IL PAZIENTE ALCOLISTA

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1 dicembre, 2012 - 16:19

 

Riassunto

L’abuso di bevande alcoliche è considerato uno delle cause più frequenti di gravi effetti sulla salute nell’uomo. L’alcolismo è un fenomeno, infatti, che sembra essere in costante aumento nella gran parte dei Paesi del mondo, sia pure con una prevalenza e dei costi sociali ampiamente variabili tra le diverse realtà.

Da un punto di vista clinico, il termine di "Patologie e Problemi Alcol-Correlati" (PPAC) si riferisce all’insieme di fenomeni correlati all’abuso di alcol che richiedono un trattamento specifico di tipo bio-psico-sociale. Le PPAC rappresentano un range di condizioni che vanno da forme lievi a forme molto gravi, e si caratterizzano quindi per un’ampia variabilità di risposta al trattamento.

Tali caratteristiche obbligano, pertanto, gli operatori del settore ad una gestione del paziente attentamente programmata e necessariamente longitudinale.

Il compito dei Servizi di Alcologia è quello, quindi, di:

 

  1. sorveglianza epidemiologica del territorio mediante un attento screening ed una corretta quanto tempestiva individuazione ed inquadramento diagnostico del paziente alcolista;

 

  1. educazione alla salute del paziente e dei suoi familiari;

 

  1. proposizione di interventi terapeutico-riabilitativi dell’alcolismo.

 

 

Nelle pagine seguenti saranno prese in considerazione non solo le problematiche relative all’inquadramento diagnostico della dipendenza da alcol ed alcuni aspetti di carattere statistico-epidemiologico ma anche i principali approcci principalmente utilizzati in campo internazionale nel trattamento dell’alcolismo e nel mantenimento di lungo termine della sobrietà.

 

 

Astract

Alcohol abuse is considered one of the most important problems responsible of severe effects on human health. Alcoholism is a phenomenon that seemed to rise in many part of the country in the World, although with a wide variability of prevalence and social and human cost.

Alcohol-related Pathologies and Problems (ArPP), from a clinical point of view, are referred to a range of physical, psychological and/or social problems related to alcohol abuse or dependence that need a specific bio-psycho-social therapeutic approach. ArPP include several conditions ranged from mild to severe that are characterized by a wide variability to response to the treatment.

Obviously, these aspects ought to be all considered by operators for a correct therapeutic approach to an alcoholic. Also a correct follow-up strategy is necessary in monitoring patient’s sobriety. Hence, the aim of an Alcohol Unit might include:

 

  • Epidemiological surveillance and screening of general population for an early diagnosis of alcohol dependent;

 

  • Health education and promotion for patients and families of alcoholic

 

  • Choice of a specific therapeutic-rehabilitation program to present to the patient and families of alcoholic

 

 

In the next pages will be considered not only the problems related to the early diagnosis of alcohol abuse and dependence and some statistical and epidemiological aspects related to alcohol, but also the international guidelines actually mainly utilized in the therapeutic (medical, psychological and rehabilitative) approach to the alcoholism from the first phases of the cure of an alcohol withdrawal syndrome to the long-term maintenance of sobriety

 

INTRODUZIONE

L’abuso di bevande alcoliche è unanimemente considerato uno delle cause più frequenti di gravi effetti sulla salute nell’uomo (1,2). L’alcolismo è un fenomeno, infatti, che sembra essere in costante aumento nella gran parte dei Paesi del mondo, sia pure con una prevalenza e dei costi sociali ampiamente variabili tra le diverse realtà.

Da un punto di vista clinico, il termine di "Patologie e Problemi Alcol-Correlati" (PPAC) si riferisce a tutto l’insieme dei fenomeni bio-psico-sociali causati dall’abuso di alcol che richiedono un trattamento specifico di tipo "integrato" (medico, psicologico e riabilitativo) (3).

Le PPAC possono manifestarsi acutamente o con andamento cronico, in un range di condizioni che vanno da forme lievi a forme molto gravi, e si caratterizzano pertanto per un’ampia variabilità di risposta al trattamento. Tali caratteristiche obbligano, pertanto, gli operatori del settore ad una gestione del paziente attentamente programmata e necessariamente "longitudinale".

Il compito dei Servizi di Alcologia è quello, quindi, di:

 

  • sorveglianza epidemiologica del territorio mediante un attento screening ed una corretta quanto tempestiva individuazione ed inquadramento diagnostico del paziente alcolista;

 

  • educazione alla salute del paziente e dei suoi familiari;

 

  • proposizione di interventi terapeutico-riabilitativi dell’alcolismo.

