GALASSIA FREUD
Materiali sulla psicoanalisi apparsi sui media
di Luca Ribolini

Gennaio 2017 II - Ascolta...

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19 febbraio, 2017 - 09:20
di Luca Ribolini

MEMORIALE DI UNA NEVROSI IN FORMA DI AFFABULAZIONE. Uscito nel ’64, «Il male oscuro» viene ora riproposto da Neri Pozza e introdotto da Emanuele Trevi: in uno stile mimato a oltranza sul sentire patologico di un uomo che parla sempre di sé, Giuseppe Berto reagisce alle ossessioni di un’intera società

di Nicolò Scaffai, il manifesto – Alias, 15 gennaio 2017
Se Zeno avesse voluto e potuto raccontare la verità, avrebbe scritto qualcosa di simile al Male oscuro. Il capolavoro di Giuseppe Berto uscì nel 1964, quasi diciotto anni dopo il fortunato Il cielo è rosso, cui seguirono tra gli altri Il brigante (accolto assai peggio dalla critica, in particolare da Emilio Cecchi) e Guerra in camicia nera. Già volontario in Abissinia (e fresco di laurea a Padova), Berto si era arruolato nella Milizia fascista. Catturato in Nord Africa nel ’43, era stato internato negli Stati Uniti, dove in un campo di prigionia nel Texas conobbe, tra gli altri, Alberto Burri. Tornò in Italia nel ’46, a trentadue anni (era nato a Mogliano Veneto nel 1914); con sé aveva i manoscritti di alcuni racconti e il testo di Il cielo è rosso, che Longanesi avrebbe pubblicato di lì a poco.
Il successo arrivò subito, ma quando più tardi Berto scrisse Il male oscuro – in circa due mesi, nel ritiro di Capo Vaticano – il clima letterario e civile era ormai profondamente mutato rispetto agli esordi. Dopo i suoi primi romanzi, Berto era considerato un neorealista – lo ricorda lui stesso in uno scritto di commento al Male oscuro. Ma già nel 1950 «il neorealismo era finito perché era finita anche l’ultima illusione che uno scrittore potesse essere tra i protagonisti della vita d’un paese». D’altra parte, la crisi del neorealismo «portava lo scrittore alla libertà»; occorrevano «una maggiore penetrazione psicologica» e «un linguaggio più curato e complesso» – commenta Berto – e fu allora che «venne la nevrosi».
Il male oscuro è appunto il memoriale di quella nevrosi (non di una generica depressione, sebbene oggi l’espressione male oscuro sia usata indistintamente per definire la sofferenza psicologica), della sua radice nel rapporto con l’autorità super-egotica del Padre (il narratore definisce il racconto come storia di una «lunga lotta col padre»), del suo alimento nella fatica inappagata della scrittura (il protagonista è uno sceneggiatore malpagato, che non riuscirà mai a finire un suo romanzo, il capolavoro), della sua causa scatenante nel male fisico, delle sue conseguenze nella crisi coniugale e nel distacco dalla famiglia. L’aver abbandonato, per disgusto, il padre sul letto di morte ha generato nel figlio un senso di colpa che lo porterà ad attribuire alla postuma vendetta paterna ogni caduta e malessere patito; e guarigione non vi sarà, se non accogliendo quella vendetta e finendo per assomigliare al padre e ripeterne i gesti.
Molto di ciò che Berto racconta corrisponde alla sua biografia, eppure non è questa la più importante verità del Male oscuro. La verità non è quella che il libro dice, bensì quella di cui è fatto; la sua sostanza, cioè, non consiste in una fedeltà, ma in una forma narrativa. Per questo, l’antenato del personaggio che scrive «io» nel romanzo di Berto, pur così direttamente autobiografico, è il narratore Zeno, non l’autore Svevo. Così come il suo fratello maggiore è Gonzalo: proprio dalla Cognizione è prelevata, del resto, l’espressione «male oscuro». (Ma nel carattere del personaggio entrano pure certi connotati pratici della macchietta satirica, di cui si nutre all’epoca anche la commedia all’italiana).
Non sono pochi i contatti e le somiglianze tra i romanzi di Svevo e quello di Berto, a cominciare dal tema della morte del padre; più in generale, comune ai due libri è lo scenario enunciativo, cioè la psicoanalisi come istigazione alla scrittura di un memoriale. Non mancano altri specifici segnali allusivi (è un caso che il protagonista del Male oscuro insista per chiamare la figlia Augusta, come la moglie di Zeno?) e le immediate citazioni: «pare che la psicoanalisi non danneggi la capacità creativa di un artista, anzi si potrebbe dire che la esalti come dimostrato ad abundantiam dal caso di Italo Svevo».
Proprio il confronto con La coscienza di Zeno, tuttavia, aiuta a capire quale diversa disposizione nei confronti della verità narrativa assuma il protagonista di Berto. La «distanza tra Svevo e Berto, verificata direttamente sulla pagina, appare incolmabile»: a osservarlo, giustamente, è Emanuele Trevi nel saggio che correda ora, insieme a una postfazione di Gadda (da «Terzo Programma», 1965), la nuova edizione del romanzo: Giuseppe Berto, Il male oscuro (Neri Pozza, pp. 512, euro 18,00).
 
