IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

L’infinito tra un sapere e l’altro

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26 maggio, 2020 - 09:37
di Antonello Sciacchitano

L’intuizionismo, quanti ne sanno qualcosa? Quanti psichiatri ne sono al corrente? Quanti lo usano? Lo trovano utile in clinica? Dico perché serve a me.
 
Contro l’ideologia

A scanso di equivoci, lo dico subito chiaro e tondo: la forma di pensiero intuizionista è essenzialmente un’ideologia matematica. Forse perché più debole dell’ideologia eziologica, dominante nel discorso comune, in particolare medicina, ha avuto scarsa diffusione. Il suo ideatore, l’olandese Luitzen E.J. Brouwer, pretendeva riedificare tutta la matematica su basi costruttiviste. All’epoca, tra il XIX e il XX secolo, la pretesa di rifondare tutta la matematica, vuoi sulla logica (Frege e Russell), vuoi sui sistemi formali (Hilbert), vuoi sull’intuizione (Brouwer), era molto diffusa. La moda finì negli anni Trenta del secolo scorso, quando Gödel e Tarski dimostrarono i teoremi d’incompletezza sintattica e semantica dei sistemi formali sufficientemente espressivi e coerenti. Finalmente la matematica riconobbe il proprio manque-à-être e abbandonò progetti universali, tornando a essere una pratica epistemica parziale come ogni arte.

Il matematico intuizionista riteneva vero ciò che l’atto mentale dell’intuizione “vede” o “immagina di vedere”, dal latino intueri, “guardare”, che si potrebbe anche tradurre "congetturare". Alle spalle aveva un altro grande pensatore olandese, Baruch Spinoza, che dopo la conoscenza sensoriale e razionale poneva l’intuizione come la terza e più elevata forma di conoscenza al modo di Dio. Per dirla tutta, a me l’ideologia intuizionista noninteressa molto; ancor meno mi attirano le ideologie logicista e formalista, proprio perché sono ideologie, cioè parlano in nome del vero, al posto di Dio. In effetti, Brouwer fu un mistico. Il misticismo è proprio ciò che a me noninteressa né in Brouwer né in Frege né in Hilbert, pur apprezzando i loro teoremi. Non sono un accademico; sono estraneo a ogni scolastica; in generale, non mi interessano gli autori in quanto tali (compresi Freud e Lacan), ma solo il loro pensiero, quando c’è, al di là dei loro tic mentali che spesso lo coartano, fino a renderlo assurdo, se non ridicolo. Come uomo di scienza, non parto dal vero ma dal falso, incorporato in qualche congettura concreta da falsificare nelle circostanze cliniche. Nel mio caso di psicanalista, uomo di scienza, la mia congettura di partenza è l’esistenza dell’inconscio freudiano. Poi si vedrà cosa succede.

Per Freud l’analisi del futuro analista dovrebbe arrivare solo fino al punto da convincerlo che l’inconscio esiste. Non occorre andare molto oltre. Di fatto, due volte su tre, per non dire tre volte su quattro, questa convinzione o non si produce o resta molto superficiale, spazzata via dalla prima difficoltà. Gli analisti sono i primi a resistere all’inconscio, diceva Lacan. Resistono con buone ragioni personali, leggi narcisistiche. Tuttavia, non c’è da fasciarsi la testa. Il fatto paradossale è che anche l’analista non ben analizzato – perfino l’analista “selvaggio” secondo Freud – può funzionare da buon analista. L’analisi dipende poco dalla persona dell’analista, se è prudente, perché non è una pratica antropomorfa. La cosiddetta formazione dell’analista non va trascurata, ma è secondaria. Serve, da una parte, a mantenere in piedi le scuole di psicanalisi e i cosiddetti analisti didatti con il loro portafoglio clienti garantito, dall’altra, a garantire la collettività della non nocività della pratica psicoterapeutica.
 
