DI DIRITTO E DI ROVESCIO
Legge e Giustizia dalla parte dei più fragili
di Emilio Robotti

Il manicomio è un residuo del passato? Note a Sentenza Consiglio di Stato - Sez. III - N. 411 del 22.1.2018

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26 gennaio, 2018 - 10:54
di Emilio Robotti

PREMESSA
 

Ci sono battaglie, culturali e non solo, che valgono la pena di essere combattute, quale che sia il risultato. Ci sono vittorie che portano con sè un sapore amaro della disfatta, sconfitte che celano un successo, o quantomeno l’affermazione di un diritto.

Quest’ultimo è il caso di una battaglia iniziata da FENASCOP davanti al Giudice Amministrativo iniziata, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte nel 2008 e conclusasi in questi giorni con la Sentenza del Consiglio Di Stato - III Sezione N. 411 pubblicata il 22.1.2018.

Vogliamo raccontare questa vicenda, senza entrare (per quanto possibile) troppo nei dettagli tecnici particolarmente complessi non solo sotto il profilo di diritto (per quanto riguarda il merito della questione, ma soprattutto con riferimento alla procedura del giudizio amministrativo), precisando che si tratta della prima volta che la Giustizia Amministrativa si occupa non di provvedimenti a carattere generale relativi all’assistenza psichiatrica, ma della differenza tra prestazioni psichiatriche ospedaliere ed extra ospedaliere e dei confini tra esse, almeno per quanto riguarda provvedimenti a carattere generali; nonchè dei limiti esistenti rispetto alla Cura psichiatrica in regime ospedaliero, che deve essere residuale ed eccezionale: in altre parole, il confine stesso tra la cura psichiatrica e l’istituzionalizzazione ospedaliera.
I provvedimenti impugnati da FENASCOP, infatti, erano accordi tra la Regione Piemonte e le associazioni di categoria della Cliniche private, nello specifico le Case di Cura ad indirizzo Neuro psichiatrico, che a fronte di una riduzione di posti letto venivano utilizzate dal Servizio Sanitario Regionale per ricoveri di pazienti post acuti ed addirittura di lungo degenza psichiatrica che avrebbero dovuto invece accedere alla assistenza residenziale extra ospedaliera (le Comunità Terapeutiche, insomma). Per di più, gli accordi prevedevano invio diretto del paziente psichiatrico da parte dei Medici di MMG e del Pronto Soccorso, tariffe superiori a quelle extra ospedaliere, meccanismi di silenzio assenso in caso di mancata autorizzazione del Dipartimento di Salute Mentale, “passaggio diretto” del paziente ricoverato tra i diversi reparti della Casa di Cura: il contrario di quanto previsto dalla L. 180 e successive integrazioni, insomma. ; perchè la Casa di Cura è una struttura ospedaliera, nel caso della neuropsichiatria, una struttura ospedaliera psichiatrica o un reparto ospedaliero psichiatrico di una struttura ospedaliera con più reparti differenti per disciplina. Qualcosa che è vietato alle strutture ospedaliere pubbliche, che possono avere come noto solo ed esclusivamente un reparto denominato Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) per i ricoveri coatti (TSO) o volontari urgenti per pazienti in fase acuta della patologia psichiatrica, con tempi e procedure a garanzia della mancata istituzionalizzazione del paziente.

 

Da tenere presente che ormai in tutta Italia le strutture ospedaliere psichiatriche private, le Case di Cura, in molte regioni ancora presenti e utilizzate (oltre al Piemonte, in Lazio, Emilia Romagna, Abruzzo ad esempio) sono state “trasformate” o ne è comunque prevista la trasformazione in strutture extra ospedaliere. Meglio tardi che mai, dato che quest'anno ricorre il quarantennale dell’approvazione della L. 180 " Basaglia".

 

IL FATTO. 