 

STILI DEL BERE ED INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO

Astinente è quella persona che nel corso della sua vita non ha mai bevuto bevande contenenti alcol in qualsiasi quantità. Devono essere considerati Bevitori (occasionali, abituali, moderati, problematici o "a rischio") tutti gli altri.

È importante, comunque, sottolineare quale ampia variabilità sottende, relativamente al consumo di alcol o allo stile del bere, la categoria dei cosiddetti Bevitori. A tale proposito, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) consiglia di non superare la dose giornaliera di 40 g/die di alcol anidro nell’uomo e di 25 g/die nella donna (4). Queste dosi corrispondono a delle quantità relative delle varie bevande alcoliche che sono riportate nella tabella sottostante (Tab.1).

 

Tab.1 : Consumi alcolici giornalieri a minor rischio

 

UOMO

DONNA

Vino (10° vol%))

500 ml

300 ml

Birra (4° vol%)

1200 ml

800 ml

Spiriti (40° vol%)

135 ml

90 ml

Fonte: O.M.S. (199?)

 

Basandoci su tali linee guida, possiamo operare una prima grossolana distinzione tra:

 

  1. Bevitori moderati (coloro che bevono al di sotto dei livelli consigliati);
  2. Bevitori "a rischio" (coloro che bevono al di sopra di tali livelli).

 

Sebbene le problematiche relative all’ampia variabilità individuale (genetico-ambientale) dei sistemi enzimatici deputati, nell’uomo, al metabolismo dell’alcol etilico rendano estremamente variabile la suscettibilità di un individuo agli effetti tossici dell’alcol, un dato sembra essere incontrovertibile: l’aumento dei consumi di alcol si correla fortemente all’aumento dei rischi per la salute (1,2). Due studi prospettici americani (5,6) che hanno valutato circa 300.000 soggetti di sesso maschile hanno dimostrato un aumento della mortalità in chi consumava giornalmente più di 2-3 unità alcoliche (U.A., v. nota). Un altro studio che riguardava il sesso femminile (7) ha dimostrato che le donne che bevevano giornalmente circa 2,5 U.A. presentavano una mortalità più elevata rispetto a chi beveva meno o non beveva affatto. La differente "tolleranza" all’alcol delle donne rispetto agli uomini è dovuta, presumibilmente, in parte al minore volume di distribuzione corporeo dell’etanolo ed in parte all’assenza dell’isoenzima gastrico dell’alcol-deidrogenasi. Uno studio epidemiologico nazionale sullo stato di salute e nutrizionale della popolazione statunitense (8) ha preso in considerazione i soggetti che riferivano eccessi occasionali maggiori di 4 U.A. e di 8 U.A. per occasione (rispetto agli astemi) documentando che gli eccessi occasionali si associavano ad un rischio relativo di decesso per incidenti compreso, rispettivamente, tra l’1.9 ed il 3.3%. Il "National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism" (NIAAA, USA) definisce il bere "moderato" come: "la quantità media di consumo alcolico giornaliero che si associa al minor rischio per il soggetto di comparsa di problemi alcol-correlati" (9). Sebbene tale criterio (che si avvicina in qualche modo alla definizione di "bere a rischio" dell’OMS) permetta una stima del rischio per la salute della popolazione, non possiamo sottovalutare il fatto che fattori individuali, quali la durata del consumo, possono influenzare, e non poco, i livelli di rischio. Sebbene esistano delle evidenze sostanziali che sottolineano che il bere moderato (se comparato al non bere) può associarsi ad un certo beneficio per la salute (ad es., ridotta mortalità per malattie cardiovascolari), i livelli di consumo possibili sono però notevolmente contenuti (non più di 2-6 U.A. a settimana) (5). Uno studio recente americano in soggetti di età media ed anziani avrebbe, in realtà, dimostrato che i maggiori benefici sia nei maschi che nelle femmine erano ottenibili con il consumo di non più di una U.A. al giorno (10). Va precisato, ad ogni modo, che i benefici complessivi sulla mortalità erano alquanto scarsi ed inoltre quasi completamente a favore dei soggetti più anziani e cardiopatici (11). Non esistono quindi al momento evidenze sostanziali a favore di una "prescrizione" medica di alcol per chiunque sia in termini "terapeutici" (l’anziano cardiopatico) che "preventivi".

