FISIOGNOMICA E FENOMENOLOGIA DEI “PADRI”

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6 dicembre, 2017 - 11:44
Da buon e attento fenomenologo qual mi ritengo ormai stabilmente, faccio dell’osservazione e del pensiero i requisiti fondamentali del mio procedere clinico ed epistemologico in senso lato. Parto in questa mia disamina da due articoli su una qualità tipica del soggetto fenomenologicamente impostato, e cioè il suo essere squisitamente “visionario” e “fisiognomico” (Ardito¹, 2013; Calvi2, 2013). Armato di questa predisposizione pre- riflessiva e pre- categoriale mi affaccio all’esistente approcciandomi al mondo della sanità mentale come al mondo della malattia. Il concetto di Padre, Maestro, Caposcuola, addirittura “Fuhrer” (Sciacchitano3, 2017) mi ha sempre smosso e riempito di un certo sgomento. Tanti giovani- e non meno giovani- da sempre si incamminano lungo le tortuose vie dell’esistenza alla ricerca di validi e quasi- oserei dire- imperituri punti di riferimento. La stessa cosa dovrebbe essere valsa per i vari Jung, Tausk, Ferenczi, Gross, Jones, Binswanger nei confronti del “totemico” Freud. Allo stesso modo possiamo ripercorrere lo stesso tragitto in campo più prettamente fenomenologico con Gilberto Di Petta che si incammina verso la lucente e umile guida di  Bruno Callieri o di Giovanni Stanghellini e Mario Rossi Monti che vedono in Arnaldo Ballerini e i suoi studi sull’autismo e sulle psicosi paucisintomatiche come elementi inemendabili della psicopatologia del nuovo millennio. Ma vediamo i Padri, i Maestri, le Guide attraverso i loro filmati e i loro scritti. Cerchiamo per quanto possibile di tracciarne uno sguardo d’insieme e di costruirne vari parallelismi come Plutarco fece al suo tempo con le vite dei Cesari. Sigmund Freud, nell’ “iconografia classica” (possiamo non definire quella psicanalitica una vera e propria religione con un innumerevole numero di sette?) appare con la barba di mezzo busto con uno sguardo indagatore verso lo spettatore. E’ lo sguardo “severo” dell’uomo di scienza, dell’allievo di Brentano e dei mai troppo riconosciuti Charcot e Janet cui tuttavia ben sappiamo deve tantissimo.  Che Padre fu Freud? Evidentemente fu molto severo e ciò lo si evidenzia sia dagli scritti sia dalle scelte e dagli effetti dei suoi comportamenti sugli allievi. L’homo natura freudiano comincia a scricchiolare sotto la figura e l’opera di Carl Gustav Jung (l’eletto alla successione) fino a quando nel 1912 avviene la rottura con “Simboli delle trasformazioni della libido”. “No, Herr Professor, l’uomo è anche e soprattutto cultura, quindi storia, società, eventi, mondo e non è racchiudibile ad un orizzonte povero e limitato da monade leibniziana mossa da una pervicace pulsione libidica”.
Questa una sintesi del sommovimento del pensiero junghiano che porta alla nascita direttamente della Psicologia Analitica. Ma il Padre Freud nei confronti dei suoi allievi è terribile: nei confronti di Tausk, ad esempio, un giovane pioniere della psicoanalisi famoso per i suoi lavori e le teorie sulla “macchina influenzante” nella schizofrenia emette quasi stalinianamente l’atto di morte e lo costringe al suicidio (in tutta questa storia alquanto oscura c’è lo zampino della “rubacuori” Lou Andreas Salomè). Idem sentire per Ferenczi che viene accusato di soffrire di una psicosi di stampo paranoideo verso la fine della sua vita- morirà di anemia perniciosa- e sparirà dall’orizzonte ortodosso della psicanalisi (anche e soprattutto per il malvagio lavoro del biografo Jones). Per non parlare della figura di Otto Gross il quale si distinse dagli studi con Herr Professor Freud diventando poi successivamente un anarchico dedito a droghe e vizi- forse per la silenziosa malattia che lo andava silenziosamente divorando (la “dementia praecox” kraepeliniana) e che gli fu successivamente diagnosticata dal fidato Jung. Solo con allievi che non offuscassero la magnificenza anancastico-borghese mitteleuropea ottocentesca del Padre, Freud si mostrava bonario e compartecipe. Uno di questi esempi fu Ludwig Binswanger con cui intesse un epistolario della durata di ben trenta lunghi anni. Tuttavia il linguaggio che emerge da parte del professore di Vienna è aspro, scosceso, duro, molto spesso rimproverante nonostante gli ossequi e le accondiscendenza del Maestro di Kreuzlingen. Allora quando possiamo parlare di Padri, Capiscuola, fuhrer e quando di Maestri?
Penso che ci sia una differenza sostanziale e questa riguardi quello che Deleuze e Guattari ritenevano essere il rapporto Amore/Potere. Conta più la figura gerarchicamente intesa con vassalli, valvassini e valvassori o un gruppo, il gruppo, di Maestri (coloro-che-amano) verso i loro allievi?
E’ una domanda retorica e mi rendo conto di come sia estremamente semplificatoria ma riguarda un tema per me centrale cioè quello dell’Istituzione e del Potere. Un’ Istituzione che non faccia leva sul Potere e sulla violenza è meno “carismatica” o è proprio la capacità di costruire gruppi, intese, uscire dagli steccati, cercare dialoghi plurimi col mondo dell’arte, delle neuroscienze, della cultura, attraversando la psicopatologia a creare nuovi orizzonti di senso e pertanto novità assolutamente feconde?
E qui intervengo prendendo a prestito le figure del professor Callieri, del professor Calvi e del professor Ballerini: tre figure diverse fra loro, composite, con ambiti di interessi vari e variegati, tuttavia caratterizzati dalla nobile ansia del sapere e del conoscere qualcosa in più rispetto al grande Mistero della malattia mentale. Se mi faccio fenomenologo e utilizzo la mia “visionarietà” constato in loro e nei loro fermo-immagine elementi di dolcezza, di purezza, di pacificazione, non disgiunti dalla sicurezza della conoscenza e lontani da ogni prosopopea. Junghianamente potrei dire che fisiognomicamente mi sono parsi- vedendoli in video o di persona- dei pueri aeterni con tutto il carico di performatività e di bellezza che questo scambio può intimamente comportare.
 
