Neurologia, psichiatria e scienze umane “per bene” in tempi di Covid 19.

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9 aprile, 2020 - 14:41

Lettera a Psychiatry on line Italia per conto di Raffaello Vizioli.

«Spesso le catastrofi precedono le grandi palingenesi»
Raffaello Vizioli
 
 
 
Leggo avidamente Pol. It la Rivista di Francesco Bollorino, le sue rubriche, i suoi Autori,  e naturalmente ... penso!
Galoppo con la fantasia - notoriamente indifferente tanto alle quarantene quanto alle reclusioni in penitenziari tipo Alcatraz - per andare un po’ ovunque a trovare chiunque. Senza mascherine, ovviamente. Nè quelle “stupide” nè quelle “intelligenti”, nè quelle “altruiste”, nè quelle “egoiste” ossia chirurgiche le prime, supervalvolate le seconde, come ha ben detto in TV quel medico bolognese del Dip di chirurgia non ho capito bene se del “Rizzoli” o del “Sant'Orsola”, al cui P.S. di di entrambi sono stato spesso di casa per il numero d’incidenti, prima di venire a Roma, moltissimi anni fa. L’unico limite - per me come per tutti - è la memoria e la capacità di associare le idee, ovviamente a circolazione ematica integra e saturazione clinicamente accettabile in condizioni di normotensione. La biologia - in fattispècie, ciò che Bruno Callieri chiama “mente neuronale” - reclama i suoi diritti materici, a giusto diritto. E gli fa coro Lorenzo Calvi, l’altro grande psicopatologo, quello di “Comprendre”: «perché la biologia vieta di considerarla trascurabile» [01].
Gli umani, possono sempre contare sui famosi “100 miliardi di neuroni”, anche se dovessero essere dimostrate le recenti ricerche brasiliane che ne hanno contato solo (si fa per dire) “86 miliardi”, sempre moltissimi rispetto a tutti gli altri primati e mammiferi.
A chi scrive, che tutto sommato, da immigrato digitale qual è, deve ritenersi fortunato ogni qualvolta s’imbatte, nella rete, su argomenti rilevanti e di interesse sociale, è capitato sotto gli occhi “La psichiatria per bene. Dialoghi sulle buone pratiche in Psichiatria”, il blog, gli pare di aver capito, di Gerardo Favaretto, tra i più attivi autori della Rivista, il quale ha (anche) raccolto prontamente l’invito di Bollorino a compiere, proprio di questi tempi, «uno sforzo redazionale corale». Dunque è per questo che mi sono soffermato a riflettere, in silenzio, con gli occhi socchiusi, come sempre mi capita quando voglio concentrarmi, affondato nella poltrona Frau che già fu di mio padre, lo scrittore, e non la Natuzzi del tinello dove guardo la televisione, addormentandomi spesso mentre ascolto pigramente i “numeri” dei coronavirus, come contassi le pecore del gregge televisivo di una volta. Non certo per sapere dell’immunità di gregge da quella sorta di Mister Bean, biondo e spettinato che risponde al nome di Boris Johnson, finito purtroppo in ospedale, meschinettu! Ecco, riflettendo, appunto, mi son domandato se il “dialogo/ghi” avrebbe/ero potuto funzionare anche tra “cugini” separati dalla cosiddetta “Legge Cazzullo” [02], ma non poi così totalmente estranei, nè lontani, nè dissimili. Cargnello, Callieri, Ballerini, Calvi, Borgna, ne sono la prova più evidente della comune radice.
Radice comune anche per me che sono debitore a Raffaello Vizioli per avermi introdotto alle complicate rigorosissime simmetrie della disciplina neurologica, quasi tutte doppie, tranne l’unicità della celeberrima struttura centrale, come la “pineale” di Cartesio, tanto per dirne una. Ma la scienza del cervello e del pensiero è prodigiosamente avanzata da quando l’ambiguo Descartes - peraltro anche temutissimo uomo di cappa e spada - aveva enunciato il quasi blasfemo “cogito ergo sum” e la sua dualità tra “res cogitans” e “res extensa”. Concetti “superati” e perfino umiliati da Antonio Damasio [03] che lo accusa di avere impedito per anni di accendere una luce sulla datità che sentimento e intelletto, passione e comprensione, intenzione e immedesimazione, sono due facce della stessa medaglia. Che tra cervello e pensiero, tra vigilanza e coscienza, tanto per dirne qualcun’altra, ce ne corre e parecchio!
Diversità sottili ma abissali, entità inseparabili pur nell’autonomia, presenze sposate indissolubilmente eppur concubine, per aggiungerne qualche altra ancora. Difformità, si badi bene, non tanto quelle grossolane della neuro-anatomia, dei cervelli sigillati in tetri bottiglioni di formalina o dei “vetrini”, quanto piuttosto i segreti misteri della neuro-fisiologia come quella di Moruzzi e Magoun, di Gastaut e Jouvet, di Elio Lugaresi, o del circuito di James Papez. Che peraltro costituiscono soltanto il primo tassello di una ricerca infinita e affascinante. È, questa pausa riflessiva imposta coattivamente dal Covid 19, anche una buona occasione per ricordare il Prof Raffaello Vizioli, “Ninì”, per gl’intimi, giacché non lo feci alla sua scomparsa, come avrei voluto e dovuto in quanto mi trovavo lontano al momento opportuno.
 