Relativamente all’inquadramento diagnostico, i criteri più utilizzati in campo internazionale sono quelli contenuti nel "Manuale Diagnostico e Statistico dei Disordini Mentali" (DSM) edito dall’Associazione Psichiatrica Americana (APA), oggi giunto alla IV edizione (APA; 1996) (12), che inquadra l’alcolismo tra i "Disturbi da uso di Sostanze", distinguendo comunque due diverse condizioni: Abuso e Dipendenza.

 

EPIDEMIOLOGIA

Indagini epidemiologiche sulla popolazione generale

Uno studio epidemiologico condotto negli USA (1992) ha rilevato che circa il 34% degli adulti della popolazione generale è del tutto astemio, il 44% beve abitualmente ed il 22% ha riferito di aver bevuto in precedenza (13). Stime, sempre eseguite in USA, attestano una prevalenza di abuso e di dipendenza da alcol che varia, nelle diverse casistiche, dal 7.4% al 9.7% (14,15) ed una prevalenza nell’arco dell’intera vita variabile dal 13.7% (16) al 23.5% (15). Sebbene sia il sesso maschile ad essere maggiormente interessato a questo disordine (14,15) ed i consumi più elevati tendano ad associarsi in modo inversamente proporzionale all’età, al reddito ed alla scolarità, nessun fattore socio-demografico sembra esercitare un ruolo significativamente protettivo; chiunque pertanto può essere sospettato di avere un problema con l’alcol.

 

Indagini epidemiologiche in ambito clinico

La percentuale dei casi di abuso e dipendenza da alcol è generalmente maggiore in ambito clinico. Questa affermazione sembra confermata da recenti osservazioni svolte negli USA che dimostrerebbero che in circa il 20% dei ricoverati in ambito ospedaliero può essere posta una diagnosi di alcolismo (17). Altri autori (18) hanno osservato una prevalenza di abuso e di dipendenza da alcol nei ricoverati in ospedali generali del tutto identica, stimabile intorno al 20%. Anche in ambito ambulatoriale, vari studi sembrano attestare una prevalenza dell’alcolismo compreso tra il 16% ed il 36% (19-21).

Nel nostro Paese mancano dei dati generali attendibili sull’intero ambito territoriale nazionale. Ad ogni modo, il nostro gruppo di ricerca ha condotto, nel 1993, un’indagine epidemiologica (Progetto "TELEALCO", Ceccanti et al., 1993) che ha coinvolto i ricoverati al Pronto Soccorso, nelle Astanterie e nei Reparti di Medicina generale di cinque grandi ospedali generali della Regione Lazio.

I pazienti coinvolti nell’indagine sono stati 2740 (1721 M, 1019 F) con un’età compresa tra 14 e 90 anni (m = 58 anni), ed un range di consumi alcolici compreso tra 0 e 768 g/die.

Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad un'attenta anamnesi atta a valutare l'entità e le modalità del consumo di bevande alcoliche ed è stato, inoltre, loro somministrato un questionario di autovalutazione per la diagnosi di abuso e dipendenza alcolica (Michigan Alcoholism Screening Test. MAST). Sono stati inoltre routinariamente eseguiti i seguenti test laboratoristici: MCV, GGT, AST, ALT.

Uno degli scopi principali dell’indagine è stato, tra l’altro, proprio quello di valutare la prevalenza di alcolismo cronico sul numero complessivo di pazienti ricoverati per qualsiasi patologia presso gli enti ospedalieri coinvolti nell'iniziativa. Da tale studio è emerso che non vi erano differenze importanti relative alla scolarità, all’impiego tra coloro che riferivano consumi considerabili a rischio per PPAC: questi soggetti rappresentavano il 27.5% della popolazione studiata. Inoltre il 22% riportava al MAST test un punteggio riferibile ad una condizione di abuso e/o dipendenza da alcol. In Tab. 3, sono infine riportati i motivi che avevano portato al ricovero i soggetti studiati da dove non risulta una particolare associazione tra alcolismo e patologia organica.

Tab. 3: INCIDENZA DIAGNOSI (%)

Patologia

totale (%)

alcolisti

(%)

Cardiovascolari

41.2

20.3

Respiratorie

15.3

26.2

Gastrointestinali

14.5

12.5

Neurologiche e psichiatriche

17.8

12.2

Epatiche

11.3

22.6

Dismetaboliche

7.3

5.0

Osteoarticolari

6.6

22.2

Neoplastiche

6.6

11.1

Emopoietiche

2.1

16.6

Iperpirettiche

4.7

15.4

Altre

7.3

10.0

Alcolismo

5.5

--

Fonte: Progetto TELEALCO (Ceccanti et al., 1993)

 

 

PROBLEMI DIAGNOSTICI E DI SCREENING

In numerosi Paesi, industrializzati e non, a dispetto dell’alta prevalenza delle PPAC, la diagnosi di alcolismo non viene posta in una elevata percentuale dei casi.