 

1. FENASCOP impugnava  nel lontano anno 2008 innanzi il TAR per il Piemonte (II Sezione - R.R. 899/98) la Deliberazione Giunta Regionale N. 33-8425 del 17.03.2008 che recepiva gli accordi presi dall'Amministrazione Regionale con alcune associazioni di categoria relativamente alle Case di Cura dell'area "neuro - psichiatrica” accreditate per il ricovero di pazienti psichiatrici e i successivi atti, che prorogavano e modificavano tali intese negli anni seguenti.

Questi accordi affermavano la necessità di  "ridefinire l'attività delle case di cura neuro-psichiatriche presenti nella Regione Piemonte al fine di perseguire una migliore integrazione con il servizio pubblico e (…) articolare l'attività delle case di cura nelle seguenti tre aree di attività:

1. area di acuzie (cod. 40.01);

2. area di riabilitazione neuro-psichiatrica (cod. 56.40);

3. area di lungo degenza neuro-psichiatrica (cod. 60.40)."

Chiunque lavori in ambito psichiatrico sa (o almeno dovrebbe sapere) che nel nostro paese da molti anni (quest’anno ricorre il quarantennale della L. 180) che il ricovero ospedaliero di un paziente psichiatrico è previsto solo per la fase di acuzie e comunque in via residuale, rispetto alla cura in ambito extra ospedaliere nelle sue varie forme. Quindi, chiunque abbia a che fare con l’ambito psichiatrico professionalmente dovrebbe sobbalzare leggendo le  prestazioni ospedaliere riportate dai provvedimenti sopra evidenziati in grassetto al numero 2 e 3; se poi proseguisse a leggere l’accordo in questione fino al punto 1.4, probabilmente dovrebbe cadere dalla sedia: "Nel caso in cui le condizioni cliniche alla dimissione dall'area di acuzie siano tali da richiedere un trattamento terapeutico-riabilitativo in regime di ricovero, il paziente può essere trasferito, nell'ambito della stessa struttura, in Area di riabilitazione o di lungo degenza. In tal caso la struttura invierà al DSM di riferimento dell'assistito la proposta di ricovero in riabilitazione o lungo degenza. (...) Nell'ipotesi in cui, entro il termine previsto [tre giorni lavorativi - N.dr.], il DSM di riferimento dell'assistito non provveda a dare risposta in merito alla proposta di trasferimento dall'area di acuzie a quella di riabilitazione o lungo degenza si applicherà la regola del silenzio-assenso.” E ancora: per la "Area di riabilitazione neuro - psichiatrica" da prestarsi in ambiente ospedaliero, l'Accordo prevedeva che esso fosse "finalizzato al proseguimento delle cure in fase di post-acuzie e cioè al recupero di disabilità psichiatriche che richiedono un trattamento riabilitativo continuativo e non erogabile efficientemente ed efficacemente in regimi alternativi”.

L'invio alle case di Cura ad indirizzo neuro psichiatrico del paziente anche in fase sub acuta (aree “riabilitazione psichiatrica e lungo degenza neuro psichiatrica”) secondo l’accordo impugnato poteva  avvenire - al contrario di quanto previsto per le strutture extra ospedaliere come le Comunità terapeutiche, direttamente e da parte di più soggetti diversi dal Dipartimento di Salute Mentale: “dal DEA (tramite lo psichiatra), dagli SPDC, dalle strutture del DSM, dal medico di medicina generale o per trasferimento dall'area di acuzie della stessa struttura.”; inoltre, non era previsto alcun termine massimo di ricovero, al contrario di quanto accadeva ed accade (ribadito nei Livelli essenziali di Assistenza approvati nel 2017 per tutto il territorio nazionale) per il ricovero psichiatrico in strutture residenziali non ospedaliere.

