Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

L’ambivalenza del suicidio nella Foresta dei sogni di van Sant

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12 maggio, 2016 - 19:10
di Matteo Balestrieri
Non eccelso questo La Foresta dei Sogni, film del 2015 di Gus Van Sant. Il film racconta del viaggio a scopo suicida del protagonista Arthur Brennan (interpretato da Matthew McConaughey) nella foresta di Aokigahara, alle pendici del monte Fuji in Giappone. Questa foresta è tristemente conosciuta per essere il secondo luogo in cui si verificano suicidi nel mondo, dopo il Golden Gate Bridge a San Francisco. Nel 2010 ben 247 persone hanno tentato il suicidio nella foresta, e 54 di essi hanno completato l'atto. La media è superiore ai 30 suicidi all’anno e l’apice dei suicidi, che si colloca nel mese di marzo, avviene per motivi economici, dato che quel mese per i giapponesi corrisponde alla fine dell’anno finanziario. Il luogo è così noto che recentemente è stato oggetto di sceneggiatura di altri due film: Grave Halloween del 2013 e il recentissimo The Forest uscito agli inizi del 2016.
  Arthur giunge in Giappone a seguito della morte improvvisa e accidentale della moglie (interpretata da Naomi Watts), con la quale aveva comunque un rapporto conflittuale, punteggiato di discussioni e momenti di separazione. Il loro rapporto si era progressivamente inacidito per incomprensioni, tradimenti e disinteresse progressivo. C’era stato un avvicinamento tardivo per una grave malattia di lei, e in questa fase la moglie stessa gli aveva fatto promettere di scegliere un bel posto dove morire. A seguito del lutto, Arthur decide perciò di uccidersi a Aokigahara, classificata in internet come il “posto perfetto per morire” (su queste classifiche in rete ci si può sbizzarrire…). Dopo essersi inoltrato nella foresta ed aver ingoiato le prime compresse incontra però un altro aspirante suicida, il giapponese Takumi Nakamura (Ken Watanabe) e immediatamente si adopera per portarlo in salvo, e per portare in salvo se stesso.

  Ciò che mi ha colpito è stato l’improvviso “voltafaccia” di Arthur, che apparentemente determinato a farla finita, si dedica tutto d’un tratto al tentativo di sopravvivere uscendo dalla foresta. La cosa peraltro non è affatto facile, dato che la foresta è intricata e si rivela ostile ad essere abbandonata. Di fatto ci riesce lui solo, dovendo abbandonare Takumi al suo destino. Ma poiché il film vuole attingere a profondi significati spirituali di ispirazione orientale (gli spiriti della foresta, la natura che trascende gli uomini) il finale mette un dubbio sul significato vero dell’esperienza di Arthur nella foresta: è stata forse la stessa moglie a guidarlo?
  Sono convinto che la Foresta dei sogni non sia un film di quelli che rimarranno nella storia del cinema.  In più so bene che alcuni commenti psicologici rischiano di essere piuttosto banali, come quelli sull’incomunicabilità nella coppia o sui sensi di colpa per ciò che si poteva fare e non si è fatto.
  Più interessante invece mi sembra il tema dell’adesione al pensiero di volerla fare finita. Come ho osservato, Arthur ci mette un attimo a cambiare idea, il che ci fa riflettere sulla sua reale convinzione di partenza. E’ piuttosto noto che uno dei cosiddetti “luoghi comuni” sul suicidio recita Se qualcuno ha deciso di suicidarsi niente può fermarlo, mentre è noto che il suicida vive una profonda ambivalenza, poiché molte persone che pensano al suicidio in realtà non vogliono morire, anche se non tollerano più la sofferenza per la vita che stanno vivendo. Un lavoro del 2012 di O’Connor e colleghi (A cross-sectional investigation of the suicidal spectrum: typologies of suicidality based on ambivalence about living and dying. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22104555) ha ad esempio evidenziato che esistono tre distinte tipologie di soggetti tra coloro che hanno riportato pensieri di morte. Ci sono quelli che desiderano morire, quelli che desiderano vivere, e quelli che sono ambivalenti. Questi autori sostengono che è possibile fare in una certa misura una previsione di comportamento suicidario sulla base di questa tripartizione dell’ideazione.
  Arthur nel film sembra voler espiare il rimorso di non aver condiviso una vicinanza emotiva e cognitiva con la moglie e perciò l’unica cosa che gli rimane da fare è assecondare il desiderio di lei e scegliere un posto bello dove morire. Ma poi riprende possesso di se stesso e della propria voglia di vivere. Il tutto appare piuttosto stupido e trovo che questo sia un forte limite del film, che vorrebbe invece volare alto. Ma probabilmente molte cose della vita reale sono permeate della stupidità dei comportamenti umani.
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Commenti

nel bellissimo The Savage God: A Study of Suicide di Al Álvarez saggio dedicato al suicidio si riferisce del caso del tristemente noto Ponte dei Frati Neri di Londra altro luogo topico per i suicidi e del fatto che i poliziotti londinesi distinguono tra i suicidi "per amore" e i suicidi "per debiti": i primi hanno le unghie delle dita consunte dalla volontà di salvarsi avendo cambiato idea dopo il tuffo, i secondi affondano senza ripensamenti.
Lo stesso Tolstoj in Anna Karenina fa morire la protagonista sotto il treno non travolta dalle ruote ma uccisa dall'albero di congiunzione delle stesse qunado il ripensamento le fa sollevare la testa dopo essere finita sotto le vetture in marcia alla stazione.


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