COVID-19: da quali macerie resiliare?

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20 aprile, 2020 - 10:11
Resilienza
/re·si·lièn·za/
sostantivo femminile
  1. Capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
  2. In psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
Per immaginare una possibile resilienza una possibile ripartenza occorrerebbe prima di tutto stabilire il punto da cui, appunto, ripartire cavando fuori il meglio di noi come individui e come società.
Credo che la Pandemia da Coronavirus segni uno spartiacque per la società e i singoli; è probabile che debba pertanto essere assunta come pietra miliare di riferimento: avremo una BC (Before Covid-19) Era, una IC (Inside Covid-19) Era e una AC (After Covid-19) Era, tutte epoche da rianalizzare e analizzare alla luce di questo tragico evento epocale che DEVE indurci a cercare di comprendere profondamente cause ed effetti.

Sento il bisogno di fare chiarezza prima di tutto a me stesso su questo tema.

PUNTO 1
ASPETTI MEDICI
Da qualunque parte si guardi la situazione credo che ormai sia chiaro a tutti che senza un vaccino efficace nulla potrà tornare come prima e finché non ci sarà un vaccino molto se non tutto nelle nostre vite cambierà con un degree variabile nel tempo ma assolutamente e inesorabilmente mutativo di mille aspetti del nostro vivere (o meglio del nostro vivere fino a oggi).
Senza un vaccino e senza un vaccino somministrato a tutti il virus continuerà ad affiancare le nostre vite condizionandole in maniera più o meno marcata con una alternanza di quiescenze a cui potrebbero seguire rinnovati pericoli pandemici. Un bel casino insomma!!!

Una domanda che in tanti (tutti direi) si fanno è: PERCHE’ CI VUOLE TANTO A FARE IL VACCINO?

Provo a dare una risposta che sintetizza le molte letture che ho fatto in questi giorni sul tema: in un mondo in cui “essere immuni” porterà vantaggi sociali capire tempi e modi per una produzione di massa di un vaccino efficace contro il CoronaVirus è essenziale.
Proviamo a capire a che punto siamo.
Purtroppo oltre che capire al meglio, e ci vorrà tempo, le modalità di diffusione dell’epidemia, occorrerà tempo e molto (dal punto di vista della vita e della sicurezza di tutti noi) prima di avere un vaccino sicuro e prodotto nelle quantità “indispensabili” che occorreranno per una copertura completa di un’intera nazione per non parlare del mondo intero…. Assodato che una via dell’immunità di gregge troppo rapida e sregolata comporterebbe un tale numero di ammalati da mandare in tilt qualunque nazione e che fino all’arrivo del vaccino l’unica arma vera in nostro possesso è il tentativo di LIMITARE il contagio attraverso vari metodi di distanziamento sociale più o meno efficaci a seconda delle scelte che la Politica ha fatto, fa e farà in questa temperie di lunga convivenza forzata col COVID-19, prendendo anche esempio da realtà che hanno fatto esperienze positive al riguardo mettendo a punto protocolli e tecnologie atte al contenimento reale del contagio utilizzando al meglio la tecnologia come ha fatto la Corea del Sud.
Anche se alcune sperimentazioni su uomini sono già iniziate è opinione diffusa a livello scientifico che ci vorrà come minimo tra un anno e 18 mesi per avere un vaccino efficace pronto per la somministrazione di massa (secondo i più pessimisti; da altre voci, come il laboratorio di Pittsburgh per atro diretto da un italiano, si è profilata la data del marzo 2021, che appare lontana ma è tutto sommato accettabile).
Il collo di bottiglia non è rappresentato dalla “messa a punto” e “produzione” del vaccino (anche se il problema visti i numeri – copertura di massa e non solo dei soggetti a rischio come accade con l’influenza, per capirci - in gioco si porrà di certo) ma dall’indispensabile trafila della sperimentazione controllata che in ogni caso ha i tempi non modificabili dello sviluppo di una popolazione anticorpale negli organismi sottoposti ai test.
La sperimentazione poi deve diventare più allargata per avere ulteriori dati sull’efficacia e sulla tollerabilità, con ulteriore tempo necessario a raccogliere dati che garantiscano la reale efficacia del vaccino (ricordiamo che, oltre Pittsburgh, sono in corso sperimentazioni a Seattle, a Oxford, in Germania, anche in Italia, ossia in tutto il mondo in un concerto scientifico straordinario e mai visto prima).
Una via possibile potrebbe essere quella dei “Challenge Trials” che potrebbero prevedere da un lato la somministrazione del vaccino in prova e dall’altro l’inoculazione, in volontari ovvio, del virus per vedere se funziona. Ovviamente nascono problemi di etica enormi e difficilmente risolvibili oltre che la necessità di usare pochi volontari con conseguenti dati scarsi su eventuali effetti collaterali possibili.
Maggiori speranze in termini temporali possono essere poste nella sintesi di nuove molecole antivirali o nell’uso di farmaci già presenti in farmacopea che si scopre possono avere un buon uso nella cura.
Ma tale soluzione migliora la prognosi ma non diminuisce il rischio di pandemia.
Riassumendo si può dire che per ora ha vinto il Covid-19, ma nella sua furia sta trovando e troverà sempre di più un nemico: la nostra prevenzione e cura, meno passivo e meno impreparato e l’eventuale resilienza deve partire da qui.