Per quanto riguardava la “area di lungo degenza neuro-psichiatrica” l’accordo recepito dalla Regione Piemonte prevedeva che “Afferiscono a quest'area pazienti affetti da patologie neuro-psichiatriche, clinicamente stabilizzate, con la finalità di mantenere le autonomie funzionali conseguite, nonché pazienti con progetti di permanenza medio-lunga, finalizzati alla collocazione in situazione abitativa stabile (domicilio, comunità alloggio, RSA, RAF), su richiesta motivata dal DSM, in attesa di attivare posti letto alternativi al ricovero, come previsto dal PSSR 2007-2010.” Inoltre, per fugare dubbi in merito alla inappropriatezza delle prestazioni ospedaliere psichiatriche di cui stiamo parlando (che prevedevano tariffe ben superiori alle cure in ambito extra ospedaliero) l’accordo specificava che era “richiesto un impegno terapeutico caratterizzato da interventi di supporto educativo/assistenziali, finalizzati al mantenimento delle autonomie funzionali conseguite dal soggetto ed alla prevenzione delle possibili ulteriori involuzioni.". 

L’accordo veniva prorogato di anno in anno, fino a che veniva prorogato a tempo indeterminato e trasformato in una sperimentazione per superare l’utilizzo delle case di cura ad indirizzo “neuro psichiatrico”. FENASCOP provvedeva sotto vari profili di diritto, ad impugnare tutti provvedimenti successivi con motivi aggiunti.
 

LA SENTENZA DI PRIMO GRADO.

Il Tribunale Amministrativo per il Piemonte,  - II Sezione - a cinque anni di distanza dalla proposizione del ricorso, con Sentenza N. 750 del 22 maggio 2013, R.R. 899/08, depositata il 14 giugno 2013 lo respingeva, accogliendo in sostanza le difese dell’amministrazione regionale e delle associazioni di categorie delle strutture ospedaliere, rigettava tutti  motivi di impugnazione. Interessante riportare qui diverse affermazioni erronee (evidenziazioni in grassetto tutte nostre).

1. Afferma infatti ad esempio la Sentenza del TAR: "Sotto altro profilo, poi, il vigente Progetto Obiettivo "Tutela salute mentale 1998-2000", di cui al D.P.R. 10 novembre 1999, prevede comunque l'esistenza di un'organizzazione ospedaliera per il trattamento di patologie neuro psichiatriche, come emerge dalla previsione, all'interno del Dipartimento di Salute Mentale (DSM), dell'apposito Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) il quale è espressamente definito come "servizio ospedaliero dove vengono attuati trattamenti psichiatrici volontari ed obbligatori in condizioni di ricovero", e viene "ubicato nel contesto di Aziende ospedaliere, o di presidi ospedalieri di Aziende U.S.L., o di policlinici universitari". Il modello organizzativo che fa capo al DSM, pertanto, prevede espressamente l'esistenza di centri ospedalieri per la cura dei pazienti psichiatrici, anche per specifiche disabilità da trattare a livello riabilitativo.

Un primo evidente errore è quello di affermare che il Progetto obiettivo citato prevede l'esistenza di una asserita "organizzazione ospedaliera per il trattamento di patologie neuro psichiatriche": come risulta dalla stessa citazione letterale del suddetto Progetto Obiettivo nella Sentenza impugnata, al contrario, nel provvedimento si parla di trattamenti ospedalieri per pazienti in fase acuta di tipo "psichiatrico" e non "neuropsichiatrico".

In realtà  come sostenevano nelle proprie difese l’amministrazione regionale e (meno sorprendentemente, dato l’interesse specifico) le organizzazioni di categoria della strutture ospedaliere private, per la Sentenza i termini "psichiatria" e "neuropsichiatria" sono indifferenti ed anzi sinonimi (in quanto indicano strutture che ricoverano pazienti neurologici e psichiatrici); ma ciò è errato, come sostenuto nei ricorsi di FENASCOP, e persino in violazione di Legge. In particolare, della Legge 29 aprile 1976, n. 238 e s.m.i. "Modifica della tabella XVIII allegata al regio decreto 30 settembre 1938,  n.1652, per la configurazione autonoma dell'insegnamento della psichiatria e della neurologia. (G.U. 15 maggio 1976, n. 128)" che ha sancito la totale autonomia della psichiatria dalla neurologia, entrambe quindi ora discipline autonome della scienza medica e distinte materie del corso di laurea in Medicina, con distinte scuole di specializzazione, distinti reparti ospedalieri e distinti dipartimenti dei servizi territoriali delle ASL.

