PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

UMANO NON UMANO: ancora Arcangelo Ghisleri ( e altri) contro Giovanni Bovio

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1 dicembre, 2019 - 09:09
di Luigi Benevelli
Arcangelo Ghisleri, Persico Dosimo (CR) 1855- Bergamo 1938, uomo politico, giornalista, scrittore, polemista, geografo, anticlericale, fra Cattaneo, repubblicanesimo, socialismo, positivismo, lavorò e discusse con Turati, Lombroso, Giovanni Bovio, Leonida Bissolati, Andrea Costa, Napoleone Colajanni, Camillo Prampolini. Si schierò fra gli interventisti nella Prima guerra Mondiale; fu antifascista.
Ghisleri prese posizione duramente contro “l’impresa di Libia” e, in polemica con Giovanni Bovio, (Trani, 1837- Napoli, 1903), “uno dei più audaci e dei più liberi pensatori viventi”, filosofo, repubblicano, deputato del Regno d’Italia dalla XII alla XXI Legislatura (1878-1901), scrisse il pamphlet Le razze umane e il diritto nella questione coloniale, pubblicato a Savona  nel 1888[1].

Nella sua Prolusione a il Diritto Pubblico e le razze umane Giovanni Bovio aveva scritto:
”Qual’è la suità, l’essenza del genere umano? cioè qual’è il carattere, la determinazione che individua questo genere e lo distingue da ogni altro genere e soggetto?  La ragione: l’uomo è un organismo pensante. Organismo è il genere; pensante è l’individuazione, la differenza che lo essenzia e lo fa distinguibile e pensabile”; ”Il pensiero è l’essenza umana”; ”La nazione s’integra nell’umanità, che non avendo realtà, oggi non può avere diritto. Non parlo di tribù selvagge, né di nazioni immobili alle quali manca la coscienza del destino umano, ma parlo di razze intere, le quali sotto la forma che hanno di presente non possono mai conseguire l’interezza umana”; ”Un jus humanum suppone il suo soggetto intero che è l’Uomo”; ”Il carattere generale dell’uomo è la ragione, la quale non assegue il massimo della sua potenza, la sua interezza, se non individuandosi in certe condizioni fisiche oramai dalla scienza universalmente riconosciute. L’apparecchio cerebro-spinale esercita la gran funzione dell’uomo, e sebbene la funzione non sia una secrezione, nondimeno la base del naturalismo non muta; l’organismo si eleva a funzione pensante. Di quindi la quantità  cerebrale, la conformazione, il chimismo, sono condizioni assai considerabili rispetto al più o meno di intensità nella funzione del pensiero. Ne seguita chiaramente che in certe razze il pensiero è impotente a compenetrarsi, non si fa riflessione completa della natura e non si versa nella storia”.
A tali affermazioni Ghisleri così contro argomentò:
“ Anche la sua considerazione della ”quantità cerebrale ecc.” delle varie stirpi ricade non meno sotto il concetto generale di relatività e di evoluzione; la conformazione, il chimismo, la quantità cerebrale, neppure nella razza privilegiata sono modalità o quantità invariabili; ciò che oggi a noi pare una causa fisiologica non è meno una risultante storica. È questa la mia idea fondamentale, in proposito alla questione etnografica, ch’è però suffragata dalle più recenti testimonianze. Il fatto è che molte varietà s’incontrano (anche per le forme del cranio) fin nelle razze più pure (Eschimesi della Groenlandia orientale, Papua); e che l’incivilimento trasforma i crani umani, segnatamente allargandoli nella parte anteriore. Il celebre Broca in un vecchio cimitero dei dintorni di Parigi, del secolo dodicesimo, raccolse moltissimi crani appartenenti ad individui della nobiltà: e, misuratine ben centoventicinque, trovò la capacità cranica media di 1426 cmc. Determinò poi la capacità di altrettanti crani dei medesimi dintorni di Parigi dei tempi attuali, e trovò una media