GALASSIA FREUD
Materiali sulla psicoanalisi apparsi sui media
Agosto 2014 V - Storie e geografie
7 settembre, 2014 - 13:46
RLS, CON JECKILL-HYDE, ANTICIPA FREUD SPIEGANDO LE ANIME CHE HANNO UNA PERSONALITÀ DENTRO L’ALTRA, NASCOSTE DA UN SOTTILE STRATO DI CIVILIZZAZIONE
di Diego Gabutti, italiaoggi, 29 agosto 2014
Muore nel 1901, dopo oltre sessant’anni di regno, la Regina Vittoria. Sulla Londra brumosa e mannara cala la tela. È la fine di un’era. Fino a questa data funesta anche la Londra vittoriana, come Vienna, come Disneyland, è un luogo dell’immaginario, un parco naturale della modernità, dunque qualcosa di più d’un numero di codice d’avviamento postale. È diversa dalle città reali: nel senso che non è meno ma più reale ancora. È una città metaforica. A Londra persino la realtà stinge nell’immaginario e viceversa. Come per esempio nelle notti del West End abitate dallo Squartatore.
Jack the Ripper è il primo dei Grandi Mostri e tutti gli altri sbudellatori, che lo seguiranno arrotando i denti nei notiziari, sono sbiaditi tentativi d’imitazione. Dirà George Bernard Shaw: «Limitandosi unicamente a uccidere quattro donne è riuscito a realizzare l’impossibile convertendo la stampa di potere a un’imprevedibile forma di socialismo». Jack pratica il macello moralistico. Squarta, dice lui, per uno scopo che illustra inviando regolari corrispondenze ai giornali e le gazzette lo prendono in carico più come corrispondente che come assassino. Con l’epopea dello Squartatore il feuilletton e la cronaca stringono il fatale patto d’alleanza che vale tuttora.
Secondo Robert Louis Stevenson, che scrive in quegli anni le Nuove mille e una notte, questa speciale Londra vittoriana è la «Baghdad occidentale», una città predestinata agli orrori e alle meraviglie, che RLS per primo arricchisce con generosi contributi. Per esempio col Club dei suicidi, la strana anonima assassini dell’omonimo racconto, che uccide su commissione chi non trova il coraggio di farla finita da solo. Ma soprattutto col doppio per eccellenza, la coppia Jeckill-Hyde, che con largo anticipo sul dottor Freud fantastica che le anime hanno una natura di bambola cinese, una personalità dentro l’altra, pulsioni brade sotto uno strato sottile di civilizzazione.
Jack the Ripper è il primo dei Grandi Mostri e tutti gli altri sbudellatori, che lo seguiranno arrotando i denti nei notiziari, sono sbiaditi tentativi d’imitazione. Dirà George Bernard Shaw: «Limitandosi unicamente a uccidere quattro donne è riuscito a realizzare l’impossibile convertendo la stampa di potere a un’imprevedibile forma di socialismo». Jack pratica il macello moralistico. Squarta, dice lui, per uno scopo che illustra inviando regolari corrispondenze ai giornali e le gazzette lo prendono in carico più come corrispondente che come assassino. Con l’epopea dello Squartatore il feuilletton e la cronaca stringono il fatale patto d’alleanza che vale tuttora.
Secondo Robert Louis Stevenson, che scrive in quegli anni le Nuove mille e una notte, questa speciale Londra vittoriana è la «Baghdad occidentale», una città predestinata agli orrori e alle meraviglie, che RLS per primo arricchisce con generosi contributi. Per esempio col Club dei suicidi, la strana anonima assassini dell’omonimo racconto, che uccide su commissione chi non trova il coraggio di farla finita da solo. Ma soprattutto col doppio per eccellenza, la coppia Jeckill-Hyde, che con largo anticipo sul dottor Freud fantastica che le anime hanno una natura di bambola cinese, una personalità dentro l’altra, pulsioni brade sotto uno strato sottile di civilizzazione.
