E così, ci troviamo a chiudere per la settima volta l’anno con un bilancio. Lo avevamo già fatto nel 2015 (vai al link), 2016 (vai al link), 2017 (vai al link), 2018 (vai al link), 2019 (vai al link), 2020 (vai al link).
In linea generale, non molto parrebbe cambiato dall’anno scorso a questo. Continuiamo a vivere nella pandemia. E non avrei davvero pensato, nel marzo del 2000, che a Natale 2021 saremmo ancora stati in ballo tra soggetti sospetti e soggetti positivi, a cercare di fermare questo nemico che circola tra noi e sembra dilagare qualsiasi siano gli sforzi per fermarlo. Che salta fuori dove e quando meno te lo aspetti. Chi si aspettava che ancora fossimo in ballo con i tamponi e che saremmo dipesi ancora dai loro responsi. Il risveglio a capodanno 2022 è già un incubo.
Ma siamo ancora lì. Si muore meno grazie ai vaccini – ed è importante certo! – ma la nostra vita non è ancora ritornata alla sua normale difficoltà; chissà quando potrà succedere. E siamo sempre lì ad assumere decisioni, per noi e per gli altri, sperando di fare la scelta migliore ma sempre senza poterne esserne sicuri.
Del peso di questa situazione sulla vita e sul lavoro psichiatrico mi è capitato di scrivere in due occasioni, stimolato da Cristina Morini la prima e da Francesca Brencio la seconda. Ne sono uscite due riflessioni, una accolta nell’e-book collettivo L’enigma del valore. Dai corpi perduti ai corpi ritrovati (vai al link), curato l’anno scorso da Cristina e ripubblicato quest’anno da Manifestolibri con il titolo Prendiamo corpo. Resistenza e sfruttamento ai tempi del covid; l’altra insieme a due colleghe, su un numero monografico della rivista filosofica open-access In circolo (vai al link). Certo, la novità di quest’anno che ha reso un po’ meno violento l’impatto del virus rispetto al 2020 è stata rappresentata dai vaccini, ma a renderli indigesti, più delle bizzarrie dei no-vax, è stato il riproporsi dei problemi di disuguaglianza nella loro distribuzione, e la discutibile liceità dei brevetti nell’industria sanitaria (vai al link). Il mercato, insomma, se da un lato ha stupito per efficienza per la rapidità con la quale ha onorato l’impegno a mettere a disposizione il vaccino, dall’altro ha confermato la sua inadeguatezza a governare le cose più importanti della vita sulla terra (l’aria, l’acqua, la temperatura, la salute…), lasciando ampie porzioni di uomini e donne prive della possibilità di godere dei suoi risultati in tempi ragionevolmente brevi.
Anche a voler essere cinicamente utilitaristici, da un punto di vista epidemiologico è innegabile che lasciare fette così ampie dell’umanità prive di copertura vaccinale (7% di vaccinati in Africa), nel mondo della globalizzazione, è un rischio enorme per tutti. E così si sta rivelando.
Le strade, del resto, continuano a essere impervie per chi vuole migrare verso il nord ricco del mondo, e a ceninaia si è morti anche quest’anno come i precedenti di confine, sulla terra o nel mare. Il processo a Carola Rackete e quello a Mimmo Lucano hanno riproposto al giudice un dilemma antico quanto la tragedia di Antigone: assolvere chi viola l’illegittimità della legge quando è disumana; o condannare comunque l’atto illegale di chi la infrange. E hanno confermato che lo stato di necessità, il dovere morale e legale della solidarietà possono giustificare quando l’alternativa alla forzatura della legge è un pericolo cogente, immediato. Quando si tratta di reagire a un’ingiustizia sul medio-lungo periodo non sembrano ammesse invece, almeno per ora, forzature e la moralità dell’atto e delle intenzioni non paiono giustificare chi si è assunto la responsabilità di compierlo infrangendo la legge. E intanto, anche in questi giorni di Natale, si contano a decine i morti annegati e assiderati alle porte d’Europa (sulla vicenda Rackete, vai al link).
Continua lo stillicidio di morti in Palestina per la politica coloniale israeliana che pare inarrestabile, continua il suo corteo di quotidiane ingiustizie. E si continua a morire di guerra in quello e in mille altri luoghi, a partire dalla Libia che a 10 anni dalla consegna al linciaggio del colonnello Gheddafi da parte degli USA rimane un inferno per libici e migranti.
La pioggia di denaro che l’UE ha precipitato sull’Italia (che dovrà essere in parte restituito nei prossimi anni) ha scatenato gli appetiti del padronato, il quale utilizzando la piccola pattuglia di deputati eletti nel PD che ha seguito Matteo Renzi nella scissione, ha imposto il rientro della destra nel governo. A guidare il governo di quasi tutti, è stato recuperato dal mondo della finanza internazionale l’uomo probabilmente migliore che la destra potesse mettere in campo, un liberale che spicca rispetto alla banda disordinata di avventurieri della finanza e della politica – chi più chi meno disinvolto nella manifestazione di nostalgie fascistoidi – che il Caimano ha portato con sé nella sua “discesa in campo”. È sempre destra, insomma, con tutte le responsabilità morali e politiche che questo implica, ma almeno è quella che pare “perbene”. Già un passo avanti, per la politica italiana, del quale forse di questi tempi bisogna accontentarsi.
Ma invece aspettiamo il ritorno della destra destra, quella che già sta smantellando per stupido revanchismo ad esempio i servizi a Trieste (vai al link) senza preoccuparsi di quali ricadute questo avrà sulle persone, al potere in Italia, con lo stesso fatalismo con il quale aspetteremmo un ciclone; e nessuno a sinistra che paia in grado di un cenno di reazione!
