PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

Enrico Morselli, un eugenista italiano

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1 febbraio, 2018 - 13:24
di Luigi Benevelli
Enrico Morselli (1852-1929), psichiatra, antropologo eugenista italiano
 
Enrico Morselli, esponente di punta della psichiatria italiana del suo tempo, docente a Torino e Genova, pubblicò nel 1923 a Torino per i tipi di Bocca il libro L’uccisione pietosa in rapporto alla medicina, alla morale ed all’eugenica. Ne propongo alcune pagine da 111 a 115 e 123:

"Si tratta […] di preparare e favorire la formazione di una Umanità superiore, più vigorosa, più sana, più bella dell’attuale nel suo somatismo, ma anche più sviluppata e perfetta nelle facoltà mentali. Dai tipi umani oggi viventi alla superficie del globo e di così dissimile sviluppo fisico, intellettuale e morale, bisogna con provvedimenti selettivi adatti far uscire un tipo sempre più eletto, sempre più capace di vincere le opposte forze di Natura; un tipo, cioè, in cui si assommino salute, vigoria e bellezza del corpo, intelligenza, carattere ed energie morali. Per raggiungere questo scopo occorre effettuare una cèrnita fra tutte le razze o varietà umane contrastantisi il dominio delle terre e dei mari; e poiché senza alcun dubbio le più evolute nei riguardi del fisico, le più avanzate nei riguardi della mentalità, sono le così dette razze Bianche o "Leucodermiche", bisogna assicurarne il predominio, risanarne l’organismo, perfezionarne l’intelligenza; e ciò non si può ottenere se non a spese delle razze di colore, delle Gialle e specialmente delle Negre. Questo punto di partenza, della inferiorità assoluta delle razze colorate, è molto discusso; gli antropologi sono però convinti che una gerarchia naturale delle specie, razze e varietà umane realmente esista, e che i Negri, ad esempio, occupino nella scala il gradino più basso. […]
Sono soltanto dei dilettanti e degli umanitari teorici, come Jean Finot, che propugnano la eguaglianza delle razze umane sotto ogni aspetto, fisico e mentale, ritenendole tutte analogamente perfettibili. Questo ottimismo etnologico si può facilmente concedere al Colaianni, quando sostiene la parità dei popoli inciviliti nella cerchia delle razze Leucodermiche, e specialmente fra Latini ed Anglo-Sassoni, di cui un falso ed avventato orgoglio teutonico, prima della grande guerra, pretendeva i primi subordinati ai secondi, e il Romanesimo inferiore al Germanesimo; ma tutti i veri competenti in Scienze antropologiche si accordano nel riconoscere che vi sono sulla terra, anche sotto il solo riguardo dello sviluppo fisico, delle razze o varietà umane protomorfe e delle arcimorfe: che dire allora delle disuguaglianze nel mentale?
Si costruisce agevolmente coi dati fisio- e psico-etnici una gerarchia, con molte gradazioni, che comprender deve, non la sola Umanità vivente, ma altresì quella estinta. Infatti taluni paleoetnologi reputano che dai tempi geologici (terziarii) in qua siano esistite e si siano diversamente sviluppate due Umanità: una stazionaria, quasi non perfettibile intellettualmente, dal tipo pleistocenico di Mauer e dal glaciale di Neanderthal agli attuali Pigmei, Vedda, Boscimani, Australiani, Negriti, Negri, ecc.; ed una eminentemente mobile e progressiva, dal tipo pleistocenico di Piltdown a quelli preistorici di Grenelle ed agli attuali Caucasici. Prescindendo da questa discussione, sta il fatto che se una selezione si vuole effettuare o iniziare, dovrà essere diretta a mantenere e a invigorire in tutta la sua purezza il solo Homo Europaeus (Mediterraneus e Nordicus), al più lasciandogli a fianco l’Homo Asiaticus (Sinensis, Alpinus?), suscettibile di un più moderato perfezionamento e di una civile concorrenza pel dominio dei Continenti e degli Oceani. Una selezione etnarchica in tal senso si potrebbe raggiungere con due processi: 1° la distruzione delle razze inferiori; 2° l’isolamento sessuale dei Bianchi, ossia la assoluta proibizione di unioni riproduttive con dette razze di basso valore intellettuale e sociale. Il primo metodo importa conquista definitiva dei territorî abitati dalle razze di colore (toltine i Gialli), quindi guerre e massacri, come si è fatto in ogni tempo di violenta presa di possesso di contrade "colonizzabili", a cominciare dalle invasioni protostoriche e barbariche, e dalla conquista del Centro-America per opera sanguinaria degli Spagnuoli di Pizarro e Cortes, sino alla caccia con cani mastini organizzata dagli Inglesi (sempre "idealisti" e "umanitari!") per "incivilire" i Maori della Nuova Zelanda, ed alla iniqua loro guerra del Transvaal per domare i liberi Boeri. Un mezzo più "civile" è stato meditatamente e lentamente usato per altre popolazioni: ad es., nella Polinesia, su razze bellissime e altrimenti utilizzabili, l’intossicazione coi nostri alcoolici e la decimazione mediante i contagii della tubercolosi e della sifilide. E così si viene di sicuro operando una "selezione di razza" !; ma nessuno, che abbia senso di umanità, vorrà ammettere che questi metodi facciano onore alla Civiltà europea e ne elevino il livello morale. Rimane pertanto, nei limiti dell’onesto ed anche del possibile, la selezione sessuale […].  