 
PUNTO 2
ASPETTI ECONOMICI
Solo l’immunità diffusa può consentire un rilancio vero dell’economia.
Ma quale economia uscirà da questa crisi planetaria?
Non lavoro al “Sole 24 Ore” ma mi pare evidente che accanto agli aspetti macroeconomici sono gli aspetti microeconomici che rendono il futuro cupissimo.
Intere filiere produttive sono destinate per lungo tempo a restare in sofferenza, pensate pere esempio al turismo, alla ristorazione, alle compagnie aeree, alle crociere. Pensate a tutte quelle imprese già scricchiolanti, specie medio piccole se non piccolissime che il forzato stop faranno definitivamente saltare, pensate alle norme per il rispetto del distanziamento che possono sconvolgere intere catene produttive e commerciali,  pensate alla necessità di avviare lo smart-working come necessità e non come scelta, a partire dalla scuola dove occorrerà più che altrove intervenire sul “digital divide” anche e soprattutto culturale all’interno del mondo della scuola stessa creando nuovi modelli di apprendimento e nuovi modelli di lavoro.
Il mondo davvero non sarà più lo stesso e la resilienza deve partire dalla necessità di rifasare la scala dei valori e le priorità in un mondo forzatamente meno globalizzato in termini di movimento rispetto al passato.
Ci aspetta un mondo in crisi economica globale da affrontare in maniera unita vista l’interdipendenza che ogni area geografica, non parlo nemmeno di stati, ha con le altre e la resilienza economica non potrà non tenerne conto.
Dopo ogni guerra mondiale, e questa è la nostra guerra contro un nemico invisibile (mi vengono in mente i marziani di Cronache Marziane di Bradbury uccisi da una epidemia), c’è stata una ripresa e un boom economico in un mondo diverso certo dalle macerie che la pandemia lascerà  ma ciò che occorre, ora come allora è un NUOVO “NEW DEAL MONDIALE” e, di nuovo, la politica dovrà cimentarsi in questa sfida mai vista, dove non abbiamo vincitori e vinti ma un intero pianeta messo in ginocchio da ripensare.


