LA PSICHIATRIA PER BENE
Dialoghi sulle buone pratiche in Psichiatria
di Gerardo Favaretto

COVID-19: Cronache dalla psichiatria nell’epidemia : Diario del 4 maggio 2020

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4 maggio, 2020 - 10:58
di Gerardo Favaretto
Oggi inizia la FASE 2.
Qualsiasi cosa questo voglia significare.  Non e chiaro, a me e a molti, che cosa sia davvero cambiato e cambierà,  in pratica, dal punto di vista della percezione sociale del mondo ,  e, soprattutto, se la convinzione dello stato e delle regioni corrisponda   a un comune sentire da parte delle persone che appaiono più spaventate dalle prospettive economiche,  sociali della epidemia piuttosto che dall’impatto con le  minacce e le insidie di una malattia dagli esisti incerti.

I messaggi incoraggianti della diminuzione di ricoveri e di nuova disponibilità di posti letto negli ospedali sembrano , in un certo senso , avere ridisegnato il conteso della epidemia  e fatto emergere la necessità che quel mondo, rimasto così in sospeso venga nuovamente rimesso in moto.
La memoria degli ospedali in affanno , delle case di riposo sommerse dal virus e di conseguenza dai decessi , dei lavoratori della sanità santificati ed  cantati come eroi , sembra sfumare con l’aumento della tensione legata all’emergere  della emergenza sociale e del rancore conseguente alla frustrazione , alle difficoltà economiche e alle incerte prospettive per il futuro.
Le riflessioni sul vissuto degli operatori , su cosa è successo negli ospedali e in generale  e nel servizio socio sanitario , invece son ora , più che mai  importanti  se si pensa di garantire a questo sistema un futuro e  strumenti per continuare ad esiste in modo adeguato e si si vuole apprendere da questa esperienza.

Ho ricevuto queste riflessioni da parte Gioia Zanatta, psicologa clinica presso CDC “Giovanni XXIII”, di  Monastier (TV)   Alessandro Rizzardo specialista in anestesia e rianimazione presso la stessa struttura , Silvia Logar medico e farmacista e consulente ONU, U. Coli direttore sanitario della stessa struttura, A. Lasalvia , professore di psichiatria  a Verona che è già stato ospite dei Diari e Alessandro Rizzardo specialista in anestesia e rianimazione presso la stessa struttura.
A questo loro contributo seguono alcune riflessioni che mi ha inviato Giuseppe Migliorini , psichiatra in pensione che ha voluto condividere le sue meditazioni .
Il Diario è sempre aperto.  Pol it ha già pubblicato oltre 100 contributi; è un dibattito ampio , interessante , sicuramente utile in tutte le sue infinite sfaccettature. Altri contributi  possono  alimentare questa utilità , anche per chi li scrive.


 
 
Ansia, stress, depressione e disturbo post traumatico negli operatori sanitari. Prospettive e Risvolti.
Di G.Zanatta , S.Logar , U Coli , A.Lasalvia, A.Rizzardo
“Si sta come d'Autunno sugli alberi le foglie” G. Ungaretti
Come non affidarsi ai versi di Ungaretti, alla similitudine della condizione delle foglie autunnali con la vita dei soldati al fronte durante la Prima Guerra Mondiale, per descrivere la condizione del personale sanitario, che ora nei nostri ospedali, si trova in prima linea ad affrontare la pandemia di Covid-19.
Si percepisce la precarietà, il senso del dovere contrapposto alle proprie paure, il coraggio e lo sconforto.
La gestione dell'emergenza Coronavirus, infatti, comporta forti carichi psicologici per gli operatori sanitari.
Le persone che lavorano nell'ambito sanitario sono attualmente le più esposte, poiché si trovano quotidianamente a sostenere ritmi di lavoro massacranti con carenza di adeguati dispositivi di protezione individuale, con scarso personale, ad affrontare situazioni drammatiche e complicate, sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista emotivo, con un intensità e gravità tale da creare condizioni di serio disagio psicologico. A tutto ciò si aggiunge anche l'elevata mortalità di pazienti e colleghi, procedure di lavoro diverse, complicate, anche, dall’utilizzo di dispositivi di protezione, che possono risultare faticosi e fastidiosi e soprattutto il timore di contrarre l’infezione, la paura di trasmetterla ai propri familiari che comporta spesso una separazione prolungata dai propri cari.