Non esiste infatti in Italia, da decenni, alcun corso di laurea di specialità "neuro psichiatrica" o l'insegnamento nel corso di Laurea in Medicina di "neuropsichiatria", ma solo le materie di insegnamento nel corso di Medicina e Chirurgia e le corrispondenti Specializzazioni in "Psichiatria", in "Neurologia", oltre che in "Neuropsichiatria infantile": quest'ultima riguarda, a differenza della Neurologia, anche le patologie psichiatriche perché nei bambini e nei ragazzi le patologie psichiatriche sono ovviamente trattate in chiave evolutiva e quindi, a differenza degli adulti, anche relativamente allo sviluppo del sistema nervoso in senso più propriamente anatomico e neurologico, oltre che appunto psichiatrico.

2. Al contrario di quanto afferma la Sentenza, le case di Cura "neuro psichiatriche" sono quindi solo un residuo del passato (manicomiale) della terapia psichiatrica, che sopravvive - ma non quanto alla cura psichiatrica, se non al limite in caso di urgenza e come integrazione del servizio di SPDC presso il Dipartimento di Salute Mentale - in poche pieghe dell'ordinamento nazionale e regionale italiano, tra le quali la normativa in tema di standard strutturali richiesti per le case di cura private. Il D.M. 5 agosto 1977 "Determinazione dei requisiti tecnici sulle case di cura private" infatti, (precedente alla L. 180/78, c.d. Legge Basaglia), all'epoca ancora esistenti i Manicomi, prevedeva le case di cura neuropsichiatriche che però, secondo l'art. 37 del D.M. suddetto, per ricoverare i pazienti psichiatrici "devono essere anche in possesso dell'autorizzazione e dei requisiti previsti dalla vigente legislazione". I pazienti psichiatrici sono indicati nell'art. 37 del D.M. come quelli "che rientrano nell'art. 1 della legge 14 febbraio 1904, n. 36 e nell'art. 4 della legge 18 marzo 1968, n. 431", ovvero rispettivamente la Legge in tema di "Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati" e relativamente "Provvidenze per l'assistenza psichiatrica"; quest'ultima come noto, senza abolire i Manicomi, ne aveva però riformato alcuni aspetti.

Questi due riferimenti normativi riguardavano quindi solo i pazienti "ristretti" nei manicomi, ma entrambe tali Leggi del 1904 e del 1968 sono state abrogate e sostituite dalla Legge 833/78 istituiva del S.S.N, dalla L. 180/78 e dagli altri provvedimenti successivi certamente più coerenti con il dettato Costituzionale. La Sentenza impugnata confonde pertanto erroneamente "neuropsichiatria", termine che non ha più senso a livello scientifico e medico, e nemmeno normativo, "neurologia" e "psichiatria", affermando infatti che "La differente terminologia utilizzata (pur se spesso oggetto di confusione nelle stesse fonti normative, anche tra quelle regionali prima citate) non è priva di risvolti concreti, essendo notorio che una cosa è la scienza della "psichiatria" (che si occupa delle malattie funzionali del cervello, come la depressione, il panico, la schizofrenia, ecc.), e un'altra cosa è la scienza della "neuro-psichiatria" (che si occupa delle malattie organiche del sistema nervoso, quali la sclerosi multipla, l'ictus cerebrale, il morbo di Alzheimer, o quello di Parkinson, ecc.).”. Nella migliore delle ipotesi, il TAR confonde la neurologia con la neuropsichiatria; nella peggiore, confonde la psichiatria con la neuropsichiatria.