Segue qui, previa registrazione:
http://ilmanifesto.info/meoriale-di-una-nevrosi-in-forma-di-affabulazione/

 

PARLARE AI FIGLI IN AUTO

di Paolo Conti, 27esimaora.corriere.it, 17 gennaio 2017
Sono tante le famiglie che navigano ogni giorno sull’abisso del silenzio, dell’incapacità di parlarsi, di ritrovarsi tra genitori e figli. Quindi di capirsi e finalmente di volersi bene, come dovrebbe essere. Fanno finta di niente, e vanno avanti. Senza parole e quindi spesso senza autentico amore. Talvolta c’è il naufragio più atroce, quello del delitto, che dice l’indicibile, e grida un odio nato dal non detto. Perché, lo sa chiunque sia genitore in questo secondo decennio del terzo millennio, trovare il giusto canale con i figli è sempre più difficile. Sabato 14 gennaio Antonio Polito ha parlato dei «no impossibili» dei genitori ai figli, di una cultura del narcisismo che cancella la trasmissione dei valori. Ieri lo studente Antonio Chimenti però gli ha ricordato che certi princìpi non cambiano «sono gli stessi e se un genitore è capace di farli vedere e di trasmetterli, non importa del linguaggio, della tecnologia e di tutto il resto». Dunque uno dei problemi (o forse «il» problema) dei genitori del nostro tempo è individuare il giusto canale per non smarrire l’insostituibile filo che conduce al dialogo. Ma le modalità, e anche questo lo sappiamo, sono sempre la conseguenza dei tempi in cui le generazioni vivono: non esiste una metodologia dogmatica che resista nel tempo.
LA CONFIDENZA DURANTE IL JOGGING
Ieri Joan McFadden, editorialista del quotidiano britannico Guardian, in un’inchiesta in cui ha interpellato psicoanalisti e terapeuti, ha proposto un diverso approccio per riuscire a comunicare con i figli. In realtà è un semplice non-metodo, che tiene conto della difficoltà dei ragazzi ad aprirsi nelle convocazioni rituali («ora vien qui e parliamo», frase che porta sicuramente davanti a una porta chiusa). «The power of talking sideways to children», è il titolo della lunga riflessione, «il potere del dialogo trasversale con i figli», potremmo tradurre in italiano. La dottoressa Rachel Andrews, psicoterapeuta e membro della British Psychological Society, in base alla sua esperienza assicura che una decina di minuti al giorno di semplice chiacchiera magari mentre si cucina, o si fa jogging, o ci si dedica a un hobby, può essere il terreno più fertile per far germogliare il seme della confidenza: si parla di tutto, con leggerezza, e lì può aprirsi lo spazio per affrontare un vero problema. Perché la questione, scrive Joan McFadden, non è più tanto ottenere che i figli ascoltino i genitori mentre parlano quanto far sì che i genitori sappiano ascoltare davvero i figli.
Segue qui:
http://27esimaora.corriere.it/17_gennaio_16/mestiere-genitori-parlare-figli-auto-o-parco-9ebbb7b4-dc24-11e6-8880-ab80bbeec765.shtml 

DIO E IL PORNO. Altro che beghe tra teologi e cardinali sull’ostia ai divorziati, il problema è la pornografia online

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 18 gennaio 2017
Insigni cardinali si lamentano della piega che prendono le cose della religione cattolica, una piega che potrebbe diventare una piaga irreversibile, un trionfo di Satana. Si disperano, vedono crolli e disastri, pianti e lutti. Che dire, che costoro invocano la fine del mondo? Direi proprio di no, tutto quello che essi vedono almeno in parte esiste, ma la loro disperazione partecipa del disastro e lo sostiene, ne è un’importante colonna, senza disperazione la chiesa cattolica morirebbe di noia. La brutta piega, la sanguinante piaga, sono la bandiera della chiesa di Cristo e non cessa di sventolare. Nella sua bimillenaria esistenza la chiesa ne ha viste e fatte di tutti i colori, uscendone sempre alla grande, e nel contempo alla grande rientrando. La sua grandezza consiste nella sfarzosa faziosa varietà dei suoi atti e dei suoi personaggi, che tante volte si sono scontrati tra loro, proponendo variopinti Papi in lotta acerrima. Anche ora convivono due Papi, molto simpatici peraltro, anche se probabilmente non sono d’accordo su tutto ma poco importa, mica stanno a pensarci, bella è la loro connivenza-convivenza, suscitano tenerezza e gioia. Se litigassero per questioni di dottrina o altro, parimenti sarebbe delizioso, un bel ritorno ai tempi che furono, con due vecchi signori che si scazzottano per l’ostia agli sposati e la protezione ai cornuti. Insomma, qualunque cosa la chiesa faccia va bene, litigare dà forza, scalda gli animi, produce pensiero, e un po’ di box guarisce dall’eccesso di teologia, come nel “Posto delle fragole” di Bergman due ragazzi si prendono a botte per chi ha ragione su Dio, e poi amici come prima, anzi di più.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2017/01/18/news/dio-e-il-porno-115492/ 