Il ritorno della destra nel governo rimanda comunque già da ora a tempi migliori la speranza di una legge antirazzista, che sostituisca lo ius soli allo ius sanguinis nel riconoscimento di cittadinanza ai bambini e ragazzi figli di stranieri, nati in Italia. Bambini condannati in Italia come in Spagna e nelle altre nazioni europee a peripezie assurde per vedersi riconoscere i diritti degli altri bambini, a subire assurde delusioni quando non di peggio. Mi dà una rabbia enorme che si chieda il passaporto a un bambino, quando domanda di poter fare un viaggio o chiede qualche altra cosa che desidera.
E penso che l’Europa dovrà un giorno rispondere alla storia, dei bambini che abbandona al freddo, in mezzo al mare o in mezzo alla foresta.
Con il ritorno della destra nel governo, poi, si è accentuata la consegna ai privati – anche in campo sanitario, nonostante la pessima prova che la privatizzazione della salute ha dato di sé in Lombardia durante l’emergenza pandemica – della gran parte del malloppo, riservando solo le briciole a politiche anche minimamente redistributive. È stato questo – a me pare – e non la doverosa reazione di un sindacato finalmente indignato a rompere la pax sociale pandemica degli ultimi due anni, e a portare allo sciopero generale di dicembre.
Del resto, anche del lavoro c’è da dire, perché anche quest’anno i morti sul/di lavoro supereranno 1.400, quasi quattro al giorno, e il caso di Luana D’Orazio ha commosso l’Italia portando alla luce lo stillicidio di questo sacrificio umano, celebrato quotidianamente alla concorrenza, al mercato, al profitto (vai al link).
In Virginia, uno degli Stati a tradizione più reazionaria degli USA, è stata abolita la pena di morte, e abbiamo celebrato a modo nostro questo piccolo passo avanti (vai al link). Restano, però, ancora molti i luoghi nei quali l’assassinio di Stato è praticato a cuor leggero come una cosa normale.
Per ciò che riguarda le nostre cose, è stato nuovamente rimandato il 49.o Congresso Nazionale della Società di Psichiatria, che avrebbe dovuto tenersi a Genova nell’autunno 2020 e si terrà invece, pandemia permettendo, dal 12 al 14 maggio 2022.
Si è tenuta invece, preceduta dal lavoro preparatorio di Fabrizio Starace, dal 25 al 26 giugno la II Conferenza Nazionale per la Salute Mentale, introdotta dai toccanti telegrammi di Papa Francesco e di Sergio Mattarella e aperta, alla presenza dei ministri Roberto Speranza, Marta Cartabia e Andrea Orlando, dalla proiezione del documentario I giardini di Abele realizzato da Sergio Zavoli a Gorizia nel 1968, un documento indispensabile perché, probabilmente, è da lì che dovremmo ogni anno ripartire (vai al link). Tra i temi toccati, tutti strettamente legati alla vita e ai reali bisogni dei pazienti e delle famiglie: organizzazione dei servizi, salute mentale dei minori e dei giovani, presa in carico delle popolazioni marginali dei migranti e dei detenuti, lavoro di équipe, sistema informativo e valutazione, presa in carico, lavoro e inclusione sociale, ruolo delle associazioni. Personalmente ho avuto l’incarico di coordinare, con Giovanna Del Giudice, la sessione sulla presa in carico, alla quale ho contribuito con una introduzione al tema che ho successivamente ampliato e pubblicato su questa rubrica (vai al link).
Ma tutte le registrazioni della conferenza sono disponibili online (vai al link).
Dalla Conferenza è uscita, tra l’altro, un’importante bozza di documento sulla Contenzione fisica a dieci anni da quello della Conferenza Stato-Regioni e P.A. che, purtroppo, non sembra finora aver incontrato sufficiente attenzione né avere avuto l’impatto che avrebbe meritato. Questo nuovo documento, pur scontando qualche eccesso di enfasi e ottimismo nei toni del quale si sarebbe potuto fare a meno, tocca un tema assolutamente centrale per l’assistenza psichiatrica, e avanza proposte concrete che meritano la massima attenzione, prima fra tutte il monitoraggio del fenomeno al quale trovo inaccettabile che ancora tre quarti delle Regioni italiane si sottraggano. Bisogna che molti colleghi, e i leader della psichiatria italiana, si rassegnino: non è possibile mettere l’enfasi sulle sorti gloriose e progressive degli avanzamenti scientifici della psichiatria, se poi nel corso dell’emergenza si continua a considerare nei fatti la psichiatria non molto di più che “l’arte di legare le persone”, simile all’arte dei salumai. Del tema, del resto, ci siamo occupati su questa rubrica (vai al link) e ritorneremo a farlo anche in riferimento al prezioso documento ministeriale.
Dopo la II Conferenza nazionale per la salute mentale, si è tenuta a Genova il 26 e 27 novembre la VI Conferenza nazionale sulle dipendenze. Non ho avuto modo di seguirla come avrei voluto, e sono ormai distante da questi temi da troppi anni per potermi permettere di entrare nel merito; mi limito perciò a segnalarla.
Ci siamo occupati anche di eventi più locali. Ad esempio, la riproposizione, a sedici anni di distanza dalla prima volta, da parte della compagnia teatrale Lunaria diretta da Daniela Ardini – con scenografie di Giorgio Panni e Giacomo Rigalza e interpreti Sara Mennella e Francesco Patanè – della fantasia pompeiana Gradiva, scritta da Wilhelm Jensen nel 1903 e resa celebre dal saggio che Sigmund Freud le ha dedicato nel 1907. Come sedici anni fa, Daniela Ardini mi ha chiesto di pronunciare alcune parole di presentazione prima dello spettacolo, e questo mi ha permesso di rimettere mano alle note di allora, originariamente pubblicate su “Il vaso di Pandora. Dialoghi in psichioatria e scienze umane” e riproporle su Pol. it (vai al link). Dopo cinque anni dalla proposta, sempre da parte di Lunaria, della riduzione teatrale de La mite di Dostoëvskij – il commento è stato pubblicato allora su questa rubrica (vai al link) – mi ha fatto piacere assistere a un’altra versione proposta al Teatro Modena di Genova nell’ambito del Festival dell’eccellenza al femminile.