3. Altro errore: dalla peraltro incontestata, anche da parte di FENASCOP, coesistenza e complementarietà delle strutture ospedaliere e di quelle extra ospedaliere (oltre che dei servizi territoriali dei DSM) per la cura psichiatrica da parte del Servizio Sanitario Nazionale (la Sentenza, ancora una volta, erroneamente parla però di "patologie neuropsichiatriche"), il Tribunale Amministrativo fa discendere la possibilità che strutture ospedaliere possano rendere anche prestazioni psichiatriche di tipo post - acuto, affermando che: "Il quadro complessivo di risulta, pertanto, lungi dall'essere quello di un assoluto abbandono delle strutture ospedaliere psichiatriche in distorta interpretazione dell'art. 64 della legge n. 833 del 1978 (nonché della legge n. 180 del 1978), è quello di una necessaria complementarietà tra strutture ospedaliere ed extra-ospedaliere nel trattamento delle patologie neuropsichiatriche, nel senso quindi che anche attività di tipo post-acuto, con interventi terapeutici e di assistenza socio - sanitaria mirati per specifiche patologie, ben possono essere ubicati in strutture ospedaliere, pur sempre sotto il coordinamento del DSM e previo collegamento con i presidi extra- ospedalieri". Ma così non è (o perlomeno, potrebbe essere solo per patologie neurologiche trattate in regime di ospedalizzazione, non di competenza del DSM, e non psichiatriche): la novità nell'abolizione dell'istituzione manicomiale nel sistema normativo italiano non è il superamento della cura ospedaliera per la psichiatria (e non la "neuropsichiatria"), ma la sua residualità, perché il ricovero ospedaliero psichiatrico è riservato alla sola cura della fase acuta della malattia (che non possa essere trattata in struttura extra ospedaliera); le altre fasi della malattia, subacute, sono riservate invece dalla Legge alle strutture extra ospedaliere e/o ai servizi territoriali del Dipartimento di Salute Mentale, proprio come condivisibilmente afferma (ma giungendo tuttavia a conclusioni opposte ed errate) la Sentenza del TAR: "In realtà, la ratio delle invocate leggi del 1978, lungi dall'essere stata quella di eradicare i servizi ospedalieri per tutti i pazienti affetti da patologie psichiatriche (o neuro-psichiatriche), era diretta a privilegiare il momento preventivo nella cura delle malattie e ad "eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione pur nella specificità delle misure terapeutiche" in modo da "favorire il recupero ed il reinserimento sociale dei disturbati psichici" (art. 2, comma 2, lett. g, della legge n. 833 del 1978)."

4. Ma allora, come la mettiamo con l'art. 64 della L. 833/78 (che il TAR non considera violato dai provvedimenti impugnati) e la L. 13-5-1978 n. 180 (c.d. "Legge Basaglia") dove prevede non solo che "È in ogni caso vietato costruire nuovi ospedali psichiatrici, utilizzare quelli attualmente esistenti come divisioni specialistiche psichiatriche di ospedali generali" e quindi riaprire manicomi o trasformarli in divisioni psichiatriche di altri ospedali, ma che è altresì vietato anche "istituire negli ospedali generali divisioni o sezioni psichiatriche e utilizzare come tali divisioni o sezioni psichiatriche o sezioni neurologiche o neuro-psichiatriche": se tale divieto valeva nel 1978 per le strutture pubbliche e per quelle convenzionate (al tempo, in vigenza dell'impostazione "custodialista", il ricovero dei pazienti psichiatrici, per meglio dire "alienati" secondo la definizione legislativa corrente, era solo in manicomio, ovvero ospedale psichiatrico pubblico o privato convenzionato, oppure in Casa di Cura "neuropsichiatriche" a ciò autorizzate)  a maggior ragione il divieto valeva e vale ancora anche per le strutture private accreditate ai sensi dell'art. 8 e ss. D. Lgs 502/92.  In caso contrario,  ne conseguirebbe per assurdo che le Case di cura ad indirizzo neuropsichiatrico accreditate o convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale / Regionale possano fare ciò che è vietato dalla Legge alle strutture direttamente gestite dal Servizio Sanitario Regionale e Nazionale.

