OLTRE IL SENTIERO DORATO
Cronache dai vicoli dell'invisibilità
di Dolores Celona

Pappagalli verdi

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9 gennaio, 2021 - 11:49
di Dolores Celona
“Lord, make me a rainbow, I'll shine down on my mother

She'll know I'm safe with you when she stands under my colors

Oh, and life ain't always what you think it ought to be, no

Ain't even gray, but she buries her baby”

(If I die young, The Band Perry)

 

Vivere o sopravvivere.

Cercare un senso di identità che non sia quella del “tossico”. O del malato. O del tossico malato.

Sapere di poter essere anche altro. Sapere di meritare di essere qualcos’altro. 

“Sono solo un tossico di merda!” quante volte l’ho sentito…

“Non ho voglia di parlare. non voglio smettere di farmi adesso. Tanto, che cambia? Non sono capace di fare altro.”

“Tanto, prima o poi, in galera ci devo tornare. Ci ritorno per forza.”

Non ti accorgi che la galera te la stai già creando fuori. La droga ti imprigiona. Ti imprigiona nel tuo essere tossico, nel tuo sentirsi tale. Nel dover ricorrere agli espedienti più assurdi, per riuscirsi a fare. Nella definizione di te stesso come un essere immondo, inutile e condannato a sedarsi pur di non soffrire.

Coprire un dolore intollerabile, pur di non fare uscire quel mostro di cui hai tanta paura.

Cosa hai paura di essere se ti spogli della maschera del tossico?

Cosa ti divora? Quel filo spinato, che sembrava star scomparendo, è tornato a lacerarti le membra dall’interno. 

E il senso di vuoto e di impotenza nei confronti delle avversità della vita, ti costringe ad annullare le tue emozioni con le sostanze. forse non credi di meritare la possibilità di manifestare le tue emozioni. 

Non sai nemmeno tu quali emozioni provi. 

La tua testa fuma, carica com’è di pensieri intensi che non esprimi, per paura che evocandoli ti facciano ancora più male.

La mania del controllo della nostra epoca storica si ripercuote anche così. chi non ce la fa, ricorre agli espedienti che conosce. Non abbiamo l’abilitazione a poter manifestare le nostre emozioni in serenità senza essere additati come deboli. questo in un contesto poi di disagio sociale è ancora più esasperato.

Ti senti sempre in vetrina, con la paura di manifestare, in un momento in cui sei scoraggiato, la tua sofferenza. perché quella sofferenza qualcuno potrebbe usarla contro di te.

L’arma vincente è non mostrarsi affatto, nascondersi al pubblico giudizio. ma il dolore resta, anzi, si acuisce.

Le lacrime che vorrebbero scendere diventano macigni. Le parole e i pensieri non detti rimbombano come un martello pneumatico nella mente. Le medicine non bastano.

In realtà, le sostanze nemmeno. Sono maledette. Ti aiutano per quei pochi minuti in cui ti donano quel senso di piacere di cui disperatamente senti il bisogno. Poi riparte lo strazio e tutto ciò che ne è connesso.

Ti fai schifo, ma dal circolo della sedazione e del benessere momentaneo non riesci ad uscire. 

Usciamo fuori, meglio un colloquio all’aperto è meno soffocante.

Parliamo di cibo, ti piace cucinare.

Alla fine vediamo un pappagallo verde, sta volando libero su un albero lì vicino. Te lo indico.
Ti viene in mente di quando vai al parco con tua madre, perché lì ce ne sono tanti.
Scappano delle lacrime.
Poi un sorriso, poi due.

Ti sei ricordato di essere una persona.

 

 
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