Per continuare:
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1916869&codiciTestate=1
PERCHÉ LE PERSONE SONO DIVENTATE SOLO COSE E LE COSE SOLO MERCE
di Massimo Recalcati, repubblica.it, 29 agosto 2014
Con questo suo ultimo libro titolato Le persone e le cose, Roberto Esposito aggiunge un altro capitolo importante alla sua ricerca filosofica intorno alle origini della nostra civiltà e alle ragioni che rendono possibile (o impossibile) il dono-dovere della comunità, il nostro vivere insieme. La sua chirurgica e meticolosa genealogia si configura come uno dei cammini filosofici più originali e innovativi degli ultimi vent’anni. In queste due parole, “persone” e “cose”, si manifesta secondo Esposito una divisione ontologica che è stata la matrice di processi ben più ampi che hanno pesantemente coinvolto le fondamenta stesse della nostra vita collettiva. Questo binomio è infatti un “binomio escludente”.
È una prima tesi del libro: l’operazione che fonda la persona come soggetto autorale, integralmente “decorporeizzato”, reso titolare di diritti e di patrimoni, è tutt’uno con quello che lo elegge a padrone delle cose. In questa doppia fondazione si produce un’esclusione di tutto ciò che contrasta con questa biforcazione metafisica. In primis l’esclusione del corpo: «Non rientrando compiutamente né nella categoria di persona né in quella di cosa, il corpo è stato cancellato come oggetto di diritto».
Per continuare:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/08/29/perche-le-persone-sono-diventate-solo-cose-e-le-cose-solo-merce44.html?ref=search
È una prima tesi del libro: l’operazione che fonda la persona come soggetto autorale, integralmente “decorporeizzato”, reso titolare di diritti e di patrimoni, è tutt’uno con quello che lo elegge a padrone delle cose. In questa doppia fondazione si produce un’esclusione di tutto ciò che contrasta con questa biforcazione metafisica. In primis l’esclusione del corpo: «Non rientrando compiutamente né nella categoria di persona né in quella di cosa, il corpo è stato cancellato come oggetto di diritto».
Per continuare:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/08/29/perche-le-persone-sono-diventate-solo-cose-e-le-cose-solo-merce44.html?ref=search
ATTUALITÀ DI LACAN
di Federico Chicchi, doppiozero.com, 29 agosto 2014
Ogni lettore che si rispetti lo sa bene: ci sono libri che si limitano ad aggiungere semplici didascalie e libri che producono concatenamenti, aprendo nuovi e imprevedibili orizzonti di ricerca. Questo secondo è certamente il caso di Attualità di Lacan (a cura di Alex Pagliardini e Rocco Ronchi per Textus edizioni, 2014), un libro imperdibile per chi non sia allergico a quella fondamentale passione dell’essere che lo psicoanalista francese definiva ignoranza.
L’ignoranza è, non a caso rispetto a ciò che ci interessa sottolineare, quella passione che secondo il Lacan del Seminario I si situa sulla linea di giunzione del simbolico con il reale e che, in quanto terzo che introduce un’asimmetria tra amore e odio, fonda l’atto analitico. D’altronde, quando si prova a ricercare la verità in quanto tale, come negli intenti di questo volume, è, statene certi, perché ci si situa per intero nella dimensione appassionata dell’ignoranza (del desiderio di sapere), cioè proprio dove simbolico e reale confondono i loro confini.
Attualità è una parola che si declina al singolare o al plurale? In questo caso, nel caso di questo testo, direi al plurale. Ci sono infatti delle specularità, dei giochi allo specchio tra i diversi, tutti eccellenti, contributi, perché qui vengono supposte e proposte diverse attualità di Lacan. Alcune differenti argomentazioni che rivendicano una per unaun’attualità dell’insegnamento lacaniano. I saggi che vengono presentati non sono infatti tutti interni alla stessa prospettiva “etica”.
Non si traccia qui una sola etica della psicoanalisi. E però al contempo il filo rosso c’è e si vede, in quanto tutti i contributi accolgono senza timore la necessità di rileggere Lacan di fronte allostrafottentesmarrimento contemporaneo dei sessi, di fronte alla crisi della presenza del soggetto sociale, di fronte al crollo del centripeto sistema solare della modernità.
Il gioco di specchi, in altre parole, si articola, per chi è esperto di lessico lacaniano tra l’Uno e l’Altro. Il gioco che si gioca in questo libro è ingaggiato negli spazi di aderenza, sugli interstizi, che il simbolico, l’immaginario e il reale circoscrivono nel tentativo di tenere assieme ilparlessere che abita il nostro tempo presente.