Il primo aprile 2020 ho chiamato Stefano Vizioli uno dei figli di Raffaello, quello che fa il regista di opere liriche. L’ho cercato al telefono, dal mio, quello normale, fisso, senza tanti fronzoli, dove si parla solo, dentro la cornetta, senza vedere niente, né volti nè immagini. Era parecchio che non ci sentivamo, una vita. Quando gli ho detto chi ero e mi ha riconosciuto dalla voce è stato un profluvio.
– Oh! Gia! Il professor Mellina quello che rifaceva le voci dei cartoni animati ... l’orso Yoghi ... lo aspettavamo tutti contenti, quando sapevamo che doveva venire a trovare papà a Largo Bradano ... sei tu?
– Si. Sono io.
 
Ci siamo fatti una lunga chiacchierata. Già! In tempo di Covid 19 c’è tempo per le cose di casa, quelle che non riesci a fare mai o a dire comodamente, senza fretta, perchè ti manca il tempo o  emergono dalle nebbie della memoria man mano che le racconti. Ma pensa tu! Aveva riconosciuto la voce, anzi le voci di quando facevo anche il doppiatore cinematografico a livello professionale. Per la verità, mi limitavo a rifare il verso a Francesco Mulé (inteso “Ciccio”) [04], ma la mia specialità era un’altra, che abbiamo ricordato subito dopo, continuando a discorrere. In un’altra serie, infatti, una sitcom animata, sempre di Hanna e Barbera, ambientata nel futuro: "I Pronipoti” (The Jetsons 1962) [05], e sempre molto popolare tra i bambini di Carosello. Io prestavo la  voce a Chicco (George) Jetson, il padre di una famiglia media statunitense. In effetti, da qualche parte, ho letto che il timbro di voce è come l’impronta digitale, non è perenne, ma ti accompagna per la vita.
È stato così che continuando a parlare di me e di suo padre, è riapparsa una figura, una memoria, anzi due figure e molte memorie che avevo completamente dimenticato. Per fortuna i miei “scatoloni” sono inesauribili, ancorché gli ultimi due dei miei nipoti - Matteo e Andrea - mostrino di essere seriamente preoccupati che il materiale contenutovi possa terminare. Ho scoperto che spesso mi chiedono di sapere cosa mai stia scrivendo, e per chi. Io naturalmente glielo leggo e glielo dico a modo mio e loro sono contenti di sapere quanta “distanza” di tempo ci sia tra i bambini di oggi, quelli moderni con i videogiochi come loro, e quelli vecchi, no, “antichi”, come me. Inoltre c’è il piacere di sentire il nonno che racconta delle storie, con tante avventure. Sanno benissimo il posto (“un po’ segreto”) dove giacciono gli “scatoloni” di cui sopra, che per loro sono quelli delle favole del nonno: la cornucopia dei bambini.
 
