Corporeità. La somatologia
La lingua tedesca per designare il corpo fenomenico
le cui manifestazioni costituiscono la nostra corporeità
ha un termine che in quest’ordine di studi
riveste un particolare significato tecnico: der Leib.
Danilo Cargnello
Presentazione di Sergio Mellina
Immaginando d’incontrare il favore dei giovani Colleghi e dei lettori della rivista Pol. It. di Francesco Bollorino, interessati alle vicende del passato recente della psicopatologia fenomenologica, continuiamo a pubblicare questo “simposio” del burbero e serioso Maestro di Castelfranco Veneto [01].
Anche il suo secondo scritto - come gia in precedenza la prima parte dedicata alla mano - fa parte di un piccolo e arbitrario smembramento della famosa conferenza alla SIP di Milano 1968. Questa, per infiniti motivi, memorabile kermesse dell’assistenza psichiatrica di 5 giorni, andò in scena per la regia occulta ma vigorosa, sapiente e diplomatica di Carlo Lorenzo Cazzullo, “il Cavour della psichiatria”, come giustamente osserva Romolo Rossi. L’argomento che c’interessa e che stiamo rievocando, a puntate, a distanza di 52 anni, aveva per tema “La psicopatologia della corporeità”. Dei tre simposi, che si sarebbero tenuti, era il primo (Sala A), presieduto da Fabio Visintini e Danilo Cargnello e dal medesimo introdotto, con grande aspettativa dei patiti della fenomenologia e quelli dell’organicismo, lasciando impregiudicati quelli del sociologismo oltranzista. Gli altri seminari erano rispettivamente dedicati a “Sonno, sogni, coscienza e relativa psicopatologia” (Aula B), moderato da Romolo Rossini e Gian Andrea Buscaino e da quest’ultimo introdotto; “Biologia delle distimie” (Auditorium), moderato da Piero Benassi ed Eustachio Zara e da quest’ultimo introdotto. Al di fuori dei due “temi” di relazione assegnati - Strutture e strumenti dell’assistenza psichiatrica e Personalità premorbosa ed esordio della schizofrenia - che servivano ai giochi di scuola per i grandi manovratori delle baronie, ossia mettere in vetrina ciascuno i propri gioielli preziosi, la battaglia cruenta era combattuta nelle retrovie. Dagli appassionati della salute mentale, del superamento dei manicomi e dalla prevenzione della follia. Anche per le cose della psichiatria, il clima sessantottino fu incandescente e il nostro Zeitgeist non era incompatibile con quello che Alexander Mitscherlich - direttore dal 1967 dell’Istituto Freud di Francoforte - aveva colto in modo folgorante e tempestivo nel suo saggio “Verso una società senza padre”, di appena 5 anni prima, una acuta degerarchizzazione sociale dove ci andava conducendo la ribellione antiautoritaristica. Il momento non era semplice. Bisognava ragionare, discutere, confrontarsi. I ruoli andavano ripensati, non abbandonati in una fratriarcalità impossibile. Le istituzioni, ridisegnate, adeguate e ricondotte alle loro funzioni sociali originarie, alle loro vere competenze per cui erano sorte. I mille fiori della contestazione mondiale, compresi quelli cartacei dell’antipsichiatria denegante, o gli opposti, quelli algidi dell’immacolata percezione della scienza positiva di Henri de Saint-Simon e della “fisica sociale” di Auguste Comte, erano ormai irrigiditi. Anche la tesi che la filosofia fosse di poco aiuto in neuropsichiatria era pericolosa e per giunta tracotante. Franco Basaglia, per esempio, da Assistente, era tollerato con un «Ah! Il mio filosofo!» dal suo celebre direttore alla Clinica universitaria neurologica padovana. Ma va notato che per una bizzarria quasi divinatoria, nella “Città del Santo” tra la “Neuro” e il manicomio della “Brusegana” c’era una distanza siderale.