PERCHÉ LE VACANZE LÌ PROPRIO ADESSO? ASCOLTIAMO LA NATURA ANZICHÉ SFIDARLA. La natura non fa preferenze. Tira dritta per le sue strade, spesso imperscrutabili

di Claudio Risè, ilgiornale.it, 20 gennaio 2017
La natura non fa preferenze. Tira dritta per le sue strade, spesso imperscrutabili. Così, uno dei luoghi comuni più apprezzati nelle vecchie retoriche superomiste, la «sfida alla natura», in genere si conclude con un disastro. Appena la senti ostile, se le vuoi bene e ti vuoi bene, è meglio se ti allontani e cerchi una tana sicura. Come fanno i migliori conoscitori della natura: gli animali. Lo è anche l’uomo, dotato però anche di intelletto, usato spesso per sfidarla, la natura da cui dipende, e venirne poi travolto. Le inchieste accertano (dopo), mancanze delle istituzioni, ritardi, richieste di aiuto non raccolte. Il fondo del problema però è un altro: le responsabilità personali degli uomini, che spesso da ostinati amanti della natura diventano poi le vittime dei suoi inquieti risvegli. Come l’amante della gigantessa delle leggende, soffocato quando lei nel letto si gira dall’altra parte. Quando si tratta della vita, meglio che l’uomo impari a fare da solo. Le norme di sicurezza, etc, aiutano, ma è lui il primo che deve badare a se stesso. Dimenticarlo gli fa in ogni caso male, e qualche volta lo perde. Proprio di questo si sta discutendo in questi giorni, tra amanti della montagna e popolazione, in Alto Adige-sud Tirolo, una regione da sempre devota alla natura e alla montagna. Ora però anche ferita dal numero delle sue vittime negli ultimi tempi, e dalle conseguenze di queste morti nelle loro famiglie e in tutta la comunità.
Segue qui:
http://www.ilgiornale.it/news/politica/perch-vacanze-l-proprio-adesso-ascoltiamo-natura-anzich-1353566.html 

RESPONSABILITÀ E COLPA DEI FIGLI

di Sarantis Thanopulos, il manifesto, 20 gennaio 2017
Un sedicenne ha ucciso a Codigoro i genitori con l’aiuto di un amico, pagato mille euro. Massimo Recalcati ha convocato, come strumento di interpretazione, un “convitato di pietra”: il senso di colpa. Subordinando, impropriamente, Edipo al dettame biblico “Onora tuo padre e tua madre” gli ha attribuito un senso di colpa per il suo parricidio. Cavandosi gli occhi, per espiare la colpa, Edipo avrebbe accettato il potere repressivo della “Legge” sul suo desiderio, interiorizzandola. Incapace di esperire la colpa e di vivere la lacerazione di Edipo, l’omicida di Codigoro avrebbe, invece, agito, avulso dalla “Legge”, per eliminare le limitazioni dei genitori alla sua vita senza pensiero. Recalcati sovrappone la morale all’etica e il senso di colpa al senso di responsabilità. Edipo si acceca per esiliarsi dal mondo dei vedenti, non perché si sente colpevole della morte dei genitori. Ha voluto vedere a occhi aperti, di giorno, quello che si vede a occhi chiusi, in sogno, di notte (la sua hybris). Nell’accecarsi, assume la responsabilità del suo destino, non paga un debito nei confronti delle leggi, umane o divine che esse siano. La responsabilità nei confronti di sé e dell’altro è il valore a cui tende la tragedia greca e non il riconoscimento in un senso di colpa di derivazione cristiano-ebraica.
Segue qui
http://www.psychiatryonline.it/node/6600
 