Ma cosa significa evocare un’attualità? A mio avviso l’attualità è sempre una politica. Un modo particolare di usare un valore, una dimensione che interroga l’orientamento e la cogenza normativa dell’agire e del fare. Dunque il titolo del volume, in questo senso, conterrebbe un’invocazione ad agire, unfare atto (il contrario di fare tesoro) dell’insegnamento di Lacan. E non è poco, visto che lo stesso lacanismo si presta oggi sempre di più a divenire chiacchera perdissaperi (concedetemi questo neologismo) accademici o più banalmente festivalieri.
Nella prefazione all’edizione americana de L’anti-Edipo datata 1977 Michel Foucault aveva tracciato i bordi di quell’ontologia dell’attualitàche, in guisa di etica del soggetto, ha poi raccolto la posta in gioco (l’en-Je) del suo intero insegnamento filosofico. In quegli stessi anni (non per caso, quindi) Lacan era alle prese con la preoccupazione di rimanere imbrigliato tra le maglie stringenti e sterilizzanti di quelle che qui, in questo suo testo americano, Foucault chiamava “le categorie del Negativo” (Legge, castrazione, mancanza, limite).
L’attualità di Lacan è allora secondo noi rintracciata dagli autori e rintracciabile in generale, prima di tutto, nel movimento che lo psicoanalista deve fare per evitare che una analisi, che sia teorica o clinica, finisca dritta nelle braccia del discorso dell’Altro o ancor peggio del capitalista, che è il discorso che gira, come fosse indiavolato, sul perno della contabilità del godimento, o meglio il discorso “che sacrifica ed esige il sacrificio del godimento” (p. 319). Il capitalismo attuale, quello cognitivo e biopolitico, non sarebbe infatti, come alcune interpretazioni vogliono farci credere, un trionfo del godimento ma, diversamente, la sua incessante produzione sotto forma di merce al fine di sostenere l’accumulazione del capitale.
Per non rischiare di fraintendere la questione occorre allora individuare la sporgenza, il passo avanti, che si produce all’interno dell’insegnamento lacaniano a partire dalla fine dei sessanta. Il passo decisivo è quello affermato da Lacan con il “c’è dell’Uno”, come i curatori sottolineano più volte nel testo, e l’impasse che tale concetto tenta di superare è quella della castrazione (si veda ad esempio p. 318). Il passo avanti è in altre parole quello che Miller (ma tra gli altri anche, con convinzione, Soler) riferendosi a Lacan definisce come il passaggio dall’inconscio strutturato come un linguaggio all’inconscio Reale. Ma questo passo dobbiamo spingerlo avanti con cautela, senza correre. Ne va della stessa attualità di Lacan che qui vogliamo con gli autori del libro sostenere fino in fondo.
A questo fine ci sono due importanti questioni deleuziane (e in gran parte anche guattariniane), che incrociano e risuonano nell’insegnamento lacaniano, che meritano di essere rapidamente riprese per fissare e chiarire questa cautela. La nostra convinzione è che tali questioni irrompano nell’ultimo Lacan, non direttamente o analiticamente ma, diciamo, per sinestesia, per accostamento indiretto, introducendo al suo interno, nel suo stesso cuore (o meglio nel suo fallo), una non sempre netta ma in ogni caso fondamentale soluzione di continuità, una torsione, una piega.
La prima è l’idea che l’inconscio funzioni come una macchina, una macchina desiderante, e non come uno spazio di figurazione/rappresentazione (“L’inconscio come fabbrica e non una scena di teatro”). La seconda riguarda il concetto di intensità. Entrambe le questioni convergono, ci pare, nel mostrarci da un lato l’ampiezza decisiva del passo che il c’è dell’Uno (senza’Altro!), di cui Pagliardini e Ronchi ci parlano insistentemente nel libro, introduce nel determinare l’attualità di Lacan, e dall’altro ad illuminare convergenze teoriche non ancora considerate a dovere che portano Lacan al di là del frantumato e scricchiolante umanesimo del disagio della civiltà freudiano.