Tornando a quell’ottobre milanese, ricordo Bruno Callieri col quale ho trascorso giornate meravigliose come fosse ieri. Non si teneva nella pelle e mi spiegava tutti i retroscena. Per quelli ad indirizzo fenomenologico, che già cominciavano ad avere una certa autorevolezza, era un successo pieno essere riusciti a piazzare come primo dei tre simposi della SIP uno intero addirittura tutto sulla corporeità. Nel 1968 la psichiatria in Italia, in Europa e negli Stati Uniti era in grande effervescenza, anche l’antipsichiatria (confusione, più che altro), nondimeno, ogni indirizzo era fecondo e aperto. Ah! Dimenticavo! Anch’io, per quanto riguarda me e mia moglie, si!, la nostra piccola comunità familiare, eravamo molto soddisfatti di quel 1968. Il 23 marzo ci era nata una coppia di gemelli, Giovanna e Vittorio. Lei - tra l’altro - lo vantava come il suo “grande capolavoro”, perchè diceva che i bicoriali, biovulari, maschio/femmina, riccio/liscio erano a totale merito della madre che aveva presentato alla fecondazione ben due oociti, mentre normalmente a fine mese, se le va, uno soltanto è il minimo sindacale. Altrimenti ti devi accontentare. Da allora smisi di offrire Partagas.
Per completare l’introduzione e verificare questi ricordi, sono dovuto andare a tirare giù gli “Atti” (rilegati religiosamente) dalla biblioteca (Si! Quella molto colorata della badante) per controllare gli appunti che ancora conservo ingialliti, perfino con gli schizzi che proiettava Cargnello. Mi sembrava di essere tornato al liceo, con Bruno. Io ero ancora intronato con la mano intorpidita che compitavo le nozioni di Cargnello, mentre lui era già pronto con tutte le domande da fare ai relatori «per non lasciar cadere ...», «per mettere in risalto ...», «per suggerire quella lettura, quell’autore, quella bibliografia». Era come andare alla mostra Cinematografica di Venezia con “Nino” Lo Cascio. Mai avrei pensato che mi fosse saltato fuori un programma del Congresso dove sul retro, col lapis, insieme agli appunti del corpo preriflessivo, il corpo vissuto, esperito, oggettivato, del simposio di Cargnello, ci fossero segnati anche un po’ d’indirizzi e d’impegni. Avevo promesso al Collega Costero trasferitosi a Milano da poco di andarlo a trovare, eppoi non potevo assolutamente mancare dal Donati, l’Ambrogio Donati, il direttore di Mombello, l’Aiuto del Riquier, il marito della Nelda, la cugina di mia moglie, la Silvia.
Sergio Mellina
II
COSA SI DEVE INTENDERE PER SOMATOLOGIA
Somato-logia significa – come indica l’etimo – studio del corpo. Per chi si pone nel piano conoscitivo in cui di necessità si pongono l’anatomico, il fisiologico, il clinico o, in particolare, il clinico neurologo, somatologia significa studio del nostro corpo assimilato a qualsiasi altro oggetto di natura. Per sposare, come di solito si fa, questo atteggiamento (che a tutti i cultori delle scienze biologiche, tra cui rientrano anche le discipline mediche, può sembrare « naturale » e che è invece « naturalistico ») occorre fare preliminarmente una grossa rinuncia, che non è meno grossa anche se da tutti tacitamente o forse più spesso inconsciamente accettata: si deve infatti accantonare l’esperienza diretta che noi abbiamo del nostro corpo com’esso fenomenicamente ci si dà e del corpo degli altri com’esso fenomenicamente ci si rivela [02] « Propriamente » come uomini infatti noi abbiamo a che fare col corpo fenomenico e non già col corpo-cosa, col corpo ridotto a mero dato di natura.
Evidentemente quindi al termine somatologia ineriscono ben due diversi significati: [03] per l’uno si intende studio del corpo inteso come mero oggetto (sia pure animato), per il secondi, invece, studio del corpo « propriamente » umano, non ridotto sul piano di qualsivoglia teoria.
Questa distinzione su cui ha insistito soprattutto Husserl, è diventata ormai così familiare agli psicopatologi moderni d’indirizzo antropofenomenologico, che non ci sembra il caso di insistervi. Preferiamo riassumere l’essenziale nel seguente specchietto.
SOMATOLOGIA
Somatologia naturalistica Somatologia fenomenologica
(o somatologia in senso preciso)
– Presume l’ipostatizzazione del corpo – ha per argomento il corpo umano
umano nel piano delle scienze naturalistiche nel suo esprimersi cioè nella sua fenomenicità
– il corpo viene « interpretato » come – per ritenerlo appunto nella sua
mero oggetto di natura, come cosa fenomenicità, si guarda bene dal
di natura ridurlo nel piano di qualsivoglia teoria
– esso perde pertanto la qualificazione di – solo così esso conserva la sua
corpo propriamente « mio » « tuo » , ecc essenziale qualità di mio-corpo
in breve il suo significato antropologico di corpo-fungente-per-me
– diventa oggetto di scienza sperimentale – come tale non può essere argomento
che di una scienza di esperienza
– e viene ricondotto così al criterio – e risulta moderato pertanto
di causalità dal criterio di condizionalità
Dall’elementare esempio riferito all’inizio si ricava che le accezioni con cui può essere assunto il nostro corpo sono molteplici: Due anzitutto conviene subito distinguere.
