PREFAZIONE A "Dal libro al divano - Autobiografia di una psicoanalisi Saggio-conversazione con Giovanni Sias"

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18 gennaio, 2019 - 09:31
Autore: Doriano Fasoli
Editore: ALPES Roma
Anno: 2018
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Avvicinarsi a questa “storia di una psicoanalisi” prevedendo che l’in­contro con il sunto della carriera di uno psicoanalista, possa offrire una succosa satura di ritratti, bilanci critici, prese di posizione, aneddoti, oltre a stimolanti riepiloghi o anticipazioni della elaborazione teorica dell’autore, costituisce aspettativa legittima. A maggior ragione quando si abbia notizia di Giovanni Sias come di analista di vasta quanto atipica esperienza nonché propenso, per un verso a non sfuggire al confronto con le occasioni offerte nella sua articolata configurazione dal panorama delle declinazioni italiane della pratica analitica, per un altro a muovere con particolare convinzione i propri passi in territori dove una netta linea divisoria tra psicoanalisi e altre dimensioni del lavoro intellettuale si rende non facilmente reperibile, sempre associando all’attenzione e alla disponibilità al contatto una costante fedeltà all’irriducibile singolarità del proprio itinerario. Che tale attesa non vada delusa non la rende però il viatico più congeniale alle ragioni e alle prestazioni più essenziali di questo libro.
L’evento della psicoanalisi tende a proiettarsi sui piani della storia cul­turale, in parte segnalando lo scarto implicante conseguenze discriminanti per la forma del pensiero che in essa si viene a produrre, in parte rischiando di disporsi, accanto a scuole filosofiche o scientifico-sociali, ideologie, mo­vimenti artistici, nella nicchia dove l’indebolimento della domanda circa la sua ragione, ovvero circa la sua necessità, si sposa con la richiesta che le istituzioni in genere le rivolgono, quella di identificarsi definendo un pro­prio distinto oggetto, possibilmente leggibile con le categorie ordinaria­mente al lavoro nella medicina e nella psicologia. Il gesto etico ed epistemologico a un tempo che apre il campo dell’analisi tende a mostrarsi più efficacemente quando esso viene a configurarsi dove il movimento che le è proprio si genera nel concreto di una messa in questione che scuote i presupposti, nella relazione clinica come in quella tra la psicoanalisi e la fi­
Dal libro al divano
losofia o le arti, dove il rapporto si rende significativo quanto più si rivela necessario, rispondente cioè ad un’esigenza profonda che in esso vede la possibilità di aprire in relazione all’uno e all’altro dei suoi termini una que­stione radicale che solo per questo tramite si può proporre.
Il percorso attraverso la psicoanalisi che Sias mette in scena curva reite­ratamente il proprio tracciato alla ricerca di un luogo in cui si faccia il vuoto delle presupposizioni, delle identificazioni rigide, delle categorie reificanti. Il racconto dell’impatto con i nomi propri il cui effetto tende a coincidere con l’immagine meno depotenziata dell’analisi, come quello con le figure nel palcoscenico italiano, significative per la sperimentazione della proposta teorica e per l’esempio pratico, o la ricostruzione del formarsi di un proprio patrimonio di consapevolezze e di stili, divengono ripetutamente l’occasione per riattivare e far emergere nella scrittura la scoperta analitica in quei suoi movimenti essenziali che hanno bisogno di essere originalmente agiti più ancora che di venire richiamati dai sedimenti del deposito dottrinale. La nar­razione diviene quindi l’ambiente in cui possono addensarsi e strutturarsi i nuclei di un esercizio teorico che (non senza una palese consentaneità con luoghi del pensiero che, da Nietzsche a Ortega y Gasset, hanno mostrato come al cuore della teoresi si dia quella pratica che riscatta il presente del desiderio che sorregge lo slancio della filosofia come della poesia dall’este­nuazione cui lo condannerebbe il cedere su se stesso, simulando – verrebbe da dire giocando sui fondamentali lacaniani – l’avvenuta iscrizione del reale in quei registri che si definiscono a partire dal suo incessante sottrarvisi), si scopre psicoanalisi proprio perché estingue la presupposizione dell’oggetto da indagare (come del paziente, cui offrire l’equivoco dell’analisi come psi­coterapia) nel moto soggettivante dell’invenzione.