Anniversari. Nel corso di questo 2021 non sono mancati gli anniversari illustri. In campo letterario sono trascorsi 200 anni dalla nascita di Charles Baudelaire il 9 aprile, di Fëdor Dostoëvskij l’11 novembre e di Gustave Flaubert il 12 dicembre; ci siamo occupati della seconda di queste ricorrenze perché riguarda lo scrittore per il quale provo il maggiore interesse (vai al link). Il 19 settembre sono trascorsi 100 anni dalla nascita del pedagogo brasiliano Paulo Freire, morto nel 1977. Nel suo Paese dove le disuguaglianze raggiungono dimensioni gigantesche ha scelto con decisione la parte degli oppressi, e ci ha insegnato che, in pedagogia come in psichiatria infondo, nessuno libera gli altri: ci si libera insieme.
Sono trascorsi 700 anni dalla morte di Dante alla metà di settembre, e anche di questo ci siamo occupati commentando a nostra volta un commento che Morselli ha dedicato al XVIII Canto dell’inferno (vai al link). E 60 anni sono trascorsi dalla pubblicazione de I dannati della terra e dalla morte negli stessi giorni, il 6 dicembre, di Frantz Fanon; a questa figura così capace di leggere in anticipo molti dei problemi più grandi del mondo postcoloniale di oggi abbiamo dedicato l’ultimo articolo (vai al link). Ne sono trascorsi anche 150 dalla Comune di Parigi; un evento importante, credo, con le sue luci e le sue ombre, che ha rappresentato il primo tentativo di realizzare una società comunista ed è stato represso con una ferocia che ancora adesso fa rabbrividire. E vent’anni sono trascorsi (sembra ieri…) dalle manifestazioni no-global che si sono tenute contro il G8 a Genova nel luglio 2001 (vai al link), e anche dall’attentato alle Torri gemelle che ha scatenato l’inferno nell’Afghanisatan e nell’Iraq, terre lasciate tuttora senza pace dagli esportatori della democrazia.
Infine, una piccola ricorrenza di carattere personale ha riguardato il XXX anniversario dell’inizio del mio lavoro come psichiatra nel servizio pubblico iniziato il 1 agosto 1991, e ho voluto riflettere anche su questi miei trent’anni su questa rubrica (vai al link). Qualche amico, leggendo, mi ha detto che si tratta di un bilancio un po’ triste; e forse, in effetti, il giorno che ho scritto quel pezzo non ero dell’umore migliore. Però, non credo di aver mai nascosto a chi legge questa rubrica che non sono contento dell’evoluzione del mondo negli ultimi due decenni, né dell’evoluzione della società italiana, né di quella della psichiatria italiana. E, per ciò che mi riguarda più direttamente, forse è inevitabile ma negli ultimi anni non mi sento più oggetto dell’indulgenza e del credito coi quali mi sentivo guardato quand’ero più giovane e, anche, quando il clima forse era meno duro e più aperto.
Mi consola qualche soddisfazione, che può riservare il lavoro con le persone – i colleghi del mio gruppo di lavoro, i pazienti – e, per il resto, continuiamo a sperare in tempi migliori e, per quel che possiamo, almeno a lavorare e a scrivere per fare quel che possiamo per la loro costruzione.
Sempre quest’estate il prof. Gian luigi Bruzzone mi ha intervistato per conto della rivista del ponente ligure Trucioli (vai al link); è stato un modo per pubblicare per la prima volta una sorta di piccola autobiografia, e forse in quell’occasione l’umore era migliore.
E mi consola qualche altra soddisfazione che ci riserva il mondo per come gira: una per tutte l’elezione in questi ultimi giorni dell’anno del leader studentesco Gabriel Boric alla guida del Cile, evitando quella di un avversario che era addirittura nostalgico della sanguinaria dittatura fascista.
Ci hanno lasciato Tra coloro che ci hanno lasciato quest’anno desidero ricordare lo psichiatra Piero Coppo, che è mancato l’11 giugno. Nato nel 1940, e formatosi quindi alla psichiatria negli anni ’60, merita di essere ricordato per i suoi studi di etnopsichiatria condotti sul campo, memorabili quelli sulle tradizioni dell’altipiano Dogon. Hanno caratterizzato la sua vita e il suo lavoro la curiosità e il rispetto per il sapere degli altri, quei popoli che sono stati le vittime – e in buona parte lo sono ancora – della vicenda coloniale
Poi abbiamo ricordato in occasione della sua scomparsa all’inizio di luglio il contributo importante del giornalista, storico e scrittore Angelo Del Boca alla denuncia della realtà manicomiale italiana a metà degli anni ’60, e negli anni successivi alla conoscenza della ferocia del colonialismo italiano (vai al link).
Il 13 agosto è morto Gino Strada, il chirurgo lombardo fondatore di Emergency. Nato il 21 aprile 1948, era stato attivo nel movimento studentesco tra gli anni ’60 e ’70 e, dopo la laurea, come chirurgo nel campo del trapianto di cuore. Specializzatosi in chirurgia d’urgenza, a partire dalla fine degli anni ’80 è stato presente con la Croce Rossa in tutti i principali teatri di guerra; poi nel ’94 ha fondato appunto Emergency, un’associazione di volontariato per la cura e riabilitazione delle vittime di guerra che negli anni è stata attiva in 18 Paesi. Particolarmente importante la sua azione in Afghanistan, e le sue prese di posizione contro i governi italiani ogni volta che, prendendo parte in un conflitto armato, hanno operato in violazione dell’art. 11 della Carta Costituzionale. Il suo insegnamento più importante è che nella guerra moderna a pagare il prezzo più alto sono sempre le popolazioni civili, e perciò non esistono guerre giuste: la guerra è sempre e comunque da ripudiare.
