apertamente ed in modo indiscutibile contro la guerra: (si consideri la sua sottoscrizione dell'appello di Henry Barbuse e di Romain Rolland del 1927), per la pace, per il pacifismo (1917 e 1930), la sua presa di posizione sulla religione (1930), sul socialismo e sul comunismo (1930). Egli era membro del consiglio direttivo della sezione austriaca della "Associazione per la tutela della maternità”, fondata nel 1905 da Helene Stoecker, che presto si chiamò "Associazione per la tutela della maternità e per la riforma sessuale”. I suoi obiettivi erano combattere la condanna morale e giuridica delle madri e dei figli illegittimi, la doppia morale maschile ed il paragrafo 218. Nel 1908 Freud pubblicò sulla rivista della associazione "Mutterschutz” due lavori: "La morale sessuale civile ed il nervosismo moderno” e "Le teorie sessuali dei bambini”. Nel 1927 il "Giornale Viennese dei Lavoratori” pubblicò un manifesto, che invitava a sostenere la politica sociale dei socialdemocratici, innanzitutto la riforma della legislazione fiscale. L'appello portava in testa, accanto ai nomi di Alfred Adler e di Karl Buehler, anche quello di Sigmund Freud. È però necessario fare qui una precisazione: Freud si allontanava sempre da questa sua strada se vedeva in pericolo l'opera della sua vita. Quando il pericolo si fece acuto nel 1933, sperò di poter salvare l'istituto psicoanalitico di Berlino attraverso l'adozione di una linea di assoluta neutralità. Nella sua inquietudine arrivò al punto di pronunziarsi contrariamente al fatto che i membri della Società psicoanalitica tedesca (Dpg) si attivassero politicamente, sia in gruppi di sinistra (sia che fossero i soci della Dpg, i membri della "lega dei medici socialisti” e del Kpd, dovevano incontrarsi segretamente e vivere la parte politica della loro esistenza nel sottosuolo; vedi Jakoby, 1983; Langer, 1986) sia in gruppi decisamente antifascisti. Anche nel corso di formazione stesso e nel curriculum si trovano tracce della "Chiesa”. Il rapporto irrisolto col "Padre Fondatore” (qui si ripete come tra didatta e discepolo) non permette "di considerare la psicoanalisi come la scienza dell'anima”, ci costringe "a serbarla come dottrina” (Knight, 1953, pag. 211). Fintantoché così stanno le cose, coglie nel segno la frase di A.N. Whitehead: "una scienza che esita a dimenticare il suo fondatore è perduta” (cit. da Merton, 1962, pag. 3). Nella formazione gli scritti di Freud vengono letti sempre in modo cronologico e non criticamente dal punto di vista di oggi (Wallerstein, 1989, pag. 356). Non vengono confrontati coi testi più recenti, come quelli di Schafer, George S. Klein, Peterfreund, Gill, Weiss e Sampson, tutti illustri esponenti dell'IPA. Nei miei anni di formazione sono stato testimone di un uso delle storie cliniche di Freud come pezzi da antologia e non, come sarebbe stato necessario, "contropelo”. In molti istituti di formazione viene ancor oggi semestralmente eseguito l'esercizio acrobatico della trasformazione dell'energia, come se ciò avesse un'importanza diretta per la clinica” (Sandler, 1983, pag. 582). Un'ulteriore carenza è costituita dal fatto che gli scritti di Freud vengono studiati quasi esclusivamente come preparazione alla pratica clinica. Non viene più data rilevanza al loro contenuto teorico, alla loro consistenza filosofica. Proprio questo, però, dovrebbe essere importante per Freud. Infatti la psicoanalisi dovrebbe essere, più che una mera terapia della nevrosi, "una scienza sussidiaria alla psicopatologia”; dovrebbe essere "il fondamento di una psicologia del profondo”; "le è aperta la strada in prospettiva all'interesse per l'umanità” (Freud, 1925, vol. 10, pag. 114). "Io volevo raccomandarla al vostro interesse” disse nel 1933 "non come terapia, ma per il suo contenuto di verità, per i chiarimenti che ci dà su ciò che tocca l'uomo più da vicino, la sua propria essenza” (Freud, 1933, vol. 11, pag. 261). Ma non solo viene trascurata essa, la "psicologia del profondo”; lo stesso vale per gli scritti di critica sociale di Freud, come mostrano i curricula della maggior parte degli istituti dell'IPA.
In ciò si rispecchia la rinunzia della comunità psicoanalitica al potenziale socio-politico della psicoanalisi come pure la sua preoccupazione di impegnarsi nella società con la propria storia. Solo molto più tardi ha analizzato il proprio ruolo durante il Reich nazista (Lohmarm e Rosenkoetter, 1982). Il tema "Reich nazista” per un chiarimento del proprio problematico passato venne alla luce nell'IPA tanto quanto niente. Quando feci la mia seconda analisi a Zurigo dal 1960 al 1963, quando già la maggior parte delle analiste e degli analisti tedeschi facevano una seconda analisi, il mio analista svizzero fu colpito dal fatto che il tema del fascismo fosse stato elaborato nella prima analisi solo un po' (tutti gli analizzandi di allora, che io conoscevo, appartenevano a delle classi che nelle loro vicende personali avevano avuto a che fare col fascismo). Ma anche oggi questo tema non trova quasi considerazione, come io stesso posso verificare, conducendo seconde analisi. Kernberg deplora come la scienza psicoanalitica venga logorata dall'organizzazione degli istituti psicoanalitici tramite la trascuratezza del lavoro scientifico (Kernberg, 1993).
L'istituzione psicoanalitica ha i tratti di una "Chiesa”
Quando le religioni divengono chiese e quando le idee politiche divengono partiti, la conservazione delle istituzioni diviene più importante della conservazione delle funzioni, che originariamente avevano dato loro senso. "Nello spazio di pochi anni ho fatto in tempo a vedere tutta la storia della chiesa” (Max Graf in uno sguardo retrospettivo sui suoi anni con Freud) (1942).
Poiché ho stabilito spesso un'analogia tra la forma organizzativa ed il sistema di formazione dell'IPA ed una comunità religiosa, una "Chiesa”, dovrei illustrarla. Come già più su rilevo, sussiste una rassomiglianza tra Freud e le figure fondatrici delle "Chiese”. Egli è il creatore della dottrina ("La psicoanalisi è una mia creazione”), un comandante carismatico, egli considera la psicoanalisi la verità ("Noi siamo in possesso della verità”), vincola parti della dottrina come Schibboleths e come "regole sacre” ("Chi non è in grado di approvarle totalmente, non dovrebbe annoverarsi tra gli psicoanalisti”), egli ha coscienza della propria missione: gli analisti da lui personalmente analizzati debbono rappresentare la psicoanalisi nelle grandi città del mondo come "capi delle sezioni locali”; desidera un "movimento psicoanalitico”, una Internazionale psicoanalitica, che deve garantire che sia offerta al pubblico "autentica psicoanalisi”, che questa sia protetta "da contraffazioni” e che serva come ufficio centrale nei contrasti con l'"avversario” (lettera a Eugen Bleuler 1910, in: Clark 1979, pag. 331f.); per la salvaguardia del "Movimento” fonda un Comitato, che deve difendere la sua opera nel tempo dopo la sua morte. L'esistenza e l'operato dello stesso devono restare rigorosamente segreti; organizza un sistema di formazione, al cui centro si colloca un metodo, l'analisi didattica, il cui obiettivo deve essere: "produrre una soddisfacente armonia tra gli analisti”. È pensata la produzione di proseliti. Hanns Sachs ha descritto come segue la situazione del movimento psicoanalitico: "soggiacevano alle direttive, alle norme ed alle limitazioni più severe. Tutto, dai più piccoli dettagli della routine giornaliera, fino alle più importanti prese di posizione, veniva deciso secondo il suo (di Freud) volere” (Sachs, 1945, pag. 70). Eitigon indica come la meta della associazione sia quella di custodire "le creazioni del nostro maestro da troppo prematuri rimescolamenti e dalle cosiddette sintesi con gli altri campi del sapere e da metodi di ricerca e di lavoro diversamente costituiti” (Eitingon, 1925, pag. 516). Quando il sapere diviene certezza dogmatica, la deviazione deve essere repressa e perseguita.
Freud e i suoi allievi prestavano attenzione a che il deviazionista fosse riconosciuto come tale e che l'apostasia fosse provata: a Sabina Spierlein Freud scrive, dopo che questa si era associata alla Società psicoanalitica Viennese: "Se Lei resta con noi, deve vedere anche dall'altra parte (di Jung) il nemico” (Cremerius, 1986). Max Graf, il padre del piccolo Hans, scrive che "l'amicizia in questo consisteva... che uno che seguiva Adler non poteva più essere un freudiano (Graf, 1942, pag. 473). La fila di coloro di cui fu dimostrata l'apostasia è lunga. Anche vecchi e fedeli allievi, come Ferenczi, furono colti da questo destino. Nel 1927 colpì anche Melanie Klein. Dice Freud: "Le loro idee sono in contrasto con tutte le mie premesse... Contesto le motivazioni alle loro interpretazioni” (Steiner 1985, pag, 31 e 39). E questo verdetto doveva concludersi con la loro esclusione dall'IPA: così la proposta di Anna Freud e dei suoi amici nel 1945, che però fu rifiutata.