Dunque, Vizioli ed io - per ben 10 anni - siamo stati una coppia universitaria, nel senso che lui era destinato, per ragioni di scuola (quella di Gozzano), quando fosse giunto il suo turno, ad andare in cattedra di Clinica delle malattie nervose e mentali. Sassari o Cagliari era solitamente la prima destinazione. S’era anche convenuto che io dovessi essere il suo “Aiuto per la psichiatria” infatti, essendo una specialità doppia, poteva contare sui vantaggi della doppia materia d’insegnamento: Neurologia e Psichiatria, com’era a Roma per Gozzano che aveva Floris per la Neurologia e Gian Carlo Reda per la Psichiatria. Debbo dire che questo è stato sempre un cruccio profondo per Vizioli, tanto è vero che, quando si facevano le grandi manovre per la cattedra in Sardegna, non aveva esitato a dirmi con convinzione: – Sergio, è scontato che tu andrai in Psichiatria, no?
Lui, essendo il direttore, avrebbe potuto stare un po’di qua e un po' di là, a seconda dei suoi interessi prevalenti. Poi andò tutto per aria, ma credo di aver capito un inespresso, un colossale inesplicitato desiderio. Provo a dirlo sottovoce e con la mano davanti alla bocca. A quei tempi si pensava - ma non si diceva, forse per pudore - che la neurologia fosse più “seria” della psichiatria, perchè più prossima alla medicina interna. Il martelletto, la stazione eretta, l’andatura, l’oftalmoscopio, il diapason, la punta smussa, la lateralità di sguardo, la “lucciola”... ho conosciuto un primario molto noto sulla piazza di Roma che ne impugnava due, una per il fotomotore di destra, l’altra per quello di ... sinistra, anzi pour epater le bourgeis ... vuoi mettere?
Non ne abbiamo mai parlato, come nei numerosi viaggi che abbiamo fatto nelle eleganti cabine dei traghetti della “Tirrenia”: Civitavecchia Cagliari e viceversa. Dagli inesauribili scatoloni è saltato fuori perfino un quaderno colorato con su scritto “CAB. 25” dove c’erano gli appunti per una ricerca intorno a Su Ballu 'e S'Arza, un rituale di guarigione in Sardegna, sepolto sotto un “CURRICULUM” a stampa di “Ninì” da distribuire nel giro dei cattedratici dopo la “ternatura”. Anche se non ne abbiamo mai parlato credo di supporre che lui si mordesse ancora le lingua per aver optato per la neurologia anziché per la psichiatria a seguito della scelta obbligata dalla “L. Cazzullo”. Ripeteva spiritosamente, ma a denti stretti: «Guarda qua! Sono un barone dimezzato!» Andava spesso a incontrare Mario Giberti, e mi diceva: «Lui si che ha fatto la scelta giusta! Ha indovinato. Ora sta a Genova, dirige la cattedra di psichiatria, ha scritto un bellissimo libro sugli psichiatri e soprattutto il suo vecchio direttore se n’è andato a Roma». [06]
 