Deleuze, nel 1972, impegnato in una accesa discussione sull’appena edito anti-Edipo è lapidario: “L’inconscio non ha un significato, perché le macchine non hanno significati, si accontentano di funzionare, di produrre e di guastarsi, perché noi cerchiamo soltanto come qualcosa funziona nel reale (Deleuze e Guattari, Macchine desideranti, ombre corte, 2012, p. 25). Ancora: “Ciò che noi rimproveriamo alla psicoanalisi è di divenire una concezione religiosa, con la mancanza e la castrazione, una specie di teologia negativa che comporta un richiamo alla rassegnazione infinita (la Legge, l’impossibile ecc..).
È contro questo che proponiamo una concezione positiva del desiderio, come desiderio che produce, non desiderio che manca” (Ivi, p. 28). La rassegnazione infinita è quella che sul fronte della psicoanalisi si chiama passione del sacrificio. “Credo stia qui, nella necessità del sacrificio, l’impasse della teoria della fine analisi nella quale Lacan si trova e che egli stesso afferma in quel “e non faremo un passo avanti” (p. 315). Occorre insomma liberare la psicoanalisi e gli psicoanalisti dalla idea che l’accettazione del godimento dell’Altro (dell’Altro che gode del soggetto) sia la postura cui dobbiamo imparare a rassegnarci.
Questo è un punto che a nostro avviso fa attrito, nel senso che c’è un contatto ruvido e sonoro, tra il Lacan dell’inconscio Reale e della pulsione acefala degli anni settanta e il Deleuze “politico” de L’anti-Edipo. L’inconscio Reale è infatti anch’esso un inconscio produttivoche, come sottolinea Miller, pone l’accento sul senza legge, sul fuori senso, sul c’è dell’Uno, e al contempo mostra con una certa chiarezza il pronunciarsi dell’insoddisfazione di Lacan verso una psicoanalisi che intende rifondare la funzione simbolica del Nome-del-Padre come unico progetto di civiltà possibile.
Il rapporto non scritto tra il Reale lacaniano e la Macchina desiderante è descritto molto bene da Guattari: “Non sono del tutto sicuro che il concetto d’oggetto a in Lacan sia qualcosa di diverso da un punto di fuga, da un sottrarsi proprio al carattere dispotico delle catene significanti”. Questo ci pare un punto decisivo di Attualità di Lacan, anche se per certi versi resta qui non sufficientemente esplorato. È fondamentale nel senso che apre la questione del farsi consistente del soggetto al di fuori della relazione verticale e gerarchica del moderno e della “civiltà edipica”. In sintesi a partire da questo punto si apre lo scenario fantasmatico dell’al di là dell’Edipo come nuova condizione strutturale per la difficile costruzione di nuovi legami sociali basati sul sapere che l’Altro è barrato, che non c’è Altro dell’Altro. Quale domanda sociale è più attuale di questa?
L’ignoranza è, non a caso rispetto a ciò che ci interessa sottolineare, quella passione che secondo il Lacan del Seminario I si situa sulla linea di giunzione del simbolico con il reale e che, in quanto terzo che introduce un’asimmetria tra amore e odio, fonda l’atto analitico. D’altronde, quando si prova a ricercare la verità in quanto tale, come negli intenti di questo volume, è, statene certi, perché ci si situa per intero nella dimensione appassionata dell’ignoranza (del desiderio di sapere), cioè proprio dove simbolico e reale confondono i loro confini.
Attualità è una parola che si declina al singolare o al plurale? In questo caso, nel caso di questo testo, direi al plurale. Ci sono infatti delle specularità, dei giochi allo specchio tra i diversi, tutti eccellenti, contributi, perché qui vengono supposte e proposte diverse attualità di Lacan. Alcune differenti argomentazioni che rivendicano una per unaun’attualità dell’insegnamento lacaniano. I saggi che vengono presentati non sono infatti tutti interni alla stessa prospettiva “etica”.
Non si traccia qui una sola etica della psicoanalisi. E però al contempo il filo rosso c’è e si vede, in quanto tutti i contributi accolgono senza timore la necessità di rileggere Lacan di fronte allostrafottentesmarrimento contemporaneo dei sessi, di fronte alla crisi della presenza del soggetto sociale, di fronte al crollo del centripeto sistema solare della modernità.
