ZATTERE AGLI INCURABILI
Una Poesia al giorno toglie l' Analista di torno...
di Maria Ferretti

AMORE INNOCENTE

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9 gennaio, 2020 - 09:38
di Maria Ferretti

A Maria e Nicola.

 

Quando si decise di seguire il proprio desiderio
lo si fece per garantire questo sorriso,
per poter garantire gli affetti e la loro coerenza
al soggetto amato.
Ridere
significa credere,
ancora.

2019-2014 Maria Ferretti

Tutto il mio amore è cenere. Mia madre
arde, la madre di mia madre e ancora

madri di madri ai talami di pietra

arsero. Io sento sciogliere le dita

sento tra pelle e sangue la ridente

gioia del fuoco, e gli occhi sono vetri

(dentro mi guardi e mi vedrai bruciare)
Cenere anch’io. Ti stringo, ultimo amore
perché tu gridi perché mi ricordi
che sei di fiamma. E gli occhi sono vetri
(dentro ti guardo, anche tu ardi, amore)

Pietro Cimatti


Sono ferita senza memoria.Ti sogno ancora. Ti accolgo.
Rimani fermo. Ti fai baciare, non baci.
 Non sei freddo, sei rigido. Non morto, ancora.
Provo ad ungere le tue labbra, estrema unzione.
Ti alzi, non te ne vai.
Il legno sotto i piedi si gonfia, si rompe il pavimento si taglia, sotto un ramo con foglie di fico spinge per uscire. I rami sbocciano.
Ci sei, ancora. Resisti.
Uno spazio.
Non abbiamo retto il tradimento delle orecchie, io e te.
Non abbiamo retto il tradimento del padre.
Davvero per amare un uomo ci vuole un Padre?
Sogno.
Esco dalla casa, una lunga scala stretta,un tunnel.
Salgo, mi fermo, non riesco a proseguire. Davanti a me esseri umani.
Uno ad uno riescono ad uscire, io no.
Devo tornare indietro.
La via è recisa. Non posso passare da dove passano gli altri. Fumo una sigaretta come se fosse boccata d’ossigeno. Mi arrendo e aspetto. Non c’è nulla da fare. Farò il giro più largo. Luce e aria.
Da dove si esce per nascere?
Le mani rompono la pelle, creano varco.
Il sole.
Tiepido lassù.
Chiaro, tenue.
Dove sono le tracce della nostra esistenza?
Impresse.
Nei suoni, negli odori.
Davvero per amare  abbiamo bisogno di un padre che non ci condanni a morte, perpetuo movimento su se stesso.
Sei l’altro che non mi parla mai. Scappi mi mostri la tua miseria. Mi fai male. Non mi ami. Mi tradisci. A me non importa nulla. Io ormai sento, ti abbraccio sconfinando il possibile.
Di cosa avevo paura?
Lasciarti andare senza riuscire a cambiare il passato.
Quella splendida ripetizione che apre al possibile.
Mi senti?
Almeno tu.
Il dialogo tra sordi è fatto solo di segni e simboli, troppo poco per me.
Il cuore non è icona, ma carne che pulsa.
Io devo sentire la parola, lo spiego, la carezza,la protezione, un pensiero.
Padre nostro difendimi nascondendomi. Proteggimi.
Sii presente in tempo appena dopo la mancanza.
Il tempo necessario per perderti e ritrovarti .
Poi non ci siamo parlati più, non hai retto neanche il mio sguardo per più di un minuto .
Il saluto è il tempo del perdono, è catturare la tua immagine per sempre.
Non mi hai salutato. Non tolleri gli addii, quelli veri senza ritorno che consegnano all’unicità dell’incontro, tenuta dell’irreversibile.
Il coraggio di parlare parole di commiato è consapevolezza che nessuno è da se.
Il tuo tormento non è il mio.
Ho orecchie,io.
L’Inconscio non trascrive se non si abbatte il muro del suono. Ho scoperto la formula della cura.
L’intensità di una parola : rapporto tra la sua carica pulsionale  e la superficie attraversata per il tempo.
Noi siamo stati il rapporto d’amore, un amore innocente.
Due onde potenti che attraversano l’inconscio .
Fermati in tempo, cara. Sei sola.
Ma di cosa hai avuto paura ?

