Il femminino e i femminili

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6 ottobre, 2012 - 15:21

Essere qui, oggi, ha per me, che opero nel campo dell'arte, un grosso significato di accoglienza e un'opportunità di parola di cui sono grata.
Psicoanalisi ed arte hanno molto in comune, in quanto ambedue sono uno “scavare verso un paradigma” anche se le modalità cognitive, linguistiche e procedurali usate sono diverse ; la psicoanalisi vuole interrogarne i grovigli, attraversarli e nell'attraversamento scioglierli cogliendone la natura e i rapporti che li rendeva congrui con la struttura dell'intero vissuto, l'arte è spinta per “necessità” sintomatica a dare voce ad un'interezza che si costruisce attraverso il desiderio, il dolore e lo stupore del limite, del confine e della “mancanza”.

C'è anche da dire che nello studio di qualcuno che dipinge o scolpisce, si compone qualcosa traendolo per metà dall'inconscio e per metà dalla coscienza, e si forma una sorta di set misto, composto da un soggetto fluido che scivola liberamente di associazione in associazione, da un soggetto volatile che, in attenzione fluttuante, spia dall'alto le congruenze che formano la forma e infine, da un altro soggetto seduto tra “il pubblico” che aspetta , un pò divertito e un pò teso, di vedere “cosa esce dalla macchia”.
Un singolare set analitico dove nessun transfert trova accoglimento e ognuno finisce per spogliarsi del nome d'origine e aggrumarsi, ormai altro da sè, su qualcosa che non ritorna mai a raccogliere l'artista, e che pretende vita propria e libertà d'andarsene dimentica della madre. 

Se ambedue sono domande che scavano verso il nucleo iniziale, verso la densità primaria dell'infinito possibile, l'arte è un continuo “mancare” l'oggetto da parte del soggetto, un'iterazione compulsiva a rappresentare l'irrapresentabile, un esistere come paradosso e insieme come suo superamento, paradosso di congruenze linguistiche che continuano a tentare il punto impossibile in cui il sacro si è dato limite creando il profano e la pienezza si è biforcata in significato e significante spinta dalla necessità che costringe la mancanza a partorire il linguaggio.
Ambedue, per motivi e con modi diversi, sono tensione verso..e viaggio attorno il senso di sè .

