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di Sabino Nanni

Il percorso esaltante e doloroso: "Le voyage" di Baudelaire

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7 dicembre, 2017 - 10:29
di Sabino Nanni
Perché tanto spesso il giovane sente il bisogno di viaggiare, se non di emigrare? Ad allontanare dai luoghi familiari (soprattutto oggi) ci sono certamente bisogni di ordine materiale ed economico, ma sarebbe uno sbaglio trascurare le esigenze interiori: il rischio è che il ragazzo si trovi interiormente impreparato ad affrontare l’ambiente estraneo, oppure che lo ricerchi anche quando non sarebbe oggettivamente necessario.


 

Baudelaire ne “Le voyage” ci offre una splendida illustrazione di ciò che significa il viaggiare nel mondo interno. L’allontanarsi dalla Madre Patria ripropone, sul piano simbolico, quel percorso che ci allontanò dal primo oggetto d’amore e di dipendenza della nostra vita, e che ci portò ad acquisire un’esistenza individuale autonoma. La volontà di scoprire nuovi luoghi nasce dal desiderio e dalla paura. Il desiderio è tanto intenso, quanto grandioso è il suo oggetto: è quello d’entrare in contatto con l’universo, con il “tutto”.

 
Pour l’enfant, amoureux de cartes et d’estampes,
L’univers est égal à son vaste appétit.
Ah ! que le monde est grand à la clarté des lampes !
Aux yeux du souvenir que le monde est petit !
 
(Per il ragazzo, innamorato di mappe e stampe, / l’universo è pari alla sua vasta brama. / Come è grande il mondo alla luce della lampada! / quanto piccolo agli occhi del ricordo!)
 

Man mano che il viaggio procede, si scopre che il mondo è molto più “piccolo” di come lo si era immaginato vedendolo sulle mappe. Tuttavia questo sogno grandioso persiste, ed è ciò che spinge a raggiungere altri luoghi. Si tratta della speranza di ritrovare quell’esperienza sublime che solo il neonato può conoscere, e che l’opinione adulta, considerandola dall’esterno, banalizza: il ventre materno e poi l’abbraccio materno vissuti (come direbbe Amleto) come “essere racchiuso in un guscio di noce, e sentirsi signore dell’Universo”.
Che cosa spinge ad inseguire un sogno ed a lasciare la madre (o la patria) nella sua realtà concreta? Ecco come Baudelaire ce lo illustra:

 
Les uns, joyeux de fuir une patrie infâme ;
D’autres, l’horreur de leurs berceaux, et quelques-uns,
Astrologues noyés dans les yeux d’une femme,
La Circé tyrannique aux dangereux parfums.
 
Pur n’être pas changés en bêtes, ils s’enivrent
D’espace et de lumière et de cieux embrasés ;
La glace qui les mord, les soleils qui les cuivrent,
Effacent lentement la marque des baisers.
 
(gli uni, lieti di fuggire una patria infame, / gli altri l’orrore delle proprie culle; e alcuni, / astrologhi perduti negli occhi di una donna, / la Circe tirannica dai profumi fatali. // Per non essere mutati in bestie, s’inebriano / di spazio, di luce e di cieli infuocati; / il gelo che li morde, i soli che li bruciano, / cancellano lentamente il segno dei baci.)
 

Si tratta della paura che un difetto, oppure un eccesso di cure materne possano guastare irrimediabilmente l’esperienza originaria di grandiosità e beatitudine; e, dato che la mamma è un essere umano imperfetto come tutti, tale difetto e/o eccesso sono, almeno un poco, inevitabili. Se la madre (o la madre simbolica: la patria) è frustrante, se lo priva prematuramente delle proprie cure, da essere sublime, essa diviene “infame”: per la vita affettiva infantile non esiste via di mezzo. L’individuo, perciò, cercherà luoghi (o “mamme”) più accoglienti. Se, viceversa, la genitrice trattiene troppo a lungo il suo piccolo sul suo grembo, o nella culla, soddisfacendo in misura eccessiva e troppo sollecita i suoi bisogni corporei, ella diviene una “Circe” tirannica, che impedisce al figlio d’allontanarsi da una dimensione animalesca, e di crescere come essere umano. Il viaggio, in questo caso, ha lo scopo di temprare, di far entrare in contatto con quanto d’inospitale e duro esiste in natura (il gelo, il sole cocente), cui l’individuo può contrapporre una sua risposta autonoma, allo scopo di cancellare l’effetto di “baci” troppo dolci e snervanti.
Il viaggio, nella sua dimensione profonda, è da intendersi come percorso inevitabile nell’evoluzione dell’individuo. Esso ha aspetti sublimi e, al tempo stesso, anche in condizioni sane, aspetti dolorosi. A temprare questi ultimi (agevolando il percorso ed evitando un paralizzante “conflitto d’autonomia”) provvedono il sostegno di un padre fermo e protettivo, capace di far da guida, e quello di una madre equilibrata ed empatica: una “good enough mother” (Winnicott) né eccessivamente frustrante, né eccessivamente appagante. Una madre le cui inevitabili frustrazioni abbiano carattere “ottimale” (Kohut), cioè siano commisurate a quanto il piccolo può tollerare nella sua fase evolutiva e temperate dalla comprensione empatica materna.
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