In uno studio USA, meno della metà dei pazienti alcolisti sono stati correttamente individuati dai loro medici curanti (17) ed in altro studio solo al 24% dei pazienti alcolisti un sanitario ha consigliato il trattamento (18).

In Italia, sebbene si ritenga che la diagnosi di alcolismo venga più facilmente raggiunta in presenza di patologie mediche concomitanti (le cd. patologie alcol-correlate), non sempre questo assioma sembra essere soddisfatto. Nell’ambito della Progetto "TELEALCO", una diagnosi certa di alcolismo cronico è stata posta, dai sanitari coinvolti nello studio, solo nel 5.5% dei casi a fronte di una prevalenza di bevitori "a rischio" del 27.5% ed una positività al MAST del 22%.

Le donne costituiscono un altro serio problema per gli operatori del settore in quanto, in via generale, le possibilità di individuazione sembrano essere decisamente più basse che nei riguardi degli uomini (22).

Alla base di questa scarsa capacità di individuazione da parte di larghi strati degli operatori socio-sanitari ci sono numerosi fattori sebbene i più importanti siano rappresentati: dalla inadeguatezza della formazione scolastica e professionale (23), dallo scetticismo di molti sull’efficacia dei programmi terapeutici proposti (17) e dalla percezione che l’alcolismo non rientri nel campo d’azione del clinico medico (24). E tuttavia, l’individuazione precoce costituisce un’arma irrinunciabile per la prevenzione delle sequele a lungo termine dei comportamenti alcolici "a rischio". Tutto ciò rende la fase dell’individuazione e dell’inquadramento diagnostico realmente "critica" nell’ambito del complesso rapporto medico-paziente.

 

L'APPROCCIO TERAPEUTICO IN CORSO DI ALCOLISMO

Dopo l’identificazione e l’inquadramento diagnostico, il primo scopo degli operatori del settore è quello di "agganciare" il paziente affinché porti avanti un cambiamento del proprio stile di vita, ossia dei propri comportamenti. Alle volte, specie in caso di semplice abuso di alcol, sembra bastare una corretta informazione sui rischi del bere "a rischio" fornita al paziente dal sanitario ed il ricorso ad un counselling motivazionale di breve durata (cd. "brief intervention" della durata complessiva di 3-5 sedute), in altri casi si può rendere necessario il ricorso al ricovero ospedaliero e l’attuazione di un ben più complesso processo terapeutico-riabilitativo di tipo integrato, come nel caso di forme gravi di dipendenza da alcol. Un attento follow-up del paziente alcolista può poi favorire, in un costante feedback paziente-operatore, il costante adeguamento dell’intervento terapeutico con l’attenta monitorizzazione della risposta dell’alcolista al trattamento.

 

ACCOGLIENZA E VALUTAZIONE DELLA "PRONTEZZA AL CAMBIAMENTO"

Quando si è giunti all’individuazione di un problema di alcol in un paziente, è realmente decisivo che si passi ad una seconda fase diagnostica importantissima che è quella relativa alla valutazione della percezione o meno da parte del paziente stesso dell’esistenza di un reale problema di alcolismo. Molti pazienti, infatti, non sembrano riuscire a considerare correttamente i legami di causa-effetto esistenti tra l’abuso di alcol e i problemi emergenti ad esso correlati. Questa negazione, serve spesso a nascondere il senso di vergogna che il paziente prova ed i sentimento di auto-svalutazione e di sfiducia nelle proprie capacità di poter cambiare. Gli operatori devono pertanto dimostrarsi sensibili verso i sentimenti del paziente cercando, nel contempo, di convincere l’alcolista, peraltro senza giudicarlo, che riconoscere l’esistenza di un problema di alcol è di estrema importanza ai fini del buon esito terapeutico.

In una prima fase del colloquio, possono essere proficuamente utilizzate le informazioni anamnestiche che lo stesso paziente fornisce, i dati dell’esame obiettivo e dei test di laboratorio nel tentativo di chiarire al paziente il ruolo svolto in tutto ciò dall’alcol, rassicurandolo sull’aiuto che potrebbe ricevere nel caso decidesse di smettere di bere.