L'IPA è rimasta "chiesa” anche dopo gli anni della fondazione: la forma organizzativa della associazione è sempre autoritario-gerarchica (vedi "la carta di Altenburg”); l'analisi didattica da allora in poi ha luogo nella cornice della formazione ed in parecchie regioni sotto osservazione e con resoconti segreti; il principio della segretezza perdura. Tuttora vengono prese decisioni sui candidati a porte chiuse; fino al 1983 non tutti gli analisti didatti potevano prendere parte alle riunioni preliminari sulle richieste di formazione. La cerchia degli invitati era limitata a pochi delegati. I criteri per la selezione erano di competenza soltanto del comitato di invito; gli organi di pubblicazione psicoanalitici di rango hanno un comitato di esperti, che rimane segreto a chi firma i manoscritti. I garanti controllano ciò che deve essere stampato e quello che no, senza dover comunicare al mittente le motivazioni della loro decisione(9). Come nelle sette segrete i congressi analitici hanno luogo sotto stretta esclusione del pubblico.
Potevano partecipare solo soci e candidati in formazione, e più oltre ospiti raccomandati da famosi analisti. La psicoanalisi vive sempre più in una condizione di autoghettizzazione quasi in una religiosa difesa contro tutti gli estranei, quasi in un fobico rifiuto dell'accettazione dei contributi delle altre scienze. La conseguenza di questo atteggiamento è una reazione negativa degli scienziati contro la psicoanalisi. Vale lo stesso argomento con cui Eugen Bleuer nel 1910 rispose alle pressioni di Freud: "Per me questa (la Sua) teoria è solo una nuova verità tra altre verità”. Il principio di Freud del "tutto o niente” è necessario per le sette religiose e per i partiti politici, ma nocivo per la scienza (Alexander e Selenski, 1965, pag. 6); ancor oggi gli scienziati rispondono quando l'IPA entra in rapporto con loro. Jaspers era uno di loro Jaspers 1951). Le strutture religiose sono resistenti alle critiche, tanto alle critiche provenienti dall'interno quanto a quelle provenienti dall'esterno. Lo stesso fondatore di questa struttura, Freud stesso, dovette fare questa esperienza quando nel 1927 protestò contro l'esclusione dei laici dalla comunità psicoanalitica. Brill lo minacciò dell'interruzione del rapporto, Freud dovette cedere, nell'interesse della stessa comunità, che era ad un passo dalla distruzione (Cremerius, 1986). Dove non è possibile alcuna critica, non è possibile neanche alcuna posizione di protesta. L'assemblea dei candidati dell'IPA lamenta il fatto che tutte le decisioni relative all'ammissione, all'allontanamento ed alla chiusura della formazione siano oscure e confuse e che non vi sia alcuna via per una assistenza legale contro gli abusi (Franzen, 1982; si veda anche Speier 1983). Kernberg descrive il predominio di un'"atmosfera paranoide” negli istituti di formazione dell'IPA, una costante "minaccia di persecuzione” (Kernberg, 1984, pag. 561). Uno dei primi esempi divenuti famosi della mancanza di protezione dei candidati in formazione è offerto dal già citato caso di Margaret Mahler: quando la sua analista didatta, Helene Deutsch, interruppe la sua analisi, perché secondo lei era "inanalizzabile”, fu lasciata senza alcuna difesa contro questa sentenza e dovette interrompere la sua formazione (Stepansky, 1989, pag. 88).
E ancora un parallelo tra la Chiesa e l'IPA: in entrambe, le donne non riuscivano a raggiungere le più alte posizioni di potere. Dalla fondazione dell'IPA nel 1910 solo una volta una donna è divenuta presidente della associazione e solo in sostituzione di un uomo sospeso e per breve termine. La prevalenza degli uomini si rispecchia in modo impressionante nel rapporto tra analisti didatti maschi e femmine: il 75% di uomini contro il 25% di donne. Infine l'IPA applica, come la Chiesa, misure coercitive. A questo è obbligata e nel contempo lo desidera, per conservare la comunità dei credenti ed il sistema di formazione che la sostiene. Ecco dunque la minaccia di esclusione contro i dialetti: analisti didatti che mostrino segni di significative deviazioni dalla teoria e dalla prassi psicoanalitica, debbono essi stessi farlo presente o essere denunciati da altri, col che vengono sospesi dalla loro attività (documento di Altenburg, 1985). Questa è in sintesi la "clausola di incompatibilità”: "La partecipazione a corsi di perfezionamento, a parte quelli che acquisiscono la denominazione aggiuntiva "psicoanalisi" non è compatibile con le finalità associative della Dpv” (Risoluzione della Assemblea generale della DPV del 1986). Queste affermazioni non rimasero solo sulla carta. Fonagy riconosce al presidente dell'IPA, Sandler, di essere divenuto importante per aver continuamente richiamato l'attenzione sui pericoli apportati all'identità psicoanalitica dalla partecipazione di analisti dell'IPA a momenti di formazione psicoterapeutica e ad associazioni di categoria psicoterapeutiche (Fonagy, 1993). (Non è contraddittorio che gli analisti dell'IPA guadagnino il proprio denaro con la psicoterapia, ma che non possano fornire la psicoterapia per ragioni di identità?). L'IPA ha conservato anche la prima misura coercitiva da lei introdotta nel 1925 e continua a praticarla tuttora, e cioè l'iscrizione obbligatoria (Wittenberger, 1987). Secondo questa non si diventa analista attraverso una formazione psicoanalitica compiuta presso un istituto dell'IPA ma attraverso la condizione di socio dell'IPA, che si ottiene automaticamente superando il colloquio. Ciò significa: si deve. Se si rifiuta l'associazione, si deve dichiarare esplicitamente che non si vuole diventare membro. Loch constata che un analista consegue la propria identità di analista solo attraverso una sanzione esterna, l'ingresso nella comunità psicoanalitica, cioè nell'IPA (Loch, 1974; vedi anche Sandler, 1989). La psicoanalisi, permanendo in una siffatta forma organizzativa, non ha alcun futuro come scienza. Per una scienza, le teorie sono solo proposte di come si potrebbero prendere in considerazione le cose. La scienza non può imporre questi punti di vista come se si trattasse di una comunità religiosa. Per essere tale necessita di metafore, simboli, speculazioni metateoriche "al di fuori dell'ambito della ricerca empirica”, con le quali noi viviamo come se fossero i nostri "articoli di fede” (Wallerstein, 1988).
La psicoanalisi istituzionalizzata si stacca dalle acquisizioni fondamentali
  • La psicoanalisi istituzionalizzata distrugge ciò che voleva custodire:  "Ho visto il nemico: siamo noi” (Golding).
La istituzione psicoanalitica si è sbarazzata in un processo veramente unico di purificazione della propria funzione specifica e si è lasciata ampiamente indietro la pretesa di Freud di essere una scienza illuministica al servizio dell'emancipazione: "La psicoanalisi può conservare una propria autorità nel mondo”, scrisse Freud ne "Le prospettive future della terapia psicoanalitica”, solo se "ci manteniamo in una funzione critica verso la società” (Freud, 1910, vol. 6, p. 203) e aggiunge nel 1921 che la psicoanalisi deve mantenersi in opposizione contro tutte le strettoie della convenzionalità, i vincoli ed in generale contro tutti i riconoscimenti formali (Freud, 1921), e che dovrebbe disturbare la pace del mondo (Freud, 1916/1917, vol. 8, p. 446). Invece, essa si divide, con un procedimento di sistemazione (Parin, 1976), proprio da ciò che costituisce il suo nucleo oppositivo: la conflittualità del sessuale, la teoria pulsionale la "vocazione emancipatoria della psicoanalisi” (Parin, 1978, p. 655). La teoria culturale e la critica sociale di Freud vengono appena trattate nel curriculum dell'Istituto della DPV (Associazione psicoanalitica tedesca).