Io temo i brutti versi
del commiato
l’animale prostrato
l’uggiolare per lo scampo
sono bestia delle steppe
me ne vado con un balzo
scalpitando
per l’infinito vuoto
che mi scorta
a un volere sconosciuto
e grande.

Sentisti prima di accadere, poetare la cura.
E accadde.
I brutti versi del commiato. La prostrazione.
 Poi non ci siamo parlati più.
Sono bestia delle steppe, mi riconosco la libertà che consegna la ferita, se pensata.
Libera di andarmene se qualcuno omette di proteggermi,  amarmi.
Non c’è cura se non c’è parola reciproca.  C’e amore ma non c’è intensità.
Le fondamenta nuove sono esperienza del suono dell’altro che arriva in tempo, arriva durante la fuga, strappa pezzi per ricomporli.
Agisce, si muove per primo. Lascia il tempo necessario alla ricezione del messaggio affinché non cada nel vuoto.
Fa male, si .
Piangevo sull’acqua, sulle rotaie, sulle ruote, sulle gambe.
Fa male, ma fa bene quello che entra.
Un liquido caldo, salato,salmastro.
Io sono mare.
Senti che riprenderti e’ doveroso, è senso del dovere di cura.
 Non abbandonarmi padre, se non nel tempo giusto.
Ricordarsi le nostre strutture significa poter perdonarci.
Le parole che  non hai detto mi  hanno mangiato il corpo. Un sacrificio d’amore, il mio.
Perché vuoi uccidermi?
Hai paura di morire sentendo.
Le cure di parola si confrontano sempre con il limite raggiunto dalle nostre difese.
Si finisce sulla disponibilità inconscia reciproca a varcare i propri limiti.
Inconscio chiede inconscio per riscriversi, non è nelle nostre mani ma nella possibilità di manifestarsi e di esser messo a lettura.
Sordi ma non troppo. Quel tanto che basta per ripetere ed uscire dalla macchina del tempo con un altra possibilità .
Padre ci sei?
Anche per me.
Non sento.
Ci sei?
Gridalo!
Ci sei per me?
Si, ci sono.
Ho le orecchie del cuore che mi scoppiano. Le mani tese, il terrore di essere rifiutata. Invece tendi la mano per prendermi. La mia prima volta.
Penso sento e sono una cosa sola.
E come si fa a raggiungere questa unità miracolosa poetessa?
“quando è in gioco non solo la razionalità ma anche l’emozione, quando pensare e capire sono la stessa cosa.
E’ il nostro dramma: possiamo sapere tantissime cose di noi e della nostra storia e continuare a soffrire, mentre se leggiamo qualcosa o incontriamo qualcuno che riesca a farci sentire questa comprensione, senza che resti una cosa astratta, razionale e lontana, ecco, in quel momento riusciamo a essere... quello che sappiamo”.
Essere quel che sappiamo.
La cura di parola è tale se essere e sapere si congiungono in un suono intenso che solo la pulsione può innescare.
Il mondo pulsionale, il motore della vita allo stato brado, accolto dal pensiero fornisce alla parola la terapeutica in grado di scardinare prima le difese poi legare pulsioni a pensieri.
Dirompente quando qualcuno possiede questa capacità fulminea di farti sentire chi sei.
Chi cura porta intensità in pensieri atti parole vita!
Lega le parti e consegna all’intero che siamo.
Terrorizzante scoprire di essere interi, il mondo ci vuole divisi. Lei è intera come la psicoanalisi.
Il mondo non la tollera perché intero è determinazione, sogno di un possibile, è sovversione degli ordini prestabiliti,è un no! io non ci sto alla tua legge.
È dirti amore mio, nonostante tu sia diviso.
È alzarsi in piedi e dire “non permetterti più” .
Io mi permetto di alzarti la voce,Dottore,e farmi sentire dal tuo orecchio.
Io posso, non ho paura.
Io intera, tu diviso. Non colpa ma dolore. Il tuo.
Ho trovato la mia intelligenza sull’acqua.
Domandasti il paradigma risposi ciò che non potevi proferire.
Tacere l’amore è farlo esplodere in bombe fiorite, in sorrisi.
Ridere è credere ancora.
È un punto di domanda.
È sovvertire la teoria.
Ridere è un sapere intero.
Le scissioni sono frutto di un disperato bisogno di controllo sul proprio mondo pulsionale .
Disperato controllo di un mondo incollato che non si riesce a tenere insieme.
Quale immensa ferita crea questa distanza incolmabile?
Come vorrei abbracciare le parti e dirti cadi, cadi a terra sulla terra.
C’è solo la terra che arresta la caduta.
Non ti sei accontentato delle stelle ma hai voluto il Creatore, sei andato oltre.
Sappiamo che chi tocca Dio muore.
Muore per aver creduto di non essere umano. Ma sei umano, sei maledettamente umano e soffri, soffri l’inferno delle pulsioni.
Ferite roventi.
Il dolore è ciò che spacca e che rende a noi che curiamo il pane quotidiano, che ci fa sentire sempre in due in quella stanza, nel mondo.
La cura termina quando il mondo appare quello che è.
Termina con un accanto.
Posso rimanermi accanto, rimanerti accanto nella gioia e nel dolore, nella disgrazia e nella malattia, nella salute e nella povertà.
Posso finalmente posso, io.
Io posso perché nel lutto quello vero si elabora il perdono delle proprie strutture. Incontrare la nostra struttura significa attraversare l’altro interamente. Spingersi oltre il corpo.
L’Inconscio è intero, un impasto.
Si fa cura psicoanalitica solo se autorizziamo  i nostri pensieri a scorrere lìberamente, liberi di prodursi in quella meravigliosa forzatura che si chiama associazione libera.
Senza libertà di pensare non può prodursi inconscio tra due esseri umani.
Portatore di cura è colui che permette la libera circolazione e integrazione delle idee e delle pulsioni. Il sapere della cura affondale  le sue radici in profondità non si dilata in estensione .
Non è superficie è sostanza.
La sostanza si sente, si avverte, si tocca come presenza granitica in grado di tenerti e muovere.
La sostanza non ordina, non imbavaglia, non detta legge.
La sostanza crea, inventa, diverte. Produce espressione.
Essere in due sostanze la mia eredità, ombre e luci.
Essere in due  è l’esperienza di una cura d’amore.
Siamo Io e lei, due persone, questa stanza e nient’altro.
Varchiamo sorridendo quel che resta di noi.
Mio Dio, sto respirando sott’acqua.
Qualcosa come la libertà .
Tua per sempre.