Nel modello delle "Sei fasi del cambiamento" di Prochaska e DiClemente (25) si sottolinea che la valutazione delle fasi del cambiamento dei comportamenti di dipendenza è un buon indice predittivo dell’andamento del processo terapeutico e dell’esito del trattamento. Inoltre, la conoscenza della specifica "fase del cambiamento" del paziente può permettere all’operatore di intervenire al meglio utilizzando gli interventi specifici disegnati appositamente per le singole fasi del cambiamento (25,26).

Ad esempio, indipendentemente dall’abilità o meno dell’operatore, alcuni pazienti rifiutano categoricamente che sia l’alcol la causa dei propri problemi. Sono i cosiddetti pazienti "Precontemplativi". L’unico intervento possibile che può essere messo in atto con pazienti così poco collaborativi è quello di tentare almeno un "aggancio" sia pure di carattere eminentemente medico (molti hanno evidenti patologie alcol-correlate!) per tentare con il tempo nei controlli ambulatoriali successivi di superamento della negazione (messa in atto dal paziente) portando l’alcolista in una seconda fase del cambiamento che è definita "fase di contemplazione" (riconoscimento dell’esistenza di un problema di dipendenza da alcol). Talvolta, è lo stesso paziente ad esprimere apertamente il desiderio di cambiare il proprio stato di dipendenza ("fase di determinazione"), fase questa che precede di poco quella in cui il paziente inizia realmente a cambiare i propri comportamenti ("fase dell’azione"). In seguito un’ulteriore evoluzione del processo del cambiamento porta il soggetto in una particolare fase, detta del "mantenimento" che è tipica di quei pazienti che hanno già smesso di bere ma che necessitano, comunque, di controlli periodici per fare il punto della situazione medica, psicologica e relazionale, allo scopo di prevenire il più possibile (o gestire) le eventuali "fasi di ricaduta" e per concordare insieme, quando necessario, gli eventuali interventi di supporto come la frequenza ad un gruppo di self-help, il counselling motivazionale, etc.

 

IL "BRIEF INTERVENTION" NEI BEVITORI "A RISCHIO"

Ci sono evidenze sostanziali che supportano l’efficacia terapeutica del counselling secondo la tecnica del "brief intervention" nei bevitori "a rischio" non dipendenti da alcol. Questo dato è stato ampiamente documentato in campo internazionale (27,28).

La tecnica da applicare in tali casi non sembra essere particolarmente complessa prevedendo, sostanzialmente, che nell’atto del colloquio medico-paziente, il primo porti il soggetto a ragionare e a riconoscere gli stretti legami esistenti tra il suo "star male" e l’abuso di alcol, fornendo nel contempo utili informazioni sulle dosi "a rischio" ed invitando il paziente ad esercitare un maggiore controllo dell’uso della sostanza.

 

APPROCCI TERAPEUTICI NEI PAZIENTI CON DIPENDENZA DA ALCOL

In questi pazienti è richiesto certamente un impegno maggiore da parte dello staff alcologico multidisciplinare. Sebbene lo scopo principale della terapia in questo caso sia quello di aiutare il paziente a raggiungere la sobrietà, non sempre l’astinenza dall’alcol è completa e duratura. Gli alcolisti cronici di lunga data molto spesso sono soggetti a cadute o ricadute (lapse/relapse) ed è principalmente per tale ragione che gli indici di buon esito terapeutico che oggi vengono più frequentemente valutati nel campo della ricerca clinica sono rappresentati dalla:

 

  1. durata complessiva dell’astinenza (CAD) in rapporto al numero complessivo di giorni di terapia (CTD);

 

  1. dal raggiungimento della sobrietà o, al meglio, della riduzione significativa dei consumi;

 

  1. dal progressivo miglioramento delle condizioni psico-fisiche ed il buon funzionamento sociale dell’individuo.

 

Il trattamento spesso può essere anche molto prolungato nel tempo (a volte anni), principalmente su base ambulatoriale con controlli che si fanno via via sempre più frequenti per la comparsa di sintomi "guida" rappresentati principalmente dall’aumento del numero delle ricadute o dall’aggravarsi di una PPAC pregressa, etc. Talvolta, è possibile giungere ad una remissione spontanea del disturbo, anche in assenza di qualsiasi intervento terapeutico, sebbene questo sia decisamente più frequente in soggetti con forme molto lievi di dipendenza da alcol. In alcuni pazienti, potrebbe essere forse percorribile la via del bere moderato, ma un dato è comunque certo: nei soggetti con un problema di dipendenza da alcol, chi limita solo il proprio bere senza smettere ha un esito terapeutico peggiore di chi si astiene (29).