Il senso di sè è ciò che si definisce per differenza e per appartenenza e che si costruisce partendo dalla percezione del limite e dell'Altro nutrendosi di tutti i riti legati al “dare nome”: dare nome all'Altro, ricevere nome dall'Altro, darsi il nome che l'Altro può confermare o rifiutare in un continuo rimando di senso che deve significare “ti accetto, o ti respingo, ma ti vedo”, “esisti”; nel dare e ricevere nome sta il senso magico dei riti più antichi celebrati per vincere la Morte e attorno a loro si sono strutturate e si strutturano infinite strategie.
Psicoanalisi e arte sono dunque due domande che più di ogni altro comportamento vivono in modo specifico il mondo complesso delle relazioni, e quindi del sessuale, investendo a pieno il “senso di sè” e i riti del “dare nome”.
Infatti, dal momento che la complessità si misura sulla base della qualità e della quantità delle relazioni tra differenze, il sessuale non può che porsi come la massima complessità esprimibile da un sistema vivente.
Il sistema vivente è un sistema particolarmente complesso perchè si sviluppa, procrea, apprende , apprende ad apprendere stratificando modelli perchè si realizza attivando un vastissimo patrimonio di sinergie multiple tra elementi tipologicamente tanto differenti tra loro da connettersi secondo congruenze anche fortemente non contigue , tessendo di continuo, in rapporti molto elaborati, il sincronico con il diacronico. 
La differenza primaria su cui poggia il sessuale è data dalla coppia maschio-femmina e si configura sulla base delle modalità con le quali il maschio e la femmina si rapportano rispettivemente al fenomeno della generatività.
Questo fenomeno esprime il “continuum vitale” che si sostanzializza in ogni gemma che nasce da qualcosa, e che, a sua volta, cerca il modo di gemmare dando nuova vita al proprio patrimonio, al fine di sopravvivere alla propria morte.
Solo la femmina è direttamente correlata a questo processo.
Presso il mondo arcaico, e ancora nell'inconscio, come in non pochi angoli della coscienza, la femmina è quella particolare componente del gruppo che, a differenza di altri, mostra di partecipare al Mistero e di conoscere l'unica magia, efficace contro la Morte, per la sopravvivenza del gruppo stesso. 
Il cerchio dell'umanità primitiva, stretta attorno al fuoco da proteggere, per esserne protetta, vede la Morte come il Mistero terrifico, sconosciuto, lo Scuro che può rompere in ogni momento la sottile sicurezza di quel confine tracciato: la morte di un membro è una breccia che rende tutti aggredibili; il “fuori” entra nel cerchio rituale con tutta la sua allagante potenza a spegnere il fuoco e ingoiare tutto.
Ma ecco che alcuni membri, solo alcuni, sembrano invece avere contiguità con l'inaccessibile perchè sembrano partecipare del Mistero Naturale quello che distrugge col fulmine alcuni alberi e ne fa gemmare altri inceneriti; alcuni, dentro quel cerchio di simili, solo alcuni, in modo oscuro, magicamente e a lungo, ergono il ventre dal pube al seno in un progressivo gonfiamento globoso che infine quasi esplode, nei segni simbolici del dolore, dell'acqua e del sangue, spingendo fuori con forza un nuovo vivo.
La femmina, generando, trae dal Chaos nuovi vivi da dare al Cosmos compensando, e magicamente vanificando, il furto operato dalla Morte.
Il paradigma corporeo conduce a categorie di grande rilevcanza.
Innanzitutto nella femmina il “sè” contiene l' “altro da sè” e questa sola considerazione comporta diversi ordini di considerazioni.
In prima battuta, se ci si mantiene sul piano strettamente legato ai termini, non si può che rilevare la presenza di un'antinomia, ma se i termini vengono visti secondo una prospettiva a più piani di astrazione , dando un occhio un pò alla Teoria dei Tipi Logici di Russell, si può riformulare la frase dicendo che il “sè” della femmina comprende sia il piano più astratto del “gènos” che quello più contingente e concreto dell' “eautò”e che quindi è l'”eautò” a muoversi sullo stesso piano dell'”altro da sè” realizzando la mancanza, la distanza e l'incontro per definirsi vicendevolmente.
Quindi il paradosso nucleare trova soluzione sul metalivello del “genos” e questo comporta per la femmina la naturale attitudine a cogliere la struttura della complessità, risolvendo ogni volta su piani meta-paradossali il rapporto del contingente con il permanente, del sincronico col diacronico del logico con l'analogico.

Il maschio si rapporta con il fenomeno della generatività solo indirettamente e cioè attraverso la femmina.
Il “sè” e l' “altro da sè” si affacciano l'un l'altro da due insiemi distinti e il soggetto del “sè” non si trova a dover risolvere problemi antinomici, la relazione si risolve secondo una congruenza di tipo abbastanza lineare.
L'”Altro da sè” è “fuori”, e questo sta a dire che la relazioine primaria per realizzarsi richiede al maschio uno spostamento oltre il proprio confine corporeo; e il processo si struttura come tensione primaria al fuori inteso come luogo da conquistare per la definizione del sè; la mancanza e il limite sono gli ostacoli da eliminare.
Ne derivano categorie mentali definite dalla netta propensione per i processi lineari causa-effetto che tendono a relegare più o meno sullo sfondo i processi di tipo circuitale-complesso, quelli cioè caratterizzati dalla retroazione e dalla gerarchia degli apprendimenti; l'attenzione è catturata preferibilmente da stimoli a carattere contingente che comportano risposte reattive di immediatezza, forza e scatto.
L'ambiente, caricato del senso di Mistero e di Morte, che accompagna con la sua durezza la parte più antica e più lunga della storia umana, facilita le modalità naturali con le quali il maschio umano tende a rapportarsi con l'esterno.
Il “fuori”viene più o meno personificato in un oggetto ( latino `ob-` =contro, e `iacere' =lanciare; più tardi `obiectus'= opposto), oggetto che inizia ad esistere come tale dopo che ha ricevuto “ordine” (latino `ordo, -inis' = disposizione, norma; dal verbo `ordior'= fare la trama). 
A seconda delle varie Immagini del Mondo che i vari gruppi preistorici magicamente costruiscono e a seconda delle culture che su queste iniziali ipotesi magiche si strutturano come veri e propri sistemi assiomatici complessi , il maschio fissa più o meno lungo l'asse accoglienza-fobia le proprie caratteristiche reattive sentite più premiate marcandone le procedure di minore o maggiore aggressività a seconda della minore o maggiore necessità di possesso e di controllo derivante dalla maggiore o minore capacità di affrontare e sopportare la paura della mancanza..