I Il corpo-cosa, destituito del connotato fondamentale dello psichico e cioè di intenzionalità.
II Il corpo fenomenico, il corpo come mio, tuo, nostro, ecc.: cioè il corpo propriamente umano. Quest’ultimo a sua volta può specificarsi, appunto nel suo intenzionale « apparire » come:
- corpo che esprime l’essente
- corpo che si esperisce, cioè che esperisce se stesso o parte di se stesso
- corpo come organo comunicativo
- corpo come organo operativo
- corpo come organo senziente [04].
Sono le accezioni di «corpo che si esprime» e di corpo «che si esperisce» quelle che qui ci interessa considerare.
Ed è dalla meditazione su queste accezioni che noi, soprattutto tenendo conto delle esigenze della psicopatologia e della psichiatria, possiamo tentare una definizione di corporeità, e dire:
La corporeità è l’insieme dei molti e vari aspetti con cui corporalmente mi manifesto agli altri oppure gli altri mi si manifestano (cioè il mio fattuale esprimermi in carne e ossa), nonché l’insieme dei molti aspetti con cui il mio corpo si esprime, si dà, si manifesta, a me stesso, nei vari modi con cui ( la seconda della situazione) lo esperisco (esperienza del proprio corpo).
Ciò convenuto, sono da aggiungere subito queste formulazioni di ordine generale:
- Al corpo fenomenico inerisce sempre un connotato egoico: infatti esso rivela me, rappresenta me, funge per me (per quanto ora dal fondo ora dalla superficie oppure da qualsivoglia altra intermedia falda di me stesso); e ciò in innumerevoli modi corrispondenti agli innumerevoli modi in cui posso o sono costretto ad essere.
- Nell’autoesperirmi il corpo fenomenologico mi si dà anche con un «senso di avere», cioè come mia inalienabile appartenenza: con cui, peraltro, io non riesco mai compiutamente a identificarmi.
- Nel corpo fenomenico sempre variamente si intrecciano e mai si disgiungono completamente la sfera dell’essere e la sfera dell’avere.
- Il corpo fenomenico è il corpo-che-sono e contemporaneamente il corpo-che-ho anche se ora più ora meno emerge il «senso di essere» oppure il «senso di avere».
- Il corpo fenomenico è un’istanza originariamente mondana: il mio corpo fenomenico è il mio essere mondanizzato, il mio fattuale esser-nel-mondo, il mio essere in carne e ossa. Per esso io sono d’emblé in relazione con qualcos’altro da me, sia che questo qualcos'altro si riferisca a persone della società o cose dell’ambiente con cui mi articolo, sia che si riferisca a quel qualcosa che ritrovo in me stesso nell’autoesperirmi e che diventa allora termine del mio progetto (stavolta «verso il dentro»). Nell’uno o nell’altro caso il mio esser-ci (Dasein) in carne e ossa significa esser-ci-con (Mit-dasein) cioè essere con qualcos'altro da me.
- Mio corpo e mio mondo fanno uno: un’unità che corrisponde a un particolare ordine del mio esser-ci, della mia presenza, all’ordine in cui sono hic et nunc (cfr. Binswanger qui liberamente ripreso).
Le suesposte formulazioni d’ordine generale avvertono che per investire adeguatamente il tema in discorso, cioè il tema della corporeità, è necessario superare la tradizionale distinzione – che si riporta al dualismo cartesiano tra res extensa e res cogitans – tra corpo e mente, tra soma e psiche. Tale distinzione di due ambiti – il somatico e lo psichico – che mai collabiscono e al più ci si sforza di far corrispondere, è stata sempre accettata dal pensiero medico-naturalistico. Esso comporta la necessità di adottare due metodologie, l’una valida per questo, l’altra per l’altro ambito: l’una per lo studio dell’organismo fisico, l’altra per quello dell’organismo psichico. Essa ha diviso e anche accesamente contrapposto gli organicisti agli psicogenetisti; oppure ha generato questa o quella dottrina dei parallelismi somatopsichici (dottrine psicofisiche). Anche la psicoanalisi (scienza che ama definirsi naturalistica!) non vi si sottrae: in particolare si informa a questo dualismo la psicosomatica (Alexander, ecc.).