5. Ovviamente il ricorso e la Sentenza sono alquanto complessi dal punto di vista tecnico e difficili da sintetizzare, ma riassumendo in poche parole semplici, il ricorso di FENASCOP sosteneva che oggi il ricovero ospedaliero è consentito solo ed esclusivamente in via residuale e per la fase acuta della malattia psichiatrica. Affermare il contrario non significa solo svalutare tutto il sistema dell’assistenza psichiatrica territoriale, residenziale e semi residenziale: significa asserire una violazione di Legge; e che i pazienti ricoverati nelle case di cura neuro psichiatriche avrebbero dovuto percorrere la strada della riabilitazione extra ospedaliera.

Ma questo è ciò che afferma il TAR Piemonte: “Sotto altro profilo, poi, il vigente Progetto Obiettivo "Tutela salute mentale 1998-2000", di cui al d.P.R. 10 novembre 1999, prevede comunque l'esistenza di un'organizzazione ospedaliera per il trattamento di patologie neuro psichiatriche, come emerge dalla previsione, all'interno del Dipartimento di Salute Mentale (DSM), dell'apposito Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) il quale è espressamente definito come "servizio ospedaliero dove vengono attuati trattamenti psichiatrici volontari ed obbligatori in condizioni di ricovero", e viene "ubicato nel contesto di Aziende ospedaliere, o di presidi ospedalieri di Aziende U.S.L., o di policlinici universitari". Il modello organizzativo che fa capo al DSM, pertanto, prevede espressamente l'esistenza di centri ospedalieri per la cura dei pazienti psichiatrici, anche per specifiche disabilità da trattare a livello riabilitativo." Insomma, Gli SPDPC e le Case di Cura Neuropsichiatriche non solo secondo il TAR coincidono, ma addirittura offrono riabilitazione di lungo periodo al loro interno ai pazienti psichiatrici. Laddove, per ironia, la psichiatria (e la L. 180) per chiudere la stagione manicomiale ha portato i pazienti fuori dagli ospedali prima di ogni altra disciplina medica.

 

La SENTENZA DI SECONDO GRADO.

 

La decisione del Consiglio di Stato (Sez. III -  N. 411 del 22.1.2018) a seguito dell’appello proposto da FENASCOP arriva oggi, a dieci anni di distanza dal primo provvedimento della Regione Piemonte impugnato e a cinque dall’appello proposto da FENASCOP.

Nel frattempo, parecchie cose sono accadute: innanzitutto la Regione Piemonte, dopo la proposizione dell’appello ha rivisitato tutta la organizzazione dell’Assistenza psichiatrica, per alcuni aspetti anche discutibili ed infatti attualmente sub judice; ma soprattutto ha quasi completamente abrogato e rivisitato la normativa relativa alle case di cura neuropsichiatriche, prevedendone la trasformazione in strutture psichiatriche extra ospedaliere con una serie di provvedimenti di cui l’ultimo (ma, come direbbero gli anglofoni, last but not least) addirittura poche settimane prima dell’udienza di discussione.

La Sentenza quindi dichiara l’appello proposto da Fenascop “improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, con conseguente conferma della sentenza impugnata”: in breve, vale a dire che quando finalmente il Giudice decide, i provvedimenti impugnati non sono ormai più vigentie quindi non può decidere nel merito laSentenza portata alla sua attenzione. Per motivare una tale decisione, potrebbero bastare poche righe, o almeno pagine, ed invece il Collegio spende ben 22 pagine, che spiegano - tra le righe  - che forse la Sentenza di primo grado, per quanto confermata, non era proprio così corretta. E le lasciano a futura memoria affermando -  implicitamente - che i manicomi non possono tornare e che la malattia mentale non si cura in strutture ospedaliere se non nei casi previsti dalla Legge.