I concetti di cultura e di critica culturale non appaiono nei dizionari e nelle monografie psicoanalitiche. Si divide dai fattori sociali condizionanti e facilitanti la nevrosi: al loro posto subentrano fattori, come le qualità innate (Melanie Klein) o le casualità delle costellazioni infantili precoci dei primi mesi di vita: la madre come destino (Kohut). Ora la società è discolpata. Se il destino dell'uomo è determinato nei primi due mesi di vita, allora lo sviluppo sessuale fino all'adolescenza perde d'importanza. Ancora, si divide dalla teoria freudiana della relazione d'oggetto: la sua "inquietante” constatazione che l'istinto non cerca un particolare oggetto d'amore, un "Tu”, una "meta sessuale” di qualunque sorta, se solo risolve la tensione sessuale. Infine, si divide dell'analisi laica, per Freud un'essenziale componente del suo concetto di associazione psicoanalitica. E questo per un buon motivo. Egli desiderava che la società psicoanalitica permanesse nell'alveo della storia spirituale dell'Europa, che nei suoi istituti di formazione - egli parla di "Università della psicoanalisi” - si insegnassero filosofia, psicologia delle religioni, etnologia, scienze letterarie, ecc. "Senza un buon orientamento in questi terreni, l'analista deve fronteggiare la propria impossibilità di comprendere gran parte del proprio materiale” (Freud, 1926, p. 411). I "profani” vengono ammessi alla formazione, essi arricchiscono il corso degli studi con le loro conoscenze in queste materie (i medici come docenti producono raramente teoria della cultura). Freud si aspettava dalla loro presenza un contrappeso al medicocentrismo. Forse si aspettava dalla interdisciplinarietà così nascente un contrappeso contro l'isolamento dell'istituto (qui vediamo Freud impigliato nella sua contraddizione)(10).
L'autodistruzione della psicoanalisi attraverso la fissazione a una posizione anacronistica
Autodistruttivo è l'intenzionale confinamento della terapia ai membri di un ceto culturale in grado di pagare, così come l'esclusione d'influenze esogene sullo sviluppo delle nevrosi; un aspetto al quale Freud attribuì grande importanza. Con tale restrizione la terapia si esclude dalla realtà sociale, diviene anacronistica. Con ciò non può né percepire i cambiamenti sociali né problematizzarsi tanto in rapporto alla propria teoria, quanto alla propria prassi terapeutica. L'esclusione dei fattori esogeni la fissa su un modello eziopatologico monocausale, che non sarà conforme alla verità dell'umana causalità delle passioni. A questo punto si inserisce anche il fatto che la psicoanalisi istituzionalizzata non può prendere in considerazione i mutati rapporti reciproci degli uomini e la loro mutata posizione in un mondo dalle pluralistiche forme di vita. Non vede ancora il mondo con gli occhi del secolo trascorso. L'analisi specifica delle classi impedisce che gli analisti facciano esperienze con pazienti di un altro ceto sociale o culturale, che non potrebbero pagare personalmente la loro terapia o per i quali dovrebbe pagare un terzo (compagnie assicurative, casse mutue)(11). A questo proposito afferma Eissler: "Sarà favorita la dimestichezza dell'analista coi gruppi sociali che esistono nella sua comunità, e questo lo proteggerà dalla sua limitata visione delle strutture sociali e possibile dalle ripercussioni di ciò sui singoli. Oltre a ciò gli sarà reso fare buone esperienze con analisi nelle quali l'onorario non gioca un ruolo come fattore motivante (né per l'analista né per i pazienti); ciò potrebbe non solo contribuire ad un rafforzamento della tecnica psicoanalitica, ma anche mantenere e consolidare la libertà e l'indipendenza dell'analista dai vincoli, che i fattori finanziari potrebbero a poco a poco esercitare su di lui ... ” (Eissler, 1974, p. 85). Io aggiungo a ciò che la limitazione ai pazienti in grado di pagare può danneggiare la psicoanalisi istituzionalizzata anche per il fatto che con ciò esclude se stessa dalla partecipazione ad un'ampia assistenza psicoterapeutica e psicoanalitica della popolazione. In tal modo, si difende un sistema di suddivisione in due classi, una posizione anacronistica. Freud aveva espresso nel 1919 questo desiderio per il futuro della psicoanalisi, "una psicoterapia psicoanaliticamente fondata per il popolo” (Freud, 1919). Io credo che la limitazione ai pazienti privati e ad un'analisi prolungata ad alta frequenza non possa garantire alcun futuro promettente all'istituzione psicoanalitica, che considera questa specie di terapia come il massimo possibile.
L'esclusione dei fattori esogeni, la noncuranza per i fattori sociali (di povertà sociale, di mancanza di lavoro, della disperazione di giovani senza futuro, di deficit di personalità nella società dei media, ecc.) e l'effetto di essi sulla salute psichica, riduce la psicoanalisi ad un concetto mono-eziologico. Questo riduzionismo è il prodotto della rigida sopravvalutazione dei fattori psichici, dell'inconscio privato, attraverso la istituzionalizzazione della psicoanalisi. Nel 1963 il presidente dell'IPA chiese al congresso di Stoccolma che gli analisti dovessero resistere alla tentazione di collocarsi sul terreno del sociale. Così facendo non si sarebbe certamente potuto appellare a Freud, per il quale il fattore sociale era un fattore essenziale nella patogenesi della neurosi. Quel concetto mono-eziologico impedisce la comprensione dei pazienti socialmente svantaggiati, provenienti prevalentemente da uno stato sociale inferiore. Questi pazienti vengono inviati ad altri procedimenti terapeutici. Ciò contribuisce ad aumentare una posizione elitaria della psicoanalisi, la rende marginale in un mondo nel quale la psicoterapia diviene sempre più parte integrante di un servizio sanitario sempre più esteso. Dacché gli analisti, fissati su analisi di lunga durata e ad alta frequenza, non trovano più abbastanza pazienti per questa tecnica, sono costretti a cercare aiuto nei servizi sanitari. Ciò conduce immediatamente ad una dissoluzione della tecnica di trattamento fino ad ora condotta, come all'inflazione dei loro concetti base terapeutici(12).
L'alternativa che si comincia ad intravedere per la psicoanalisi istituzionalizzata significa: o preservarsi su di una posizione elitaria o aderire all'integrazione in una generale psicoterapia analitica nel sistema sanitario. Nessuna delle due è uno sbocco ricco di prospettive per la psicoanalisi. Particolarmente severo appare il rifiuto - l'ansia di Freud per la fugacità (Cremerius, 1990a) - contro i risultati della ricerca in terapia per la psicoanalisi e la psicoterapia. L'insoluto rapporto transferale verso Freud non le consente di staccarsi dalla fissazione alla cosiddetta tecnica classica e dalle sue regole del gioco: "I suoi tratti caratteristici - scrive Greenson nel suo manuale sulla tecnica standard psicoanalitica per la formazione in psicoanalisi - che Freud ha fissato tra il 1910 ed il 1915, servono ancora come base della prassi psicoanalitica. Nella tecnica psicoanalitica generalmente praticata non si è fatto strada nessun cambiamento o sviluppo riconosciuto” (Greenson, 1967, p. 17). Così pensa anche Anna Freud, se dieci anni più tardi constata che la "psicologia dell'Io degli anni venti non ha portato con sé nessun maggior cambiamento della tecnica”. Rinchiusa nella convinzione di essere in possesso di un metodo di trattamento valido per sempre (Freud: "siamo in possesso della verità”), non si ritiene necessario mettere alla prova la propria efficienza. Perciò i tentativi di famosi ricercatori di mettere in movimento una ricerca di efficienza, una ricerca comparata in psicoterapia, si scontrano con lo scetticismo e spesso con la riprovazione. Con questo atteggiamento la psicoanalisi istituzionalizzata cade in una trappola: con la propria richiesta di assunzione dei costi del trattamento psicanalitico da parte delle mutue e delle compagnie di assicurazione, incontra un rifiuto, perché queste richiedono prima una dimostrazione di efficacia e di efficienza. Il richiamo ai casi nei quali l'analisi sia stata utile non viene, in linea di principio, preso in considerazione come dimostrazione di efficacia. Al finanziatore interessa l'obiettivazione, la riduzione del fattore soggettivo e la chiarificazione della domanda se lo stesso risultato non avrebbe potuto essere raggiunto con procedimenti più brevi e meno costosi. Autodistruttiva è in terzo luogo l'assenza di uno sforzo di occuparsi della mutata posizione dell'uomo in un mondo pluralistico di forme di vita e di affrontare questo tema dal punto di vista teorico. (Qui si mostra nuovamente il già lamentato rifiuto di recepire le conoscenze di altre scienze umane, il rifiuto di un dialogo interdisciplinare). La società, come la vide Freud, era ordinata secondo modalità gerarchico-autoritarie. Vi erano istanze (imperatore, Chiesa, la rappresentazione dei valori borghesi), sulle quali l'uomo si poteva orientare. Oggi siamo in presenza di un mutamento dei modi di vivere socialmente accettati e delle relative rappresentazioni sociali di valore e di normalità.