E' proprio l'isolamento sociale a cui vengono sottoposti o a cui si autosottopongono per timore che porterebbe ad un inasprimento della sintomatologia psicopatologica rispetto ad altre situazioni emergenziali.
I disturbi che si evidenziano frequentemente sono uno stato ansioso-depressivo reattivo, sindromi da burnout, disturbi da stress post traumatico e stati di traumatizzazione vicaria.
Lo stato ansioso-depressivo si presenta come una sintomatologia caratterizzata da perdita di interesse verso tutto ciò che li circonda, umore triste e facilmente mutevole, apatia e tristezza con frequenti crisi di pianto, bassa autostima associata a minore efficienza lavorativa, insonnia, disturbi dell'alimentazione e pensieri o atti suicidari. Alta è anche la correlazione con l'aumento del consumo di tabacco, alcool e droghe.
La sindrome da Burnout deriva dall'elevato stress lavorativo a cui sono sottoposti medici e infermieri e ne conseguono vissuti di demotivazione, di delusione e disinteresse lavorativo che nei casi più gravi potrebbe portare all’abbandono della professione ma, più frequentemente, come si sta già verificando, alla richiesta di congedo lavorativo.
Tra le figure sanitarie si inizia, inoltre, già ad evidenziare una sintomatologia tipica del Disturbo post Traumatico da Stress, essendo le esperienze vissute, soprattutto nelle zone più colpite e nei reparti più esposti, pesantemente traumatizzanti. Si registrano sintomi tipici come difficoltà al controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa o confusione emotiva, depressione e ansia, insonnia, comportamenti di evitamento e soprattutto altamente diffuso è il senso di colpa, per essere sopravvissuti o non aver potuto salvare altri individui.
Ma non è solo l'esposizione diretta al trauma a colpire il personale sanitario ma è anche la stessa empatia con il dramma dei pazienti, l'immedesimazione e il coinvolgimento emotivo che comporta degli stati di traumatizzazione vicaria.
 Tutto ciò è stato già anche parzialmente già vissuto e comprovato da uno studio“Factors Associated With Mental Health Outcomes Among Health Care Workers Exposed to Coronavirus Disease 2019 | I disturbi e le patologie riferite dagli operatori medico-sanitari cinesi coinvolti nello studio, suddivisi per occupazione, sesso, ruolo, tipologia di ospedale e luogo di lavoro” condotto in Cina su 1257 operatori sanitari impegnati nei presidi coinvolti nella gestione di pazienti con COVID-19, che ha valutato la presenza di sintomi depressivi e ansiosi: evidenziando, inoltre, che ne sono più colpite le donne, e soprattutto quanto è indispensabile per il personale medico-infermieristico e coloro che lavorano nelle zone con maggiore concentrazione di casi (che sono più direttamente coinvolti nell’emergenza) l'intervento di supporto psicologico poiché la sintomatologia è anche più intensa.
Inoltre L’Inter-Agency Standing Committee (IASC) ha divulgato una nota informativa che riassume le considerazioni chiave sulla salute mentale e sul supporto psicosociale (MHPSS) in relazione alla pandemia da COVID-19, fornendo indicazioni sui comportamenti che il personale sanitario può adottare per prevenire e ridurre lo stress legato alla particolare situazione che si trova a fronteggiare. La stessa OMS ha diffuso un documento contenente delle linee guida per migliorare la gestione dello stress associato all’emergenza sanitaria globale da COVID-19.
In questo documento viene sottolineata l'importanza di garantire una buona comunicazione e fornire al personale aggiornamenti precisi e accurati su ciò che sta accadendo per contribuire a mitigare le preoccupazioni degli operatori legate all’incertezza e far percepire un senso di controllo; riferire feedback positivi utili a rafforzare il valore e l’importanza del ruolo svolto, promuovere il lavoro in team per sostenersi e condividere esperienze e decisioni; facilitare l’accesso ai servizi di supporto psicologico, anche sottoforma di telefonate o videochiamate.