Infatti, la sopravvenuta carenza di interesse per la Corte  è desumibile “dalla complessiva evoluzione del quadro normativo nazionale e regionale, nel frattempo intervenuta e di cui, ovviamente, Fenascop è ben consapevole, non solo per gli specifici interessi di categoria che rappresenta, ma anche per le ulteriori e specifiche azioni giudiziarie da essa promosse, anche unitamente a singole strutture rappresentate.”

E citando un’altra e recentissima Sentenza del TAR Piemonte a seguito dell’impugnazione proposta da FENASCOP ed altri ricorrenti, continua: “il capo 2 della successiva esposizione in diritto della sentenza ripercorre le tappe fondamentali del percorso avviato con la legge 13 marzo 1978, n. 180 (c.d. “legge Basaglia”, (…), percorso che, nella Regione Piemonte, registra una cesura significativa - rispetto al quadro precedente governato dai provvedimenti di cui qui si controverte (…)

VIII.2. Ebbene, secondo quanto risulta dalla premessa al citato accordo 17 ottobre 2013, il menzionato Piano Nazionale di Azioni per la Salute Mentale (PANSM), “prevede, tra i propri obiettivi, di affrontare la tematica della residenzialità psichiatrica, proponendo specifiche azioni mirate a differenziare l’offerta di residenzialità per livelli di intensità riabilitativa e assistenziale al fine di migliorare i trattamenti e ridurre le disomogeneità”.

Mentre, sempre secondo la premessa, in attuazione dell’obiettivo di cui sopra” il documento approvato dalla Conferenza unificata il 17 ottobre 2013 “si propone di fornire indirizzi omogenei nell’intero territorio nazionale, mirati a promuovere, all’interno del sistema di offerta dei Dipartimenti di Salute Mentale, una residenzialità funzionale ai percorsi individualizzati e strutturata sia per intensità di trattamento (dal trattamento intensivo al sostegno socio riabilitativo), sia per programmi e tipologie di intervento correlati alla patologia ed alla complessità dei bisogni.”

Per quanto concerne la tipologia delle strutture residenziali psichiatriche, al successivo par. 4 essa “viene distinta sia per il livello di intervento terapeutico- riabilitativo, correlato al livello della compromissione di funzioni e abilità del paziente (e alla sua trattabilità), sia per il livello di intensità assistenziale offerto, correlato al grado di autonomia complessivo” e si individuano tre fondamentali tipologie di struttura residenziale, e cioè:

• Struttura residenziale psichiatrica per trattamenti terapeutico riabilitativi a

carattere intensivo (SRP1);

• Struttura residenziale psichiatrica per trattamenti terapeutico riabilitativi a carattere estensivo (SRP2);

• Struttura residenziale psichiatrica per interventi socio riabilitativi, con differenti livelli di intensità assistenziale (SRP3).

Queste sono le tipologie a cui le Regioni e le Province Autonome “devono fare riferimento nel caso in cui decidano di riconvertire Case di Cura Psichiatriche in strutture residenziali psichiatriche a differente livello di intensità di cura”.

In sostanza, la cura psichiatrica passa per la residenzialità (extra ospedaliere) e non perle case di Cura Psichatriche ( o neuro psichiatriche), le quali, se vogliono continuare ad operare in ambito psichiatrico, debbono essere riconvertite in strutture extra ospedaliere. Anche perchè la Corte così prosegue: “X. Ciò posto, la ricostruzione storico-normativa delineata al precedente capo VIII offre al Collegio anche l’opportunità di svolgere un’ultima considerazione di carattere per così dire meta-giuridico e che non costituisce un’impropria digressione rispetto alla delibazione che è esso chiamato a compiere, atteso che - nel sottoporre la materia del contendere al Giudice dell’appello - Fenascop ha fatto proprio del retroterra culturale sotteso alle doglianze svolte (e cioè dell’imperativo di abbandonare la “manicomializzazione” e l’istituzionalizzazione delle cure psichiatriche) un leit motiv delle stesse.