Ex libris. Tra i libri dei quali ci siamo occupati ricordo L’arte di legare le persone, pubblicato dallo psichiatra genovese Paolo Milone per Einaudi. Il libro è stato oggetto di recensioni entusiaste per il suo valore letterario; meno entusiaste sono state in genere quelle degli psichiatri che non hanno apprezzato né l’idea dello psichiatra che Milone presenta, quella di una sorta di eroe solitario costretto a confrontarsi da solo con le insidie della follia. Né quella della psichiatria, che all’opposto di quello che il titolo afferma nasce come, e soprattutto oggi è, semmai l’arte di cercare di non legare le persone, anche dove il senso comune porterebbe a farlo. La nostra è stata credo la prima recensione (vai al link)a dover evidenziare quasi incredula queste ombre del libro, che dà quasi la sensazione di voler “stupire il borghese”, esaltando proprio ciò che la psichiatria dovrebbe sforzarsi di non essere, e pare risolversi così in quello che con sagacia un collega presente a una presentazione mi confessava di aver colto anche lui come un “elogio della praticaccia”. Quasi il ritratto, insomma, di una psichiatria cinica e rassegnata, che rinuncia a priori alla possibilità di sforzarsi di essere migliore di quella che è e che dà una grande tristezza.
A questo libro ne giustappongo, per stridente contrasto, un altro. È Noi due siamo uno. Storia di Andrea Soldi morto per un TSO (Torino, Add) che il giornalista Matteo Spicuglia dedica alla triste vicenda umana di Andrea Soldi, morto soffocato durante il trasporto ammanettato in TSO in ospedale, a Torino nell’estate 2015. Qualcuno forse ricorderà che da questa vicenda traeva spunto il secondo articolo di questa rubrica per alcune considerazioni sul TSO e sulla contenzione (vai al link). È una vicenda drammatica, che in primo luogo ci ricorda che dell’arte di legare c’è poco da fare letteratura, e anzi bisognerebbe sforzarsi di fare a meno ogni volta che si può. E in secondo luogo ci offre, attraverso i documenti lasciati da Andrea e le generose testimonianze del padre e della sorella che Spicuglia raccoglie, la ricchezza della vicenda, interrotta in quel modo drammatico, di una persona e di una famiglia che affrontano il dramma inafferrabile e spesso incomprensibile della follia cercando di salvaguardare il più possibile la normalità delle proprie vite, delle proprie passioni e ambizioni, e la ricchezza delle relazioni e degli affetti tra loro. Un libro utile, per noi operatori, perché ci aiuta a comprendere la sofferenza di un paziente e di una famiglia quando la follia entra insidiosa, in un primo tempo non riconosciuta, a sconvolgerne gli equilibri, le mille mediazioni a cui sono da quel momento che cambia tutto costretti per consentire alla follia di abitare, nonostante le sue mille bizze, la città; e insieme i limiti che spesso presenta, nel loro vissuto, l’organizzazione del nostro intervento. E l’importanza, soprattutto, della presa in carico intesa come patto forte, la cui necessità Cristina Soldi è venuta generosamente a testimoniare al simposio della Conferenza nazionale dedicato a questo tema, dove l’ho potuta conoscere.
Ci siamo occupati di due volumi dedicati alla deistituzionalizzazione negli anni ’60 (vai al link). Il primo di essi è la ripubblicazione delle interviste realizzate da Anna Maria Bruzzone ad Arezzo, cui sono state aggiunte quelle realizzate a Gorizia con il titolo Ci chiamavano matti. Voci dal manicomio (1968-1977), da parte di Marica Setaro e Silvia Calamai per Il Saggiatore. Il secondo il volume collettaneo curato da Patrizia Guarnieri per la Fondazione Museo Storico del Trentino Uscire dall’insopportabile. Culture e pratiche della de-istituzionalizzazione nel Nord-est Italia cui ho contribuito con un saggio dedicato alla figura di Antonio Slavich.
Abbiamo poi recensito Quale psichiatria? Taccuino e lezioni scritto da Franco Rotelli ed edito da Alphabeta Verlag nella Collana 180, nel quale l’autore ripropone 23 interventi su temi vari di psichiatria e di salute mentale (vai al link).
E siamo ritornati al tema del lungo centenario della Grande Guerra – sul quale siamo intervenuti quest’anno invitati dall’ANMIG di Modena a partecipare a un avento collaterale del Festival della filosofia – recensendo la traduzione per Guanda del bel libro di Stefanie Linden, che ho avuto occasione di conoscere durante un convegno a Irsee, La guerra dei nervi. Soldati traumatizzati sul fronte occidentale 1914/1918, pubblicato in Italia con una ricca prefazione di Antonio Gibelli (vai al link). Precedentemente, avevamo recensito due volumi usciti negli anni scorsi: nel 2019 il volume collettaneo Guerra e scienze della mente in Italia nella prima metà del Novecento curato da Dario De Santis, al quale ho partecipato con un saggio; e Deserti della mente. Psichiatria e combattenti nella guerra di Libia 1911-1912 di Graziano Mamone e Fabio Milazzo (vai al link). Ho ricevuto, infine, qualche giorno fa Lumecan. (…magari alliora sì, mi rincontrerai…), il romanzo che un amico e collega, Giacinto Buscaglia, ha scritto a quattro mani con Massimo Schiavon (ArabaFenice): non vedo l'ora di leggerlo! E intanto, auguri a tutti noi di un anno più sereno di come sono stati gli ultimi due!