Il gioco di specchi, in altre parole, si articola, per chi è esperto di lessico lacaniano tra l’Uno e l’Altro. Il gioco che si gioca in questo libro è ingaggiato negli spazi di aderenza, sugli interstizi, che il simbolico, l’immaginario e il reale circoscrivono nel tentativo di tenere assieme ilparlessere che abita il nostro tempo presente.
Ma cosa significa evocare un’attualità? A mio avviso l’attualità è sempre una politica. Un modo particolare di usare un valore, una dimensione che interroga l’orientamento e la cogenza normativa dell’agire e del fare. Dunque il titolo del volume, in questo senso, conterrebbe un’invocazione ad agire, unfare atto (il contrario di fare tesoro) dell’insegnamento di Lacan. E non è poco, visto che lo stesso lacanismo si presta oggi sempre di più a divenire chiacchera perdissaperi (concedetemi questo neologismo) accademici o più banalmente festivalieri.
Nella prefazione all’edizione americana de L’anti-Edipo datata 1977 Michel Foucault aveva tracciato i bordi di quell’ontologia dell’attualitàche, in guisa di etica del soggetto, ha poi raccolto la posta in gioco (l’en-Je) del suo intero insegnamento filosofico. In quegli stessi anni (non per caso, quindi) Lacan era alle prese con la preoccupazione di rimanere imbrigliato tra le maglie stringenti e sterilizzanti di quelle che qui, in questo suo testo americano, Foucault chiamava “le categorie del Negativo” (Legge, castrazione, mancanza, limite).
L’attualità di Lacan è allora secondo noi rintracciata dagli autori e rintracciabile in generale, prima di tutto, nel movimento che lo psicoanalista deve fare per evitare che una analisi, che sia teorica o clinica, finisca dritta nelle braccia del discorso dell’Altro o ancor peggio del capitalista, che è il discorso che gira, come fosse indiavolato, sul perno della contabilità del godimento, o meglio il discorso “che sacrifica ed esige il sacrificio del godimento” (p. 319). Il capitalismo attuale, quello cognitivo e biopolitico, non sarebbe infatti, come alcune interpretazioni vogliono farci credere, un trionfo del godimento ma, diversamente, la sua incessante produzione sotto forma di merce al fine di sostenere l’accumulazione del capitale.
Per non rischiare di fraintendere la questione occorre allora individuare la sporgenza, il passo avanti, che si produce all’interno dell’insegnamento lacaniano a partire dalla fine dei sessanta. Il passo decisivo è quello affermato da Lacan con il “c’è dell’Uno”, come i curatori sottolineano più volte nel testo, e l’impasse che tale concetto tenta di superare è quella della castrazione (si veda ad esempio p. 318). Il passo avanti è in altre parole quello che Miller (ma tra gli altri anche, con convinzione, Soler) riferendosi a Lacan definisce come il passaggio dall’inconscio strutturato come un linguaggio all’inconscio Reale. Ma questo passo dobbiamo spingerlo avanti con cautela, senza correre. Ne va della stessa attualità di Lacan che qui vogliamo con gli autori del libro sostenere fino in fondo.
A questo fine ci sono due importanti questioni deleuziane (e in gran parte anche guattariniane), che incrociano e risuonano nell’insegnamento lacaniano, che meritano di essere rapidamente riprese per fissare e chiarire questa cautela. La nostra convinzione è che tali questioni irrompano nell’ultimo Lacan, non direttamente o analiticamente ma, diciamo, per sinestesia, per accostamento indiretto, introducendo al suo interno, nel suo stesso cuore (o meglio nel suo fallo), una non sempre netta ma in ogni caso fondamentale soluzione di continuità, una torsione, una piega.
La prima è l’idea che l’inconscio funzioni come una macchina, una macchina desiderante, e non come uno spazio di figurazione/rappresentazione (“L’inconscio come fabbrica e non una scena di teatro”). La seconda riguarda il concetto di intensità. Entrambe le questioni convergono, ci pare, nel mostrarci da un lato l’ampiezza decisiva del passo che il c’è dell’Uno (senza’Altro!), di cui Pagliardini e Ronchi ci parlano insistentemente nel libro, introduce nel determinare l’attualità di Lacan, e dall’altro ad illuminare convergenze teoriche non ancora considerate a dovere che portano Lacan al di là del frantumato e scricchiolante umanesimo del disagio della civiltà freudiano.