Scriveva in proposito Binswanger: «Le dottrine psicofisiche cercano di gettare un ponte tra due ambiti “cosali” che non corrispondono a nessuna realtà umana, in cui né l’uno né l’altro termine riesce a gettare luce rispettivamente sul primo o sul secondo, finendo anzi per oscurarli entrambi…» [05] «Corpo e psiche fanno uno nel piano dell’esistenza» [06]. «Il corpo come mio-corpo appartiene a una globalità qualitativa mondana… che corrisponde al mio mondanizzarmi» [07]. In questa teorica preliminare scissione dell’uomo in corpo e psiche, viene persa appunto la globalità dell’uomo originariamente iscritto nel mondo, come appunto essa si esprime. Ora noi sappiamo bene, e proprio dall’esperienza quotidiana che abbiamo di noi stessi e degli altri, che noi siamo-nel-mondo e abbiamo-un-mondo correlativamente a come corporalmente siamo, che il nostro corpo è costituente e costitutivo della nostra mondanità, che esso è originariamente welthaft, cioè mondano [08].
Ne risulta che mentre il termine corpo nell’accezione scientistica dell’anatomico del fisiologo, del neurologo, de clinico e in genere del naturalista, è e non può essere che univoco nel suo significato, per converso il corpo fenomenico riveste un significato diverso a seconda del modo di essere del singolo, del modo in cui questo è mondanizzato [09].
Ponendo l’esistenza all’origine, l’esistenza come a-priori essere-nel-mondo, ecco che l’Io non può offrirsi all’indagine empirica come a se stante, disgiunto dalla corporeità che è l’aspetto con cui si rivela! «Quando io dico “io esisto” io intendo incontestabilmente qualcosa di più di io puro. Intendo oscuramente questo fatto: che io non sono soltanto per me, ma che mi manifesto… che mi sono manifestato». (Marcel) [10]. De Waelhens, che riprende questo passo, aggiunge: «… questa capacità di apparizione mi è confermata dal mio legame al corpo;… c’è una certa presenza del mio corpo a me stesso, per cui il fatto di esistere prende per me una consistenza di cui senza questa apparizione sarebbe destituito» [11] .
Si va facendo così strada la convinzione che il sapere intorno al corpo-proprio, intorno alle sue modalità e alle capacità correlative al mondo in cui è iscritto, schiuda la porta alla conoscenza del come noi ci articoliamo coi nostri simili [12] . In breve, ci si fa viepiù convinti che questo sapere contribuisca a rivelarci l’essenza e la costitutività del nostro e dell’altrui esistere. « Il corpo-proprio è sempre, nella buona come nella cattiva salute, un precorrente abbozzo della nostra esistenza». (Merleau-Ponty)
Scriveva in proposito Buytendijk: «Quello che noi chiamiamo corpo-proprio (Leib) è la figura dell’uomo che si atteggia, si esprime, si manifesta e si relaziona, cioè la figura dell’uomo che-è-nel-mondo». E ancora: «Esso è come è di fatto la mia reale posizione nel mondo, è alla maniera con cui io esperisco il mondo». Il che in, in sintesi, può esser anche detto così: noi siamo nel mondo e abbiamo il mondo correlativamente a come è il nostro corpo e, contemporaneamente, lo abbiamo.
Per potersi porre in questa nuova prospettiva, occorreva agli psicopatologi una fondazione dottrinale del tutto diversa da quella da cui finora si erano mossi; occorreva, precisamente una fondazione fenomenologica antropologica ed esistenziale che partisse dal ripudio e dal superamento della dicotomia cartesiana.
Tale fondazione fu loro offerta soprattutto dalla fenomenologia di Edmund Husserl, dal pensiero di Max Scheler, di Martin Heidegger, di Jean Paul Sartre, di Gabriel Marcel, di Maurice Merleau-Ponty, di Paul Ricoeur ecc. Né van dimenticate, in questa elencazione, le lezioni di un Thure von Huexküll, di un Frederik Jacob Johannes Buytendijk, di un Alphonse de Waelhens e via dicendo.