Questo mutamento è legato al declino di modelli vincolanti e universalmente validi e dei relativi valori e norme morali e religiose. Questo declino corrisponde ad una scomparsa delle istanze di guida e di comando (Fuerstenau, 1994, p. 40). Facciamo qui alcuni esempi di cambiamento, che la psicoanalisi istituzionalizzata non ha elaborato: la mutata posizione del padre nella società: al posto di una società ordinata in senso gerarchicoautoritario, è subentrata una "società senza padre”; al posto di una società nella quale le responsabilità unicamente personali dovevano limitare il rischio di vita (malattie, vecchiaia ecc.) attraverso cure volontarie, è subentrata nei Laender con un ampio servizio sociale, un generale atteggiamento assistenziale, una, come dice Mitscherlich, "maternità collettiva”, che provoca comportamenti di attesa infantili e passivi(13); si è profondamente modificata la posizione delle donne nella società: esse sono alla ricerca di nuove forme di realizzazione di sé e si difendono dall'essere "fallicamente patologiche”, se richiedendo attivamente le posizioni che loro spettano, combattono nella società; le donne non si lasciano più classificare come "creature manchevoli”, affette da "invidia del pene”, esse capovolgono il modello di valori originario di Freud: ciò che Freud indicava essere la loro natura, loro la indicano come conseguenza di repressione sociale; si è anche profondamente modificato il rapporto genitori-figli, come anche la posizione del bambino nella società, l'autorità genitoriale indebolita non ha ancora trovato la strada per nuove forme di rapporto; forme di convivenza a due (matrimonio), lodate come realizzazioni dell'Io e segno di attitudine alla costanza d'oggetto, non sono più rappresentazioni di valore socialmente premiate. Al loro posto sono sperimentate unioni finalizzate ad uno scopo specifico, come comunione per periodi di vita. La costanza d'oggetto non è più caratteristica di una organizzazione dell'Io matura, viene molto più spesso interpretata come debolezza dell'Io, come incapacità a separarsi; la sessualità ai tempi di Freud era affare privato, pudicamente celata, oggi è pubblica; al posto del primato della genitalità, che doveva sovrapporsi all'organizzazione sessuale pregenitale, è subentrato il primato della pregenitalità (il cinema vive prioritariamente dello scabroso); la psicoanalisi vive ancora della massima: "dove era l'Es, là deve essere l'Io”, la società grida, rovesciando il tutto: "dove è l'Io, là dovrà essere l'Es”.
Se la psicoanalisi vuole poi adempiere alla propria pretesa di essere una scienza dell'uomo deve far sì che nel proprio assetto teorico si rifletta la realtà sociale entro cui vive oggi l'uomo e mettere in movimento l'assetto teorico stesso. Il futuro della terapia analitica dipende da questo, da quanto estesamente cioè può riuscire questo processo di revisione. Se non ci riuscirà, il proprio essere fuori dal tempo diverrà la sua fine.
Il diniego della crisi
L'ortodossia deve modificare i propri principi invece di ignorare la realtà. Nel momento dell'inquietudine, in considerazione delle "pericolose trasformazioni”, che "riguardano la nostra scienza e la nostra professione”, non si sviluppa nella psicoanalisi istituzionalizzata alcun movimento nella direzione di una riforma radicale. Invece di fare ciò essa delega i problemi che via via affiorano a una serie di commissioni: sulle questioni della tecnica psicoanalitica, sulla differenza tra psicoanalisi e psicoterapia, sul chiarimento del problema del perché manchino più recenti conoscenze scientifiche e sul problema dell'insufficienza dell'analisi didattica ecc. Queste commissioni lavorano per decenni, finché un giorno si insabbiano senza alcun risultato(14). Poi vengono alla discussione nuovi problemi, si debbono formare nuove commissioni e sempre così via. Queste attività ricordano la marcia in folle delle macchine di Tinguely o la frase di Lampedusa: "Se vogliamo che tutto resti com'è, è necessario che tutto cambi”. "Le illusioni sono auspicabili per questo: che ci risparmiano sensazioni spiacevoli e al loro posto ci fanno gustare soddisfacimenti sostitutivi” (Freud, 1915, vol. 8, p. 128). Incapace di reagire adeguatamente alla crisi, la psicoanalisi istituzionalizzata cerca la via d'uscita nel diniego: essa rifiuta di vedere la situazione e di accettarla. Invece di confrontarsi con la psicoanalisi realmente esistente, prende la decisione di tenersi ferma ai principi coi quali fino ad ora ha amministrato l'associazione. Il risultato è che si forma un abisso tra ciò che è in realtà e ciò che essa desidera che sia. Con questo ripiegamento nella illusione vive da anni e si risparmia così dispiaceri. L'IPA evita il dispiacere attraverso la negazione del cattivo presagio di essere con le spalle al muro, dei segnali di decadenza. Il numero dei membri cala negli Usa stabilmente: la Società psicoanalitica americana (APA) aveva negli anni '50 una quota del 60% nell'IPA, oggi è solo al 33%. Il numero degli aspiranti ad una formazione psicoanalitica, come il numero dei candidati in formazione, cala egualmente in misura costante. Negli ultimi dieci anni si contava negli istituti dell'APA il 30% in meno dei candidati. A San Francisco, un antico e rinomato istituto di formazione dell'APA, si trovano nelle ultime singole annate solo quattro candidati (annuario dell'istituto psicoanalitico di San Francisco, nel 1993); tra il 1980 ed il 1990 sono stati registrati presso i 36 istituti dell'APA solo 68 candidati in formazione (Cooper, 1990). Qui occorre anche parlare della situazione in Germania, dove, tramite il nuovo ordinamento specialistico, la formazione psicoanalitica si sposterà dagli istituti, anche della DPV, nei reparti specialistici universitari(15); anche in Olanda e in Inghilterra gli istituti di formazione psicoanalitica si prosciugano da anni sempre di più (van der Leeuw, 1978; Groen-Prakken, 1981 e 1984; Holder, 1984). Particolarmente drastico è il calo dei medici, perché loro possono praticare in quasi tutti i paesi la psicoterapia e la psicoanalisi anche senza una formazione dell'lpa. Negli Usa il calo è del 50% (Cooper, 1984).
Il numero dei candidati che lasciano l'istituto alla fine della formazione, senza voler diventare membri dell'IPA, cresce soprattutto in America: all'istituto psicoanalitico di New York è di circa il 30% dei candidati. Questa è anche la caduta in Germania, dove gli Ordini dei Medici concedono il titolo supplementare "psicoanalitico” a quelli che lo richiedono, anche senza il diploma di un istituto dell'IPA; il numero di quelli che passano da un istituto dell'IPA ad istituti, nei quali le condizioni per l'ammissione divengono più maneggevoli e libere e le richieste di analisi didattica sono minori, cresce stabilmente. In Germania le cattedre di psicoterapia, psicoanalisi e medicina psicosomatica, che fino a pochi anni fa erano ampiamente occupate da membri della DPV, ora sono occupate da rappresentanti di altri orientamenti. La stessa cosa afferma Wallerstein per gli Usa: gli psicoanalisti hanno ben poche chances di poter esser chiamati ad occupare una cattedra di psichiatria (Wallerstein, 1991a). Molte cattedre psichiatriche universitarie erano una volta interessate ad introdurre aspetti psicoanalitici nella formazione specialistica. Oggi entra al loro posto la terapia del comportamento. Particolarmente drastica appare la perdita di prestigio della psicoanalisi nella formazione degli specialisti psichiatri negli Usa. Intorno al 1970 questa era costituita per un 50-60% dalla teoria e dalla pratica della psicoterapia analitica, la cui quota oggi è del 2,5% (Wallerstein, 1991a). Ciò ha anche a che fare con questo, che i laureati non potranno far conto sul fatto di potersi guadagnare un sostentamento con la psicoanalisi. Il 50% stesso dei membri dell'APA non lavorano più solo nella pratica psicoanalitica (Sandler, 1990), essi guadagnano il loro denaro come impiegati delle istituzioni. Dei 1500 psichiatri che ogni anno terminano la loro formazione negli Usa, solo 109 si presentano ad un istituto dell'APA per la formazione psicoanalitica (Cooper, 1990). La disposizione antianalitica negli Usa si mostra anche in questo, che i redattori responsabili non hanno accolto nella classificazione del DSM le neurosi sintomatiche ed ogni terminologia che abbia a che fare con la psicoanalisi. L'IPA evita dispiaceri anche con ciò: non riflette sulle conseguenze di una anacronistica formazione d'istituto. Molti licenziati dalla stessa cercano, una volta collocati in una situazione pratica, che richieda conoscenze ed esperienze metodologiche che non hanno appreso (e ciò che hanno appreso, e cioè una lunga analisi ad alta frequenza, è il raro caso particolare) di entrare in possesso di conoscenze in una seconda formazione al di fuori dell'IPA. Ciò porta, per esempio, nella Repubblica Federale, come mostrano le relazioni dei membri della DPV alle richieste di perizia dei pazienti, ad una mescolanza di eterogenee teorie e metodiche, che porta all'introduzione, nel lavoro terapeutico, di una grande confusione. La conseguenza di queste negazioni è l'impotenza. Mostrerò con due esempi l'ampiezza delle illusioni che sono necessarie per risparmiarsi il dispiacere.