Ho accennato al termine “cultura” come sistema assiomatico complesso, perchè ogni cultura è in realtà un insieme di umani che si rapportano reciprocamente in senso sincronico e in senso diacronico non a caso, ma secondo una complicata alchimia di “regole” fortemente congrue con una Immagine del Mondo affossata nell'inconscio.

Queste, nate, come si è detto, da un'ipotesi magica di Chaos-Cosmos, si fissano via via per “conferme”più o meno casuali e sofferte , confuse; cominciano a formare modelli definiti nei contorni e protetti da tabù, si attivano strutturando, per sedimentazioni successive, comportamenti, apprendimenti, dottrine e filosofie in un amalgama stretto e controllato secondo la polarità “premio-castigo”.

Le generazioni e gli individui traggono nome e senso di sè rapportandosi con l'appartenenza allo Schema, che la cultura fornisce, per sentirsi vivi e sentendosi, definirsi.
La cultura, nel mentre dà nome alle generazioni e agli individui, viene essa stessa continuamente da essi nominata e, attraverso questo fissarsi del proprio nome, fissa e tramanda lo schema che la struttura , autoconfermandosi
Nascono i maschili e i femminili a seconda dei “nomi” che la cultura impone e legittima. 

A questo punto credo sia interessante considerare l'etimo di Chaos e a tale proposito accenno solo ad alcuni aspetti che però possono aprire considerazioni su diversi ordini di problemi.
Deriva dal greco “chàos” e, secondo opinione abbasanza acreditata, sembra che il termine sia stato introdotto per la prima volta, all'nizio del VII secolo a.C.,da Esiodo con l'accezione di “ fenditura, voragine”; il verbo, di provenienza indoeuropea, da cui origina il sostantivo è “chàinein”” traducibile in “aprirsi, spalancarsi” ; l'abisso sotterraneo, lo spazio aperto cui si riferisce Esiodo non ha una fisionomia definita tanto che autori successivi lo intendono anche come “aria” e “spazio vuoto”. 
Nel secolo successivo, probabilmente col nascere del pensiero”filosofico” accanto a quello magico-poetico, la ricerca degli Ilozoisti connota il termine Chàos di un' accezione più definita , nel senso di “voragine contenente la materia iniziale da cui si è formato il Cosmo”.
Il termine passa a Roma senza cambiamenti fonetici, ma la cultura latina ne direziona in modo più consono alle proprie esigenze il senso di chaos è “massa in attesa di ordine”.
Si legge in “ Il nostro greco quotidiano” ( P.Janni, Bari, 1986):
“Furono i Latini, che gli diedero il senso di “massa confusa e discirde”, immagine rafforzata poi dal disordine cosmico prima della creazione descritta dalla Bibbia”.
Dante ne parla come di un' “originario stato di disordine della materia antecedente alla formazione del mondo”.
F. Domenichi in “L'arte metrica de' latini ridotta a miglior ordine, chiarezza e brevità” (Vicenza 1776) scrive:
” Quello che i Greci chiamavano `cosmo' con nome d'ornamento, noi ancora per la sua perfetta elegantia l'habbiam chiamato `mondo' “. 
In latino il termine `mundum' ha come prima accezione quella di `pulito, netto, raffinato'.
Questa veloce carrellata etimologica dentro i termini chaos, cosmo e ordine manifesta un processo molto chiaro nelle regole che ne strutturano la natura e l'evoluzione.
