RECENSIONE SAGGIO " Inconscio non rimosso. Riflessioni per una nuova prassi clinica"

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28 gennaio, 2019 - 12:22
Autore: GIUSEPPE CRAPARO
Editore: Franco Angeli
Anno: 2018
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“Inconscio non rimosso, riflessioni per una nuova prassi clinica” è l’ultima fatica letteraria scritta dallo psicoanalista Giuseppe Craparo. Un libro ricco di spunti, riflessioni e importanti strumenti di lavoro, utili per quanti si accingono nella prassi clinica. L’autore, con la sua opera, fornisce un contributo fondamentale alla comunità psicoanalitica postmoderna, e senza ricorrere a nessuna forma di trinceramento dogmatico, riesce a navigare in mare aperto toccando diversi punti di vista teorici, e lasciando così ai lettori, la possibilità di “farsi leggere” dal libro, come direbbe Recalcati. Rileggendo nel titolo la parola “prassi” mi viene subito in mente una libera associazione, e ritengo quindi che ogni atto di pensiero è uno sforzo, cioè un lavoro nuovo, e Craparo, con le sue “riflessioni per una nuova prassi clinica” riesce ad organizzare quell’elemento pratico indispensabile per la sua applicazione. In questo libro, per dirla alla Resnik, l’autore con un’estrema puntigliosità e precisione, esegue un elettroencefalogramma e una radiografia dell’inconscio.
Attraverso una riflessione neuroscientifica, in linea con autori quali Joseph LeDoux, Allan Shore, Mark Solms, François Ansermet e Pierre Magistretti, Craparo mette in risalto la natura affettiva dell’inconscio, individuando nell’emisfero sinistro l’inconscio rimosso, e nell’emisfero destro quello non rimosso. Il lettore si troverà in mano una vera e propria bussola psicoanalitica, utile per percorre le strade tortuose dell’inconscio nella pratica clinica. Nel libro viene rilevata l’importanza di un ritorno a Pierre Janet, come un’opportunità per una più adeguata comprensione delle psicopatologie a base dissociativa, infatti, secondo l’autore, le interessanti considerazioni janettiane sulla dissociazione strutturale (disaggregazione), possono trovare utilità, sia nella pratica clinica sia nella formulazione teorica sugli stress traumatici. Craparo edifica il suo impianto teorico e clinico basandolo sugli inconsci (rimosso e non rimosso), e puntualizza il ruolo fondamentale della rimozione nell’inconscio rimosso in rapporto alla vergogna originaria edipica rimossa. Un inconscio rimosso che ha natura socio-relazionale e simbolica-verbale, e che, secondo l’autore, rimanda alla dimensione soggettivo-fenomenologica della realtà psichica.