Si dovrebbero impedire gli incrociamenti degli individui di razza bianca con quelli di qualsiasi razza inferiore, non esclusi gli stessi Gialli; sopratutto si dovrebbe avere di mira la conservazione e l’incremento di quelle qualità mentali che caratterizzano le razze superiori, ossia le nostre: l’intelligenza, lo spirito di inventiva e ad un tempo di assimilazione, la solidarietà sociale, il senso del dovere individuale, la coscienza della altezza morale e sociale del lavoro, la formazione di una aristocrazia unicamente intellettuale dedita allo sviluppo della scienza, dell’arte, della religione. Tutto ciò manca o è rudimentale nelle razze Negre dei territorî colonizzati. Inoltre, bisogna conservare il tipo antropologico raggiunto dagli Europei nella loro evoluzione millenaria, costituito dallo sviluppo armonico delle forme, e da quell’insieme di proporzioni, di colore, di caratteri sessuali secondari, di espressioni, che corrispondono al nostro concetto di bellezza. Questo programma di isolamento e di monomixia fra le razze ci incammina verso una conforme applicazione dei metodi selezionistici entro l’ambito della nostra razza, delle nostre stirpi e nazioni. Contentiamoci, per ora, di uscire dalle troppo larghe generalizzazioni della dottrina Evoluzionistica, e mettiamoci sul terreno assai più accessibile e pratico della Eugenetica: difendiamo gli attuali organismi nazionali dalle cause di degenerazione che ne minano sordamente il tipo, ne invalidano il vigore fisico, ne abbassano le capacità intellettuali e morali; combattiamo tutte le cause individuali e sociali morbigene, l’eredità patologica, la sifilide, l’alcoolismo, la tubercolosi, l’artritismo, la malaria, le infezioni tropicali; e con tal mezzo verremo predisponendo la formazione di un tipo umano sempre più forte, più sano, più bello, più intelligente, più morale. Questo programma di isolamento e di monomixia fra le razze ci incammina verso una conforme applicazione dei metodi selezionistici entro l’ambito della nostra razza, delle nostre stirpi e nazioni. […]
Per quanto modificata nella sua primitiva concezione, per quanto ridotta ad essere un fattore secondario dell’Evoluzione organica a fianco in coincidenza e in concorrenza con molti altri fattori, esterni od interni, di mano in mano scoperti e determinati, la selezione naturale altro non è che la amplificazione teorica, ma logica del processo artificiale usato dall’Uomo lungo i secoli per trasformare, fino a certi limiti, quelle specie animali e vegetali che gli potevano essere di utilità o di gradimento. Orbene, se siamo riusciti e se tuttora riusciamo a creare delle varietà e razze domestiche sino al grado di sottospecie, e, secondo alcuni naturalisti zootecnici e coltivatori, sino al grado di vere specie; se ci preoccupiamo della conservazione e del miglioramento continuo di codesti tipi foggiati in conformità delle nostre finalità utilitarie e talvolta dei nostri capricci, entro la cerchia, ad es., della specie Cavallo, della specie Cane, della specie Coniglio, della specie Melo o Cavolo o Tulipano, ecc., ecc., è permesso concluderne che lo stesso processo, mutatis mutandis, ci servirebbe, se non per trasformare, almeno per modificare e perfezionare noi stessi. In fondo, quando il coltivatore elimina o esclude dalla riproduzione gli individui di una data razza o varietà domestica che non gli sembrano idonei a conservare o a riprodurre il tipo che gli conviene, mette in opera in molti casi, sopratutto verso gli individui malconformati o gracili, un procedimento "eutanatistico" giacché li uccide, li distrugge, li estirpa, e li getta via. In Natura, così si dice, la lotta per l’esistenza elimina inesorabilmente tutti gli esseri deboli e gli inadatti; e se li toglie, per loro fortuna, ai dolori di una lunga infelicità, permette ai superstiti più forti e più idonei di perpetuare le forme e gli organismi sempre più evoluti e di perfezionare la specie.
Ma applicando questa teoria alla Società umana, quale si è venuta organizzando attraverso le epoche storiche sino al grado attuale di Civiltà, si è portati invece a sostituire una selezione cosciente, di ragionata eliminazione e preferenza sui riproduttori, a quella puramente istintiva o meccanica che in Natura implica una crudele e spesso violenta esclusione delle sue vittime dal banchetto della vita. Se non che, i mezzi che l’Eugenica ha adesso a sua disposizione per diminuire, in seno alla Società civile, i soggetti asociali e per impedirne la propagazione, sono ridotti al loro ricovero in Istituti di Beneficenza, in Ospedali e Manicomî, o alla loro segregazione negli Istituti penali, Carceri, Riformatorî. Ma quasi tutte queste forme di prevenzione e di trattamento non raggiungono lo scopo, se non in riguardo dei vecchi, degli impotenti per vizî organici, e dei castigati con imprigionamento a vita: a tutti gli altri, lasciati liberi nelle loro famiglie, o resi a libertà dopo un più o men lungo periodo di segregazione, è concesso di procreare e così di dare alla luce, per le leggi dell’eredità patologica, altri esseri altrettanto difettosi o nocivi.
Gli eugenisti non hanno alcuna fiducia nelle influenze mesologiche; sono degli antilamarckiani decisi, in quanto ritengono che né l’ambiente sociale né l’educazione valgano a modificare la costituzione originaria degli individui; negano, insomma, la ereditarietà dei caratteri acquisiti. Perciò essi applicano agli elementi antisociali il rigido concetto neo-mendeliano, secondo il quale un carattere, fissatosi nel plasma germinativo nel momento del concepimento, non va più perduto. È un principio un po’ desolante, questo, della invariabilità del germe e quindi della fatalità della trasmissione ereditaria, ma corrisponde alle più accreditate nozioni biologiche attuali. Si citano invero delle famiglie tristamente celebri, nelle quali tutti o quasi tutti i membri hanno mostrato per parecchie generazioni di seguito una profonda deviazione dal tipo normale, fisico e psichico; e sono famosi gli esempî delle famiglie Jukes, Zero, Ham, Kallikak, recentemente illustrati da Dugdale, da Goddard. […]