Il sottrarsi alla “formattazione” istituzionale-professionale come psi­coterapeuta, il muoversi nello spazio della pratica estetica o dell’attraversa­mento di incroci sentiti come inaggirabili tra tradizione ebraica e snodi decisivi del Geist europeo – sino a traguardare la parabola della scoperta freudiane e dei suoi effetti nell’arco che va da Edipo a Mosè –, non come
Prefazione
ricognizione dei rapporti tra un distinto e consolidato ambito analitico e “altro” altrettanto circoscritto e codificato, ma come la modalità che più ricongiunge l’esercizio analitico al suo effettivo principio, sono tratti essen­ziali di questa sorta di ecce homo, severo quanto non corrucciato e schietta­mente accogliente (perché la psicoanalisi, dopo tutto, attraversa e riconosce la tragedia ma non vi si arresta, non convalida la sua assolutezza riaprendo
– gesto, anche questo, profondamente “ebraico” – alla vita, aldilà di qual­siasi svelamento di palinsesti provvidenziali o di teleologie che garantiscano conclusioni armoniose in origini finalmente ricomposte).
Per questo, come già si è accennato, i vari registri che potrebbero venire distinti nel testo, quello del Bildungsroman autobiografico, quello delle con­siderazioni e dei giudizi relativi alle dramatis personae, della psicoanalisi italiana e quello del posizionamento della prospettiva dell’autore rispetto all’analisi come impresa intellettuale e quindi alle sue elaborazioni teoriche, sono come calamitati da un’urgenza fondamentale, nella quale ci sembra di poter ravvisare la motivazione decisiva nella genesi di questo libro, quella di far emergere quello che potremmo chiamare l’operante non fraintendimento della scoperta dell’inconscio. Seguire lo sviluppo che nel capitolo IV prende, nel quadro della esposizione dell’irrequieta – e mai pregiudizialmente “cre­dente” – assunzione discriminante dell’effetto di Lacan, l’approfondimento della nozione di inconscio, sino all’adesione alla formula blanchotiana avan­zata nell’Entretien infini, l’immediato, incatturabile dalla messa in forma dia­lettica e incalcolabile (così comunicante con il profilo più esigente dell’asse Agostino – Meister Eckhart, come intrinsecamente inseparabile dalle ra­gioni che vogliono così centrale nella langue filosofica novecentesca della Francia il modus bergsoniano), significa seguire la nervatura di un movi­mento che non è altro da quello che ritroviamo quando il nostro autore reagisce a quelli che avverte come ripiegamenti rischiosi o transazioni al ri­basso nell’insegnamento dei mostri sacri o nelle vicissitudini dell’etica del-l’analisi nel panorama dei comportamenti degli analisti e nel consolidarsi delle ortodossie di scuola. Qualcosa che si origina in un costante quesito
Dal libro al divano
circa – per parafrasare la ben nota Inattuale nicciana – l’“utilità e il danno” per la ragion d’essere della psicoanalisi degli episodi in cui si snoda la vi­cenda del suo arrischiarsi storico. Esso è a sua volta il riverbero di quel ri­nascere ex novo dell’analisi in ogni suo effettivo accadere, che rende così insaturabile la sua assenza là dove si tenti di supplirvi con lo scialo cospicuo delle penne di pavone della fraseologia analitica e che impone a chi agisca nell’ambito dell’analisi, anche per nulla propenso alla formalizzazione teo­rica, di vivere come elemento essenziale del suo autorizzarsi ad operarvi, l’accettare di assumersi il ruolo di fondatore della teoria psicanalitica. Lo stesso procedere dell’impresa analitica per successive rifondazioni, scismi, restaurazioni e rinascite riflette, non sempre felicemente ma con indubbia sintomaticità questa evidenza.
Non stupirà allora che sin dalle prime pagine che traggono spunto dal-l’avvio della formazione culturale dell’autore risulti evidente un’attenzione al riflettersi del contenuto della narrazione nel prisma delle urgenze di un presente di cui si vorrebbe, nonostante quanto inviterebbe all’accordo ras­segnato con rodate riproposte del paradigma nichilista, espandere l’apertura aldilà della presa omologante della tendenza.
In particolare crediamo non dovrebbe sfuggire al lettore la coerenza che lega il complessivo discorso svolto nel testo con l’intuizione di un possibile modo di concepire il lavoro dell’analisi nel quale l’interazione delle pratiche e la singolarità delle esperienze si sostengano a vicenda, dando consistenza a un campo di vitalità intellettuale in cui l’analisi non si separi dalle questioni che il nostro costituirci nel linguaggio nella contingenza del presente le pro­pone come suo paradossale posto in altro.
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