Una volta che il paziente alcolista esprima il desiderio di entrare in trattamento e di smettere di bere va programmato un intervento articolato che tenga conto di tutte le problematiche che la gestione di tale processo comporta. Innanzi tutto, una delle prime decisioni che l’operatore deve prendere è quella di decidere se trattare farmacologicamente o meno gli eventuali sintomi di una Sindrome da Astinenza da Alcol (SAA) sempre in agguato. Possono essere poste, sempre in una prima fase, le basi per avviare quanto prima, se possibile, un trattamento psico-sociale di supporto o nel caso si renda necessario l’attuazione di un trattamento farmacologico preventivo delle ricadute (trattamento anti-craving).

È possibile intuire quanta importanza rivesta questa fase iniziale del trattamento soprattutto in chiave preventiva relativamente alla morbilità e mortalità alcol-correlata (30).

 

GESTIONE DELLA SAA

La maggioranza dei pazienti con sintomi lievi di astinenza (es., tremori alle mani al mattino) non necessitano di un trattamento farmacologico specifico. Molti pazienti con sintomi di astinenza da lievi a moderati possono tranquillamente essere seguiti a livello ambulatoriale (31). La gravità dei sintomi di astinenza, la loro progressione e la loro risposta al trattamento possono essere adeguatamente monitorizzate con il ricorso ad una semplice scala clinica il "Clinical Institute Withdrawal Assessment for Alcohol-revised" (CIWA-Ar) (32) che valuta l’andamento dei 10 sintomi più comuni in corso di SAA. L’importanza di questa scala è soprattutto quella di orientare correttamente sulla necessità o meno di avviare un trattamento farmacologico della SAA, come riportato in Tab.4.

Tab. 4: Score CIWA-Ar e Trattamento farmacologico della SAA

SCORE

Decision making

< 10 punti

Il paziente non necessita di trattamento

10 — 20 punti

Il paziente va osservato nel tempo eventualmente ripetendo la valutazione della scala

> 20 punti

Il paziente va prontamente avviato alla terapia farmacologica antiastinenziale

 

Lo scopo principale del trattamento farmacologico della SAA è ovviamente quello di alleviare il più possibile l’entità dei sintomi di astinenza e di prevenire nel contempo il manifestarsi di condizione cliniche particolarmente critiche quali le convulsioni, i disordini cerebrali disnutrizionali (S. di Wernicke, S. di Korsakoff) o il Delirium tremens, la forma più temibile, vista l’elevata mortalità, di SAA. La terapia ha lo scopo, inoltre, di aumentare la compliance del paziente al trattamento facilitando quindi il mantenimento della sobrietà. Ultimo scopo, ma non per questo meno importante, che affidiamo al trattamento farmacologico è quello relativo agli esiti a lungo termine, un obiettivo questo che è spesso mancato dagli operatori del settore.

Sono molti i farmaci che sono stati nel tempo proposti nella gestione terapeutica della SAA, tuttavia, le benzodiazepine (BDZ) vengono considerate il farmaco di prima scelta nel trattamento dei sintomi di astinenza da alcol proprio per la loro efficacia, il basso costo e la loro elevata sicurezza (Tab. 5) (1,33).

 

Tab. 5: Farmaci anti-astinenziali frequentemente utilizzati nel trattamento della SAA

Benzodiazepine

Riducono la gravità dell’astinenza, stabilizzano i segni vitali, prevengono le convulsioni e il delirium tremens

Clordiazepossido, Diazepam, Oxazepam, etc.

Beta-bloccanti

Migliorano i segni vitali, riducono il craving

Atenololo, Propanololo

Alfa-agonisti

Riducono i sintomi di astinenza

Clonidina

Antiepilettici

Riducono la gravità dell’astinenza, prevengono le convulsioni

Carbamazepina

 

Una recente pubblicazione, in cui sono stati illustrati i dati relativi ad una meta-analisi sui dati di differenti trial clinici, ha chiaramente dimostrato che le BDZ riducono significativamente l’incidenza delle convulsioni in corso di SAA e l’evoluzione in Delirium tremens (33). Il clordiazepossido, il Diazepam, il Lorazepam e l’Oxazepam sono gli agenti farmacologici utilizzati più frequentemente nei Centri di Alcologia in USA (34). Le BDZ a più breve emivita sembrano risultare più sicure nei pazienti affetti da grave insufficienza epatica. Tutte le modalità posologiche (uso di dosi fisse, uso di dosi di carico, uso di dosi modulate sull'intensità dei sintomi) si sono dimostrate altrettanto valide nel controllo dei sintomi di astinenza da alcol (35).