Si è partiti dal verbo di origine indoeuropea `mi spalanco' per esprimere l'aprirsi attivo di una voragine che si identifica nella forza primaria e nella materia iniziale di cui è portatrice, non definibile, quindi cangiante perchè densa del misterioso Intero originario; poi al termine `càos' si fa perdere l'accezione di `voragine attiva' e lo si orienta polarizzandolo sul solo concetto di materia primaria; successivamente la materia primaria viene sottoposta a sua volta ad un'ulteriore definizione distinguendo in essa l'ordine riconoscibile da quello non direttamente riconoscibile e quindi non controllabile ; quest'ultimo prende il nome di `disordine' e tutto ciò che viene inteso investito dal dis-ordine è detto `confuso', cioè avente un `non-nome' e quindi luogo da cui difendersi perchè “hic sunt leones”.
Tale processo può essere semplificato dicendo che nasce operando per separazione e si sviluppoa procedendo per definizioni-oppositive: separazione dell'intero in due opposti ordine/dis-ordine.
L'atto istintivo di staccarsi nettamente , di allontanarsi dalla fonte del pericolo diventa modello `somatico' forte al comportamento di tipo dicotomico.
La dicotomia, come poosizione sistematica, è una soluzione tentata che ad un primo momento appare premiante e che quindi finisce col fissare un paradigma per tutte le procedure strategiche della cultura che ne nascono; nella delineazione progressiva della polarità chaos-cosmos la procedura dicotomina si esprime nel senso di “mondare” sempre di più l'ordine `dato dal sè' da quello “altro”.
Queste modalità e la loro coazione spiegano il contesto che le ha prodotte: un contesto conformato da un'Immagine del Mondo fondata sul terrore del Mistero, del non direttamente dominabile e strutturata attorno la necessità di conquistare l'irriducibile `ordinandolo' come oggetto di possesso.
La nostra cultura, via via che è andata consolidando la propria forma, pur attenta alle trasformazioni dei tempi, sposta il proprio baricentro verso un sempre più preciso riordino del selezionato.
E' una chiara deriva dalla visione bi-oculare alla visione mono-oculare in nome di una compulsiva necessità di ordine e di controllo.. 
In altri termini si può notare un non casuale cambiamento di significazione che tende via via ad annullare la primaria complessità di senso a favore di un concetto di legge di tipo prettamente logico, cioè appartenente alle categorie lineari della coscienza razionale, volgendo le spalle ad ogni congruenza analogica e quindi al metalivello che permette l'articolazione logico-analogico .
Le leggi di tipo logico sono state premiate dalla nostra cultura in quanto, rispetto alle leggi di tipo analogico, sono molto più garanti di oggettivazione, controllabilità e soprattutto di dominio nei confronti del “fuori”, dell'”altro”. 

Il maschio preculturale ha subito il terrore della morte insieme col mistero altrettanto forte della femmina generante e di questa ha assunto il simbolicamente il modello come magia potente contro il nemico.
Un'assunzione simbolica che nelle varie culture, a seconda delle diverse Immagini del Mondo che delle culture sono origine, ha preso posizioni diverse lungo l'asse `scambio simbolico - furto'.
La cultura dell'Occidente ha radicalizzato, più di altre, il furto e la rigida dicotomia procedurale si pone come un ossessivo costruire muri e fossati che fa anche fede di un profondo e atavico terrore nei confronti di una possibile richiesta di restituzione.

Il femminile nato dal sistema assiomatico che assolutizza ontologicamente la dicotomia `mente/corpo' in `bene/male', `vero/falso', è una vergine di ferro che ha stretto il femminino in stratificazioni teoriche inconsciamente necessitate, finalizzate a svuotarne il senso di forza attiva generante, un femminile sempre colpevole che si chiama con nomi che il femminino non riconosce creando conflitti.