INTERVISTA A MASSIMO AMMANITI. «PAPÀ, MAMMA E FIGLI, TUTTI SULLA STESSA BARCA». Il neuropsichiatra infantile Massimo Ammaniti il 20 gennaio presenta all’Opificio Golinelli il suo nuovo libro (scritto con Paolo Conti) «Il mestiere più difficile del mondo (genitori)». Dice: «Padre e madre si comportano come fratelli più grandi

di Massimo Marino, corrieredibologna.corriere.it, 17 gennaio 2017
Sembra sempre più complicato fare i genitori nella famiglia d’oggi, papà mamma e un figlio, unico, solo, re e tiranno, ma anche compagno di giochi e, molto, troppo spesso, personalità in fuga, senza più riferimenti. A figli e genitori, e ai compiti di questi ultimi, che Freud definiva «impossibili», è dedicato il terzo incontro della serie Crescere, che fatica, con lo psicanalista Massimo Ammaniti (20 gennaio, ore 18.15). Organizzati dalla Fondazione Golinelli e da Aismi (Associazione per la salute mentale infantile), queste conversazioni affrontano in 5 appuntamenti a ingresso libero i temi dell’educazione genitoriale, della psicologia dello sviluppo, dell’apprendimento e della crescita. Si svolgono presso l’Opificio Golinelli . Abbiamo intervistato Ammaniti, neuropsichiatra infantile di fama, autore con il giornalista Paolo Conti del libro Il mestiere più difficile del mondo (genitori), edizioni Corriere della Sera.
Professore, perché oggi è arduo essere genitori?
«Intanto perché i genitori hanno sempre grandi aspettative. Freud diceva che i figli sono chiamati a compiere i sogni irrealizzati dei genitori, e ciò può creare problemi perché quello che i figli sono non corrisponde sempre a ciò che padri e madri si aspettano».
Segue qui:
http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cultura/2017/17-gennaio-2017/papa-mamma-figli-tutti-stessa-barca-2401211159344.shtml 

DA ABRAMO A NOÈ, ECCO IL VOLTO SEGRETO DEGLI EROI BIBLICI

di Antonio Gnoli, repubblica.it, 20 gennaio 2017
Isacco era disabile, con Babele nacque il fascismo… Così lo studioso delle Scritture interpreta in modo originale le storie più celebri
Alcuni episodi della Bibbia ci sono oltremodo familiari. Averne più volte sentito i racconti, invece di stancarci ci colloca su quel crinale in cui l’attesa si mescola alla curiosità intellettuale nei riguardi di un Dio che apparentemente regola tutte le mosse di una storia. Qual è allora la nostra libertà di lettura? Come interpretare, ad esempio, il sacrificio di Isacco? O in che modo accogliere l’insensata e infinita costruzione di una Torre che prenderà il nome di Babele? Haim Baharier, le cui origini polacche e francesi sono cresciute nelle radici del mondo ebraico, da anni pratica una esegesi biblica di particolare efficacia, dove cabala e commento talmudico si intrecciano vertiginosamente. Egli terrà una serie di lezioni al Teatro Eliseo di Roma, a partire da dopodomani: “Nella Torah”, mi dice, “ci sono due volti che si fronteggiano, ogni tanto si sfiorano, ogni tanto si allontanano, qualche volta si fondono: quello narrativo e quello normativo”. Si tratta, come vedremo, di una distinzione carica di conseguenze.
Vuole spiegare cosa rappresentano questi due volti?
“Vi è spesso tra le narrazioni bibliche e le regole comportamentali molto concrete, che la Bibbia indica, un cortocircuito logico. Pensiamo alla narrazione della nascita di Isacco, la madre Sara ha 90 anni, il padre Abramo 100. Una nascita miracolosa, che ha come conseguenza il nome stesso del nascituro, che significa “colui che riderà” “.
Come interpretarlo?
“Io parto da una considerazione che non ha nessuna evidenza apparente, ma che si nutre di numerosi indizi: Isacco è un disabile. Per questo la gente ride di lui. Perfino Ismaele, il fratello più grande, ride di lui”.
È un riso di scherno?
“Certo, ma il riso domina tutto il racconto. Anche Sara ride quando le annunciano che a 90 anni avrà un figlio. Ma lei accetterà rapidamente la condizione del figlio. Abramo no. È tormentato e alla fine deciderà di sopprimerlo. A quell’epoca in Mesopotamia non erano affatto eccezionali i sacrifici umani di bambini, molto spesso disabili”.
Segue qui:
http://www.repubblica.it/cultura/2017/01/20/news/haim_baharier_da_abramo_a_noe_ecco_il_volto_segreto_degli_eroi_biblici_-156468156/?ref=search

 

COGLIERE IL DISAGIO IN ADOLESCENZA. Quando i dubbi dei genitori sono elevati è bene chiarire in tempo la situazione. E a volte è il caso di consultare uno specialista