 
PUNTO 3
ASPETTI SOCIALI E PSICOLOGICI
Il distanziamento sociale necessario con tutte le derivate pratiche che comporta a livello di vita personale e lavorativa, la gravissima crisi economica di difficile soluzione che ci attende, hanno ovviamente delle conseguenze di natura psicologica e sociale con cui tutti più o meno dobbiamo fare i conti e che ci condizionano oggi e ci condizioneranno anche in futuro, visto che miracoli non ne vedo all’orizzonte e il cammino verso un nuovo modello di sviluppo indispensabile sarà lungo e non senza ulteriori cadaveri con cui fare i conti non solo per “colpa” del CoronaVirus.
Il sentimento principale che domina tutti è il senso di incertezza  globale (il “nulla sarà come prima” è un mantra che in realtà fa assai paura poiché coinvolge tutti gli aspetti delle nostre vite: relazioni, lavoro, abitudini, svaghi vanno ripensati e messi in discussione e non è un processo semplice né indolore da qualunque punto di vista lo si guardi) verso il futuro e la precarietà delle certezze che fino a 6 mesi fa dominavano la scena mondiale, il senso di fragilità delle nostre esistenze ha spazzato via l’onnipotenza di una economia delle diseguaglianze che ha contribuito a portarci dove siamo ora.
Il secondo sentimento forte e incontrollabile spesso è la paura nei confronti di un nemico invisibile un vero perturbante di freudiana memoria in associazione col ritorno potente della paura della morte e della presenza della morte in una società che ha fatto della negazione della morte l’asse portante del suo esistere. Ma le paure sono anche per il futuro dal punto di vista economico col timore spesso fondato di perdere il lavoro senza possibilità di riciclarsi e il timore per il futuro dei nostri figli.
Un aspetto sociale di grande rilievo è rappresentato dal fatto che chi ha privilegiato l’Ospedale rispetto al territorio e alla prevenzione ha avuto i danni maggiori dall’epidemia non riuscendo a rispondere adeguatamente all’emergenza a livello territoriale e questo dato di fatto dovrà, necessariamente contare nelle scelte future.
Il CoronaVirus sta cambiando anche la nostra percezione del mondo e sta sgretolando le scale di valori di un passato prossimissimo in uno tsunami temporale improvviso: globalizzazione, clima, sostenibilità, solidarietà andranno ripensati alla luce di nuove priorità di vita tutte da costruire.
Immaginare nuove forme di socialità che tengano conto delle necessità imprescindibili di salute è la nuova resilienza sociale che ci aspetta.
Alcune scale di valori, come il profitto a tutti i costi, stanno subendo scossoni importanti dal virus e comportano un ripensamento collettivo e personale profondo anche dell’organizzazione stessa dello stato e della sanità pubblica che ci potrebbe regalare un mondo non solo diverso ma per certi versi migliore se sapremo non cadere nella tentazione di tornare al punto dove eravamo. Far tesoro dell’esperienza è resilienza: sanità pubblica territoriale ma anche ospedaliera e covid-hospital che ormai ci sono, digitalizzazione, implemento dello smart working senza ottusamente abolire i necessari incontri fisici di cui l’animale umano, animale sociale come diceva Aristotele, ha bisogno.


 
PUNTO 4
E LA PSICHIATRIA?
Investita dal virus come tutta la medicina si è dovuta riorganizzare attivando servizi alternativi all’attività ambulatoriale resa impossibile dal restringimento degli spostamenti e dal distanziamento sociale, ma come dice giustamente Fabrizio Starace non c’era bisogno del CoronaVirus per scoprire l’efficacia della telemedicina anche in psichiatria.
Semmai va sottolineato quanto poco si sia messo in evidenza non solo a livello di opinione pubblica ma pure a livello di linee guida della Sanità Pubblica l’importanza presente e futura della nostra disciplina nel contesto proprio dell’affrontare non solo l’epidemia ma anche soprattutto le sue conseguenze a medio lungo termine, la presenza nel gruppo di lavoro chiamato a  disegnare il nostro futuro di Fabrizio Starace psichiatra ci fa sperare in un cambio di rotta radicale in questo senso .
Oggi, un po’ come accade la notte di Natale in Ospedale l’affluenza ai nostri servizi è più ridotta e concentrata solo sui casi più gravi ma in prospettiva la gestione del lutto e della depressione, delle conseguenze della coabitazione forzata, della solitudine acquisita e della perdita del posto di lavoro sarà un compito importante per i servizi chiamati anche alla gestione drammatica del post-emergenza che lascerà strascichi significativi e c’è da augurarsi che il Decisore Politico da sempre poco attento alle necessità della Salute Mentale non commetta questo ennesimo errore condannando la psichiatria a essere sempre l’ultima nella scala delle priorità impegnata a curare ultimi che non saranno mai primi.
L’assistenza psicologica e psichiatrica è centrale in un percorso di resilienza individuale e sociale e i Servizi Psichiatrici debbono poter fare la loro parte se saranno messi in grado di farlo; la Salute Mentale è un interesse prioritario non solo a parole ma nella fattualità di un ripensamento globale del Sistema Sanitario Nazionale che questa sciagura rende necessario e mandatario visto che siamo di fronte ad un PTSD di dimensioni planetarie.