Bibliografia
1Ardito N.M. Inquadramento fenomenologico-esistenziale della patologia isterica (2013) in Psichiatria e Psicoterapia (Sett. 2013)- Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013.
2 Calvi L. Dal riflesso plantare alla clinica visionaria in La coscienza paziente, Esercizi per una cura fenomenologica. Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013.
3 Sciacchitano A., Il dopo- Basaglia e il soggetto collettivo, www.psychiatryonline.it, 2017.
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Commenti

Come al solito l'amico e collega Nicola riesce a farmi soffermare su questioni che implicitamente ci viviamo ma che talvolta evitiamo di argomentare.
L'essere Padre e l'essere Maestro di quelli che in qualche modo sono i nostri punti di riferimento, ci pone nella posizione osservante di chi di fronte al mondo scopre, intenzionalmente ed a volte anche passivamente, chi genera e chi forma.
Condivido pienamente le riflessione sui nostri comuni Maestri, Callieri, Ballerini e Calvi, che hanno dato forma in noi all'essere eterni debuttanti, e di questi uomini va riconosciuta anche la potenza generante dell'essere Padri, con tutto il corollario di altri connotati che ad un Padre vanno attribuiti, soprattutto perché hanno contribuito a costituire, in un certo senso, la "Legge della condivisione".
La Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica è riconoscibile come una loro creatura, come se fosse la sintesi del tenere insieme; che Gilberto Di Petta continua tenacemente a traghettare, mantenendo vivo e vitale il senso fondante, con la propria autenticità che solo un Maestro sa dare.


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