L’attività Medica, regolata secondo Ippocrate e dalla Deontologia, continua da millenni nonostante vicende politiche, tagli al personale o pandemie. Continua nel settore pubblico e nel settore privato, continua nell’urgenza quanto nell’elezione. Continua a soddisfare al meglio delle proprie capacità scientifiche la domanda di salute della popolazione nell’interesse del paziente. Segue la fisiopatologia, non la semantica politica. Oppresso fino a qualche mese fa tra linciaggi mediatici, legali e fino ad aggressioni fisiche il Personale Sanitario oggi viene beatificato come eroico esempio del tricolore. Bandi per centinaia di Medici, per Specialisti e per migliaia di infermieri fino a ieri precari obliati e ripudiati, ed oggi necessari soldati in una guerra di logoramento contro un nemico insidioso ed invisibile. Oggi il personale sanitario lavora in prima linea come ieri, sottopagato ad affrontare senza opportuni mezzi uno tsunami, come ogni soldato sapendo che da domani sarà ricordato solo per circostanza e convenienza. Vite spezzate e sforzi non ripagati, cicatrici che guariranno lontane dai riflettori, curate dal tempo e peraltro dimenticate. Oggi viviamo a cicli di 8 o 12 ore, in corsie nelle cui bacheche appendiamo le mascherine dopo averle deterse con la clorexidina che domani le useremo ancora, dentro a tute idrorepellenti che durante lo sforzo fisico generano un microclima interno adeguato ad una orchidea ma non ad un umano (avete mai provato a pronare un paziente di 80 kg intubato e curarizzato?). Ma la tuta non può essere rimossa, ce ne sono pochissime, bisogna farsele durare. Come i calzari. Ed il primo paio di guanti. Per 8-12 ore non si può chiamare a casa, sentire famiglia o parenti, non si va in bagno né si mangia o beve.
 Torniamo a casa e viviamo in isolamento volontario, chi dorme in soffitta chi nello scantinato, o addirittura in albergo per non mettere a rischio anche la propria famiglia, perché in 12 ore basta una piccola disattenzione per far avvenire il contagio. I turni sono diurni e notturni, le condizioni le medesime. Sarà un lavoro usurante?
Fisicamente allo stremo dopo alcuni turni, sì perché noi non siamo soldati giovani ed allenati, non abbiamo mai avuto tempo per andare in palestre o centri fitness, l’aspetto psicologico non è mai considerato. In rianimazione il lavoro non è di per sé rose e fiori, se il paziente giunge all’attenzione del Rianimatore è attesa una certa mortalità, e la morte fa parte del lavoro. Le rianimazioni sono sempre piene, trovare un posto libero in terapia intensiva in tempi normali è una scommessa. Oggi le sale operatorie sono diventate box di terapia intensiva, i ventilatori da sala operatoria dirottati a svolgere funzione di ventilatori da ICU, ma sono diversi. Anestesista ed intensivista in Europa sono spesso carriere separate, già in Svizzera è cosi. Adesso la morte giunge con cadenza tale che poi le facce quasi le si scorda, si confondono volti e nomi. Le storie dei pazienti non le sappiamo perché loro non ce le possono raccontare ed i parenti non sono ammessi, qualcosa scopriamo al telefono altro non lo sapremo mai. Ci concentriamo su terapia domiciliare ed anamnesi il resto non conta, una catena di montaggio, con conteggi drammatici.
La mattina la sveglia suona e ai primi turni speri possa cambiare poi ti alzi e sai cosa troverai, alcuni vomitano altri piangono altri imprecano altri sopiscono dentro e portano a casa il loro dolore. Siamo tutti consapevoli che avrebbe potuto essere tutto molto diverso però, in termini di prevenzione, organizzazione, equipaggiamento: avremmo avuto numeri di contagio differenti, un acceso alle cure stratificato, avremmo dovuto fare massiccio ricorso alla telemedicina, allo screening di popolazione, alla protezione del Personale Sanitario. Per costruire un reparto non basta sostituire il Medico malato o morto, ci vogliono mesi se non anni per fare una squadra, non ha molto senso in effetti sostituire il personale sanitario con medici a contratto a tempo determinato (semestrali). Ma la medicina continuerà ad essere un male necessario, forse il male minore..?