Si! Io e Vizioli siamo stati come una coppia di attori teatrali brillanti che insegnavano, anzi divulgavano la neurofisiologia, una delle radici della neurologia e della psichiatria.
Le sue eccelse qualità didattiche, ma ne serbava anche altre non meno preziose e godibili nel campo della musica, sua prima passione, dell’arte figurativa, la letteratura, la critica, il cinema, la cultura ogni suo aspetto. Parlava come un conferenziere, scriveva come un giornalista, pensava come uno scienziato. Tutte qualità che si potevano trovare concentrate in un attore che, nelle compagnie di giro, di una volta, ricopriva i ruoli di “brillante”. Mi tornano in mente Vittorio De Sica e Umberto Melnati che si lamentavano di una delle tante crisi degli anni Trenta con un siparietto divenuto celebre tanto da finire su un vinile della Columbia, ed essere diffuso dall’EIAR. Stigmatizzavano l’aumento dei prezzi dell’epoca col tormentone: «Non düra», «Düra minga», «Non può durare!».. Difficile dire chi fosse “la spalla” e chi il comico. Erano una coppia, molto divertente. Semmai uno era più maturo, l’altro più giovane, uno il capocomico, l’altro “ un attore della compagnia”. All’incirca così eravamo io e “Ninì” Vizioli, nella compagnia “Stabile” di Roma di Mario Gozzano, alla Clinica delle malattie nervose e mentali in Viale dell’Università 30. Lui era il Caporeparto di neurofisiologia io l’Assistente Volontario. Lui era stato relatore alla mia tesi sul “Sonno” e mi aveva riveduto il mio primo lavoro a stampa. [07] Lui conosceva bene la materia, io la stavo imparando. Io avevo studiato teatro da Pietro Sharoff, lui, essendo napoletano, ancorché di origini abruzzesi (Colledimezzo) “era nato imparato”, come si dice tra i partenopei, quanto a recitazione. Insomma, ci capivamo al volo e siamo stati bene insieme per 10 anni (1958-1968) in Clinica Neuro.
 
Leggetevi e gustatevi infine questo editoriale di 31 anni fa. La sua prosa graffiante non ha nulla da invidiare a Indro Montanelli. La visione sul mondo aveva un che di profetico ma anche di sarcastico e pungente. Si possono già scorgere stormi di fastidiose fake news in volo in ogni direzione. Era, è vero, il bicentenario della Rivoluzione francese, ma si addensavano anche episodi storici nel mondo della guerra fredda. Io ci trovo un che d’inquieto e di tragico. Non solo per gli accenti moralizzatori rivolti alle compiacenze della categoria nei confronti delle case farmaceutiche. Ma anche per il minimo interesse se non la totale assenza di politica sanitaria, ottenebrata dal furto, anzi dal pedaggio sulla compressa, l’unica cupidigia di De Lorenzo e Poggiolini ai tempi di “mani pulite” e dei loro accoliti. Tenete presente che era il 1989, l’anno della grande protesta cinese con l’icona dello studente in piedi davanti al carro armato in piazza Tienanmen. Nel Vecchio Mondo c’erano i fermenti dell’ondata rivoluzionaria dell’Europa centrale che rovesciò i regimi comunisti: “l’Autunno” delle Nazioni in contrapposizione alla “Primavera” delle Nazioni del 1848, diciamo, per noi, il “Risorgimento”.
 
Editoriale.
 