Pei fini dell’Eugenica non v’è che un provvedimento da prendere rispetto a famiglie del genere: togliere tutti questi elementi dalla circolazione bio-sociale, impedendo che le loro macchie originarie si propaghino e si stabiliscano. Teoricamente almeno, qui la sterilizzazione è a posto. Di tutte le misure eugenetiche quassù ricordate, la sterilizzazione è quella che, esclusa la possibilità di applicare per ora la eutanasia, gode il favore di molti sociologi, giuristi e igienisti dell’avanzatissimo Nord-America. […]
L’Eugenica ha così un programma umano: prevenire, non reprimere; tale almeno è il mio parere, e debbo ricordare che io sono stato dei primi, forse il primo in Italia, nell’applaudire alla nascita di questa parte fondamentale della Medicina sociale, così che fino dal Primo Congresso della Società Inglese di Eugenica le portai il modesto contributo della mia opera di antropo-psicologo. Al miglioramento della specie, alla rigenerazione delle razze colpite dai mali che pajono inseparabili dai progressi della Civiltà fin qui basata sul principio della libertà individuale, si deve tendere gradualmente, evolutivamente col diminuire per l’appunto questa libertà, sopratutto in relazione alle unioni sessuali di riproduzione, e in seconda linea col vietare all’individuo il falso diritto di sperperare il proprio patrimonio di energie fisiche e mentali, ad esempio avvelenandosi con alcool, senza dire della lotta da intraprendere sempre più energica contro i grandi fattori della degenerazione indipendenti dalla volontà dei singoli, ma di natura esogena, quali sifilide, tubercolosi, malaria, pellagra, febbri infettive, morbi epidemici e malattie regionali, massime tropicali. Cominci la collettività a fare la bonifica di se stessa tanto sotto il punto di vista fisico, quanto sotto quello morale; e si raggiungerà lo scopo della Eugenica senza sacrifici o lesioni parziali di vite ormai formate, e comunque nate, anche se con tare svalutative".

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