Il primo processo operato è stato nella direzione dello `svuotamento' , la vanificazione della densità misteriosa e attiva del corpo della femmina generante.
La femmina che Ippocrate aveva visto anche capace di generare senza essere fecondata, avendone ricordati alcuni casi significativi, da Platone e Aristotele viene subito strappata a quella soglia e tradotta in un femminile che nella scala degli esseri viventi occupa lo snodo tra schiavo (ultimo gradino dell'umanità) e animale. 
Dopo la brevissima pausa rivoluzionaria presente nella predicazione di Cristo il femminile della Patristica e della Scolastica perde sempre più drasticamente la propria pienezza riducendosi ad un contenitore vuoto atto a ricevere il seme del marito nella situazione in cui, non accettata la castità, la donna debba ricorrere, col matrimonio, al minore dei mali, perchè la sessualità è il peccato per eccellenza.
Marie-Odile Métral parla della verginità come ”integrità fisica, purificazione dell'anima e consacrazione a Dio” e pertanto uno stato che rappresenta “il ritorno all'origine” e cioè “l'immortalità di cui (l'anima) attesta la realtà” (“Le mariage. Les hésitations de l'Occident” Parigi 1977).
Lo storico Jean Delumeau nota che 
“L'atteggiamento maschile nei riguardi del `secondo sesso' è sempre stato contraddittorio, oscillante dall'attrattiva alla repulsione , dalla meraviglia all'ostilità. Il giudaismo biblico e il classicismo greco hanno di volta in volta espresso questi sentimenti opposti. Dall'età della pietra, che ci ha lasciato molte più rappresentazioni femminili che maschili, fino all'epoca romantica la donna è stata, in un certo modo, esaltata. Dapprima dea della fecondità, `madre dai seni fedeli' e immagine della natura inesauribile, ella divenne con Atena la saggezza divina, con la Vergine Maria il canale di ogni grazia e il sorriso della bontà suprema. Ispirando i poeti da Dante a Lamarine , `l'eterno femminino, scriveva Goethe, ci porta verso l'alto'.( “La paura in Occidente” SEI , Torino 1986) 
Più avanti si legge ancora:
“ Questa venerazionbe dell'uomo per la donna è stata controbilanciata nel corso dei tempi dalla paura che egli ha provato per l'altro sesso, particolarmente nella società a struttura patriarcale. Una paura che si è per lungo tempo trascurato di studiare e che la psicoanalisi stessa ha sottovalutato fini ad un'epoca recente. (...) Attratto dalla donna, l'altro desso è in egual misura respinto dal flusso mestruale, dagli odori, le secrezioni della sua partner, dal liquido amniotico, le espulsioni del parto. Si conosce la costatazione piena di umiliazione di Sant'Agostino :”Inter urinam et faeces nascimur”. Questa repulsione e altre simili hanno generato nel corso degli anni e da un capo all'altro del pianeta molteplici proebizioni. La donna che aveva le sue regole era ritenuta pericolosa e impura: essa rischiava di portare ogni sorta di mali bisognava dunque allontanarla.”

Vorrei fare alcune considerazioni cominciando dai termini “comportamento...contraddittorio” usato dall'autore e osservare che negli atteggiamenti presi ad esempio c'è contraddizione solo se ad essi si toglie la profondità prospettica della visione bi-oculare, e cioè se li si estrapola dal contesto e dalla sua specifica Immagine del Mondo, cioè se si considerano i comportamenti umani prescindendo dalle necessità assioamtiche espresse dalle strutture che li esprimono.
Innanzitutto l'età della pietra e l'età degli dei omerici non sono proponibili in rapporto di diretta consequenzialità nè temporale nè tantomeno strutturale. La prima riguarda un insieme di culture preistoriche diverse tra loro e la seconda è l'infanzia di una cultura più avanzata e ben delineata nei suoi caratteri.
Ai tempi di Omero i nostri antenati avevano già fatto la loro scelta di fondo che li portava a privilegiare il “logos” alla “ùle”, avevano già scelto la procedura oppositiva e scartato quella relazionale.
Come seconda considerazione, passando dalle “madri dai seni fedeli” alla saggia Atena generata dal cervello di Giove (in età pre-minoica protettrice della casa e poi la guerriera compagna di Ares), alla Vergine Maria, alle donne angelicate dei poeti si evidenzia l'andamento di un processo che esprime la tensione a creare un femminile basato sulla progressiva `separazione' della femmina dalla sua densa sessualità attiva.
La seconda citazione fa derivare i tabù di separazione e allontanamento dal disgusto, cioè tende a leggere i divieti come conseguenze dirette di istinti naturali invece che, viceversa, vedere come la cultura usa e dà nome alla generica disposizione al disgusto incanalandola a fini procedurali utili.
Per inciso l'equivalenza del “naturale”, quindi matrice ineludibile, con forme di comportamenti culturalmente funzionalim è prassi normale: la cultura occidentale che pure ha creato l'antropologia culturale, la sociologia, la psicoanalisi e tutto quanto da questi atteggiamenti autoriflessivi possono derivare non parla mai dei propri assiomi di partenza, sottintende sè stessa, da un lato , come una naturalità pura, privilegiata , quindi naturalmente `vera' e, dall'altro,come un soggetto esterno, astratto, sapiente e libero. 
E' ancora il “Nous” di Aristotele che, mentre imprime movimento al mondo, parla da soggetto assoluto. 