Le nazioni si rigenerano solo in un bagno di sangue”.
Diderot
 
A partire da questo numero, primo del 1989, la N.P.S. si aprirà con un breve articolo a firma del sottoscritto. Uso non a caso il termine di “articolo” per sottolineare in fatto che il taglio sarà giornalistico sia per le dimensioni che per la qualità: prenderò spunto da recenti pubblicazioni o da avvenimenti che ritengo meritevoli di un breve commento. E cominciamo subito, rubando a Maurizio Costanzo, anchorman ormai celebre e conduttore della più qualunquista delle trasmissioni TV, una sua battuta di quando la trasmissione è interrotta da spot pubblicitari: “Consigli per gli acquisti”. Nel momento in cui il più acritico trionfalismo domina incontrastato nel campo della medicina consiglio l’acquisto dei seguenti tre libri: 1) Norbert Bensaїd: Le illusioni della medicina ovvero la prevenzione come alibi”, Editore Marsilio. Il libro è un fuoco di fila di battute contro la prevenzione, alibi per incrementare i guadagni dei medici e generatrice della ipocondria di massa: il volume è un monumento alla intelligenza e dovrebbe essere il ‘livre de chévet’ di ogni medico. 2) Il secondo consiglio di lettura è Lucio Rosaia: “ La bottega della salute”. Editore Longanesi. Scrive tra l’altro Rosaia:  riferendosi agli USA (ma vale anche per noi): “Se venissero evitati gli esami inutili eseguiti nei soli ospedali universitari il risparmio attuale ammonterebbe a circa dieci miliardi di dollari”; 3) il terzo consiglio di lettura è: “Renzo Magosso: “I padroni della salute”, Editore Rusconi che sembra ispirato alla celebre battuta di un noto editore medico italiano: “Tutto è perduto fuorché l’onorario”. Sono tre libri che letti uno dopo l’altro potrebbero avere effetti catastrofici sulla nostra immagine personale ma spesso le catastrofi precedono le grandi palingenesi. Visto che siamo nel 1989, quello del bicentenario, senza il “terrore” non esisterebbe la nostra classe borghese. Ben vengano dunque testi catastrofici se servono a moralizzare una categoria.
Leggo su una decina di riviste mediche che nel viaggio dal postino al cestino cadono fuggevolmente sotto i nostri occhi un trafiletto dal titolo: “Grasso non è bello ma aumenta la longevità “. In esso si sostiene in maniera inconfutabile e sulla base di rilevazioni statistiche di tutto rispetto che gli uomini relativamente grassi hanno delle prospettive di longevità migliori rispetto agli individui magri. Come si può avere ancora rispetto per una disciplina, voglio dire la medicina, per la quale è vero tutto e il contrario di tutto? Anni di lavaggio del cervello che grasso equivale a morte precoce, che è il maggior fattore di rischio coronarico e cerebrale: all’insegna di tali assunti nasce una nuova disciplina: la dietologia. Vengono affamati centinaia di milioni di uomini e donne in tutto il mondo, yuppies quarantenni vanno in ristoranti di lusso per ordinare fettina alla brace ed erbe scondite: tanti sacrifici per scoprire che era tutto inutile, che grasso è salute, è longevità, magari che grasso è bello come in un quadro di Rubens o di Botero. E se l’apoteosi della magrezza fosse nata all’ombra di un complotto perchè nuove leve di medici potessero consentirsi lauti guadagni? Il sospetto è proprio tanto ingiustificato?
Sfogliando sempre la stessa rivista mi colpisce un altro titolo ancor più allarmante: “L’Alzheimer si inchina alla fosfatidilserina”. E qui il discorso si allarga fino ad includere il compagno Gorbaciov. È vero infatti che il capitalismo è vincente, è vero che Gorbaciov, brindando ai miliardari, ha ufficialmente decretato la fine del comunismo internazionale, è vero che “le gran affaire du vengtième siècle”, come lo chiamava Sartre, resiste solo in quella piccola trincea che è l’Albania, è vero che se il truce baffo nero di Stalin e le bianche dentiere di Gardini e Schimberni anche noi abbiamo fatto la giusta opzione per queste ultime, se è vero che il profitto è sacro e che tutto sommato, come dice un mio grande amico: “è meglio essere ricchi e sani che poveri e malati”, ma che in nome del profitto di alcune grandi industrie farmaceutiche si debba scrivere l’Alzheimer è messo in ginocchio dalla fosfatidil-serina mi sembra una grave mancanza di rispetto per i nostri poveri pazienti. Mi sembra molto grave che “l’aging” debba essersi trasformato in uno dei più grandi business di questa fine di secolo. Provate a chiedervi, lettori onesti che siete certamente in maggioranza, se vi è proporzione fra il numero di congressi, convegni, simposi workshop, tavole rotonde, internazionali e nazionali e i risultati di questi farmaci sui vostri pazienti. Se così fosse, dovremmo pensare i nostri Alzheimer poter sfidare in memoria Pico della Mirandola e in intelligenza Albert Einstein o Sigmund Freud. Se qualcuno di voi ha visto un solo Alzheimer migliorare con gli attuali farmaci mi scriva: ritratterò tutto. Ma se cosi non fosse non sarebbe più onesto e dignitoso un lungo black-out congressuale fino al giorno del grande annuncio della scoperta dell’etiologia e quindi dell’imminenza della terapia causale?
Ma il silenzio sarebbe tanto dorato anche se questo black-out dovesse comportare la rinuncia a un bel viaggio premio con famiglia, esteso ad assessori, presidenti di USL e a qualche paramedico, a New York o in altre località del globo. Non voglio, mi si creda, anche se c’è la tentazione contagiosa del bicentenario, atteggiarmi al Saint-Just della situazione, ma la moralizzazione della classe medica comincia anche e soprattutto dalla totale indipendenza dalla industria farmaceutica e dalla sue lusinghe. Di fronte a un non-stop Roma-Tokyo o Roma-New-Delhi siamo tutti disposti a dire che l’Alzheimer è messo in ginocchio magari dall’acido glutammico o dal glicerofosfato di sodio. Non credete che sia il caso di cominciare a viaggiare a spese nostre? O, se non ce lo possiamo permettere, contentarci di Rimini, di Taormina o di Capri?
Mi sembra una “modesta proposta per prevenire” (ricordate Swift?) o metter fine ad un malcostume che ci vede tutti coinvolti in gigantesche operazioni di comparaggio perchè ben pochi avrebbero il coraggio di negare che quel farmaco “guarisce gli apoplettici gli isterici e gli asfittici” (dall’Elisir d’amore di Donizetti) se questa affermazione ci consente di spaziare da Manhattan alla Piazza rossa, dagli Champs-Élisée a Bora-Bora. Si protesta tanto perchè la stampa non è indipendente in quanto legata a grosse holding economico-partitiche. E forse è indipendente la stampa scientifica? ”Meditate, gente, meditate” diceva Arbore, il più intelligente degli show-men italiani.
Raffaello Vizioli
 