Il primo esempio. "Analista è colui” dice Sandler "che è stato formato nelle nostre istituzioni formative” (Sandler 1989). Questa frase ha senso solo dopo che sono state date due premesse: in primo luogo quella che gli istituti dell'IPA formino ancora secondo i principi dell'IPA; in secondo luogo quella che l'identità dell'analista possa essere ancora definita in conformità col paradigma di Freud. Dimostrerò che la prima premessa non vale più per tutte le associazioni della IPA e che la seconda non può essere vista come qualcosa di non più dato, già da molto tempo. Ciò significa che la frase di Sandler nega profondi mutamenti ed in questo modo risparmia dispiaceri. In molti paesi gli istituti di formazione dell'IPA debbono offrire curricula che solo parzialmente, come negli Usa (Cooper, 1990) o appena appena, come in Germania, corrispondono ai criteri di formazione dell'IPA. Prendiamo il caso della Germania, dove disposizioni semi - statali sulla formazione stabiliscono i curricula degli istituti di formazione, anche quelli degli istituti dell'IPA. Negli istituti della DPV debbono essere presenti i seguenti contenuti pedagogici denominati dall'IPA come "estranei all'analisi”. Nell'ambito delle teorie: psicologia dell'apprendimento, psicodinamica dei gruppi, della famiglia, teoria e metodo della terapia breve, della teoria della comunicazione, della terapia comportamentale, della psicoterapia gruppale e del gruppo Balint; psicologia a distanza con test. Nell'ambito della prassi: formazione alla pratica dei gruppi Balint, in ipnosi e nel training autogeno. Debbono essere portati a termine sei trattamenti psicoterapeutici, secondo le linee guida delle casse-mutue, cioè a bassa frequenza, di complessive 1000 ore, di queste una con psicoterapia secondo la psicologia del profondo ed una psicoterapia breve. Debbono essere ulteriormente certificate 60 ore doppie e continuative di psicoterapia di gruppo con 40 ore di controllo. Ciò significa che soprattutto nell'ambito della prassi l'addestramento alla tecnica psicoanalitica, come l'IPA lo concepisce, è severamente ostacolato non solo in termini di tempo, ma anche col pericolo della fusione e della confusione. Alla maggior parte dei candidati riesce solo con molta fatica di trattare due casi "analiticamente” e anche soltanto a 300-400 ore (Brenner, 1992). Chi afferma che i candidati di un simile istituto siano analisti nel senso di Sandler finge di non vedere - prima di tutto dacché il principio che i casi sotto controllo siano trattati ad alta frequenza è stato vittima di un divieto - che essi si distinguono a malapena dai candidati di istituti di formazione analitica al di fuori dell'IPA. Già prima che questo processo fosse introdotto negli istituti, l'allora presidente dell'IPA Edward Joseph, affermò nel corso della conferenza di Haslemere del 1976, che la identità dello psicoanalista non poteva più essere definita in accordo con i paradigmi di Freud Goseph, 1979). In definitiva ciò significa: l'identità dell'analista è qui da definire chiaramente, sia avendo come obiettivo la ricerca che il trattamento; l'acquisizione di una definita tecnica di trattamento è ugualmente insufficiente per la costruzione di un'identità psicoanalitica: la definizione della funzione sociale e del ruolo dell'analista conduce a talmente tante contraddizioni, che non basta alla definizione dell'identità analitica; l'asserzione di Freud che ogni lavoro che riconosca la realtà della traslazione e della resistenza, può essere chiamato psicoanalisi, può oggi essere rivendicata anche dai non-analisti (Meerwein, 1978, p. 42 e segg.). Vediamo che la conferenza è giunta ad una definizione dell'identità dell'analista, che assomiglia a quella che ho tratto dai curricula degli istituti di formazione. Al tema dell'identità dell'analista appartiene anche la constatazione di Wallerstein, che il divario tra analisti di scuole dissidenti (Silverberg, Radò, Sullivan, Horney) e quelli di un orientamento psicoanalitico ortodosso è più piccolo di quello esistente tra analisti come Kohut, Schafer, George S. Klein, Peterfreund, che ancora appartengono al "massiccio centrale” dell'IPA e perciò alla ortodossia (Wallerstein, 1988)(16). Esempio di ciò è Winnicott: poiché infrange il tabù che un analista non deve toccare i propri pazienti (Ferenczi fu disconosciuto dall'IPA per la rottura di questo tabù), "quando occorre, l'atto vietato deve essere agito anche fisicamente” (Winnicott, 1974, p. 317), egli si è allontanato dal "massiccio centrale” ben più che i rappresentanti di scuole analitiche esterne all'IPA, che pur tuttavia rispettano questo tabù.
Secondo esempio: la psicoanalisi istituzionalizzata resta fedele alla norma secondo cui dovrebbe essere chiamata pratica psicoanalitica solo quella che viene condotta con una frequenza di 4-5 sedute la settimana, senza limite di tempo e non sostenuta d'aiuti esterni (ad esempio di casse mutue). "L'ovvietà per la DPV” si afferma nel 1990l'analisi ad alta frequenza, nella pratica e nella formazione”. Per la formazione ciò significa: l'analisi didattica come i casi di controllo debbono essere condotti con non meno di quattro sedute la settimana. Nel 1986 il presidente della DPV afferma: "chi abbandona il significato centrale del metodo psicoanalitico, cioè chi lo riduce nella frequenza e nella durata, cessa di essere psicoanalista in senso stretto” (Appy, 1986). Nello stesso senso il presidente dell'IPA Sandler nel 1991 afferma che l'integrità del movimento psicoanalitico è minacciata, "perché un numero sempre crescente di membri dell'IPA fanno analisi a bassa frequenza” (Sandler, 1991, p. 1). Una conseguenza di questa confusione e di questa contraddittorietà è, scrive Pulver come riassunto della sua inchiesta, che "gli psicoanalisti che già oggi (1976/1977) negli Usa praticano prevalentemente psicoterapia, avrebbero sempre più faticosamente da dimostrare 'l'oro" della relazione transferale e controtransferale” (Pulver, 1978, p. 194). Questa constatazione vale già da alcuni anni per la maggior parte dei paesi europei, in particolare per la Germania. Per la sopravvivenza della tecnica "classica”, come la intende l'IPA, significa che appena per poco ancora ci sono docenti e didatti in grado di trasmetterla. Il "sempre più” di Sandler cerca di nascondere il fatto che gli analisti di tutto il mondo in misura sempre più frequente e prevalente hanno condotto terapie a bassa frequenza(17).
Di fronte alla psicoterapia finanziata dalle casse mutue nella Germania nel 1967, gli analisti che non erano didatti o collocati in posizione preminente, sostennero il loro tenore di vita con analisi a bassa frequenza, che raramente superavano le 300-500 ore. Persino negli anni in cui la psicoanalisi era una moda negli Usa e godeva di una posizione di monopolio, l'aliquota di pazienti negli studi degli analisti dell'IPV che furono trattati tra il 1952 ed il 1958 con analisi ad alta frequenza si aggirava là solo intorno al 49% (Hamburg, 1967). Già dieci anni più tardi l'indagine di Pulver diede come risultato che tra il 1967 ed il 1978 il 70% dei pazienti in trattamento psicoanalitico erano trattati con psicoterapia a bassa frequenza, spesso con carattere d'appoggio ed in talune situazioni combinata con sostegno farmacologico (Pulver, 1978). Nella stessa ricerca il 25% dei membri dell'APA esplicita di non essere più identificato con la psicoanalisi (ci si riferisce alla tecnica ad alta frequenza). Shapiro, nel commento alla ricerca, nota che solo il 20% dei membri attivi dell'APA pratica una attività psicoanalitica pura (ibid., p. 618). In Francia Smirnoff dichiara che si è sempre lavorato, anche prima del 1939, con meno di quattro sedute la settimana (Smirnoff, citato da Rotmann 1988, p. 157). Nel 1987 un rilevamento statistico confermò che la situazione non si era modificata: l'81% degli analisti che avevano risposto all'indagine indicava di condurre analisi di sole tre sedute (Bergeret et al., 1987). I sostenitori di un'analisi condotta con un numero definito rigidamente di sedute non possono richiamarsi a Freud. Ricordo la tecnica di Freud nell'analisi dell'"Uomo dei topi” (1907) e in quella condotta a metà degli anni venti con Marie Bonaparte(18) (Bertin 1982; citato da Cremerius, 1990 p. 19). Nei paesi nei quali la burocrazia sanitaria dello stato offre gratuitamente psicoterapia e psicoanalisi (Inghilterra e Olanda), si trovano a fatica pazienti che finanzino privatamente una analisi ad alta frequenza. La conseguenza è che non ci sono più persone che aspirino ad una formazione psicoanalitica (Holder, 1984; vari der Leeuw, 1978; Groen-Prakken, 1981 e 1984).