In linea generale, non molto parrebbe cambiato dall’anno scorso a questo. Continuiamo a vivere nella pandemia. E non avrei davvero pensato, nel marzo del 2000, che a Natale 2021 saremmo ancora stati in ballo tra soggetti sospetti e soggetti positivi, a cercare di fermare questo nemico che circola tra noi e sembra dilagare qualsiasi siano gli sforzi per fermarlo. Che salta fuori dove e quando meno te lo aspetti. Chi si aspettava che ancora fossimo in ballo con i tamponi e che saremmo dipesi ancora dai loro responsi. Il risveglio a capodanno 2022 è già un incubo.
Ma siamo ancora lì. Si muore meno grazie ai vaccini – ed è importante certo! – ma la nostra vita non è ancora ritornata alla sua normale difficoltà; chissà quando potrà succedere. E siamo sempre lì ad assumere decisioni, per noi e per gli altri, sperando di fare la scelta migliore ma sempre senza poterne esserne sicuri.
Del peso di questa situazione sulla vita e sul lavoro psichiatrico mi è capitato di scrivere in due occasioni, stimolato da Cristina Morini la prima e da Francesca Brencio la seconda. Ne sono uscite due riflessioni, una accolta nell’e-book collettivo L’enigma del valore. Dai corpi perduti ai corpi ritrovati (vai al link), curato l’anno scorso da Cristina e ripubblicato quest’anno da Manifestolibri con il titolo Prendiamo corpo. Resistenza e sfruttamento ai tempi del covid; l’altra insieme a due colleghe, su un numero monografico della rivista filosofica open-access In circolo (vai al link). Certo, la novità di quest’anno che ha reso un po’ meno violento l’impatto del virus rispetto al 2020 è stata rappresentata dai vaccini, ma a renderli indigesti, più delle bizzarrie dei no-vax, è stato il riproporsi dei problemi di disuguaglianza nella loro distribuzione, e la discutibile liceità dei brevetti nell’industria sanitaria (vai al link). Il mercato, insomma, se da un lato ha stupito per efficienza per la rapidità con la quale ha onorato l’impegno a mettere a disposizione il vaccino, dall’altro ha confermato la sua inadeguatezza a governare le cose più importanti della vita sulla terra (l’aria, l’acqua, la temperatura, la salute…), lasciando ampie porzioni di uomini e donne prive della possibilità di godere dei suoi risultati in tempi ragionevolmente brevi.
Anche a voler essere cinicamente utilitaristici, da un punto di vista epidemiologico è innegabile che lasciare fette così ampie dell’umanità prive di copertura vaccinale (7% di vaccinati in Africa), nel mondo della globalizzazione, è un rischio enorme per tutti. E così si sta rivelando.
Le strade, del resto, continuano a essere impervie per chi vuole migrare verso il nord ricco del mondo, e a ceninaia si è morti anche quest’anno come i precedenti di confine, sulla terra o nel mare. Il processo a Carola Rackete e quello a Mimmo Lucano hanno riproposto al giudice un dilemma antico quanto la tragedia di Antigone: assolvere chi viola l’illegittimità della legge quando è disumana; o condannare comunque l’atto illegale di chi la infrange. E hanno confermato che lo stato di necessità, il dovere morale e legale della solidarietà possono giustificare quando l’alternativa alla forzatura della legge è un pericolo cogente, immediato. Quando si tratta di reagire a un’ingiustizia sul medio-lungo periodo non sembrano ammesse invece, almeno per ora, forzature e la moralità dell’atto e delle intenzioni non paiono giustificare chi si è assunto la responsabilità di compierlo infrangendo la legge. E intanto, anche in questi giorni di Natale, si contano a decine i morti annegati e assiderati alle porte d’Europa (sulla vicenda Rackete, vai al link).
Continua lo stillicidio di morti in Palestina per la politica coloniale israeliana che pare inarrestabile, continua il suo corteo di quotidiane ingiustizie. E si continua a morire di guerra in quello e in mille altri luoghi, a partire dalla Libia che a 10 anni dalla consegna al linciaggio del colonnello Gheddafi da parte degli USA rimane un inferno per libici e migranti.
La pioggia di denaro che l’UE ha precipitato sull’Italia (che dovrà essere in parte restituito nei prossimi anni) ha scatenato gli appetiti del padronato, il quale utilizzando la piccola pattuglia di deputati eletti nel PD che ha seguito Matteo Renzi nella scissione, ha imposto il rientro della destra nel governo. A guidare il governo di quasi tutti, è stato recuperato dal mondo della finanza internazionale l’uomo probabilmente migliore che la destra potesse mettere in campo, un liberale che spicca rispetto alla banda disordinata di avventurieri della finanza e della politica – chi più chi meno disinvolto nella manifestazione di nostalgie fascistoidi – che il Caimano ha portato con sé nella sua “discesa in campo”. È sempre destra, insomma, con tutte le responsabilità morali e politiche che questo implica, ma almeno è quella che pare “perbene”. Già un passo avanti, per la politica italiana, del quale forse di questi tempi bisogna accontentarsi.
Ma invece aspettiamo il ritorno della destra destra, quella che già sta smantellando per stupido revanchismo ad esempio i servizi a Trieste (vai al link) senza preoccuparsi di quali ricadute questo avrà sulle persone, al potere in Italia, con lo stesso fatalismo con il quale aspetteremmo un ciclone; e nessuno a sinistra che paia in grado di un cenno di reazione!