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 22 gennaio 2017

Durante l’adolescenza è importante stare attenti ai segnali che vengono inviati dai giovani come sbalzi di umore, pessimismo, isolamento relazionale. Anche se tristezza e pessimismo non vogliono dire depressione. Tuttavia la scarsezza o l’assenza di relazioni sociali reali va sempre osservata con particolare attenzione. La maggior parte degli adolescenti non è depressa ma attraversa spesso profonde crisi esistenziali strettamente collegate alla fase di passaggio tipica di quell’epoca. Smarrimento, perdita parziale della fiducia in se stessi e negli altri sono di solito il pedaggio obbligato per il transito in un territorio arido, apparentemente sconfinato, in cui c’è bisogno di luoghi di ristoro e di punti di riferimento. Se questi ci sono, se non mancano gli appigli che possono essere dati dalla famiglia ma anche dalla comunità dei coetanei e quindi dal gruppo, il viaggio dell’adolescente alla scoperta di se stesso e del mondo non è mai un tunnel senza uscita: sarà un lungo percorso, faticoso in alcuni momenti, difficile e doloroso ma che si conclude prima o poi.
Segue qui:
https://www.ladigetto.it/permalink/61751.html 

IL GPS DELLA LETTERATURA

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 22 gennaio 2017
[La vita] “è un racconto narrato da un idiota, pieno di grida, strepiti, furori,
del tutto privi di significato!”
[Life] is a tale Told by an idiot, full of sound and fury, Signifying nothing.
Shakespeare, Macbeth, Act 5, scene 5
Molte sono le occasioni della vita in cui queste parole di Shakespeare ci appaiono quanto mai vere e più che mai calzanti al nostro caso.
Di fronte alla morte di una persona cara, a improvvisi sconvolgimenti della nostra vita, agli orrori vicini e lontani di tanto dolore e tanto male, tutto sembra perdere significato.
Ancor di più quando ci troviamo ad affrontare un disturbo psichico che mette in crisi i nostri abituali modi di percepire, valutare e affrontare la realtà. Quando l’ansia, la disperazione o addirittura il delirio o la demenza sembrano sconvolgere tutto quello che abbiamo faticosamente costruito e farcene toccare con mano la vanità. In questi e tanti altri momenti in cui tutto sembra solo “grida, strepiti, furori”, il nostro stesso desiderio di guarigione vacilla perché tutto appare vano o irraggiungibile o impossibile.
Per fortuna molti di noi in quei momenti non sono (completamente) soli nella lotta. Spesso c’è un partner, un familiare, un amico, un collega, un insegnante… Un terapeuta e una terapia – e credo che ancora troppo poco si dica e si faccia perché chiunque sia informato sull’efficacia delle terapie psicologiche e farmacologiche nei disturbi psichici e abbia il più facile accesso possibile alle cure.
Qualche volta in quei momenti difficili, soprattutto quando la bufera sta cessando e si tratta di (ri)trovare il proprio sentiero, può aiutare anche la letteratura, che con la sofferenza si è da sempre confrontata, anzi, si potrebbe forse dire, proprio dalla sofferenza nasce. “Non c’è grande opera letteraria… – scrive Ferroni – che non si sia lasciata prendere da gradi diversi di turbamento e di lacerazione”. Anche per questo trovo molto stimolante il corso online proposto da Future Learn, Literature and mental Health: Reading for Wellbeing segnalatomi da Hans Caron 
Partendo dall’assunto di uno scrittore inglese del 18 secolo (Dr. Samuel Johnson) secondo il quale “the only end of writing is to enable the reader better to enjoy life or better to endure it”, il corso intende illustrare come poesie, racconti, romanzi, opere teatrali possano aiutare a capire e a fronteggiare momenti di estrema difficoltà interiore, analizzando temi quali lo stress, il lutto, la depressione, il disturbo post-traumatico da stress…
Segue qui:
http://giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com/2017/01/22/il-gps-della-letteratura/ 

UMBERTO GALIMBERTI: “VIVERE DA SOLI, IL TRIONFO DELL’EGOISMO. Secondo il filosofo, questa scelta sempre più diffusa produrrà conseguenze negative per la società: “Manca la voglia di assumersi la responsabilità di un’altra persona o di una famiglia”