Le casse mutue hanno inciso moltissimo sulla pratica professionale in Germania e sulla formazione della DPV. Dal 1990 hanno cancellato dal catalogo delle loro prestazioni le analisi a lunga frequenza. Ciò significa che i soci della DPV, che partecipano quasi tutti alla disciplina delle casse mutue, praticano una professione non-analitica nel senso dell'IPA. Non-analitica non solo per la terapia a bassa frequenza e per una durata determinata circa in 240 ore al massimo, ma anche per le direttive che le casse mutue chiedono siano seguite, direttive che rendono impossibili terapie analitiche come tali, secondo la concezione dell'IPA (Cremerius, 1992a e 1992b). Freud si abbandonava alle illusioni molto meno che gli analisti di oggi. Lo sviluppo qui descritto, che l'IPA cela, fu da lui previsto: "Verrà un tempo in cui ci saranno molti analisti, ma poche vere analisi” (citato da Morgenthaler, 1965).
Come sia all'opera in misura potente, ce lo mostra il fatto che la psicoanalisi istituzionalizzata non prende atto del "Progetto-Psicoterapia-Menninger” condotto da famosi membri dell'IPA. Questo progetto non fu in grado di sostenere la regola dell'alta frequenza. Al contrario fu rimarcato come risultato che non può essere sostenuta la tesi che solo la tecnica psicoanalitica classica della alta frequenza porta alle più approfondite comprensioni delle modificazioni strutturali. Entrambe, comprensione e modificazioni strutturali, sono da dimostrare anche nel gruppo di confronto, con pazienti trattati con terapie a bassa frequenza (Wallerstein, 1986a). Non aveva forse già affermato Freud che la psicoanalisi non è "che una terapia tra le tante” (Freud, 1933, vol. 11 p. 262 e seg., 1926 e, vol. 10, p. 413 e seg.)? Non meraviglia che venga nascosta anche un'altra osservazione, che ha mostrato la dannosità di un'analisi intensiva: "Essa induce la dipendenza del paziente e con questa un'analisi senza fine” (Gibeault, 1980).
In quale astrusa contraddizione l'IPA si sia cacciata, lo mostra quanto segue: un famoso analista, allora presidente dell'IPA, notò - come già citato -che in un faticoso lavoro durato dieci anni non si era riusciti a differenziare la psicoanalisi dalla psicoterapia (Wallerstein, citato da Kluewer, 1980 p. 21 e seg.). Un altro egualmente famoso analista, ad una domanda fattagli, dice - come egualmente già citato - di avere il sospetto che queste "riflessioni siano determinate più sotto la spinta di punti di vista tattici e politici, che non scientifici” (Sandler, 1989, p. 5). Due anni più tardi lo stesso Sandler, ora presidente dell'IPA(19), diceva: "Se il movimento psicoanalitico deve continuare ad esistere, dobbiamo intraprendere ogni sforzo, per mantenere alto il confine fra trattamento analitico e non analitico” (Sandler, 1991, p. 1). Ciò che è astruso in questa dichiarazione è il fatto che nella maggior parte dei paesi si considera analisi una analisi a quattro sedute la settimana. Nella Società psicoanalitica britannica, a cui Sandler appartiene, vale come analisi classica l'analisi a cinque sedute la settimana. Un trattamento a quattro sedute è considerato psicoterapia. Sandler, che nel 1991 difese questa impostazione numerica, affermò nel 1980, in contrasto con questo, che è psicoanalisi ciò che un analista pratica, anche se vede un paziente solo una o due volte la settimana (Kluewer, 1980, p. 20). A fronte di questa situazione negli Usa e in Europa, Parin pose nel 1990 la questione se la psicoanalisi, così lesa come è, sia ancora adatta al mondo d'oggi o se essa sia diventata troppo vecchia, un romantico relitto, come la carrozza postale, un'obsoleta, messianica utopia (Parin, 1990, p. 4).
Prospettive: la psicoanalisi diviene una scienza normale
La psicoanalisi non deve essere pensata come qualcosa di compiuto, deve essere dedita alla realtà. La psicoanalisi come scienza ha un futuro solo se si mette a seguire in modo conseguente il cammino di una normale scienza, cammino che già da alcuni anni persegue, certamente in modo lento e faticoso, perché da molte parti impedita. L'altra condizione per un futuro favorevole è quella di trovare un luogo dove poter compiere indisturbata l'enorme lavoro che è legato alla costruzione di una normale scienza. Solo come "analisi liberata dalle catene” può essere in grado di fare ciò. Questo luogo deve essere un luogo pubblico, un luogo dove sia disponibile una "ragionevole apertura” (Kant) al discorso critico. Questo luogo è, per quanto ci possano essere considerazioni contrarie, l'Università. Ciò significa: la psicoanalisi deve diventare una "scienza normale”? Significa che essa dalla sua fase precoce, della formazione di paradigmi, dell'audace patrimonio di idee, della "promessa di successo”, come dice Kuhn, è entrata nella fase della "realizzazione delle promesse "(Kuhn, 1972, p. 75), nel suo "secolo postdogmatico” (Thomäe, 1991). Cosa significa questo per la psicoanalisi? A quali compiti deve adempiere per realizzare le promesse dei paradigmi psicoanalitico originari? Innanzitutto significa portare a compimento i lavori di sgombero!
Nel fermento della fase iniziale, della fase delle scoperte e delle invenzioni, della costruzione d'ipotesi e della prima definizione dei concetti, è rimasto molto d'incompiuto, di non chiarito, rimasto li come primo abbozzo. Scienza normale significa che una generazione si addossa il lavoro di portare a compimento tutto questo lavoro che è rimasto incompiuto. Deve compiere questo faticoso lavoro. La psicoanalisi rappresenta due territori: quello della teoria e quello della psicoanalisi applicata. In entrambi i terreni occorre portare a compimento i sunnominati adempimenti di una scienza normale. Inizio dal territorio sul quale la psicoanalisi già da anni progredisce come scienza normale: le applicazioni della psicoanalisi nell'ambito della medicina. Dalla fondazione delle cattedre di psicoterapia, medicina psicosomatica e psicoanalisi all'inizio degli anni sessanta in Germania la terapia psicoanalitica è diventata oggetto di ricerca empirico-critica. Il punto critico della ricerca risiede al momento nella ricerca sulla prognosi, l'efficacia e l'efficienza. Altri punti critici sono: ricerca di metodi comparativi che includano terapia comportamentale e tecniche cognitive, sistemiche ed orientate alla soluzione del problema; il chiarimento del concetto di diagnosi, la sperimentazione di variazioni della tecnica psicoanalitica, come ad esempio le tecniche orientate sul paziente e sulla situazione, ciò significa anche ripresa degli esperimenti tecnici di Freud, qualcosa della "intervalltechnik”, ed il recupero della libertà di indicazione, che Freud per motivi di ricerca aveva lasciato indietro come disturbanti. Importante sarebbe l'esigenza di una ricerca della terapia comparata, completamente trascurata. Cosa producono le terapie cognitive, sistemiche, orientate alla soluzione del problema, più di quello che può dare la terapia psicoanalitica? Cosa possono fare queste in combinazione con la terapia psicoanalitica? E inoltre: cosa produce la tecnica psicoanalitica in combinazione coi trattamenti gruppali, corporei, del comportamento, suggestivi? Qui è necessario anche considerare l'antico tabù: l'analista è quello che non tocca il suo paziente.
Qui, sul terreno aperto dell'Università, sarà possibile la discussione che già da lungo tempo affiora sulle storie cliniche di Freud. Su queste, la mia generazione ha dovuto imparare la classica "maniera psicoanalitica di trattare”, sebbene queste non avessero come oggetto le nevrosi classiche (nel caso dell'Uomo dei Topi siamo addirittura di fronte al contrario di una tecnica classica). Per poter fondare una ricerca in una terapia scientificamente fondata, occorre che i contenuti formativi siano estesi ben al di là di quelli degli istituti dell'IPA: sulle conclusioni delle ricerche della neurofisiologia, della neuroanatomia, della ricerca sui centri del tronco encefalico e del mesoencefalo, sulle conoscenze riguardo le fasi precoci dello sviluppo cerebrale, della maturazione del midollo e sulla ricerca sui gemelli, ecc. Debbono anche essere fornite conoscenze sulle modalità d'azione di certi farmaci, perché la loro combinazione con la psicoterapia possa rappresentare un nuovo terreno di ricerca.
Anche la psicoanalisi come teoria, come una specifica scienza umana, deve mettersi in sintonia con la scienza normale. Questo è però ancora largamente un puro sogno. Al paragone, il buon posto che la ricerca psicoterapeutica ha trovato nella medicina, deve ancora tutto conquistarselo. Tale era l'interesse per la psicoanalisi in certe discipline delle scienze dello spirito, e ancora lo è, tanto difficile appare allestire veri e propri centri di studio e di ricerca su questi temi.