Scaduti i semestrali dei Medici ed infermieri di guerra così assunti cosa accadrà? Chi sostituirà i Medici di Medicina Generale defunti? Già i pensionati non venivano sostituiti, ora con quali risorse si provvederà? E nei reparti ospedalieri? Ora chi non si ammala o chi guarisce torna al lavoro, è emergenza ed il Medico conosce molto bene l’Etica, ma domani arriverà e ci sarà chi svilupperà ansia, chi depressione, chi disturbo da stress post traumatico, chi infine lascerà il lavoro. E finita l’emergenza gli eroi torneranno nello scantinato sottopagato, come i minatori a fare il loro lavoro invisibile.
Abbiamo dunque discusso l’aspetto psicologico, quello medico ed infermieristico, ora diamo uno sguardo al futuro farmacologico in Italia nel post crisi. Abbiamo tutti la chiarezza di idee in merito al fatto che il periodo post critico sarà lungo e caratterizzato da un andamento remittente recidivante. Ciò non può che suffragare le considerazioni che andiamo ad esporre. Schematizziamo diverse categorie di pazienti: i malati cronici (ipertesi, diabetici..) continueranno la normale terapia di base, ed il loro fabbisogno di farmaci non andrà a subire modifiche sostanzialmente diverse dalla ciclicità stagionale che ogni anno si verifica, benché l’immobilità e l’assenza di esercizio fisico da lockdown potrebbero influire in senso peggiorativo. Abbiamo i pazienti sintomatici per affezione respiratoria o sistemica Covid relata, che necessitano di un capitolo di spesa farmaceutica ed ospedaliera dedicato ed aggravante il normale bilancio, in termini di ossigeno, farmaci, presidi medici, materiali di consumo e posti letto occupati. Infine una categoria di pazienti in parte noti ed in parte di nuova diagnosi che prima ricevevano supporto psicologico, psichiatrico o terapia psicoattiva e che si aggraveranno o si manifesteranno in prima istanza. Costoro genereranno un secondo scenario di spesa sanitaria, comportando un aumento della richiesta di counseling, di visite specialistiche così come un aumento di consumo di farmaci sedativi e neurolettici. Sopratutto nei casi di nuova insorgenza la categoria professionale più esposta riguarderà i Sanitari, che hanno vissuto esperienze di vita lavorativa e morte che possono turbare anche il professionista equilibrato. Ma non solo i Sanitari saranno coinvolti poiché anche lavoratori dipendenti, artigiani, commessi camerieri fattorini avranno ricevuto ciascuno nella sua cerchia input traumatici che rielaboreranno nelle settimane e nei mesi seguenti, e che lasceranno traccia indelebile modificando il vissuto ed i comportamenti potenzialmente esacerbando tratti borderline. La gestione deve essere dunque prontamente disponibile, fruibile e capillare, deve mirare al rapido ristabilimento di equilibri familiari sociali e lavorativi atti a salvaguardare la salute psicologica e fisica del singolo ed attraverso di esso dell’intera struttura sociale. La privazione di alcune libertà di movimento e relazione infatti genera conseguenze nel bambino come nell’adulto e nell’anziano, con successivo danno sociale difficilmente quantificabile ma assolutamente prevedibile. La rete di supporto deve dunque avvalersi di Specialisti formati alla gestione delle crisi e di terapia comportamentale prima del mero supporto farmacologico, pur restando esso disponibile quando indicato.
La ricostruzione dell’impostazione sociale post critica non potrà in conclusione prescindere dall’alleanza terapeutica di profili Sanitari diversi, quali Psicologi Farmacisti e Medici, i quali agendo come collante sapranno ristabilire uno stabile equilibrio e fornire un supporto olistico sia a pazienti esterni con l’ausilio di supporti tecnologici sia attraverso la consulenza ambulatoriale. Esso dovranno costituire unità funzionali strutturate reperibili sul territorio e supportate dalle gestioni regionali, integrate nei sistemi sanitari esistenti.