di 1461. Badisi che in questo secondo caso i crani erano stati presi da un cimitero del basso popolo. La capacità cranica crebbe adunque, in poche centinaia d’anni, di 35 cmc., sebbene il confronto sia stato fatto tra la classe alta d’allora e gli strati infimi d’adesso. Notisi che il Broca misurò tale capacità solamente su crani di maschi e della stessa età approssimativa. Come i pensieri modificano le fisonomie, così adunque l’incivilimento – ossia la storia – modifica la stessa anatomia. E chi piglia questa per base de’ suoi postulati, senz’avvertire che essa pure è mutevole, senz’avvertire che i suoi dati odierni non hanno che valore statistico relativo all’oggi – si espone ai più errati giudizi e alle non meno errate conseguenze”.
E ancora: “Gli è come se un fisiologo pigliasse per criterio di ”suità, di essenza” del genere uomo, le modalità fisiche di un uomo adulto: e negasse poi l’essenza umana a tutti i giovani ancora impuberi e agli infanti. O come un naturalista, il quale per determinare l’essenza canina, pigliasse per termine di differenziazione le modalità di un bel cane del San Bernardo e negasse l’essenza, la suità di cani a tutte le altre razze e varietà canine.
Come vi ha trapasso ininterrotto ma lentissimo tra l’imbecillità del feto e la razionalità dell’adolescente, così quei gremii umani non ancora usciti, per dir così, dalla matrice della natura fisica, ci ripresentano ciò che già furono i popoli oggi più sviluppati e più culti. Ma negare la loro ”essenza” umana, perché non mostrano ”il pensiero che si compenetra” perché il loro pensiero ”non si fa riflessione completa della natura e non si versa nella storia” – val quanto negare ai nati delle nostre donne la suità e l’essenza umana perché (mi si perdoni la facezia) non ce li partoriscono bell’e calzati e istruiti, con un bel paio di baffetti in viso e col diploma di dottori in tasca. La suità umana va dunque ammessa nella sua potenzialità in qualsiasi umano ”organismo” senza aspettare che il fastigio della ”scienza” e della ”autocoscienza” la incoroni dei loro tardivi splendori”.
Nella polemica con Bovio Ghisleri si avvalse anche delle argomentazioni di Napoleone Colajanni che parlava nel suo libro Politica coloniale dello “stato di degradante inferiorità in cui erano qualche secolo fa gli Scozzesi, appartenenti alla ”razza migliore”; nel mentre altri Ariani decaddero vertiginosamente e ignominiosamente da un primitivo periodo di splendore, i Persiani; e infine non uscirono ancora dalla primitiva barbarie rappresentanti purissimi della razza privilegiata, ad esempio gli Afgani. E ancora Colajanni, “nella poderosa sua opera La sociologia criminale, discorre lungamente delle razze nei rapporti colla moralità e colla delinquenza dimostrando, con gran copia di fatti, come anche per questo riguardo, la moralità o la delinquenza non dipendano dalla razza; e che la mutabilità ed educabilità di tutte le stirpi le più diverse, comprese quelle ritenute inferiori, è comprovata in modo esauriente. E coll’autorità dei fatti e colle osservazioni dello Spencer, del Letourneau e degli antropologi più recenti sfata egli pure il pregiudizio in favore della razza Ariana e la metafisica distinzione tra razze inferiori e razze superiori”.
Giovanni Bovio negando il “diritto alla barbarie”, aveva intimato: ”Voi dunque potete dover dire: l’ignorante ha diritto di rimanere ignorante, selvaggio il selvaggio e barbaro il barbaro. Come dunque lo stato non ha diritto e non ha obbligo di fondare scuole obbligatorie, così la civiltà non ha diritto di espandersi. Degli uomini chi vuol rimaner bestia, e sia bestia, e dei popoli chi vuole ostinatamente tenere del monte e del macigno, tenga. Non ricorrete a mezzucci e non vi peritiate di conchiudere che c’è un diritto della selvatichezza, come dell’ignoranza, un diritto di respingere la luce che chiameremo libertà di negare la libertà”.