Ebbene, fermo restando che tale imperativo rappresenta la finalità della riforma avviata dalla legge 180 del 1978, è del pari evidente che essa ha messo in moto un processo complesso, non facile né breve, volto al perseguimento di tale obiettivo: un processo necessariamente graduale di passaggio dal precedente sistema imperniato su strutture ospedaliere al nuovo modello assistenziale integrato e diffuso anche sul territorio.

Non è un caso che sia la DGR 6 luglio 2015 sia la DGR 3 agosto 2017, sottolineino la prima (al dispositivo) l’esigenza di prevedere - nei casi di riconversione di strutture psichiatriche per acuzie in strutture psichiatriche di post acuzie e/o in strutture territoriali - la dismissione graduale delle relative attività; e, l’altra, l’altrettanto graduale riqualificazione dei posti letto per attività (tra le altre) di lungodegenza e riabilitazione psichiatrica (punti 13 e 25 del dispositivo).

XI. E ritornando sul terreno più propriamente giuridico, quello che rileva in punto di legittimità dei provvedimenti adottati dalle competenti autorità sanitarie è che questi siano coerenti con l’obiettivo (finale) posto dalla legge 180 del 1978 e dunque segnino le tappe di un progressivo avvicinamento allo stesso, mentre i tempi più o meno lunghi di questo processo non possono ridondare ex se in vizi degli stessi provvedimenti.

Da questo punto di vista, la “tensione” verso il superamento del sistema di istituzionalizzazione in psichiatria è ravvisabile in Regione Piemonte, nella quale - secondo i dati contenuti nella memoria di replica 2.11.2017 della stessa difesa regionale - il numero totale di ricoveri per attività psichiatrica in strutture private accreditate risulta in progressivo calo negli ultimi anni, essendo passato dai quasi 7.500 del 2014 ai 6.500 del 2015 ai 5.570 del 2016 e ai quasi 3200 dei primi sette mesi del 2017.

Nel loro complesso, tali dati statistici soddisfano anche, ad avviso del Collegio, le esigenze istruttorie che stavano alla base dell’apposita istanza da ultimo avanzata da Fenascop nella memoria 20.10.2017, in quanto forniscono un sufficiente ordine di grandezza dell’andamento del processo, anche se non così dettagliato (quanto a codici di ricovero, diagnosi dei pazienti e giornate di degenza) come richiesto da Fenascop.

 

CONCLUSIONI

 

Per quanto quindi l’appello non sia stato accolto, è palese che ciò non potesse accadere secondo il Consiglio di Stato in primo luogo a causa degli atti e provvedimenti successivi della Regione Piemonte alla Sentenza del TAR Piemonte e dell’appello ad essa che sono andati nel senso chiesto dall’impugnazione di FENASCOP ed addirittura in senso opposto a quanto affermato in primo grado dal TAR Piemonte, per il quale il ricovero di pazienti psichiatrici post acuti ed addirittura lungodegenti nelle case di cura ad indirizzo neuro Psichiatrico era perfettamente legittimo.

Ma ancor più importante è l’affermazione giudiziale che la tensione verso il superamento della istituzionalizzazione in psichiatria deve esserci, e dalla sua presenza, o assenza, debba ricavarsi la legittimità, o la illegittimità, degli atti in materia di assistenza psichiatrica.

Anche il rigetto di un appello per motivi di procedura, appunto la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione da parte dell’appellante, insomma, rappresenta comunque l’affermazione che la cura psichiatrica solo in via residuale ed eccezionale può passare per il ricovero ospedaliero e dimostra che la battaglia non solo meritava, ma doveva essere intrapresa. Per le strutture extraospedaliere, come per i pazienti psichiatrici e gli operatori della Salute Mentale. E allora possiamo chiederci: il manicomio è un residuo del passato ? 

* le decisioni non sono tutte al momento rintracciabili in rete, ma avendo patrocinato in entrambi i gradi la causa quale difensore, sono a disposizione per chiunque fosse interessato, basta lasciare un commento al presente articolo ed indicare il proprio indirizzo e - mail.

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