di Sabina Minardi, espresso.repubblica.it, 25 gennaio 2017
«Una società atomistica, individualista, egoista». Per il filosofo Umberto Galimberti la scelta sempre più diffusa di vivere da soli produrrà conseguenze negative per la società. Anzi, le sta già provocando: «Il fenomeno attraversa l’Italia. È già visibile, Incluse le differenze tra Nord e Sud: al Sud c’è ancora un modo di essere uomini in relazione agli altri. L’aspetto interessante di questo processo è linguistico: chiamando “famiglia” anche la condizione di vivere da soli la riconosciamo cellula fondamentale e costitutiva della società».
La direzione è chiara. Ma con quali conseguenze?
«Saremo una società più egoista. Del resto, quando le società sono povere, i vincoli familiari sono più forti e prevale la solidarietà. Quando, invece, le società diventano opulente, o comunque libere dai bisogni fondamentali, individualismo ed egoismo, caratteristiche proprie del benessere, si fanno più radicali».
E si affermano nuovi modelli di vita.
«La gente non ha voglia di assumersi la responsabilità di un’altra persona e di una famiglia. Ha qualche piccolo privilegio e preferisce goderselo da solo. Ma una società individualista è indubbiamente più povera. Non solo. Si impoverisce la stessa struttura psichica dell’uomo, a causa del decadimento sentimentale. Vivere da soli depaupera i sentimenti».
Ma si può vivere da soli e avere amori e relazioni sentimentali.
«Avere relazioni fugaci, amicizie per trascorrere la serata, non basta per maturare in sensibilità, comprendere cosa significhino gli altri per noi, accogliere la sfida di amare senza considerare l’altro una proprietà. Se i rapporti sono intercambiabili, non avrò la possibilità di sviluppare l’impegno di una relazione. La continuità fa crescere i sentimenti».
Segue qui:
http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2017/01/25/news/vivere-da-soli-il-trionfo-dell-egoismo-1.294163?ref=fbpe 

FREUD, I NAZISTI PERSEGUITAVANO GLI EBREI MA ODIAVANO I CRISTIANI

di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 25 gennaio 2017
La giornata della memoria è stata istituita dalle Nazioni Unite nel 2005 per ricordare il genocidio ebraico. Come data della sua ricorrenza è stata scelta quella della liberazione di Auschwitz, il 27 gennaio 1945. Ad essa ci si affida per scongiurare le recrudescenze di razzismo che gli oltre settant’anni che ci separano dalla Shoah non sono stati sufficienti a debellare. Non è soltanto un rito o un antidoto al pericolo di dimenticare una tragedia ripetendone gli effetti, ma l’occasione per ripensare il fondamento del legame sociale. Andiamo con ordine. Freud si era convinto che lo scopo della ritualità, nella nevrosi non meno che nelle pratiche religiose, servisse a scongiurare un pericolo avvertito come incombente e minaccioso. Il rito trova la propria forza nella valenza salvifica, anche nel caso in cui il soggetto che vi ricorra sia incredulo circa la sua verità e validità pratica. Fu questo anche il caso dello stesso Freud quando nel 1938, l’anno dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria da parte della Germania, auspicò la protezione della Chiesa cattolica per scongiurare la “barbarie quasi preistorica del nazismo”. “Stranamente — scriveva nel marzo del 1938 nella Prima avvertenza al Terzo saggio della sua ultima opera L’uomo Mosè e la religione monoteistica (1934­38, Opere, Boringhieri, XI) — proprio l’istituzione della Chiesa cattolica oppone una potente difesa alla diffusione di un simile pericolo per la civiltà”. Solo tre mesi più tardi, nel giugno dello stesso anno, nella Seconda avvertenza alla stessa opera scritta a Londra, dovette constatare ciò che certamente già sapeva: “Poi improvvisamente è arrivata l’invasione tedesca e il cattolicesimo si è mostrato, per dirla con parole bibliche, ‘una canna al vento'”. Sorprende l’avverbio utilizzato dall’ottantaduenne e ormai molto malato padre della psicoanalisi, famoso per l’esattezza della sua prosa, tanto da meritarsi nel 1930 il Premio Goethe. Le opere di Freud erano già state bruciate nel 1933 a Berlino, la psicoanalisi condannata come “scienza ebraica”, le associazioni psicoanalitiche chiuse, molti dei sui membri perseguitati. Eppure l’Anschluss fu per Freud come il brusco risveglio da un sogno. Il 12 marzo 1938 i tedeschi occuparono Vienna, i figli Anna e Martin vennero torchiati dalla Gestapo, i libri furono mandati al macero, la casa editrice sequestrata e Freud costretto dai nazisti alla firma di una liberatoria per acconsentire all’espatrio. “Posso vivamente raccomandare la Gestapo a chicchessia” aveva sarcasticamente chiosato l’autore de Il motto di spirito (1905), chiedendo di aggiungere una frase di suo pugno. Una frase destinata a divenire iconica anche grazie a Paul Watzlawick che la commentò nella Pragmatica della comunicazione umana (1971), e che fu l’ultima ricordata prima che Freud emigrasse a Londra. Con sé portò altre sedici persone, ma non le quattro sorelle che morirono nei campi di concentramento, lasciando così un’ombra sulla sua condotta di quei tragici giorni.
Segue qui:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2017/1/25/GIORNATA-DELLA-MEMORIA-Freud-i-nazisti-perseguitavano-gli-ebrei-ma-odiavano-i-cristiani/744207/ 

PRETI E DIAVOLESSE. La gioia di vivere di don Roberto e le mazzate di certi uomini che danno retta alle ingenue