Tra gli psichiatri che per primi ritennero necessario inserirsi in questo nuovo ordine di idee siano ricordati soprattutto Ludwig Binswanger ed Erwin Straus, senza dimenticare le meditazioni propedeutiche e le lezioni di un Viktor Emil von Gebsattel, di un Eugène Minkowski, di un Viktor von Weizsäcker. Siano poi ricordate le opere di Jürg Zutt e Scuola (Caspar Kulenkampff, per es.) di Walter von Baeyer (molto prossimo a Binswanger), specie nei suoi più acuti discepoli come lo Häfner e il Kisker), di Ruffin, di Plügge, di Wulff, di Kuhn, ecc.
La somatologia di cui qui dunque si vuol far parola è la scienza della corporeità (Leiblichkeit) [13] del manifestarsi del corpo-proprio (Leib) [14] .
Si deve a Husserl, soprattutto e poi via via ai fenomenologi moderni (Merleau-Ponty, Ricoeur, Buytendijk, Zutt, ecc.) di aver protratto in profondità l’indagine intesa a precisare la qualità particolare di questo oggetto sui generis che è il Leib, il corpo-proprio, propriamente umano, de di aver indicato come esso essenzialmente si discrimini da qualsivoglia altro oggetto, compreso tra questi il corpo dell’uomo destituito della sua intenzionalità, preso in se stesso, ridotto a oggetto di natura, «a cosa» (Körperding).
Note.
01. Si veda la prima parte: Danilo Cargnello. La mano come esemplificazione, su Pol.It. Psychiatry on line, 20 gennaio, 2020. Il progetto è quello di pubblicare sulla Rivista l’intero simposio “Il problema della corporeità”, in quattro puntate: 1. La mano come esemplificazione. 2. Corporeità. La somatologia. 3. Il Corpo proprio. 4. Il mio corpo obbiettivato.
02. «Non potrò giammai far corrispondere al significato “corpo umano” quale la scienza e le testimonianze me lo danno, una esperienza attuale del mio corpo che sia adeguata ad esse » (Merleau-Ponty. La structure du comportement, P.U.F., Paris, 1942, capitolo quarto).
03. La somatologia «… nella misura in cui cerca di circoscrivere le qualità materiali del corpo-proprio è una scienza naturale. Ma nella misura in cui è una somatologia specifica, è un che di nuovo, qualcosa che è contraddistinto da una nuova e particolare forma fondamentale di esperienza». (Husserl Idee ecc., III, 1, par 2°).
04 Husserl E. V Meditazioni Cartesiane. par. 44 : «… io posso percepire una mano mediante l’altra, un occhio mediante la mano e così via dicendo, ove alternativamente l’organo funge come oggetto e l’oggetto da organo».
05. Vorträge u. Aufsätze, II, 267.
06. Ideenflucht, 113.
07. Grundformen, p. 470.
08. Cfr. L Binswanger, Grundformen, p. 449.
09. Già Charles Blondel, molti anni fa, affermava (in «La conscience morbide») che quando si modifica la “coscienza del proprio corpo” si modifica anche e immediatamente il “mondo”.
10. L’être incarné etc. (Annales de l’Ec. de Hautes Etudes de Grand 1939).
11. La phénoménologie du corps (Rev. Philos de Louvain, Tome 48, 1950, p. 371).
12. «L’esperienza quotidiana ci dice che noi possiamo comunicare col mondo e coi nostri soci attraverso il nostro proprio corpo. I modi di questa comunicazione o articolazione sono però con-costituiti (mitckonstituiert) dalla forma e dalla possibilità del nostro proprio corpo» (”Häfner).
13. Drüe H. Edmund Husserls System der phänomenologischen Psychologie (V. Walter de Gruyter & Co, Berlin, 1963) p. 49.
14. La lingua tedesca per designare il corpo fenomenico le cui manifestazioni costituiscono la nostra corporeità ha un termine che in quest’ordine di studi riveste un particolare significato tecnico: der Leib. Esso talora viene contrapposto a der Körper, con il quale termine la lingua tedesca indica piuttosto (anche se non sempre) il corpo nell’accezione naturalistica (corpo-natura, corpo-cosa). Il termine Leib deriva dal verbo Leiben che in antico stava per l’attuale verbo Leben (vivere). Il verbo Leiben è andato quasi perduto nel tedesco moderno. Si ritrova solo in varie espressioni idiomatiche (come per es. «wie er lebt und leibt» = «egli in carne ed ossa») oppure in termini apparentati (“beleibt” = in carne; “einverleibt” = incorporato ecc.). È rimasto invece nella fonetica di certe lingue moderne di identico ceppo, come nell’inglese “live”, nel danese “liif” e nello svedese ”lijf”.