Il ritorno della destra nel governo rimanda comunque già da ora a tempi migliori la speranza di una legge antirazzista, che sostituisca lo ius soli allo ius sanguinis nel riconoscimento di cittadinanza ai bambini e ragazzi figli di stranieri, nati in Italia. Bambini condannati in Italia come in Spagna e nelle altre nazioni europee a peripezie assurde per vedersi riconoscere i diritti degli altri bambini, a subire assurde delusioni quando non di peggio. Mi dà una rabbia enorme che si chieda il passaporto a un bambino, quando domanda di poter fare un viaggio o chiede qualche altra cosa che desidera.
E penso che l’Europa dovrà un giorno rispondere alla storia, dei bambini che abbandona al freddo, in mezzo al mare o in mezzo alla foresta.
Con il ritorno della destra nel governo, poi, si è accentuata la consegna ai privati – anche in campo sanitario, nonostante la pessima prova che la privatizzazione della salute ha dato di sé in Lombardia durante l’emergenza pandemica – della gran parte del malloppo, riservando solo le briciole a politiche anche minimamente redistributive. È stato questo – a me pare – e non la doverosa reazione di un sindacato finalmente indignato a rompere la pax sociale pandemica degli ultimi due anni, e a portare allo sciopero generale di dicembre.
Del resto, anche del lavoro c’è da dire, perché anche quest’anno i morti sul/di lavoro supereranno 1.400, quasi quattro al giorno, e il caso di Luana D’Orazio ha commosso l’Italia portando alla luce lo stillicidio di questo sacrificio umano, celebrato quotidianamente alla concorrenza, al mercato, al profitto (vai al link).
In Virginia, uno degli Stati a tradizione più reazionaria degli USA, è stata abolita la pena di morte, e abbiamo celebrato a modo nostro questo piccolo passo avanti (vai al link). Restano, però, ancora molti i luoghi nei quali l’assassinio di Stato è praticato a cuor leggero come una cosa normale.
Per ciò che riguarda le nostre cose, è stato nuovamente rimandato il 49.o Congresso Nazionale della Società di Psichiatria, che avrebbe dovuto tenersi a Genova nell’autunno 2020 e si terrà invece, pandemia permettendo, dal 12 al 14 maggio 2022.
Si è tenuta invece, preceduta dal lavoro preparatorio di Fabrizio Starace, dal 25 al 26 giugno la II Conferenza Nazionale per la Salute Mentale, introdotta dai toccanti telegrammi di Papa Francesco e di Sergio Mattarella e aperta, alla presenza dei ministri Roberto Speranza, Marta Cartabia e Andrea Orlando, dalla proiezione del documentario I giardini di Abele realizzato da Sergio Zavoli a Gorizia nel 1968, un documento indispensabile perché, probabilmente, è da lì che dovremmo ogni anno ripartire (vai al link). Tra i temi toccati, tutti strettamente legati alla vita e ai reali bisogni dei pazienti e delle famiglie: organizzazione dei servizi, salute mentale dei minori e dei giovani, presa in carico delle popolazioni marginali dei migranti e dei detenuti, lavoro di équipe, sistema informativo e valutazione, presa in carico, lavoro e inclusione sociale, ruolo delle associazioni. Personalmente ho avuto l’incarico di coordinare, con Giovanna Del Giudice, la sessione sulla presa in carico, alla quale ho contribuito con una introduzione al tema che ho successivamente ampliato e pubblicato su questa rubrica (vai al link).
Ma tutte le registrazioni della conferenza sono disponibili online (vai al link).
Dalla Conferenza è uscita, tra l’altro, un’importante bozza di documento sulla Contenzione fisica a dieci anni da quello della Conferenza Stato-Regioni e P.A. che, purtroppo, non sembra finora aver incontrato sufficiente attenzione né avere avuto l’impatto che avrebbe meritato. Questo nuovo documento, pur scontando qualche eccesso di enfasi e ottimismo nei toni del quale si sarebbe potuto fare a meno, tocca un tema assolutamente centrale per l’assistenza psichiatrica, e avanza proposte concrete che meritano la massima attenzione, prima fra tutte il monitoraggio del fenomeno al quale trovo inaccettabile che ancora tre quarti delle Regioni italiane si sottraggano. Bisogna che molti colleghi, e i leader della psichiatria italiana, si rassegnino: non è possibile mettere l’enfasi sulle sorti gloriose e progressive degli avanzamenti scientifici della psichiatria, se poi nel corso dell’emergenza si continua a considerare nei fatti la psichiatria non molto di più che “l’arte di legare le persone”, simile all’arte dei salumai. Del tema, del resto, ci siamo occupati su questa rubrica (vai al link) e ritorneremo a farlo anche in riferimento al prezioso documento ministeriale.
Dopo la II Conferenza nazionale per la salute mentale, si è tenuta a Genova il 26 e 27 novembre la VI Conferenza nazionale sulle dipendenze. Non ho avuto modo di seguirla come avrei voluto, e sono ormai distante da questi temi da troppi anni per potermi permettere di entrare nel merito; mi limito perciò a segnalarla.
Ci siamo occupati anche di eventi più locali. Ad esempio, la riproposizione, a sedici anni di distanza dalla prima volta, da parte della compagnia teatrale Lunaria diretta da Daniela Ardini – con scenografie di Giorgio Panni e Giacomo Rigalza e interpreti Sara Mennella e Francesco Patanè – della fantasia pompeiana Gradiva, scritta da Wilhelm Jensen nel 1903 e resa celebre dal saggio che Sigmund Freud le ha dedicato nel 1907. Come sedici anni fa, Daniela Ardini mi ha chiesto di pronunciare alcune parole di presentazione prima dello spettacolo, e questo mi ha permesso di rimettere mano alle note di allora, originariamente pubblicate su “Il vaso di Pandora. Dialoghi in psichioatria e scienze umane” e riproporle su Pol. it (vai al link). Dopo cinque anni dalla proposta, sempre da parte di Lunaria, della riduzione teatrale de La mite di Dostoëvskij – il commento è stato pubblicato allora su questa rubrica (vai al link) – mi ha fatto piacere assistere a un’altra versione proposta al Teatro Modena di Genova nell’ambito del Festival dell’eccellenza al femminile.