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 25 gennaio 2017
Dovrei parlare di Trump, dire la mia, unirmi alle cinquecentomila donne che hanno invaso Washington e un po’ tutto il mondo, psicoanalizzare il loro fiero portamento, cosa ci aspetta e quando Dio interverrà, e come. Gli eventi però sono al momento troppo affollati, e preferisco parlare di un altro caso che concerne le donne, meno sconvolgente eppure denso di umanità. Nei verdi e dorati colli Euganei cari a Goethe, il bel don Roberto seduceva con la sua gioia di vivere donne e uomini che finalmente correvano alle sue messe, dopo anni sterili dando nuovo slancio a una popolazione che di Dio non voleva più saperne. Messo alle strette, giorni fa il bel parroco ha confessato i suoi peccati carnali con varie di donne, in comproprietà con i suoi colleghi preti. Scandaloso? Eccitante, pare almeno ai  suoi fedeli che lo reclamano a tutti i costi, forse più di prima. Poca vita senza di lui, poco eros e spento, chissà i cittadini come si sono vivificati nelle sue prediche, ed eccitarsi alle prediche è amare Dio, che così si sente desiderato un po’ anche Lui. Eppoi c’è il suo amico, don Colin, che andava all’ingrosso. Si parla di 35 donne, forse 50, pazze di desiderio e pronte a fare tutto quello che si chiedeva loro, anche prostituire la propria anima. Indiavolate? Una sfida a Dio e alla chiesa, un portare i preti in basso per salire loro più in alto? Streghe? Sì, fantastica roba d’altri tempi, ora che i preti vanno singolarmente nei bordelli o hanno un’amante ben segreta e fanno le cose come si deve.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2017/01/25/news/preti-e-diavolesse-116788/ 

RECALCATI: È LA FEDELTÀ IL SEGRETO DELL’EROTISMO

di Antonella Fiori, metronews.it, 26 gennaio 2017
La cosa più erotica che ci può essere in un rapporto? La fedeltà. È un pensiero controcorrente, anti consumistico, un pensiero pieno di ebrezza. La fedeltà a un partner, se veramente vissuta come slancio, alimenta il desiderio. Utopia in un mondo che vede il tradimento come la regola? No, può diventare realtà per lo psicoanalista Massimo Recalcati, autore di saggi come “Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa” e di una biografia sullo psicoanalista Jacques Lacan, “Desiderio, godimento e soggettivazione” (entrambi Cortina Editore) che in questa intervista ci dà le chiavi per comprendere la profondità di questa vetta, che come tutte le conquiste difficili una volta raggiunta ci dà una soddisfazione unica.
Professor Recalcati, che cosa c’è di erotico nella fedeltà?
L’erotismo della fedeltà scaturisce dalla scoperta che il vero Nuovo non è un’alternativa allo Stesso – come crede il nostro tempo – ma una “piega” dello Stesso. La fedeltà, quando non è una prigione, è una condizione fondamentale per rendere grande un amore.
Segue qui:
http://www.metronews.it/17/01/26/recalcati-%C3%A8-la-fedelt%C3%A0-il-segreto-dellerotismo.html 

AMICIZIA ALLA PARI

di Sarantis Thanopulos, il manifesto 28 gennaio 2017
Sabato scorso “Alias” ha ospitato l’introduzione di Maurizio Balsamo, direttore di Psiche -rivista “culturale” della Società Psicoanalitica Italiana- al numero dedicato a “Il pensiero in tempo di guerra”. Balsamo si interroga sulla possibilità di creare una “zona protettiva” per consentire allo psichico “di esercitare le sue funzioni trasformative”, quando l’oscillazione fra l’angoscia di essere uccisi o di uccidere e la paura di una distruzione totale si impossessano degli esseri umani e li disorientano. La domanda di zone protettive, che arginino la diffusione e penetrazione delle idee irrazionali e delle azioni impulsive che causa il disorientamento, è forte tra tutti coloro che in un mondo in crisi continuano a credere nella forza della ragione e dell’integrità psichica.
Limitare i danni di un processo morboso, creando zone protettive tra le parti sane ed esso, è una necessità. Tuttavia, sotto una crescente pressione anche le dighe migliori, fatte di dura opposizione alla forza invasiva, possono cedere. Non possiamo trattenere il respiro in attesa di “tempi migliori”. È opzione decisamente migliore usare come argine lo stesso tessuto psicocorporeo (individuale e collettivo) che la patologia minaccia. Risanare ciò che è “vivo”, per re-espanderlo a spese della malattia.
L’amicizia è ciò che mantiene psichicamente sana e viva la materia umana desiderante. Espande le relazioni umane al di là dei vincoli familiari, usa l’affinità per rendere abitabile e feconda la differenza. Fonda la Polis come luogo di aggregazione centrale dei rapporti di scambio, spingendo la famiglia nella loro periferia, ma emana da quest’ultima. Più precisamente dalla relazione erotica tra i genitori che configura la famiglia come luogo di circolazione di affetti e di desiderio. Nella relazione “coniugale”, l’amicizia è espressione di un rapporto paritario. A partire dall’amicizia tra i genitori tutti i rapporti familiari sono paritari, perché amicali, a prescindere dalle ineguaglianze sul piano dei bisogni, dell’esperienza, delle risorse e delle capacità.
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http://www.psychiatryonline.it/node/6610 

