Recensione "Changeling di Clint Eastwood"

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2 ottobre, 2012 - 16:20

POL.it 2009

In Changeling, il regista Clint Eastwood affronta la storia di una ragazza madre (Angelina Jolie), impiegata in una compagnia telefonica nell’America della grande depressione che, al termine di un turno, scopre che il figlio di dieci anni è scomparso da casa.

A tale evento seguono la denuncia della donna alle autorità dapprima scettiche, quindi la certezza del rapimento ed infine il ritrovamento sei mesi dopo, nell’Iowa di un bimbo che potrebbe essere suo figlio; durante la successiva conferenza stampa alla stazione, la donna afferma che non si tratta di suo figlio ma, trovandosi a ridosso delle elezioni, la polizia ha troppa fretta di riscuotere il credito di riconoscenza dell’opinione pubblica per dar retta ai dubbi di una madre confusa e petulante.

Le istituzioni (in particolare il cinico primario di un ospedale psichiatrico dove la vicenda registra una tappa di agghiacciante rilevanza) sono al servizio della polizia e solo la perseveranza di un pastore presbiteriano (John Malkovich) che arringa i fedeli dalle frequenze di una radio locale, insieme ad una clamorosa scoperta in una fattoria fuori città, consentiranno la riapertura delle indagini e la scoperta di una "fabbrica degli angeli" che travolgerà l’opinione pubblica, fornendo all’autore lo spunto per svolgere una importante riflessione sulla pena di morte che probabilmente non ha riscontrato univoche opinioni tra gli spettatori europei.

Come e più che in Mystic River e in Million Dollar Baby, il 78enne Clint Eastwood fornisce allo spettatore un carico di realismo e di angoscia, affrontando una storia di crimini sull’infanzia, rapimenti e dubbi ritrovamenti di una polizia (siamo nella Los Angeles fine anni 20) la cui corruzione e i cui metodi di indagine e sono altrettanto raccapriccianti dei delitti che affronta.

Con la sua tipica struttura narrativa, inizio sottotono, culmine emotivo, elaborazione ed epilogo che "nobilita" retrospettivamente, fornendo un parziale sollievo in un contesto molto drammatico, Eastwood imbastisce con maestria e lucidità (a partire dalla sceneggiatura di Micheael Straczynski) una vicenda complessa che elabora e sviluppa in oltre due ore ogni filo della trama ed ogni svolta emotiva, riservando nella fase centrale un carico di emozioni che turberanno anche gli spettatori più smaliziati, oscillando tra la "casa degli orrori" e il trattamento riservato alle donne internate perché scomode, fino all’inevitabile commozione finale.

Il film verosimilmente trasmette un carico notevole di emozioni, soprattutto nella parte iniziale e centrale, a causa della tematica ancestrale di una separazione violenta e forzata dal proprio figlio messa in atto su una giovane madre; e tale primitivo senso di angoscia per la sparizione del proprio figlio, nonchè il progressivo scoraggiamento che consegue al suo mancato ritrovamento, vengono trasmessi irrimediabilmente allo spettatore adulto. Allo stesso modo lo spettatore, esattamente come la sfortunata protagonista, continua a sperare di poter rivedere il bambino anche quando tutti gli eventi fanno obiettivamente ritenere il contrario.


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A Cannes, dove il film era in concorso in versione non definitiva, Changeling ha registrato un notevole successo ripagando l’autore per l’impegno profuso e sfogando collettivamente in una catarsi che solo il grande cinema consente, la tensione accumulata.


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Salta agli occhi, ancora una volta, l’uso della psichiatria in senso repressivo e come braccio sanzionatorio non ufficiale delle istituzioni, tematica questa affrontata anche da altri film (al riguardo, basta ricordare l’irlandese Magdalene) e forse precocemente dimenticata. E’ proprio di questi giorni la notizia citata dal China Daily, il quotidiano con cui la Cina comunica al mondo quanto reputa importante, di una clinica psichiatrica nella regione dello Shandong dove sarebbero rinchiusi gruppi di postulanti che si rivolgono agli uffici pubblici per depositare richieste, rivendicazioni, invocazioni di aiuto, denunce di espropri e torti. Chi ha parlato, ha riferito di terapie forzate, di rilascio dopo mesi e solo dopo aver firmato una dichiarazione nella quale il questuante promette di non provarci più. Ancora una volta la lotta alla dissidenza passa per la via psichiatrica come avveniva classicamente in URSS alcuni anni fa.

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