Deleuze, nel 1972, impegnato in una accesa discussione sull’appena edito anti-Edipo è lapidario: “L’inconscio non ha un significato, perché le macchine non hanno significati, si accontentano di funzionare, di produrre e di guastarsi, perché noi cerchiamo soltanto come qualcosa funziona nel reale (Deleuze e Guattari, Macchine desideranti, ombre corte, 2012, p. 25). Ancora: “Ciò che noi rimproveriamo alla psicoanalisi è di divenire una concezione religiosa, con la mancanza e la castrazione, una specie di teologia negativa che comporta un richiamo alla rassegnazione infinita (la Legge, l’impossibile ecc..).
È contro questo che proponiamo una concezione positiva del desiderio, come desiderio che produce, non desiderio che manca” (Ivi, p. 28). La rassegnazione infinita è quella che sul fronte della psicoanalisi si chiama passione del sacrificio. “Credo stia qui, nella necessità del sacrificio, l’impasse della teoria della fine analisi nella quale Lacan si trova e che egli stesso afferma in quel “e non faremo un passo avanti” (p. 315). Occorre insomma liberare la psicoanalisi e gli psicoanalisti dalla idea che l’accettazione del godimento dell’Altro (dell’Altro che gode del soggetto) sia la postura cui dobbiamo imparare a rassegnarci.
Questo è un punto che a nostro avviso fa attrito, nel senso che c’è un contatto ruvido e sonoro, tra il Lacan dell’inconscio Reale e della pulsione acefala degli anni settanta e il Deleuze “politico” de L’anti-Edipo. L’inconscio Reale è infatti anch’esso un inconscio produttivoche, come sottolinea Miller, pone l’accento sul senza legge, sul fuori senso, sul c’è dell’Uno, e al contempo mostra con una certa chiarezza il pronunciarsi dell’insoddisfazione di Lacan verso una psicoanalisi che intende rifondare la funzione simbolica del Nome-del-Padre come unico progetto di civiltà possibile.
Il rapporto non scritto tra il Reale lacaniano e la Macchina desiderante è descritto molto bene da Guattari: “Non sono del tutto sicuro che il concetto d’oggetto a in Lacan sia qualcosa di diverso da un punto di fuga, da un sottrarsi proprio al carattere dispotico delle catene significanti”. Questo ci pare un punto decisivo di Attualità di Lacan, anche se per certi versi resta qui non sufficientemente esplorato. È fondamentale nel senso che apre la questione del farsi consistente del soggetto al di fuori della relazione verticale e gerarchica del moderno e della “civiltà edipica”. In sintesi a partire da questo punto si apre lo scenario fantasmatico dell’al di là dell’Edipo come nuova condizione strutturale per la difficile costruzione di nuovi legami sociali basati sul sapere che l’Altro è barrato, che non c’è Altro dell’Altro. Quale domanda sociale è più attuale di questa?
SCUOLA. LA SEDUZIONE NON BASTA: I GIOVANI E LA “TRAPPOLA” DI KIERKEGAARD
di Caterina Gatti, ilsussidiario.net, 31 agosto 2014
Nel suo nuovo libro Le figure della seduzione in Kierkegaard, Luigi Campagner sviluppa un’analisi psicologica delle vicende affettive del famoso filosofo danese, a partire dalle sue stesse opere, qualiDiario del Seduttore, La Ripresa, Timore e Tremore. Il pensiero di Kierkegaard oggi affascina molti anche tra i giovani e studenti: esso infatti è attuale e “sembra fare grip con l’esperienza: sembra aderirvi meglio di altri discorsi”, afferma l’autore del libro, che per questo consiglia la lettura del filosofo anche tra i banchi di scuola.
Un libro sull’amore, un libro sull’impossibilità di amare. Perché tornare a leggere Kierkegaard a scuola?