Tra i farmaci proposti più recentemente segnaliamo (vedi Tab. 5) i beta-bloccanti. La clonidina, la carbamazepina. Ad ogni modo, le capacità che le BDZ hanno di prevenire le convulsioni in corso di SAA le fanno ancor oggi preferire rispetto agli altri approcci farmacologici, considerato tra l’altro la frequenza di effetti collaterali, a volte importanti, da parte dei farmaci summenzionati.

Recentemente è entrato nel prontuario farmaceutico, in Italia, l’acido gamma-idrossibutirrico (GHB), un derivato del GABA, che fin dai primi studi clinici "pilota" ha dimostrato di possedere delle caratteristiche di novità e di interesse scientifico relativamente al trattamento della SAA.

In un gruppo randomizzato di pazienti alcolisti, ricoverati presso il nostro Day-Hospital con sintomi di SAA che necessitavano di trattamento farmacologico (score CIWA-Ar > 20 ppt.), abbiamo valutato "in cieco" l’efficacia terapeutica del GHB rispetto ad una BDZ (Diazepam) (36). I soggetti inseriti nel trial sono stati sottoposti a terapia per la durata complessiva di dieci giorni e l’efficacia terapeutica del trattamento è stata valutata attraverso l’esecuzione a T0-T5, T10 e T18 del CIWA-Ar (per la valutazione della gravità dei sintomi fisici dell’astinenza) e dei test psicometrici STAI-Y1 (per la valutazione dell’ansia di stato) e SDS di Zung (per la valutazione della depressione di stato). I risultati del nostro studio sono riportati nella Tab. 6 e Fig. 1.

 

Tab. 6: Trial clinico sull’efficacia terapeutica del GHB vs. BDZ in alcolisti con SAA

Gruppo

T1

T2

T3

T4

T5

T10

T18

 

Gr. A

14.86 ± 6.8

9.71 ± 6.8

6.92 ± 4.68

6.50 ± 7.04

5.09 ± 3.59

3.62 ± 2.50

3.00 ± 2.73

 

Gr. B

14.00 ± 3.14

9.50 ± 4.31

5.13 ± 4.14

4.57 ± 2.90

5.00 ± 3.05

4.26 ± 4.15

3.17 ± 3.21

 

Gr. C

5.45 ± 3.10

3.68 ± 2.79

3.71 ± 2.59

3.47 ± 2.29

2.78 ± 2.51

1.83 ± 1.47

2.94 ± 2.77

CIWA-Ar score (m ± SD). Gr. A (BDZ), Gr. B (GHB); Gr. C (nessun trattamento)

 

 

Fig. 1

 

I dati ottenuti su un campione rappresentativo di alcolisti sembrano dimostrare chiaramente un’efficacia del GHB ampiamente sovrapponibile a quelli delle BDZ nel trattamento farmacologico della SAA. Tutto questo in completa assenza di effetti collaterali e di comparsa di fenomeni di dipendenza dal farmaco, né di fenomeni di rebound alla sospensione del farmaco (36). Le dosi di GHB da noi utilizzate sono state quelle consigliate (50 mg/pro kg/die in tre somministrazioni refratte per os) in 3 somministrazioni giornaliere, per la durata complessiva di 10 giorni. A vantaggio del GHB va segnalata la maggiore rapidità d’azione che coincide con una fase importante del trattamento che è quella dei primi 3-4 giorni del processo terapeutico.

 

 

PREVENZIONE DELLE RICADUTE E MANTENIMENTO DELLA SOBRIETA'

Le terapie psicosociali di supporto

Sono stati recentemente pubblicati i dati di un progetto multicentrico, che ha coinvolto in USA numerosi Centri interessati al trattamento delle PPAC, il cui scopo era quello di valutare l’efficacia terapeutica dei diversi programmi alcologici di supporto che venivano offerti agli utenti tra quelli maggiormente proposti nei Servizi di Alcologia: i gruppi di Self-Help, le tecniche cognitivo-comportamentali (Self-efficacy, Coping-skill therapy, etc.) ed il counselling motivazionale.