A difesa dell’oggetto infinito

A prescindere dall’ideologia che la sovrasta, a me la matematica intuizionista interessa per un fatto molto preciso, poco rilevante dal punto di vista medico. Come Gödel dimostrò nel 1933, l’intuizionismo ospita una semantica infinitaria, cioè fa posto all’infinito. Ritengo, infatti, che l’infinito, questo oggetto senza qualità, non concettuale e non categorico, come dicono i matematici, nel senso che può essere presentato attraverso modelli non equivalenti, numerabili e non numerabili, non amato dai più, sia il sostegno degli oggetti del desiderio incontrati nella clinica psicanalitica. Quindi la matematica intuizionista a me interessa come sostegno a tale clinica non medica. Non mi crederanno gli umanisti, che ritengono la matematica poco soggettiva, meccanica e deterministica, ma ingenuamente tento di dimostrarlo con questo breve exposé.

Schematicamente, gli oggetti del desiderio ricadono in quattro classi: due metonimiche e due metaforiche. Gli oggetti metonimici si suddividono in orali e in anali; sono oggetti che si staccano in modo caratteristico dal corpo mio o dell’altro; gli oggetti metaforici sono oggetti scopici e fonici, che si sostituiscono facilmente gli uni agli altri; non sono corporei ma abitano l’ambiente occupato da corpi umani. Paradossalmente l’infinitezza degli oggetti del desiderio sta nella loro parzialità, come insegnava Freud, basandosi sui feticci del perversi.

La parzialità, infatti, è una caratteristica dell’infinito, che si può mettere in corrispondenza biunivoca, quindi in equivalenza, con una sua parte propria. È la “definizione” di infinito secondo Richard Dedekind (1888). Per l’infinito non vale che il tutto sia maggiore della parte, come nel caso finito. Ad esempio, i numeri interi sono tanti quanti i numeri pari perché, per ogni intero esiste un solo numero pari e ogni pari proviene da un solo intero. Pertanto per il desiderio mezzo sguardo equivale a tutto lo sguardo, come sa bene l’esibizionista, e mezza voce vale quanto tutta la voce, come sa bene l’operatore di borsa. Quanto al seno o alla cacca, ne basta poco perché l’oggetto ci sia tutto; in pratica basta l’odore.
 
Dalla semantica alla sintassi

Dopo più di un secolo di psicanalisi questa semantica è ormai ben nota. La perversione insegna che l’oggetto parziale, il feticcio, equivale all’oggetto totale. Tuttora meno nota, invece, è la possibilità di trattare l’infinito in via sintattica attraverso un dispositivo deduttivo, per esempio, quello intuizionista. La mossa decisiva di Brouwer, che risale al 1908, ai tempi in cui Freud scriveva Lo scrittore e la fantasia, fu la doppia sospensione che fa decadere ben due pilastri della logica classica: il principio del terzo escluso (A vel non A) e della doppia negazione (se non non A allora A).

Le conseguenze non sono da poco. Si sa che alla logica classica bastano due operatori logici, a patto che uno sia la negazione. Con la negazione (non) e l’alternativa (vel) si possono esprimere anche gli altri due operatori: l’ete il se … allora. Questa riduzione decade nella logica intuizionista. Il risultato è l’arricchimento espressivo della logica intuizionista, che rispetto alla logica classica ha il doppio di operatori indipendenti, quattro invece di due. Al tempo stesso si produce l’apparente impoverimento teorematico. In logica intuizionista, infatti, decadono teoremi classici della logica aristotelica: appunto il terzo escluso e la doppia negazione con le loro conseguenze.

Ma attenzione a parlare di impoverimento intuizionista! La mia sensibilità analitica, guidata da una rigorosa formazione matematica, mi ha portato a costatare, a volte con riluttanza, a volte con sorpresa, che i teoremi classici non intuizionisti, a cominciare proprio dal terzo escluso e dalla doppia negazione, hanno una connotazione epistemica. La logica classica, rigidamente binaria, non la mette in risalto, non trattando il sapere ma la verità, mentre la logica intuizionista la evidenzia, spostando la verità in secondo piano. Come vedremo, l’intuizionismo è in grado di generare operatori con una valenza di sapere non molto diversa dalle formulazioni che emergono dall’inconscio.