L’USCITA DAL TEPIDARIO
–  dunque, nascere, è proprio necessario  –
paurosamente. E sentiva ruotare
la bolla d’acquanera. E da una luce
sconosciuta, oltre il dedalo, richiami.
Come se fosse già tempo di andare,
lasciando lo zigote, il tepidario.
–  da questa sfera mai dissigillata,
carico d’ombra, a farti vita, vai,
è fuori chi ti aiuta e chi ti stritola.
Qui è come dopo. –
– dove? – già staccato,
nell’utero succhiante, giù la testa.
–  tu sei già nato. Io resto, – lo zigote.
e si contrasse, come addormentato.
–  pesce abissale, ti fulminerà
la luce appena esplosa. Sarà vita
quel più cieco terrore, o cuore vuoto, o
bocca nell’acqua, sarà una ferita
senza memoria. Perché sei già nato,
addio. –
E non seppe – prima che a un bagliore
di suoni lacerati, o mani vuote,
scoppiassero gli orecchi, e già un oblio
l’anneriva – perché senza zigote
nasceva. E fu scuoiato del calore,
costretto, solo, come è necessario.
E l’altro era lontano, il tepidario,
oltre la nascita. Urlò come era atteso,
giù la testa, col cuore spaccato,
e la memoria lo dimenticò,
annegò nell’ossigeno spietato.
– pesce abissale, ti fulminerà
la luce appena accesa. Sarà vita
questo cieco terrore, o cuore atteso, o
bocca senz’acqua. Perché sei già nato.
Sei libero. Zigote. Sono libero

Pietro Cimatti
 

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