Lo studio (Progetto MATCH, Matching Alcoholism Treatment to Client Heterogenity) ha coinvolto complessivamente 774 pazienti ospedalizzati e 952 pazienti ambulatoriali che in modo randomizzato sono stati assegnati o meno ai tre gruppi diversi di trattamento (37). Gli indicatori di esito terapeutico utilizzati nella valutazione dei dati erano relativi a due differenti livelli: nel I livello, indicatori quali il CAD ed i consumi alcolici per occasione del bere; nel II livello il Tempo di prima caduta (Slip, primo bicchiere) e Tempo di ricaduta (con almeno 3 giorni consecutivi di consumi "a rischio").

Nel complesso, lo studio ha dimostrato l’esistenza di sostanziali e significative differenze nell’esito terapeutico ad un anno tra coloro che avevano ricevuto un trattamento psicosociale di sostegno rispetto ai soggetti di controllo e che non esistevano differenze significative tra i diversi approcci valutati. I pazienti ospedalizzati hanno presentato un incremento, relativamente al CAD, che è passato dal valore del 20% (nel mese prima del trattamento) al 90% (nel mese successivo all’inizio del trattamento). Dopo 12 mesi, il 35% dei pazienti "Ospedalizzati" manteneva ancora la sobrietà, il 25% era andato incontro a "cadute" ed il rimanente 40% a "ricadute". Nei pazienti "Ambulatoriali" la percentuale del CAD era risultata mediamente dell’80% nell’arco dei 12 mesi di follow-up di cui il 19% era rimasto sobrio, il 35% era "caduto" ed il 46% "ricaduto".

Indipendentemente dalle cifre, i dati di questo interessante studio sembrano porre in rilievo anche l’importanza del ruolo che altri fattori sembrano esercitare sul buon esisto terapeutico del trattamento, fattori che sono rappresentati soprattutto dalla gravità dei sintomi psichiatrici spesso associati (comorbidità psichiatrica), dallo stato motivazionale e dalla fase specifica del cambiamento del paziente, dal sesso (femminile) e dalla gravità della sociopatia.

La gestione moderatamente più soddisfacente dei pazienti sottoposti a trattamento rispetto ai controlli sembra essere correlata all’elevata qualità complessiva del trattamento offerto, dalla buona diffusione sul territorio dei Centri coinvolti e dalla loro bassa soglia di accesso, fattori che aumentano nel complesso la compliance del paziente al trattamento.

 

PREVENZIONE DELLE RICADUTE

I farmaci anti-craving

Attualmente sono solo due in assoluto i farmaci approvati dall’FDA in USA come ausilio terapeutico farmacologico anti-craving nella prevenzione delle ricadute del paziente alcolista: il Disulfiram (un inibitore della conversione dell’acetaldeide in acetato) ed il Naltrexone (un antagonista degli oppiacei assumibile per os).

Il craving può essere definito come: "il desiderio dell’effetto conosciuto di una sostanza psicoattiva. Questo desiderio può divenire irresistibile e può aumentare in presenza di stimoli interni ed esterni (eventi scatenanti), e con la percezione della disponibilità della sostanza. Esso è caratterizzato da un comportamento finalizzato all’ottenimento della sostanza e nell’uomo, da pensieri che si concentrano sulla sostanza" (UNDCP, Meeting, Vienna 1992).

Sono comunque molti altri i farmaci che sono attualmente in fase di sperimentazione con tale specifica indicazione. Tra questi, uno di quelli più diffusamente studiati in Europa è stato l’Acamprosato (Omotaurinato di Calcio). Altri gruppi di ricerca hanno avviato numerosi trial clinici in "doppio cieco" con farmaci del gruppo degli Inibitori del reuptake della serotonina, gli Antagonisti della serotonina, gli agenti GABAergici e Dopaminergici. Allo stato attuale delle conoscenze va sottolineato il fatto che nessun trattamento tra quelli preposti è risultato sicuramente efficace nel prevenire le ricadute, sebbene la maggior parte dei trial clinici ha indicato un’efficacia del 20-35% nel mantenimento della sobrietà e di circa il 50% nell’assicurare una riduzione significativa dei consumi di alcol per periodi di 12-24 mesi di follow-up nella fase post-astinenziale (38,39). L’importanza della "riduzione del danno" nel lungo periodo rende l’argomento del controllo del craving molto interessante, ed è pertanto auspicabile che la ricerca farmacologica su nuove formulazioni farmacologiche sempre più efficaci continui, come continui in parallelo la ricerca clinica sui metodi più idonei al controllo delle ricadute.

 

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