 
Lo psichiatra nella tempesta della pandemia
Di Giuseppe Migliorini
In questi giorni, chiuso in casa e costretto a interrompere la mia vita abituale, mi sento come tutti. Condivido la paura e so bene che cosa mi  minaccia: la quarantena stretta in caso di contagio(la restrizione ancor più accentuata, l’attenzione spasmodica ad ogni minimo sintomo..i lunghi giorni e le lunghe notti in  attesa di un verdetto…), l’eventualità della malattia, l’orrore di un ricovero in intensiva, la possibilità concreta della morte.Ho superato i settanta  e ho visto in queste  settimane oscillare tante vecchie  immagini della vecchiaia: una vita attiva per il vecchio, i modi per superare i piccoli svantaggi dell’età (la lentezza, la  sordità, qualche sgarbo della memoria…ah, il buon Hilmann!). Ora queste tardive primavere promesse e consigliate sono scomparse. Per  i vecchi è arrivata l’ora del buio, si salvi chi può: dimenticati all’inizio, poi ridotti alla categoria dei fragili, giorni fa minacciati da un politico non italiano di doversene stare reclusi fino a fine anno!
A volte mi sdoppio: mi parlo da psichiatra e scopro che…non saprei cosa dirmi. Io ho seguito per tanti anni schizofrenici, talora bene, ho curato depressi, ho curato ansiosi, ma ora  questo mio sapere mi sembra fuori luogo, non utile. Se fossi più giovane, mi farei volontario, muoverei me stesso, userei le mani  nell’assistere, nel dare una mano, ma lo vorrei fare da cittadino, non da psichiatra. La psichiatria non mi difende dai disagi dell’esistenza, per questi ognuno se la deve cavare da sé, nessun altro, se non le sue esperienze, può dargli una mano.,
Ma non sono del  tutto pessimista, forse a qualcosa la psichiatria  mi è servita. Mi è capitato, facendola, di allargare il campo delle mie letture all’umano, e senza dubbio la psichiatria ti spinge, per la specificità del suo oggetto di cura,  in quei territori. L’ho fatto senza alcuna pretesa  una analisi da psichiatra, tuttalpiù una riflessione per me. E così agli inizi della epidemia son tornato  alla Peste di Camus e, complice un ricovero per frattura, me lo son portato anche in ospedale. Ma lì non ho avuto alcuna voglia  di continuare, per i fastidi connessi al ricovero. Ma ora, dimesso e prese le  misure da quanto sta succedendo, mi sono soffermato su un passo che mi sembra proprio attinente al nostro vissuto da reclusi, quasi da esiliati,  e te lo voglio inviare.
Dunque, Orano, la città della peste, è chiusa all’accertarsi del morbo, proprio come da noi. E allora …
…La prima cosa che la peste recò ai nostri  concittadini fu insomma l’esilio.. Era appunto il sentimento dell’esilio quel vuoto che provavamo costantemente  in noi, quella precisa emozione, il desiderio irragionevole di tornare indietro o  invece di affrettare il cammino del tempo, queste due frecce della memoria. Se talvolta  ci si illudeva di aspettare la scampanellata del ritorno o un passo familiare, ,..in quei momenti si era d’accordo nel dimenticare che i treni erano immobili, se ci si disponeva a restare a casa nell’ora in cui un viaggiatore poteva giungere nel nostro quartiere, tali giochi beninteso non potevano durare. Veniva sempre il momento in cui ci si  accorgeva che i treni non arrivavano; sapevamo allora che la nostra separazione era destinata a durare  e che dovevamo venire a patti col tempo. Da allora insomma ci si reintegrava nella nostra  condizione di prigionieri, eravamo ridotti al nostro passato, e se mai alcuni  di noi avevano la tentazione di vivere nel futuro, vi rinunciavano rapidamente per quanto almeno era possibile, provando le ferite che la fantasia finisce con l’infliggere a coloro che hanno fiducia in lei…
Lo so, queste frecce della memoria mi evocano il presente-passato- del vecchio e un po’ noioso Hubertus  Tellenbach della mia giovinezza, chi pensava che si riaffacciasse ora, qui, in queste condizioni? Andammo  una sera fino a Pisa per ascoltarlo e ci capii, come sempre di lui,  poco. L’aveva capito di più Giovanni Gozzetti, che fu un grande studioso della depressione, e che lo citava molto. Ma ora le sue parole mi sembrano più chiare, meno accademiche e il pathos che le sorregge è più sincero, perché è il mio: qui il mio essere psichiatra mi ha aiutato. Potrebbe aiutare altri?

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