APPUNTI JANETTIANI
Argomenti di clinica del trauma e della dissociazione
di Giuseppe Craparo

"LES NÉVROSES" di Pierre Janet: una recensione

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5 luglio, 2021 - 12:06
di Giuseppe Craparo

 
Pubblicato nel 1909, Les Névroses (nei prossimi mesi uscirà la traduzione italiana a cura di Francesca Ortu e Giuseppe Craparo) ha una notevole importanza sia storica che clinica, in quanto Janet fa convergere le sue ipotesi sulle nevrosi (isteria e psicoastenia, considerate le due principali forme di nevrosi) con quanto aveva già elaborato in precedenti scritti, come  nell’Automatismo psicologico, sul trauma, la dissociazione, le idee fisse subconsce, il restringimento del campo della coscienza, e sulla psicoterapia che, coerentemente con la sua concezione della mente come di una gerarchia di coscienze (dalle più elementari alle più evolute), dovrebbe puntare non all’elaborazione ma alla sintesi delle funzioni mentali disaggregate.
Ma cosa ci dice di preciso L’Autore sulle nevrosi? Risponderò a questa domanda in maniera sintetica, rimandando il lettore al testo francese, o a quello italiano di prossima pubblicazione. Inizierei col dire che Janet propone un’idea mentale del funzionamento nevrotico. Intendo dire che egli non si riferisce alla “psiche”, in cui forze inconsce interagiscono dinamicamente, ma alla “mente”, ossia ad “una gerarchia di funzioni sottese dalla tensione psicologica” il cui sviluppo risente delle influenze sociali.
Janet propone di fatto una visione socio-evolutiva delle nevrosi centrata sulla descrizione delle “funzioni” mentali in cui corpo e mente sono assoggettati “a riti sociali del tutto particolari”. La nevrosi è, sostiene Janet, una malattia delle funzioni mentali, le quali risentono dei cambiamenti sociali. D’altronde, egli critica l’idea dei fisiologici dell’epoca per i quali i fenomeni mentali sono immutabili e statici: “…forse che i fisici e i chimici arretrano di fronte a fenomeni inspiegabili dato che considerano la materia inerte? A maggior ragione dobbiamo tener conto dell’evoluzione quando consideriamo le azioni dell’essere che si è maggiormente evoluto, quando interpretiamo la condotta dell’uomo”. In un passaggio, altrettanto chiaro, Janet afferma che: “La vera caratteristica delle nevrosi è costituita dal fatto che la mente, o se si vuole la parte superiore delle diverse funzioni, non evolve o si sviluppa male”, e continua: “Se designiamo con «evoluzione» la capacità di un essere vivente di trasformarsi continuamente per adattarsi a circostanze nuove, di svilupparsi e perfezionarsi incessantemente, allora le nevrosi diventano disturbi o arresti nell’evoluzione delle funzioni.” Quindi, per Janet, le nevrosi non sono l’esito di conflitti inconsci, ma di un arresto nello sviluppo individuale e sociale. In accordo con la sua idea (spinoziana, potremmo dire) dell’influenza reciproca fra mente e corpo, per Janet non si può escludere, sia sul piano teorico che su quello clinico, il coinvolgimento dell’organismo nelle nevrosi, tanto da scrivere che si tratta di “malattie dell’organismo bloccato nella sua funzione vitale; è quanto il medico non deve mai disconoscere. In questo momento, e in questo momento soltanto, dopo queste alterazioni fisiologiche generali, si manifestano disturbi psicologici perché le funzioni psicologiche sono le più alte e le più sensibili dell’organismo. Il primo aspetto di questa limitazione vitale è una nevrosi poco grave ancora e molto banale che possiamo designare con il termine vago di nevrastenia o, se vogliamo evitare dei malintesi, di nervosismo. Nel nervosismo, alcune operazioni superiori, certi atti, certe percezioni sono già soppresse o alterate; ma queste soppressioni sono irregolari, compaiono a volte a proposito di una operazione psicologica, a volte a proposito di un’altra, con la conseguenza che queste operazioni diventano momentaneamente molto, molto difficili. Al posto di queste operazioni superiori si sviluppano agitazione fisica e mentale e soprattutto emotiva. Quest’ultima, come ho cercato di dimostrare, è semplicemente la tendenza a sostituire le operazioni superiori con l’esagerazione di certe operazioni inferiori e soprattutto con grossolane agitazioni viscerali.
Se si sviluppa, la malattia prende diverse forme particolari, a seconda che determinate operazioni superiori siano soppresse più regolarmente e più costantemente di altre. In quest’opera abbiamo studiato solo due esempi delle forme che possono prendere le diverse nevrosi. L’una ci è parsa la psicastenia, quando la depressione accompagnata da agitazione riguardava soprattutto la volontà, l’attenzione, la funzione del reale; l’altra era l’isteria, quando l’insufficienza accompagnata da derivazioni riguardava soprattutto la percezione personale, la costruzione della personalità.
La teoria janettiana del trauma e della dissociazione ci aiuta a comprendere i processi mentali implicati in questo arresto evolutivo. In particolare, i blocchi o gli arresti di cui soffre un nevrotico, sostiene Janet, sono in rapporto ad ambienti interpersonali emotivamente traumatici e alla conseguente disaggregazione psichica che è causa di una debolezza mentale che si estrinseca in sintomatologie e in condotte, sensazioni fisiche e stati emotivi che sono tutti in stretto rapporto con contenuti subconsci: le idee fisse. È proprio in virtù di ciò che Janet pensa che, per questi pazienti, obiettivo della psicoterapia, o sarebbe più opportuno dire dell’analisi psicologica, dovrebbe essere quello di stimolare in loro la ripresa di uno sviluppo mentale interrotto, attraverso la sintesi delle funzioni mentali disaggregate e l’elaborazione dei contenuti affettivi, somatici e cognitivi coinvolti, favorendo così una crescita che si esprime nella possibilità per il paziente nevrotico di essere presente nella realtà e di realizzare così il proprio progetto di vita.
 
Mi limito a questa breve presentazione di Le névroses. Per una analisi critica del testo rimando il lettore alla pubblicazione dei prossimi lavori.
 
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