CONCLUSIONI – QUALE RESILIENZA?
La resilienza è una dote umana che va coltivata e supportata anche a livello mi permetto di dire POLITICO non nel senso di “abbandono” alla creatività individuale ma attraverso decisioni di indirizzo e di sistema che la favoriscano davvero sempre ricordando che resilienza è adattamento ma all’interno della stessa sostanza: l’uomo di adatta, ma resta uomo.
Siamo entrati volenti o nolenti in un mondo nuovo e se nulla sarà come prima occorre fare in modo che per quanto faticosamente il nuovo sia DAVVERO meglio nella sua diversità dal mondo che ci lasciamo alle spalle e che volente o nolente è responsabile del dramma in cui tutti siamo finiti.
Sarà un percorso lungo e difficile sarà un percorso anche doloroso ma se cambierà la scacchiera dei valori forse non sarà un percorso inutile: senso della solidarietà a tutti i livelli dal singolo agli stati, ritrovato valore del bene pubblico (e per eccellenza è la Salute), valore del senso di responsabilità individuale e collettivo, la tecnologia volta al bene comune e non solo al guadagno, riscoperta del senso di appartenenza ad un popolo che travalica i confini nazionali.
Limitatamente alla psichiatria e alla Salute Mentale credo che i primi dovere resiliare siamo noi Operatori se sapremo uscire da questa crisi profonda con nuove certezze di tipo organizzativo, nuove capacità di analisi della complessità.
Il COVID-19 ha messo il mondo tragicamente di fronte ai sui limiti, alla sua fragilità reale e alla necessità di “ripensarsi” radicalmente rispetto al futuro, di far resilienza appunto come unica arma su cui basare sopravvivenza e prosperità.
Finché non si troverà vaccino o cura definitiva, ovviamente il mondo non sarà lo stesso, ma possiamo stare certi che tornerà ad essere lo stesso, o forse con qualche aspetto migliore, più avanzato. Perché, lo dico da psichiatra, la natura umana non cambia, nel profondo; la natura umana è auto conservativa: come dopo le guerre dopo le pestilenze del Medioevo e dopo la Spagnola, la vita è ripresa e riprenderà.
Cosa cambierà in meglio? Se il governo saprà essere intelligente e noi attivi, avremo un grande salto tecnologico che avrebbe normalmente richiesto anni, più attenzione sul clima, miglioramento del sistema sanitario così a lungo impoverito.
Passata la pandemia, l’essere umano metterà in atto il fisiologico meccanismo psichico della rimozione, patologico quando è eccessivo ma necessario ad andare avanti a livello individuale: dimenticheremo)
Non dimentichiamo che resilienza, nel mondo della chimica da cui il termine deriva, implica la capacità di una sostanza di adattarsi ad un nuovo stato, non di modificarsi.
La resilienza più importante è una nuova forma di consapevole responsabilità personale e sociale che la “lezione del Coronavirus” può dare a tutti quanti qualunque sia il nostro ruolo all’interno della società ed il “simbolo” più chiaro ed esplicito è la mascherina volta non solo e non tanto alla protezione di noi stessi ma anche e soprattutto alla protezione degli altri: nulla sarà o dovrà essere come prima.
Al di là della retorica del “come è bello stare a casa” (per taluni la casa è un inferno, pensiamo alle donne maltrattate, ai bambini abusati, agli spazi promiscui…) mi paiono queste le basi su cui costruire il nostro futuro partendo certo dalle macerie che la pandemia lascerà ma soprattutto apprendendo dall’esperienza per non commettere più gli errori del passato e tornate finalmente ad abbracciarci e a scoprire il mondo viaggiando: di contatti affettivi e di contatti lontani, simbolico-culturali abbiamo assolutamente bisogno

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