Per quanto riguarda invece l’inconscio non rimosso, Craparo, partendo da Freud, che sottolineava già l’importanza di estendere l’inconscio a una parte dell’apparato psichico, più primitiva dell’inconscio dinamico, in relazione con l’esperienza sensoriale associata alla percezione della realtà esterna. Concepisce l’inconscio non rimosso, come affettivo, pre-verbale, pre-riflessivo e in rapporto con la rimozione. Quest’ ultimo punto però, come sostiene l’autore stesso, potrebbe essere contraddittorio, infatti, tanti studiosi quali Mauro Mancia, sostengono che le esperienze precoci non possono essere rimosse poiché le strutture stesse della rimozione, che sarebbero quelle della memoria esplicita non sono ancora mature, rimanendo così nella memoria implicita continuando a operare traumaticamente durante l’arco dell’intera vita. E a proposito della rimozione in rapporto al non rimosso, secondo me emerge la propensione freudiana dell’autore, infatti, come scritto già in precedenza, e che inoltre, il concetto d’inconscio è strettamente legato a quello di rimozione, lo stesso Freud, introducendo il concetto di pulsione, determina un passaggio dalla centralità della rappresentazione a quella del moto pulsionale, ed è qui, che, a mio modo di vedere, Craparo fonda la sua prospettiva teorica seguendo quanto sosteneva Freud, in altre parole, che anche una parte dell’Io è inconscia, e la rimozione stessa, viene definita come difesa primaria e/o originaria e che costituisce l’inconscio stesso. Mi vorrei anche riagganciare a quanto scrivevo pocanzi sulla vergogna originaria, e rapportandola al non rimosso, si potrebbe spiegare la vulnerabilità alla vergogna di soggetti appartenenti a quelle  strutture di personalità con un inconscio non rimosso alterato. O per dirla in termini kleniani, la vulnerabilità alla vergogna e non al senso di colpa, che investe anche la posizione schizo-paranoide.
Dopo questa breve disamina, vorrei adesso osservare un altro aspetto, utilizzando un Significante caro a Craparo, infatti, penso che questo libro parla di psicoanalisi, attraverso la lingua e/o lalangue dell’inconscio (rimosso e non rimosso), un inconscio che non si esprime mai da solo ma attraverso la mediazione del corpo: bilogico, inteso come organismo; affettivo, chiamato usualmente soma, ovvero un corpo investito e percepito emotivamente; e simbolico, inteso come corpo in rapporto con il linguaggio e con la parola, capace di dire al soggetto, corpo mentalizzato, soggettivato, singolarizzato, capace di comunicare aspetti intimi della persona. Un corpo che nella società attuale o in alcune forme di psicopatologie gravi, viene percepito come corpo estraneo, frammentato e disgregato, caratterizzato dalla pulsione di morte. L’autore afferma che l’inconscio non rimosso è un inconscio corporeo, dove le informazioni percepite vengono tradotte in immagini sensoriali: fantasie primarie inconsce, e in determinati casi di alterazione degli inconsci, si assiste a una impossibilità di accesso al corpo simbolico.
E dalla dimensione corporea dell’inconscio arriviamo adesso alla dimensione onirica, dove parafrasando Freud, “il sogno non è il perturbatore del sonno, bensì il custode del sonno, ciò che elimina le perturbazioni del sonno”, e leggendo questo intravedo un punto di convergenza con quanto scrive Craparo in questo capitolo a proposito di regolazione onirica degli affetti come <<processo di traduzione delle memorie sensoriali in immagini oniriche al fine di mantenere, entro i confini della finestra di tolleranza, l’intensità dei vissuti emotivi, con chiari effetti positivi sulla possibilità per il corpo di trattenersi nello stato di sonno>> (pag. 98). Sostenendo che a svolgere tale funzione di traduzione sia l’inconscio non rimosso, seguendo un percorso top-down (di raffigurabilità) nel sogno nevrotico, e un percorso bottom-up nel sogno psicotico.   
Vediamo adesso come gli inconsci intervengono nelle strutture di personalità (nevrotica, borderline e psicotica), dove in linea con de Masi, potremmo dire che, il funzionamento non armonico dell’inconscio dinamico è correlato con le nevrosi, mentre l’alterazione dell’inconscio non rimosso è correlata alle strutture borderline e psicotiche. Nello specifico la struttura borderline si caratterizza dall’inconscio (rimosso e non rimosso) disaggregato e da difese dissociative; la struttura psicotica si caratterizza dall’inconscio (rimosso e non rimosso) non integrato e da un ritiro psichico; nella struttura nevrotica dall’inconscio (rimosso e non rimosso) integrato e dal meccanismo difensivo della rimozione. Per concludere, l’autore ribadisce che il lavoro clinico dovrebbe essere focalizzato sulla co-costruzione degli inconsci per i pazienti gravi, mentre nel caso delle nevrosi si dovrebbe procedere verso l’elaborazione consapevole di contenuti rimossi. Un processo articolato, dove nel trattamento dei pazienti difficili, l’inconscio non rimosso del paziente comunica con il non rimosso del terapeuta, attraverso una sintonizzazione capace elaborare vissuti traumatici, e di creare uno spazio relazionale e trasformativo. Nelle strutture nevrotiche il sintomo-simbolo rimanda ad altro, è metaforico e metonimico, va dunque interrogato al fine di aiutare il paziente a prendere consapevolezza dei loro moti interni. Nella parte finale del libro una postfazione di Franco De Masi a fare da sigillo all’opera, secondo cui il metodo psicoanalitico si avvale delle funzioni emotivo-intuitive inconsapevoli della psiche, che permettono l’osservazione dei processi mentali ed emotivi. Spero che quanto scritto sia riuscito a rispettare quel punto di opacità, e lasciare così al lettore, il piacere di addentrarsi con la propria soggettività nella lettura del non-detto.

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