Continuo il mio sogno. Allora mi immagino questo centro come un luogo della comunicazione, come un luogo nel quale possono incontrarsi tutti quelli che sono interessati alla psicoanalisi come scienza. Per poter adempiere a questo compito il centro dovrebbe riunire in sé funzioni di insegnamento e di ricerca. Come istituto di insegnamento adempirebbe al desiderio che Freud espresse nel 1926 di una "Università psicoanalitica”. Dovrebbe essere però superiore ad essa in questo, nel fatto di esistere nello spazio libero ed aperto dell'Università, gestito da rappresentanti competenti delle discipline che, secondo il desiderio di Freud, dovrebbero essere là insegnate: storia della cultura, mitologia, psicologia della religione e scienza della letteratura. Sarebbe superiore anche in questo, che sarebbe usufruibile a tempo pieno. Vi si studierebbero naturalmente materie come sociologia, etnologia, teoria della comunicazione, psicologia della percezione, sarebbero promosse ricerche sul campo trascurato dell'adolescenza e delle varie fasi della vita; potrebbero infine essere affrontati assieme a ricercatori empirici temi come la natura del sogno, del sonno, della coscienza e dell'inconscio, della formazione della coscienza e degli stati alterati di coscienza. Il centro psicoanalitico, come luogo di formazione psicoanalitica, dovrebbe essere aperto ad uomini di ogni disciplina, che si interessino alla teoria psicoanalitica. Liberi dall'obbligo di dover rilasciare un diploma per la pratica professionale, ci si potrebbe dedicare alla cosa in sé, alla psicoanalisi. Non ci si dovrebbe nemmeno interessare di analisi didattica e di supervisione di casi trattati. Ci si potrebbe offrire in toto come "sistema aperto” (Popper). Ciò significa che si potrebbero offrire contenuti, dai quali ognuno potrebbe scegliere ciò di cui abbisogna per i propri scopi, ciò che gli sembri servirgli per la specialità nella quale lavora o nella quale potrebbe lavorare. Non sarebbe promossa alcuna procedura d'ammissione, non ci si assumerebbe alcuna responsabilità per l'iter formativo. Il grande vantaggio di una tale formazione sarebbe quello che tutti coloro che vi partecipano conoscerebbero la psicoanalisi come una scienza dell'uomo, come una verità tra le altre, così come la concepiva Eugen Bleuler. Alla Sorbona sembra che si sia già realizzato un tale centro. Da circa cinque anni si può là ottenere un "Dottorato in psicoanalisi”.
Come centro di ricerca occorrerebbe concedergli molti compiti, se si vuole aiutare la psicoanalisi a diventare una scienza normale. Le sue possibilità di ricorrere ad essa con buoni risultati sarebbero grandi, perché scienziati di diversa provenienza si metterebbero a disposizione, per così dire, dietro la "porta accanto”. Prima dell'inizio di ogni specifico lavoro si dovrebbe innanzi tutto intraprendere un lavoro di pulizia nell'ambito della concettualizzazione e della rappresentazione concettuale. Nonostante il grandioso lavoro del "Dizionario della psicoanalisi” ci muoviamo sempre pur tuttavia nella fascia detritica di concetti presi a caso e dai molti significati, o tali da essere solo vocaboli criptici per iniziati. Per questo lavoro di pulizia occorrerebbe l'obiettività di ricercatori normalmente scientifici, che non abbiano il timore della "vacca sacra”. L'ulteriore vantaggio che la ricerca secondo una normale scientificità apporterebbe è quello che essa può restringere il proprio terreno di ricerca in un ambito più circoscritto di quello che era possibile nella psicoanalisi istituzionalizzata. Le idee generalizzanti, generali rappresentazioni dell'uomo e del mondo, filosofie private sul senso della vita e della morte, della cura, della maturazione e del vero Sé, "idee nello stile della economia domestica” (Cooper, 1984, p. 255), portavano ai soci un'esistenza spesso poco conosciuta. L'esempio più convincente dell'esistenza di tali vaghe rappresentazioni è la presenza di concetti metateorici mai chiariti, per lo più trasmessi in modo non pensato, al centro della fondazione teorica della psicoanalisi. La "metapsicologia ammaliatrice” di Freud non è stata in pratica smitizzata. Holt parla della metapsicologia come di un insieme di relitti, che dovrebbero essere rimossi, al posto dei quali dovrebbe esserci una disciplina epistemologicamente chiara (Holt, 1990). La scienza normale non può accordarsi con la definizione di Wallerstein: i concetti metapsicologici siano metafore, simboli-metafore, coi quali vivere, i nostri dogmi di fede. Dovranno servire a dare un nesso al nostro non-sapere interiore (Wallerstein, 1988). È necessario e urgente giungere all'eliminazione di una singolare forma di confusione babilonese delle lingue: si sono sviluppate dalla corrente principale nuove scuole divergenti che però poi hanno continuato ad utilizzare la terminologia della scuola di provenienza. In virtù del fatto che esse attribuiscono loro un nuovo significato, gli stessi vocaboli servono a due lingue diverse. In fondo occorre, ed è questa una consegna che presuppone un atteggiamento transferalmente libero da Freud, che la scienza normale riprenda in mano i paradigmi di Freud. Qui si pongono problemi come: un paradigma assolve ancora alla pretesa di essere soddisfacente per la soluzione di un determinato problema come i modelli concorrenti con questo? Esiste un maggior avvicinamento di questo alla verità ricercata? Ci sono paradigmi che sono da precisare, da allargare o a cui rinunciare come non attendibili.
A questo punto si colloca anche l'esame dei paradigmi tenendo conto del loro condizionamento storico. Ciò significa che ci sarebbe da chiedersi come questi spesso rispecchino il rapporto (su cui non si è sufficientemente riflettuto) tra il loro creatore ed i pregiudizi e le rappresentazioni di valore del suo tempo. lo penso a qualcosa intorno alle rappresentazioni di Freud riguardo la struttura della società, sul ruolo del padre e della famiglia in essa, della donna come essere manchevole (invidia del pene), delle condizioni economiche e della vita di quello strato sociale che allora non appariva nella pratica analitica, ma che oggi la frequenta, ecc. Per questo rinnovamento è essenziale la collaborazione col sociologo. Ciò significa: con gli scienziati che riescono ad analizzare la realtà sociale nella quale oggi vivono gli uomini, che possono mostrare all'analista le strutture che dalle prime formulazioni di Freud dei suoi paradigmi sono mutate. Infine desidero che in questi centri siano intensivamente ripresi, in collegamento coi rappresentanti delle scienze sociali, la teoria della cultura e la critica sociale, da decenni trascurate dalla comunità psicoanalitica. Sono convinto che qui siano a disposizione idee che potrebbero contribuire a comprendere meglio l'aggressività irrazionale e la distruttività nella società, come nelle relazioni dei popoli l'uno con l'altro.
Con lo sguardo rivolto al secolo che verrà, spero che la generazione che poi determinerà il destino della psicoanalisi non la tramandi in modo missionario, apostolico, come il sacrosanto insegnamento dei padri fondatori, ma come una scienza che non deve essere monopolizzata, che "appartiene” a tutti gli uomini; ed io spero che essa (generazione) concepisca la psicoanalisi come qualcosa che deve entrare nel processo mai concluso della scienza, che pone sempre in discussione il sapere acquisito e produce sempre e continuamente un nuovo sapere. lo penso che anche Freud abbia inteso così la psicoanalisi nel suo ultimo anno di vita, il 1939, quando egli ancora una volta prese in considerazione il futuro della psicoanalisi ora liberata dagli errori del movimento psicoanalitico” basati sul concetto: "siamo in possesso della verità”: "La validità delle scoperte psicoanalitiche e delle sue tesi non è solidamente comprovata, in verità la psicoanalisi è ancora agli inizi ed occorre ancora molto sviluppo, ripetute prove e conferme delle sue ipotesi” (intervista con Peck; Peck, 1940, p, 206).

NOTE
1. Qui si rinnova la tradizione dell'Antico Testamento: "Siate temperanti - createvi molti seguaci e costruite una torre intorno alla teoria” (sentenze del padre). Echeggia anche nella storia della origine del Comitato. Freud si circondò in esso di sette allievi e si legò a loro col dono di un anello con una antica gemma che egli stesso portò. La sua pietra mostrava la testa di Giove. In Matteo (9.9, 10.3) si dice che Gesù scelse i suoi seguaci di Cafarnao nega cerchia dei dodici (apostoli).
2. Erikson ironizzava su ciò dicendo che la psicoanalisi era scaturita dalla testa di Freud come "Atena dalla testa di Zeus” (Erikson, 1957, pag. 80).
3. Il valore della selezione corrisponde alla legge del caso: 50% di prognosi esatte, 50% di prognosi errate, si conta il caIo dei candidati nella analisi didattica.
4. Nel 1918 Nunberg propose al Congresso di Budapest, incitato a ciò da Freud, che ogni analista dovesse compiere una propria analisi personale. Soltanto nel 1926 la proposta fu accolta, contro certe opposizioni, al congresso di Homburg. Da allora esiste il concetto di "analisi didattica”.
