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di Redazione POL.it

MARCO NICASTRO: Una risposta a Identità liquide, identità solide di Massimo Recalcati

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26 ottobre, 2015 - 15:45
di Redazione POL.it
Con questa risposta si concretizza la mia esigenza di chiarire meglio ai lettori alcuni contenuti presenti nel breve contributo di Massimo Recalcati, apparso su questa rivista qualche giorno fa, senza, ovviamente, alcuna pretesa da parte di chi scrive di essere esaustivo su questioni tanto complesse.
Il primo punto che mi interessa specificare riguarda la considerazione, da parte dell’autore, della psicoanalisi come disciplina che spingerebbe nella direzione di un indebolimento dell’Io, di una sua maggiore “fluidità”, in contrasto con quanto asserito da certe tendenze filosofiche a lungo dominanti nel pensiero occidentale; l’Io, secondo la concezione psicoanalitica, viene invece ritenuto non possedere alcun cuore solido, frutto complesso di molteplici identificazioni e non nocciolo duro della soggettività individuale. A tal proposito, Recalcati afferma che la teoria di Freud considera per certi versi la malattia psichica proprio come frutto di un rafforzamento o irrigidimento dell’Io, sottolineando per contro il valore di una sua flessibile mobilità.
Questa è in realtà un’imprecisione. Effettivamente, alcune forme patologiche possono essere considerate come il risultato di un irrigidimento dell’Io e dei suoi meccanismi difensivi (che plasmano i tratti caratteriali di ogni persona): stiamo parlando delle nevrosi, le configurazioni patologiche per prime studiate e approfondite da Freud e che costituiscono anche il quadro sintomatico per la cui cura nacque e si definì inizialmente la psicoanalisi. Ma questo è appunto solo un lato della medaglia della sofferenza psichica; questa è legata infatti non solo all’irrigidimento, come scrive Recalcati, ma anche alla diluizione di quello che viene considerato l’Io personale (ma non sempre in questi casi il soggetto sperimenta con consapevolezza una sofferenza psichica). In altre parole, gli individui che soffrono di una disorganizzazione della personalità o di una “fluidità” eccessiva dell’identità - per usare ancora il termine che Recalcati prende a prestito da Bauman - possono non essere consapevoli del proprio stato e manifestare solo problematiche comportamentali che portano a disadattamento sociale o a sofferenza e disagio in chi li circonda. Nello specifico, quando parliamo di irrigidimento si può pensare ai quadri nevrotici della personalità o a certe strutture narcisistiche ad alto funzionamento, mentre se si considera il versante della “fluidità”, l’esempio paradigmatico è rappresentato dagli stati borderline e psicotici (sebbene non tutti). In ogni caso, si tratta di condizioni psichiche problematiche per il soggetto.
La seconda considerazione riguarda invece il fatto che l’opera di Deleuze e Guattari – L’Anti-Edipo - menzionata nell’articolo in questione possa effettivamente costituire l’apice filosofico di questa nuova concezione dell’identità (molteplice, anarchica) come via di liberazione dalla costrizione identitaria cui avevano obbligato le precedenti concezioni filosofiche, sociali e psicologiche. Detta così, la considerazione appare forse un po’ parziale, specie considerando il fatto che da molti secoli il pensiero indiano e poi il buddismo (e le concettualizzazioni che sono derivate dal contatto di questi col pensiero occidentale) si sforzano di evidenziare l’inconsistenza dell’Io e l’infruttuosità di ogni tentativo di schematizzare e reificare la nostra concezione di noi stessi, sottolineando come la liberazione si ottenga proprio attraverso una graduale maggiore consapevolezza di questa illusione psicologica.
Infine, secondo Recalcati, sarebbero proprio queste tendenze che salutano e certificano l’evaporazione dell’Io come via privilegiata d’esistenza a provocare per reazione i fondamentalismi, intese come forme dell’arroccarsi dell’Io sociale dietro certezze da affermare paranoicamente con la forza e la sopraffazione dell’altro. Queste tendenze estremistiche sembrerebbero costituire oggi una forte attrazione per un Occidente che ha perso da tempo il suo centro identitario. Su una questione così ampia non voglio addentrarmi se non per rilevare che l’Occidente ha probabilmente da tempo definito in modo stabile alcuni valori cardine della propria identità: la ricerca del profitto e del benessere materiale, la seduzione narcisistica della giovinezza, della bellezza fisica e della visibilità (tendenze rilevabili quotidianamente e in qualche modo riconducibili al diniego dell’idea della morte). I fondamentalismi, in questo momento storico, mi sembrano piuttosto riguardare in larga misura altre culture, in risposta ad un contatto forzato con valori estremamente diversi se non antitetici ai propri (quelli, appunto, del modello occidentale) cui le obbliga l’inarrestabile globalizzazione. Ma questi sono processi ancora in fieri e altamente complessi che esulano dalle specifiche competenze di chi scrive e che di certo non possono essere affrontati adeguatamente con gli strumenti della psicoanalisi. Ed è questo forse il limite principale del contributo di Recalcati: il pensare cioè che la disciplina nata con Freud fornisca una visione del mondo capace di spiegare molte cose che riguardano l’essere umano, mentre il suo ruolo si esplica bene in un ambito e in un contesto molto preciso, quella della clinica e del trattamento della sofferenza mentale dei singoli[1].
Quando certi concetti psicoanalitici vengono usati per “spiegare” al grande pubblico fenomeni macro-sociali (movimenti culturali, correnti artistiche, orientamenti economici o politici ecc.) rischiano di perdere il loro potere euristico che, a mio avviso, riescono ancora a garantire nel lavoro clinico coi pazienti.
La questione quindi non è così semplice come viene presentata, e viene il dubbio che l’esiguità dello spazio a disposizione in certe testate o la vastità del pubblico a cui certi contributi si rivolgono, porti a sacrificare la necessaria precisione teorica e terminologica di quanto si afferma, col rischio conseguente di annacquare il senso e la complessità di certe teorizzazioni o di snaturarle. Sebbene richieda un notevole sforzo rendere comprensibili concetti specialistici in poche righe è sempre possibile farlo, a patto che si tengano contemporaneamente presenti sia l’eventuale complessità di certi concetti sia la prospettiva del lettore.
La brevità di un contributo non deve essere necessariamente nemica della chiarezza e della precisione contenutistica.

 



[1] Sull’inopportunità di usare la teoria psicoanalitica per comprendere i problemi del mondo, in senso onnicomprensivo, lo stesso Freud affermava:  «Ritengo che una Weltanschauung sia una costruzione intellettuale che, partendo da un determinato presupposto, risolve in modo unitario tutti i problemi della nostra esistenza e nella quale, di conseguenza, nessun problema rimane insoluto. […] In qualità di scienza particolare, di ramo della psicologia – psicologia del profondo o dell’inconscio – la psicoanalisi è del tutto inadatta a crearsi una propria Weltanschauung». Introduzione alla psicoanalisi (seconda serie di lezioni). Roma, Newton Compton 2010, p.442.
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Commenti

Condivido il pensiero sottostante questo chiarimento della redazione ed in particolare avverto sintonica la conclusione: "La brevità di un contributo non deve essere necessariamente nemica della chiarezza e della precisione contenutistica" ... A patto - appunto - che l'Autore ponga contemporanea attenzione all'eventuale complessità dei concetti affrontati ed alla competenza media del lettore, mirando ad una formulazione semplice (ove possibile) ma non per questo imprecisa o sciatta..


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