Anniversari. Nel corso di questo 2021 non sono mancati gli anniversari illustri. In campo letterario sono trascorsi 200 anni dalla nascita di Charles Baudelaire il 9 aprile, di Fëdor Dostoëvskij l’11 novembre e di Gustave Flaubert il 12 dicembre; ci siamo occupati della seconda di queste ricorrenze perché riguarda lo scrittore per il quale provo il maggiore interesse (vai al link). Il 19 settembre sono trascorsi 100 anni dalla nascita del pedagogo brasiliano Paulo Freire, morto nel 1977. Nel suo Paese dove le disuguaglianze raggiungono dimensioni gigantesche ha scelto con decisione la parte degli oppressi, e ci ha insegnato che, in pedagogia come in psichiatria infondo, nessuno libera gli altri: ci si libera insieme.
Sono trascorsi 700 anni dalla morte di Dante alla metà di settembre, e anche di questo ci siamo occupati commentando a nostra volta un commento che Morselli ha dedicato al XVIII Canto dell’inferno (vai al link). E 60 anni sono trascorsi dalla pubblicazione de I dannati della terra e dalla morte negli stessi giorni, il 6 dicembre, di Frantz Fanon; a questa figura così capace di leggere in anticipo molti dei problemi più grandi del mondo postcoloniale di oggi abbiamo dedicato l’ultimo articolo (vai al link). Ne sono trascorsi anche 150 dalla Comune di Parigi; un evento importante, credo, con le sue luci e le sue ombre, che ha rappresentato il primo tentativo di realizzare una società comunista ed è stato represso con una ferocia che ancora adesso fa rabbrividire. E vent’anni sono trascorsi (sembra ieri…) dalle manifestazioni no-global che si sono tenute contro il G8 a Genova nel luglio 2001 (vai al link), e anche dall’attentato alle Torri gemelle che ha scatenato l’inferno nell’Afghanisatan e nell’Iraq, terre lasciate tuttora senza pace dagli esportatori della democrazia.
Infine, una piccola ricorrenza di carattere personale ha riguardato il XXX anniversario dell’inizio del mio lavoro come psichiatra nel servizio pubblico iniziato il 1 agosto 1991, e ho voluto riflettere anche su questi miei trent’anni su questa rubrica (vai al link). Qualche amico, leggendo, mi ha detto che si tratta di un bilancio un po’ triste; e forse, in effetti, il giorno che ho scritto quel pezzo non ero dell’umore migliore. Però, non credo di aver mai nascosto a chi legge questa rubrica che non sono contento dell’evoluzione del mondo negli ultimi due decenni, né dell’evoluzione della società italiana, né di quella della psichiatria italiana. E, per ciò che mi riguarda più direttamente, forse è inevitabile ma negli ultimi anni non mi sento più oggetto dell’indulgenza e del credito coi quali mi sentivo guardato quand’ero più giovane e, anche, quando il clima forse era meno duro e più aperto.
Mi consola qualche soddisfazione, che può riservare il lavoro con le persone – i colleghi del mio gruppo di lavoro, i pazienti – e, per il resto, continuiamo a sperare in tempi migliori e, per quel che possiamo, almeno a lavorare e a scrivere per fare quel che possiamo per la loro costruzione.
Sempre quest’estate il prof. Gian luigi Bruzzone mi ha intervistato per conto della rivista del ponente ligure Trucioli (vai al link); è stato un modo per pubblicare per la prima volta una sorta di piccola autobiografia, e forse in quell’occasione l’umore era migliore.
E mi consola qualche altra soddisfazione che ci riserva il mondo per come gira: una per tutte l’elezione in questi ultimi giorni dell’anno del leader studentesco Gabriel Boric alla guida del Cile, evitando quella di un avversario che era addirittura nostalgico della sanguinaria dittatura fascista.
Ci hanno lasciato Tra coloro che ci hanno lasciato quest’anno desidero ricordare lo psichiatra Piero Coppo, che è mancato l’11 giugno. Nato nel 1940, e formatosi quindi alla psichiatria negli anni ’60, merita di essere ricordato per i suoi studi di etnopsichiatria condotti sul campo, memorabili quelli sulle tradizioni dell’altipiano Dogon. Hanno caratterizzato la sua vita e il suo lavoro la curiosità e il rispetto per il sapere degli altri, quei popoli che sono stati le vittime – e in buona parte lo sono ancora – della vicenda coloniale
Poi abbiamo ricordato in occasione della sua scomparsa all’inizio di luglio il contributo importante del giornalista, storico e scrittore Angelo Del Boca alla denuncia della realtà manicomiale italiana a metà degli anni ’60, e negli anni successivi alla conoscenza della ferocia del colonialismo italiano (vai al link).
Il 13 agosto è morto Gino Strada, il chirurgo lombardo fondatore di Emergency. Nato il 21 aprile 1948, era stato attivo nel movimento studentesco tra gli anni ’60 e ’70 e, dopo la laurea, come chirurgo nel campo del trapianto di cuore. Specializzatosi in chirurgia d’urgenza, a partire dalla fine degli anni ’80 è stato presente con la Croce Rossa in tutti i principali teatri di guerra; poi nel ’94 ha fondato appunto Emergency, un’associazione di volontariato per la cura e riabilitazione delle vittime di guerra che negli anni è stata attiva in 18 Paesi. Particolarmente importante la sua azione in Afghanistan, e le sue prese di posizione contro i governi italiani ogni volta che, prendendo parte in un conflitto armato, hanno operato in violazione dell’art. 11 della Carta Costituzionale. Il suo insegnamento più importante è che nella guerra moderna a pagare il prezzo più alto sono sempre le popolazioni civili, e perciò non esistono guerre giuste: la guerra è sempre e comunque da ripudiare.