IL GESTO DEL SARTO. COSA PUÒ UN TAGLIO?

di Alessandro Foladori 29 gennaio 2017
«Cosa può un corpo?». Questa era la domanda che l’ebreo scomunicato Baruch Spinoza poneva come punto di partenza della sua monumentale architettura degli affetti, e che ad ogni passo insisteva nelle sue parole, doppiando e tagliando con un’urgenza elementare la geometria cristallina della sua opera. Non sappiamo neanche cosa può un corpo. La raccolta di testi curata da Gianluca Solla, Cosa può un taglio? Filosofia, psicoanalisi e altre circoncisioni (Orthotes, Napoli-Salerno 2016, pp. 142) riecheggia esplicitamente la domanda spinoziana, e tuttavia sembra spostarne altrove la questione, nel momento stesso in cui porta la propria attenzione sul taglio – e in particolare sullo specifico taglio della circoncisione –, vale a dire su qualcosa che si farebbe nel corpo, nella carne. È infatti attorno a questa parola, alla suggestione che lascia aperta, che ruota il carosello di testi i quali articolano, ognuno a suo modo, la domanda che non cessa di farsi nei pressi del taglio, e vanno così a comporre un panorama eterogeneo dove sarebbe vano cercare una risposta – che d’altronde non è nell’ottica degli autori, come non era in quella di Spinoza e forse nemmeno in quella della filosofia –, ma dove si ramificano e proliferano altri interrogativi e altre intuizioni.
Stando così le cose, diventa impresa assai ardua estrarre la cifra di un simile taglio o pretendere che un solo tessuto intrecci l’ombrello che questo significante spalanca disponendosi, nello stesso movimento, ad usi tanto differenti. Eppure, malgrado tutto, sembra di poter individuare due filoni nel susseguirsi degli interventi e delle scritture: due filoni che tuttavia non si delineano senza contaminarsi l’un l’altro, ma che anche – considerato ognuno dalla sua parte – sembrano caratterizzarsi da una scissiparità che quasi porta a una lotta intestina. Per brevità si potrebbe dire che si avvicendano una concezione del taglio intesa come incisione, cioè come una separazione che non arriva mai fino in fondo; e una come inscrizione, cioè come marca di trasformazione che non si opera senza il resto di una fissità di cui tale marca non può che essere il testimone.
Partendo da quest’ultima, è soprattutto la circoncisione antropologicamente indagata come ripetizione cosmogonica a prendere il sopravvento. Il taglio che si inscrive nella viva carne dei corpi da un lato ripropone la mitologia della creazione di un mondo o, per meglio dire, di un ordine del mondo; dall’altro permette l’accesso dei corpi inscritti in questo ordine, da cui prima di quel taglio – così irrilevante, in fondo, e al contempo tanto importante – erano esclusi. Ma così come il kosmos rimanda quasi per necessità a un logos in grado di esprimere la sua organizzazione, tale struttura d’iscrizione non si reggerebbe se già non additasse a una scrittura molto più profonda, molto più tragicamente inevitabile: il taglio appunto in-scrive, scinde il corpo da se stesso facendolo funzionare come un segno significante, e così lo destina al linguaggio, garantendo l’accesso a quello che Jacques Lacan – spesso citato nelle pagine della raccolta – chiamerebbe ordine del Simbolico.
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http://www.doppiozero.com/materiali/il-gesto-del-sarto-cosa-puo-un-taglio 

AUDIO

Hollywood party – Cinema e psicanalisi e Socialmente pericolosi

da radio3rai.it, 23 gennaio 2017
Puntata di Hollywood Party dedicata a “Cinema e psicanalisi” e a “Socialmente Pericolosi” con V. Marchioni.
Vai al link qui sotto e poi scegli la puntata del 23 gennaio 2017
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-ac474727-f802-42dc-b9cd-857fe7669e5c-podcast.html 

VIDEO

da rainews.it, 20 gennaio 2017

Intervista a Silvia Vessella sui traumi psicologici che il terremoto può provocare nell’individuo e nel gruppo sociale; l'intervista parte a 15 ' 42 '' dall'inzio del video. 
http://www.rainews.it/dl/rainews/TGR/multimedia/ContentItem-79146567-f915-48a8-869b-79fe551035e7.html

(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

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