5. Balint ricapitolò la situazione nel modo seguente: "Da parte dei comitati d'insegnamento e degli analisti didatti notiamo segretezza del loro sapere esoterico, pronunciamenti dogmatici di fronte alle nostre richieste e tecniche autoritarie. Da parte dei candidati (...) notiamo docile accettazione di leggende esoteriche, sottomissione a un trattamento dogmatico e autoritario senza molte proteste. Sappiamo quale obiettivo hanno tutti i riti di iniziazione: debbono costringere il novizio a identificarsi col clan. Noi sappiamo invece che ciò che dobbiamo proporci coi nostri candidati è che sviluppino un Io critico e forte. In contrasto con questo obiettivo consapevole, il nostro peculiare comportamento come didatti produce caratteri ed il nostro sistema di formazione va a finire che immancabilmente porta ad un indebolimento di questa funzione dell'Io dei nostri candidati” (Balint, 1947, pag. 317).
6. I movimenti di ribellione e di scissione provengono da Jung, Adler, Steckel, Max Graf, Otto Grass, fino a Melanie Klein, Horney, Rado, Sullivan, Fromm, Kohut. Il carattere tipico da guerra di religione col quale essi talvolta furono conclusi dimostra che qui si trattava di vera fede e non di scienza. Penso in particolare alla battaglia tra Anna Freud e Melanie Klein, nella quale ad ognuna delle due combattenti era permesso ogni mezzo (Steiner, 1985).
7. Come esempi dell'odio dell'analizzando verso il suo didatta faccio riferimento ad Ernst Jones, che si comportò per tutta la vita in modo pregiudizievole verso il suo didatta Ferenczi: "un piccolo e vile autore di depliants” (Balint, 1958), che alla fine della sua vita sarebbe diventato psicotico Jones, 1957, pag. 214). All'opposto didatti perseguirono i loro analizzandi. Questa sorte toccò a Margaret Mahler. La sua analista didatta, Helene Deutsch, interruppe la sua analisi e comunicò al comitato di didattica che era inanalizzabile (Stepansky, 1989, pag. 88). A quest'area appartiene anche il tragico distanziamento di Freud dal suo analizzando Ferenzci. Egli permise che la pubblicazione dell'intervento di Ferenczi al congresso di Wiesbaden, che egli non potè accettare, fosse per anni impedita.
8. In Germania, dove l'abilitazione alla psicoterapia della cassa mutua è possibile solo su licenza di un istituto di formazione accettato dalla confederazione dei medici mutualisti (intuisco come siano difficili altre vie d'accesso), il fallimento della formazione significa il rifiuto dell'abilitazione.
9. La segretezza si trasforma facilmente in censura. Esemplare a questo proposito è la prima edizione delle lettere a Fliess. I curatori apportarono tagli, senza farne cenno, raccolsero solo 168 delle 284 lettere, senza indicare il criterio secondo cui avevano effettuato la selezione.
10. L'Associazione psicoanalitica americana (APA) accettò "laici” alla formazione, solo dopo che fu condannata a questo, dopo un processo perso in difesa del monopolio dei medici. L'IPA diede il suo appoggio all'analisi dei laici, quando la Kbv la dichiarò non compatibile con le direttive della psicoterapia.
11. Come divenga ristretto il campo dell'esperienza dell'analista, lo dimostra il fatto che molti analisti cominciano l'analisi solo se il paziente può dimostrare di possedere i mezzi per pagare l'intera analisi attraverso una documentazione bancaria (Kubie, 1956; Menninger, 1958). Analisti svizzeri di scuola kleiniana si fanno pagare (ancor oggi) in anticipo di volta in volta per l'anno seguente.
12. Nella Repubblica federale tedesca, dove quasi tutti i soci della DPV prendono parte alla psicoterapia mutualistica, cioè debbono osservare le sue regole (a bassa frequenza, limitata nel tempo, procedura peritale, criteri di redditività e di convenienza ecc.), la tecnica psicoanalitica classica, così come ancora viene rappresentata, è stata già trasformata in una psicoterapia analitica come ogni altra e non è più riconosciuta dall'IPA come una tecnica psicoanalitica (Cremerius, 1990a, 1992a).
13. È meritevole di considerazione il fatto che, in sincronia con questa "maternità collettiva”, cresca la pratica assistenziale del "sostenere” (Winnicott), la raccomandazione che l'analista deve essere come una madre per il bene del paziente. È sorprendente come questa nuova tecnica sia vista solo come una variante della tecnica psicoanalitica e non invece in rapporto al citato mutamento sociale. Di nuovo si rende visibile lo scotoma sociale della psicoanalisi istituzionalizzata.
14. Qui un esempio: una commissione dell'IPA doveva chiarire il rapporto tra psicoanalisi e psicoterapia. Non le riuscì, nonostante uno sforzo durato decenni (dal 1949 al 1980), di definire consensualmente la differenza. Wallerstein nel 1980 dichiara a questo proposito:
"Non siamo arrivati in tutti questi anni più vicini ad una risposta a questo problema” (citato da Kluewer, 1980, pag. 21). E sullo stesso problema Sandler: "Gli spazi di differenziazione rimasero senza esito perché queste importanti riflessioni furono definite da un punto di vista tattico e politico, più che da un punto di vista scientifico” (Sandler, 1989, p. 5).
15. Già ora si intravede la conseguenza del nuovo ordinamento specialistico per il futuro dell'istituto della DPV; il numero dei candidati è drasticamente calato. In uno dei 14 istituti è già sceso a un solo partecipante alla formazione.
16. Thomä e Kächele condividono questo punto di vista: "la critica portata avanti da Schultz-Hencke nel primo congresso tenuto dall'IPA dopo la guerra a Zurigo sulla teoria della libido ed alla metapsicologia non solleverebbe oggi più alcuna sensazione e sarebbe condivisa da molti analisti ”(Thomä/Kächele, vol. 1, pag. 12, pag. 6 nella ed. italiana).
17. L'ottantenne Therese Benedek rispose a Basch alla domanda di quanti pazienti avesse trattato nella sua vita professionale in senso strettamente psicoanalitico: forse tre o quattro. Basch aggiunge che ciò coincide con la propria esperienza e con quella di molti suoi colleghi (Basch, 1991). Winnicott constata che l'era di questa psicoanalisi (il metodo standard) sta giungendo inesorabilmente alla fine. E "solo con una insignificante percentuale dei molti pazienti che vengono da me, è iniziata un'analisi standard” (Winnicott, 1986, pag. 101). Come di fatto si fosse allontanato dal metodo standard, ce lo mostra l'analisi condotta con Margaret Little tra il 1957 e il 1967 (Little, 1991).
18. Nello stesso periodo in cui Freud trattava Marie Bonaparte, Glover condusse il suo studio sui "Fondamenti teorici e clinici della terapia psicoanalitica”. La sua conclusione: non si può parlare né in termini contenutistici, né formali di una tecnica uniforme, di un "nocciolo di identità” (Glover, 1937).
19. [N.d.T] Al tempo in cui è stato scritto il presente articolo. Come noto, Sandler è recentemente scomparso.

Riassunto. L'articolo, comparso in Germania nel 1995 in un'antologia di scritti sul futuro della psicoanalisi curata da Cremerius e col contributo di alcuni autori di lingua tedesca, rappresenta il punto più alto della critica radicale condotta dall'autore sulla psicoanalisi istituzionalizzata. Cremerius ripercorre la storia del movimento psicoanalitico dalle origini; ne esamina gli snodi più salienti, ne analizza i punti critici e le contraddizioni. Viene evidenziato come le scelte compiute dalla istituzione siano state il più delle volte ispirate da motivazioni "politiche” tese alla propria autoconservazione. Ciò si è verificato con importanti conseguenze sul piano della teoria, della tecnica e della didattica. Ci si è allontanati dai criteri universalmente riconosciuti come fondanti delle scienze umane e della moderna ricerca scientifica, con una progressiva emarginazione da queste. È inoltre andato perduto il fondamentale contributo che la psicoanalisi ha fornito nei suoi primi anni alla critica della società e della cultura. Cremerius termina l'articolo formulando la propria sentenza/proposta: che cioè la psicoanalisi trovi la forza di rigenerarsi dal proprio interno, superando il vizio burocratico, che abbia il coraggio di rimettersi in discussione dalle radici, collegandosi organicamente e senza pregiudizi alle altre scienze, ritrovando così anche il proprio ruolo di teoria critica.
Summary. The article, appeared in 1995 in Germany as part of an anthology on the future of psychoanalysis by Cremerius with the contribute of other Ger man authors, represents the highest point of radical criticism developed by the author on institutional psychoanalysis. The author recovers the history of psy choanalysis, from its very beginning; he examines the most important steps, analyses critical points and contradictions. He points out how the choices opera ted by the institution have been mostly inspired by "political” motivations, often due to a self-conservation worry. This led to significant consequences on the fields of theory, technique and training. This trend drew psychoanalysis away from modern scientific and human sciences research criteria, causing its progressi ve emargination. It caused also the loss of the original contribution, given by psychoanalysis in its early days, to the critique of society and culture. The author ends the article with his hope and proposal: that psychoanalysis can find from its own inside the strength for a rebirth, overcoming his current burocracy, and that looking back to its own roots it can reconnect a dialogue without bias with other scientific disciplines so that it can recover its role as a critical theory.

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