Ex libris. Tra i libri dei quali ci siamo occupati ricordo L’arte di legare le persone, pubblicato dallo psichiatra genovese Paolo Milone per Einaudi. Il libro è stato oggetto di recensioni entusiaste per il suo valore letterario; meno entusiaste sono state in genere quelle degli psichiatri che non hanno apprezzato né l’idea dello psichiatra che Milone presenta, quella di una sorta di eroe solitario costretto a confrontarsi da solo con le insidie della follia. Né quella della psichiatria, che all’opposto di quello che il titolo afferma nasce come, e soprattutto oggi è, semmai l’arte di cercare di non legare le persone, anche dove il senso comune porterebbe a farlo. La nostra è stata credo la prima recensione (vai al link)a dover evidenziare quasi incredula queste ombre del libro, che dà quasi la sensazione di voler “stupire il borghese”, esaltando proprio ciò che la psichiatria dovrebbe sforzarsi di non essere, e pare risolversi così in quello che con sagacia un collega presente a una presentazione mi confessava di aver colto anche lui come un “elogio della praticaccia”. Quasi il ritratto, insomma, di una psichiatria cinica e rassegnata, che rinuncia a priori alla possibilità di sforzarsi di essere migliore di quella che è e che dà una grande tristezza.
A questo libro ne giustappongo, per stridente contrasto, un altro. È Noi due siamo uno. Storia di Andrea Soldi morto per un TSO (Torino, Add) che il giornalista Matteo Spicuglia dedica alla triste vicenda umana di Andrea Soldi, morto soffocato durante il trasporto ammanettato in TSO in ospedale, a Torino nell’estate 2015. Qualcuno forse ricorderà che da questa vicenda traeva spunto il secondo articolo di questa rubrica per alcune considerazioni sul TSO e sulla contenzione (vai al link). È una vicenda drammatica, che in primo luogo ci ricorda che dell’arte di legare c’è poco da fare letteratura, e anzi bisognerebbe sforzarsi di fare a meno ogni volta che si può. E in secondo luogo ci offre, attraverso i documenti lasciati da Andrea e le generose testimonianze del padre e della sorella che Spicuglia raccoglie, la ricchezza della vicenda, interrotta in quel modo drammatico, di una persona e di una famiglia che affrontano il dramma inafferrabile e spesso incomprensibile della follia cercando di salvaguardare il più possibile la normalità delle proprie vite, delle proprie passioni e ambizioni, e la ricchezza delle relazioni e degli affetti tra loro. Un libro utile, per noi operatori, perché ci aiuta a comprendere la sofferenza di un paziente e di una famiglia quando la follia entra insidiosa, in un primo tempo non riconosciuta, a sconvolgerne gli equilibri, le mille mediazioni a cui sono da quel momento che cambia tutto costretti per consentire alla follia di abitare, nonostante le sue mille bizze, la città; e insieme i limiti che spesso presenta, nel loro vissuto, l’organizzazione del nostro intervento. E l’importanza, soprattutto, della presa in carico intesa come patto forte, la cui necessità Cristina Soldi è venuta generosamente a testimoniare al simposio della Conferenza nazionale dedicato a questo tema, dove l’ho potuta conoscere.
Ci siamo occupati di due volumi dedicati alla deistituzionalizzazione negli anni ’60 (vai al link). Il primo di essi è la ripubblicazione delle interviste realizzate da Anna Maria Bruzzone ad Arezzo, cui sono state aggiunte quelle realizzate a Gorizia con il titolo Ci chiamavano matti. Voci dal manicomio (1968-1977), da parte di Marica Setaro e Silvia Calamai per Il Saggiatore. Il secondo il volume collettaneo curato da Patrizia Guarnieri per la Fondazione Museo Storico del Trentino Uscire dall’insopportabile. Culture e pratiche della de-istituzionalizzazione nel Nord-est Italia cui ho contribuito con un saggio dedicato alla figura di Antonio Slavich.
Abbiamo poi recensito Quale psichiatria? Taccuino e lezioni scritto da Franco Rotelli ed edito da Alphabeta Verlag nella Collana 180, nel quale l’autore ripropone 23 interventi su temi vari di psichiatria e di salute mentale (vai al link).
E siamo ritornati al tema del lungo centenario della Grande Guerra – sul quale siamo intervenuti quest’anno invitati dall’ANMIG di Modena a partecipare a un avento collaterale del Festival della filosofia – recensendo la traduzione per Guanda del bel libro di Stefanie Linden, che ho avuto occasione di conoscere durante un convegno a Irsee, La guerra dei nervi. Soldati traumatizzati sul fronte occidentale 1914/1918, pubblicato in Italia con una ricca prefazione di Antonio Gibelli (vai al link). Precedentemente, avevamo recensito due volumi usciti negli anni scorsi: nel 2019 il volume collettaneo Guerra e scienze della mente in Italia nella prima metà del Novecento curato da Dario De Santis, al quale ho partecipato con un saggio; e Deserti della mente. Psichiatria e combattenti nella guerra di Libia 1911-1912 di Graziano Mamone e Fabio Milazzo (vai al link). Ho ricevuto, infine, qualche giorno fa Lumecan. (…magari alliora sì, mi rincontrerai…), il romanzo che un amico e collega, Giacinto Buscaglia, ha scritto a quattro mani con Massimo Schiavon (ArabaFenice): non vedo l'ora di leggerlo! E intanto, auguri a tutti noi di un anno più sereno di come sono stati gli ultimi due!
Nel video, un'intervista di Piero Coppo per Pol. It. sull'etnopsichiatria.
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