SHOAH E SOCIETA' DELLO SPETTACOLO

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30 settembre, 2019 - 10:19
Che tipo di rapporto sta indicando Giovanni Stanghellini, nel suo articolo "Recensione a "CHIARA FERRAGNI - UNPOSTED" quando mette l'una accanto all'altra, con una radicalità che ha qualcosa di brutale, la Shoah e la società dello spettacolo?
 
Sbaglierebbe chi pensasse che si tratta di un confronto tra due fatti situati sullo stesso piano, che per comodità potremmo definire il piano degli eventi storici. Ne verrebbe un confronto di quantità: quanti milioni di morti in un caso (sei milioni, per chi non lo ricordasse), quanti nell’altro (e qui non so se esistono dati utilizzabili in questo senso, tanto meno se sia in questa direzione che Stanghellini sta suggerendo di procedere).
 
Il tipo di rapporto che Stanghellini ci consente di interrogare con la sua mossa è di altro ordine. È il rapporto che sussiste tra ciò che chiamerei una condizione di possibilità, e le sue conseguenze empiriche. È il nesso tra ciò che la filosofia chiama tradizionalmente il trascendentale, e quelli che chiama gli effetti empirici del trascendentale. La società dello spettacolo è il trascendentale, o uno dei trascendentali della shoah. È in questa luce, credo, che Stanghellini azzarda la sua diagnosi, secondo cui sarebbe più grave il fenomeno della società dello spettacolo rispetto al fenomeno della Shoah. Una condizione di possibilità del verificarsi di quella catastrofe che è stata la Shoah, certo una condizione di possibilità tra altre, ma rilevantissima, va infatti indicata proprio nell’avvenuta instaurazione, già negli anni Trenta del Novecento, di quell’insieme di dispositivi che decenni dopo abbiamo imparato a chiamare società dello spettacolo.


 
Se, in altri termini, negli anni del Terzo Reich la macchina della società dello spettacolo non fosse stata nel pieno del suo funzionamento, le altre condizioni di possibilità della Shoah, economiche, politiche, sociali, non sarebbero state forse sufficienti a scatenare ciò che sappiamo. Era indispensabile che la macchina dello spettacolo assottigliasse e ridisegnasse preventivamente il confine tra vite sacrificabili e vite insacrificabili, perché il progetto dello sterminio risultasse anche solo formulabile, e poi si mettesse in movimento con tragica efficienza, trovando tanti uomini e donne di buona volontà disposti a farsi zelanti collaboratori. Basti pensare agli studi sul cinema di Leni Riefenstahl, o al capolavoro di un linguista come Viktor Klemperer, LTI. Lingua tertii imperii. Bisognava che qualcuno diventasse sacrificabile, perché fosse poi sacrificato. Si trattava di produrre non un atto, ma la sua potenza. La macchina dello spettacolo era lì per questo.
 
L’altra considerazione sulle cui tracce ci mette Stanghellini è che la macchina dello spettacolo è sempre intrinsecamente totalitaria. Produce effetti di accorpamento immaginario, compatta sistematicamente una popolazione in un popolo. Ma per far questo deve produrre uno scarto, deve delineare un frammento di corpo sociale che si tratterà di espellere da quel corpo per il bene dell'organismo complessivo. In altri termini, la macchina dello spettacolo finisce sempre per indicare una vittima, la cui eliminazione promette di confermare il buon ordine dell'immagine proiettata dallo spettacolo, e la buona salute della massa immaginaria. Immagine e salute, massa e purezza si annodano così in un nodo scorsoio. Decidere quale dei due fatti evocati da Stanghellini sia più inquietante, la shoah o la società dello spettacolo, diventa difficile e forse impossibile. Suppongo sia il bilico inquietante di questa indecidibilità, la mira ultima del suo discorso.
 
Come fatto, diciamo così, è incomparabilmente più devastante la Shoah, come tutti sanno, compreso, evidentemente, Stanghellini. Come condizione di possibilità di un fatto, e anzi di un'intera catena di fatti sempre ancora a venire, la società dello spettacolo non può produrre in noi meno inquietudine. Perché il funzionamento della macchina dello spettacolo rende sempre imminente uno sterminio. La dimensione dello spettacolo rende sempre possibile, anzi in qualche modo necessario, il passaggio all'atto della potenza. Ogni condizione di possibilità è più profondamente una condizione di necessità. 
 
Se lo sterminio oggi imminente, e anzi già ampiamente dispiegato è, ai nostri occhi, poco grave o poco evidente, è perché, appunto, la macchina dello spettacolo sta facendo il suo corso, e lo sta facendo con la consueta efficacia. Oltretutto con l'astuzia supplementare di delocalizzare le vittime, che stavolta non sono solo sul nostro suolo ma sul nostro mare, o in continenti che ipocritamente definiamo lontani e pensiamo in balia di vicende che nulla hanno a che vedere con la nostra storia e con la nostra attualità. Non dimentichiamo, del resto, che anche nel pieno della Shoah, la Shoah era poco evidente ai contemporanei, e che delocalizzare il luogo dello sterminio non era stato neppure necessario, dato che il sonno delle coscienze era già assicurato dalla macchina dello spettacolo. In un certo senso lo sterminio innescato dalla macchina dello spettacolo è sempre uno sterminio delocalizzato. Viene sempre innescato da un'altra scena e si svolge sempre su un’altra scena rispetto a quella che stiamo fissando.

 

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