Cosa sto cercando di dire?

Dico che l’alternativa A vel non A, proprio perché nell’intuizionismo non è sempre automaticamente vera, incorpora e veicola una quantità di sapere soggettivo riguardante l’enunciato A, che potrebbe giustificare la scommessa che si verifichi invece di non A. Ma – e questo è il tratto freudiano – è un sapere simile al sapere inconscio, perché la sua verità non si può “vedere” prima attraverso un teorema. Il sapere intuizionista esiste solo a posteriori; in ciò è molto simile alla probabilità soggettiva bayesiana. (Insisto sulla portata soggettiva di certi algoritmi che, secondo me, non manca mai nelle scienze moderne da Cartesio in poi, mentre è assente nella scienza antica.)

Ho fatto alcune prove in logica intuizionista sull’operatore epistemico Eche trasforma ogni enunciato Xnell’alternativa X vel non X. Ho costatato che Egode di teoremi non banali, anche se la loro dimostrazione è pressoché ovvia. Inoltre, passando ad altri operatori, per esempio all’operatore D, che trasforma ogni enunciato nella doppia negazione (se non non X alloraX), la mia attenzione è stata attirata dal “colorito” psicanalitico che in tali teoremi ho visto (“intuito”). Ne elenco alcuni di logica proposizionale senza quantificatori.

Aneddoto. Riporto di seguito gli stessi teoremi che un giorno di trent’anni fa inviai a un famoso logico dell’Università Statale di Milano, perché controllasse le dimostrazioni, sulle quali, essendo io un matematico dilettante, nutrivo qualche dubbio, pur essendo molto semplici. Il professore gentilmente e prontamente mi rispose che le dimostrazioni erano giuste (non erano difficili), ma i teoremi non lo convincevano. Va’ a capirli, questi accademici. A distanza di trent’anni intendo che per l’accademico la sintassi dei teoremi era corretta ma la semantica lasciava a desiderare. Dopo tutto era giusto così: erano teoremi escogitati da uno psicanalista, quindi con alle spalle una pratica non solo matematica. Quanti teoremi congetturati dai fisici, per esempio, in termodinamica, non convinsero i matematici! Boltzmann si suicidò per non essere stato compreso.

A maggior ragione non mi illudo di convincere gli analisti che la logica intuizionista sia adatta alla psicanalisi. Il mio ragionamento, tuttavia, è semplice e plausibile dal punto di vista freudiano. Localizzato nell’inconscio, c’è un sapere che non si sa di sapere. Analogamente, localizzato nell’intuizionismo, il principio del terzo escluso, se rappresenta un sapere, è proprio un sapere la cui verità non si può dimostrare, cioè dare per certa in forma di teorema valido a priori. In questo senso il sapere del terzo escluso è un modello del sapere inconscio che prima di aver fatto un’analisi non si sa di sapere. Quanto segue riguarda alcune certezze – alcuni teoremi – che si possono formulare nel contesto di incertezza intuizionista, dovuta alla sospensione del principio del terzo escluso: è vero o è vero nonA?

Brouwer diede un esempio intuitivo di incertezza intuizionista, che chiamava “proprietà sfuggente”; non si può né affermare né negare che nell’espansione decimale di pi greco ricorra la sequenza 1234567890 (A), perché nessuno l’ha mai trovata e nessuno ha mai dimostrato il teorema che neghi la sua esistenza (nonA). Il terzo escluso sfugge alla presa matematica. In un certo senso, detto in dialetto lacanese, l’intuizionismo è la matematica che si fa non tutta; non si concede tutta; è un po’ femminile.
 
I teoremi fondamentali della logica analitica

Comincio l’esposizione (parziale) della matematica intuizionista dalla richiesta di estensione della verità per l’operatore E, perché è la condizione minimale richiesta a ogni logica degna di dirsi epistemica: se l’enunciato Xè vero, allora anche il sapere EXè vero. In formule, una delle tante del seguito:

se X allora EX.