Sui banchi di scuola fioriscono i primi amori, perciò sarei favorevole a chi volesse portarsi il Don Giovanni sotto il braccio, come si usava fare con i libri prima dell’avvento degli zainetti… Del resto, Kierkegaard è stata una delle mie letture fin da ragazzo, poi all’università e come insegnante. Oggi ci torno come psicoanalista riprendendolo dopo la pubblicazione delle Lettere del Fidanzamento: le 32 lettere, che il filosofo faceva recapitare in giornata alla giovanissima Regine, figlia del Consigliere di Stato Olsen, esigendo che le leggesse ad alta voce e che rispondesse “seduta stante”. Dalle lettere scritte tra l’estate del 1840 e l’autunno del 1841 è ripartito il mio interesse per il corpus estetico dell’opera di Kierkegaard, soprattutto il Don Giovanni – un’opera impareggiabile non solo per gli appassionati di musica -, le pagine delDiario dedicate al rapporto tormentato col padre e con Regine, il Diario del Seduttore, La Ripresa, Timore e Tremore…
Un libro sull’amore, un libro sull’impossibilità di amare. Perché tornare a leggere Kierkegaard a scuola?
Sui banchi di scuola fioriscono i primi amori, perciò sarei favorevole a chi volesse portarsi il Don Giovanni sotto il braccio, come si usava fare con i libri prima dell’avvento degli zainetti… Del resto, Kierkegaard è stata una delle mie letture fin da ragazzo, poi all’università e come insegnante. Oggi ci torno come psicoanalista riprendendolo dopo la pubblicazione delle Lettere del Fidanzamento: le 32 lettere, che il filosofo faceva recapitare in giornata alla giovanissima Regine, figlia del Consigliere di Stato Olsen, esigendo che le leggesse ad alta voce e che rispondesse “seduta stante”. Dalle lettere scritte tra l’estate del 1840 e l’autunno del 1841 è ripartito il mio interesse per il corpus estetico dell’opera di Kierkegaard, soprattutto il Don Giovanni – un’opera impareggiabile non solo per gli appassionati di musica -, le pagine delDiario dedicate al rapporto tormentato col padre e con Regine, il Diario del Seduttore, La Ripresa, Timore e Tremore…
Per continuare:
http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2014/8/31/SCUOLA-La-seduzione-non-basta-i-giovani-e-la-trappola-di-Kierkegaard/523581/
IL PAESAGGIO DI HUMBOLDT
di Franco Farinelli, ilsole24ore.com, 31 agosto 2014
Ancor prima del «colpo di stato» di Cartesio, come lo chiama Stephen Toulmin, la decisa riduzione del viaggio a fatto mentale si deve a Montaigne, per il quale ogni spaesamento consiste in un’esperienza il cui senso risiede nello «strofinare e limare il proprio cervello contro quello altrui». Attenzione alle scintille. Due secoli dopo l’Encyclopédie sembra proiettare il campo dell’alterità soltanto verso quel che è esterno ai confini statali, stabilendo che l’utilità del viaggio, giudicando esso «degli uomini, dei luoghi e degli oggetti», è quella di far «guarire dai pregiudizi nazionali». In realtà senza il progetto di dar di raspa anzitutto nei confronti del cervello dei propri compatrioti Alexander von Humboldt non avrebbe mai intrapreso alla fine del Settecento il suo grande viaggio americano, e di conseguenza noi saremmo oggi sprovvisti del modello che anche nel nostro Paese ha da qualche anno sostituito per legge, incoronato da apposita Convenzione Europea, ogni schema precedente, come territorio oppure ambiente, volto ad addomesticare il mondo in maniera da farci il meno male possibile al suo contatto: il modello di paesaggio. Nella sua forma attuale esso nasce appunto dalla strategia humboldtiana intesa alla mutazione strutturale della cultura esclusivamente estetico-letteraria (e perciò soltanto contemplativa) della società civile tedesca del suo tempo, allo scopo di promuovere al suo posto un sapere funzionale invece al controllo e alla gestione della realtà.