Il femminile delle culture dicotomiche è, in definitiva, la costruzione di una donna privata della sua primaria potenza, dell'interezza che `conosce' gli opposti e che abita i livelli `meta-paradossali'.
Il suo ventre diventa un contenitore, la generatività diventa maternità come funzione di servizio; il parto non ha ritualità fuori del privato, nè tantomeno liturgie collettive che raccolgano il gruppo a viverne il senso simbolico, tutta la magia del parto, da un lato, viene trasferita sulla natura e ne danno testimonianza i tantissimi miti e riti sulla primavera e, da un altro lato, va a costituire la potenza creatrice del “logos” e del “mythos” maschili, diventa il “parto della mente” e la mente ordina”: mulier taceat in ecclesia”.
Il furto operato sulla generatività della femmina lavora in tutti i modelli che da quella paura primaria derivano; se i riti del “dare nome” e il sessuale sono i nuclei essenziali che ogni cultura tente a dominare, per una cultura dicotomica, come quella occidentale, tale possesso è ancora più radicale e necessario.
Il femminile, secondo un modello dato, è il primo nome che la femmina di una data cultura deve avere e in esso vive la bipolarità bene/male che segna l'arco entro cui la femmina deve coniugarsi per essere riconosciuta.
E' l'ordine che, per mantenersi, deve avere il controllo sia sulle forme di obbedienza che di quelle di trasgressione, circoscrivendole in specifici nomi.
La struttura dicotomica tende ad annullare le posizioni intermedie e procede oppositivamente: ci sono la madre a la puttana per dominare obbedienze e disobbedienze umane e ci sono la santa e la strega per obbedienze e disobbedienze metafisiche.

La bellezza è uno degli elementi del femminile di grande forza strutturale: un dato modello è imposto perchè ci si conformi ad esso; questa tensione , a seconda del grado di necessità di cui è investito crea progetti che assorbono grandi energie garantendo maggiore facilità di controllo attraverso la forchetta premio/castigo.
In Bangladesch i rifiutati distruggono con l'acido la bellezza nella quale la cultura stessa fonda il nome relazionale del femminile.