Anche Leonida Bissolati aveva argomentato sull’esistenza di “un diritto alla barbarie”:
”Non esiste il diritto della barbarie – Con ciò che cosa si intende dire? Che un popolo non ha diritto alla indipendenza, alla vita autonoma, quando è barbaro e finché è barbaro? E che perciò qualunque ”civilizzazione”, anche se importata in lui colla forza, esso la deve subire? Perché questo è il punto di disputa. Non vi può infatti essere discussione possibile sul dovere morale, o per lo meno sulla moralità, del recare civiltà fra i barbari colla propaganda pacifica e umanitaria. Dove nasce la questione è quando le intenzioni di portare la nostra civiltà trovino ostacolo nella volontà del popolo barbaro di respingere questa civiltà. Ed ecco il problema morale: avvi allora in noi il diritto di imporgliela? (Lasciamo da parte la grande ipocrisia nascosta sotto queste apparenze umanitarie. Il fatto come si avverò e si avvera in generale, è che codesta colonizzazione si risolve in conquista di campi da lavoro o di mercati o in intraprese di rapina. Sono i paesi vecchi, che per il vizioso ordinamento economico hanno una sopra-produzione o una sopra-popolazione – la quale è affatto artificiale. E però la colonizzazione non è che l’effetto del vizio ond’è rôsa la nostra civiltà). Ma veniamo alla disputa teorica sopra enunciata. Vanta questo popolo, o può vantare diritto di resistenza contro di noi, o abbiamo invece noi diritto di invasione e di predominio?”
Ghisleri citava poi una lettera  di“ due anni fa agli operai socialisti milanesi” nella quale Bovio aveva scritto: ”Respingo gli eccessi della nuova criminologia. Manicomii, carceri, deportazione, non vede in là. Alcuni trascinano la selezione sino alla pena di morte. Questo precipizio verso la reazione e l’asprezza delle pene non è naturalismo, né positivismo, neppure metafisica, è teologia avariata.”
Pertanto, commentò Ghisleri, “Confutando, adunque, la sua teorica delle ”razze inferiori” ed ”estra umane” alle quali nega la essenza e i diritti di uomini, io sento d’avere in mio appoggio tutto ciò che egli medesimo, l’on. Bovio, è venuto scrivendo, con generoso e instancabile apostolato, in favore delle classi ”inferiori” della nostra società. Se i papuasi, se i negri, se gli Abissini (e perfino i Mongoli della Cina o del Giappone) a giudizio suo non hanno diritti umani, non sono ”uomini” perché non arrivano al pensiero che si compenetra, all’autocoscienza e alla scienza – egli però riconosce (benemerito illogico) e va predicando da tant’anni, il suffragio universale e la parità dei diritti, nel nostro paese, pei dotti come per gl’incolti, per gl’intelligenti come pei tardigradi. È evidente che egli riconosce, qui, l’essenza e la suità umana anche al di fuori del suo preteso criterio del ”pensiero che si compenetra ecc.” Sarà lecito, per conseguenza, riconoscerla del pari per gli Africani, pei Mongoli, per gl’Indiani, ecc. giacché se la dottrina è scientifica, è giusta, è umana, la Geografia non deve menomarla o mutarne le applicazioni. O diventare conservatore e sostenitore dei privilegi anche qui, in patria sua – o tirar di penna sulla teoria coloniale, estendendo similmente la parità dei diritti anche oltre i confini della gente caucasea. Di qui non s’esce, carissimo Bovio”.

Una discussione di grande intensità e ancora molto attuale.

 
P.S. Buone feste di fine anno a tutte e a tutti.



[1] Le citazioni che seguono sono tratte dalla seconda edizione edita a Bergamo nel 1896.

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