Ogni modello ha sempre qualcosa di sinistro spiegava Elias Canetti, perché rimanda a un metamodello la cui natura risulta invariabilmente polemica e ostile. Nel caso dell’ingresso del concetto di paesaggio all’interno del discorso scientifico il sinistro è appunto annidato nel modello del modello stesso: che è esattamente e consapevolmente il Witz, la battuta, il giuoco di parole, il motto. E questo per una serie di motivazioni di natura squisitamente tecnica, come si ricavano da quella che per Tristan Todorov resta la più importante opera di semantica del primo Novecento: appunto il saggio di Freud sul motto di spirito.
Ogni modello ha sempre qualcosa di sinistro spiegava Elias Canetti, perché rimanda a un metamodello la cui natura risulta invariabilmente polemica e ostile. Nel caso dell’ingresso del concetto di paesaggio all’interno del discorso scientifico il sinistro è appunto annidato nel modello del modello stesso: che è esattamente e consapevolmente il Witz, la battuta, il giuoco di parole, il motto. E questo per una serie di motivazioni di natura squisitamente tecnica, come si ricavano da quella che per Tristan Todorov resta la più importante opera di semantica del primo Novecento: appunto il saggio di Freud sul motto di spirito.
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http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-08-31/il-paesaggio-humboldt-081339.shtml?uuid=ABstZzoB
L’OMBRA DELLA CRISI DIETRO A VIOLENZE E FAMIGLIE FRAGILI
di Aldo Bonomi, ilsole24ore.com, 31 agosto 2014
La crisi delle forme di convivenza ha caratterizzato il mese appena passato. Guerre nello scenario geopolitico ai bordi dell’Europa, ove si assiste all’eterno ritorno dei fondamentalismi del sangue, del suolo e delle religioni.
Una moltitudine cerca scampo attraverso il Mediterraneo verso l’Europa che pare essere diventata l’Unione dell’indifferenza. Se si guarda in casa, nelle nostre case, la cronaca quotidiana racconta una guerra civile molecolare che attraversa microcosmi famigliari di violenza di genere, sui minori e persino sui figli. Quasi non bastasse la tragedia del femminicidio. Malessere in cui annaspano le analisi socio-psicologiche. Forse ne sanno di più coloro che nel quotidiano affrontano l’apocalisse culturale dell’emergenza delle famiglie, come i giudici dei tribunali dei minori e gli avvocati delle camere minorili. In una ricerca, che sarà presentata al prossimo forum nazionale delle camere minorili, sono state raccolte le loro valutazioni sulla crisi delle forme di convivenza e dei conflitti che attraversano le famiglie. A loro giudizio, rispetto a 20 anni fa, la famiglia continua a costituire l’elemento imprescindibile dell’organizzazione sociale ma è diventata, per usare il termine del libro dello psichiatra Eugenio Borgna (“La fragilità che è in noi” Einaudi) «un microcosmo di relazioni fragili».
Una moltitudine cerca scampo attraverso il Mediterraneo verso l’Europa che pare essere diventata l’Unione dell’indifferenza. Se si guarda in casa, nelle nostre case, la cronaca quotidiana racconta una guerra civile molecolare che attraversa microcosmi famigliari di violenza di genere, sui minori e persino sui figli. Quasi non bastasse la tragedia del femminicidio. Malessere in cui annaspano le analisi socio-psicologiche. Forse ne sanno di più coloro che nel quotidiano affrontano l’apocalisse culturale dell’emergenza delle famiglie, come i giudici dei tribunali dei minori e gli avvocati delle camere minorili. In una ricerca, che sarà presentata al prossimo forum nazionale delle camere minorili, sono state raccolte le loro valutazioni sulla crisi delle forme di convivenza e dei conflitti che attraversano le famiglie. A loro giudizio, rispetto a 20 anni fa, la famiglia continua a costituire l’elemento imprescindibile dell’organizzazione sociale ma è diventata, per usare il termine del libro dello psichiatra Eugenio Borgna (“La fragilità che è in noi” Einaudi) «un microcosmo di relazioni fragili».
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VIDEO
FESTIVAL DELLA MENTE 2014 – INTERVISTA A MASSIMO RECALCATI
da Youtube e portale.festivaldellamente.it, 30 agosto 2014
FESTIVAL DELLA MENTE 2014 – INTERVISTA A LUIGI ZOJA
da Youtube e portale.festivaldellamente.it, 31 agosto 2014
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)