La bellezza del femminino è interezza attiva, eros e seduzione.
Sedurre deriva direttamente dalla voce latina `seducere' (`se-d” e “ducere”) con la prima accezione di `condurre in disparte rispetto a..., distogliere da..' (Plauto), e una seconda di `sedurre, corrompere (Ecclesiastici) ; già le due accezioni esprimono da sole la direzione verso cui volge il significato: si passa da un ambito polivalente, a rischio di eterodossia, ad un altro ingabbiato nella morale e normatizzato nel premio/castigo..
Le vicende della seduzione, nella nostra storia, seguono un cammino di funzionalità strategica segnato da più o meno evidenti sintomi da paura espressi dal maschio e dal maschile.
L'orgasmo, in quanto acme dell'eccitazione sessuale, è anche un'esperienza di perdita di sè; infatti a partire da Galeno viene chiamato `piccola epilessia' e ancora, nel settecento, il naturalista Antonio Vallisnéri lo riporta in forma latina ` brevis epilepsia'.
Alla paura della perdita di sè, sentita come pericolo di perdere il controllo, si somma la paura apocalittica del peccato che un cattolicesimo fobico, inquisitorio e proiettivo ha rigidamente strutturato in una gerarchia piramidale con a capo la sessualità, il peccato dei peccati.
La femmina erotica e generante viene chiusa nel nome della strega, dell'agente di Satana, il suo potere viene addomesticato come ogni buon processo fobico addomestica il nemico .
Attraverso un radicale processo proiettivol'inquisiuzione trasforma la femmina primaria che, generando, impedisce alla Morte di entrare nel cerchio umano e distruggerlo, nella falla maligna che rompe quello stesso cerchio per far entrare Satana, il distruttore della mente-anima in cui il maschile si identifica.
In effetti, una cultura maschile fondata sulla necessità di controllo `certo', non può che costruire un femminile la cui seduttività e bellezza siano ridotte il più possibile entro binari gestibili e quindi garanti di fruibilità.
A tale proposito Jean Delumeau scrive:
-“E' proprio la paura della donna ad aver dettato alla letteratura monastica gli anatemi periodicamente lanciati contro le attrattive fallaci e demoniache della complice preferita di Satana.
Ecco cosa dice Ottone, abate di Cluny (X secolo):
“La bellezza fisica non va al di là della pelle. Se gli uomini vedessero che c'è sotto la pelle, la vista delle donne gli farebbe mancare il cuore. Quando noi non possiamo toccare con la punta del dito uno sputo o dello sterco, come possiamo desiderare di, abbracciare questo sacco di escrementi? (...)Bellezza e virtù sono incompatibili(...) Una donna così abbraccia teneramente il suo sposo e gli dà dolci baci, mentre secerne il veleno nel silenzio del suo cuore! La donna non ha paura di niente; ella crede che tutto sia permesso.” “-
La letteratura è ricchissima di bordate feroci contro le donne, dal “De planctu ecclesiae” redatto su ordine di papa Gioovanni XXII, contenente il catalogo dei centodue “vizi e misfatti” della donna , al Malleus Maleficarum, ordinato, in pieno umanesimo, da un altro papa a due inquisitori tedeschi, alle “Istruzioni ai confessori” di san Carlo Borromeo; milioni di righe scritte tra le quali è difficile scegliere, ma la citazione di Ottone di Cluny è significativa per l'eminenza della fonte, uno dei primi luoghi in cui rinasce la sapienza dell'occidente e la scoperta di molti classici greci atraverso gli arabi. 
Anche per questo è molto significativa l'unilateralità della descrizione perchè esprime con chiarezza come il senso di sè maschile non consideri riferimanti materiali a cui rapportarsi, ma, estrapolato da ogni materialità , si identifichi con l'astrazione della mente, intesa come l'occhio `esterno' della coscienza.
Ancora dall'abazia di Cluny, nel 1100, un monaco, Bernard de Morlas dà al mondo un trattato in versi “De contemptu feminae”.
Riporto un solo verso che trovo, tra i moltissimi, adatto a questa sede:
“La donna è cosa cattiva, cosa malamente carnale, carne tutta intera.”

L'antifemminismo clericale ha usato l'arma della parola e della colpa, l'altro, altrettanto forte, quello militare, la legge e l'esclusione; ambedue forti poteri solo maschili si sono difesi dalla contaminazione come ognuno, aprendo appena gli occhi, non può non vedere.
Ritornando alle parole dell'abate Ottone, si nota con facilità come dietro ad esse si articoli una procedura finalizzata a controllare tutte le possibili derive, pericolose per la cultura; in questo baso funziona il modello:”la bellezza femminile è menzogna”; L'imperativo che lo coistruisce suonerebbe : la bellezza della femmina è potente e può far perdere il controllo all'uomo, occorre vanificarla, dire che è falsa

Oggi, che il nostro tempo si definisce come quello della liberazione della donna, della sua apertura attiva, la moda e la pubblicità, grandi facitori di miti contemporanei, espongono una bellezza anoressica e l'anoressia, non a caso, si pone come chiusura e rifiuto.
Il sessuale è genitalizzatro: nulla è cambiato sul fronte delle difese che la cultura attua contro la potenza attiva della femmina.
Infatti la cultura, in quanto sistema assiomatico, ha le procedure e i teoremi che pur variando e vivendo del contingente, restano sempre congrui all'assioma.
Questo fa in modo che molti atteggiamenti anche fortemente critici e intelligenti finiscono per perdere la maggior parte della propria efficacia propositiva perchè nell'accusare gli effetti della cultura,usano le stesse categorie mentali dicotomiche della cultura stessa; è la persistenza dell'assioma affossato nell'inconscio e delle sue leggi che ha tessuto i nomi che ancora usiamo e che continuiamo a scambiarci.

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