Note.
01. Lorenzo Calvi. Presentazione, Comprendre 19-2009 (pp. 7-8)
02. La cosiddetta "Legge Cazzullo", approvata il 27 aprile 1976, che sancisce la separazione definitiva della psichiatria dalla neurologia e il suo riconoscimento come disciplina autonoma.
03. Antonio Damasio. L’errore di Cartesio Emozione, ragione e cervello umano. Traduzione di Filippo Macaluso. Adelphi, 1995.
04. Interprete raffinato, proveniente dall’accademia, storico doppiatore, fin dal 1964, conosciuto dai bambini italiani dell’epoca di Carosello per dare voce all’orso Yoghi. Cartoons della coppia Hanna e Barbera, sicuramente più intelligenti e meno commerciali di Disney. Di Francesco Mulè  (1926-1984) resta una dimenticabile, una superba interpretazione di Ponzio Pilato in "Processo a Gesù" di Diego Fabbri, per la regia di Orazio Costa Giovangigli, al “Piccolo” di Milano (2 marzo 1955, la prima), con Tino Carraro, Sergio Fantoni, Augusto Mastrantoni, Checco Rissone, Miranda Campa, María Rosa Gallo, Francesco Mulè. Tutti attori coi quali lo scrivente si è trovato a lavorare in Rai a Via Asiago in interpretazioni di prosa radiofonica. Quanto all’opera di Fabbri, può essere utile conoscere che nel 1956, fu denunciata al Santo Uffizio da Cattolici Tradizionalisti per "offesa alla religione e istigazione all'odio sociale". Invece, di Orazio Costa, già correvano mirabilia tra la gente di teatro, per la famosa invenzione onomatopeica del terzo canto dell’inferno:
...
Diverse-lingue, orribili-favelle,
parole-di-dolore, accenti-d'ira,
voci- alte- e-fioche, e-suon-di-man-con-elle
... 
05. Lo aveva colpito, per l’appunto, il successo ottenuto da un testo di Franco Giberti. L’identità dello psichiatra. Il Pensiero Scientifico, 1982, che tentò di replicare senza riuscirvi.
06. Alludeva al prof. Cornelio Fazio  che a Roma era subentrato a Mario Gozzano.
07. Sergio Mellina. Considerazioni sui potenziali evocati al vertice. Rivista di neurologia Vol. XXIX Fasc. 2 marzo aprile 1959.
 

 

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