Capito? Il terzo escluso si regge sulla verità di uno dei termini dell’alternativa. Questo è anche il punto di partenza dell’intuizionismo. Invece la storia della filosofia si basa sul teorema inverso, che in generale non è vero; siccome sa, il filosofo dice la verità:

se EX allora X;

l’errore che scambia l’immaginario per il reale è praticato da millenni.

Dimostro per esteso il teorema di estensione aletica, giusto per far vedere in cosa consiste la sintassi logica intuizionista. La procedura dimostrativa, messa a punto da Evert W. Beth, su un analogo procedimento di Kleene, modificato da Smullyan, è un algoritmo che sfrutta l’argomentazione per assurdo; parte dalla supposizione che il teorema da dimostrare sia falso; opera con formule marcate come vere (V) o come false (F) e certi criteri di trascrizione consolidati dalla tradizione; dimostra il teorema se raggiunge una contraddizione. Allora scrivo:

F(se X allora EX).

Scrivo in grassetto per indicare che il falso è un operatore metalogico; non appartiene all’intuizionismo ma al suo metalinguaggio e porge la falsità dell’enunciato cui si applica. Quando un enunciato condizionale è falso? Dai tempi di Filone di Megara si sa che l’implicazione materiale è falsa se e solo se l’antecedente è vero e il conseguente è falso. Allora sono autorizzato a dedurre: 

VXFEX,

dove è l’operatore di verità, simmetrico all’operatore di falsità F, che stabilisce che è vero l’enunciato cui si applica.

Per definizione dell’operatore E, posso trascrivere la riga precedente così:

VXF(X vel non X).

Quando l’alternativa è falsa? Dai tempi di Aristotele si sa che l’alternativa è falsa se e solo se entrambi i termini alternativi sono falsi. Allora scrivo:

VXFXFnonX.

A questo punto ho finito la dimostrazione, perché sono incappato in una contraddizione: lo stesso enunciato è sia vero sia falso, (VXFX). Ciò è impossibile, quindi è falso che l’enunciato di partenza sia falso. Concludo che il teorema di estensione della verità è vero.

A dire il vero, nella sua estrema semplicità, questo esempio è poco rappresentativo del modo di procedere della deduzione intuizionista; essa si distingue dalla corrispondente deduzione classica perché ogni volta che si trasforma o FnonX in VF(se A allora B) in VFil procedimento intuizionista cancella tutte le formule marcate Fcontestualmente presenti nello stesso set deduttivo. L’intuizionismo è prudente: non deduce troppo dal falso, perché non dedurre qualche verità da premesse non verificate. Perciò alcuni teoremi classici non sono teoremi intuizionisti. L’esempio principe è proprio il terzo escluso, che nell’intuizionismo non si dimostra. Infatti, da F(A vel non A) deduco FFnonA. Trascrivendo FnonA come VA, perdo FA; così la contraddizione (VAFA) svanisce e con lei la possibilità di dimostrare il terzo escluso.

Questo accenno porge la differenza sostanziale tra logica classica e intuizionista, la prima aletica, la seconda epistemica. In logica classica VFsignificano che l’enunciato è rispettivamente vero o falso; in logica intuizionista Vsignifica che si sa che l’enunciato è vero, perché è stato dimostrato, mentre Fsignifica che non si sa se è vero, perché non è stato ancora dimostrato. Già Cartesio e Spinoza concepirono il falso in modo epistemico, non come contrario del vero ma come meno ben saputo. Quando nel Discorso sul metodo (1637) Cartesio affermava di ritenere falso tutto il verosimile, diceva che esso non era saputo perché privo della “buona” dimostrazione. La dimostrazione, poi, è sempre confutazione del falso. 

Dopo l’estensione della verità si dimostra l’idempotenza dell’operatore E, cioè sapere l’enunciato equivale a sapere di sapere l’enunciato X. In formule,

se EX allora EEX
e
se EEX allora EX.

Difronte all’idempotenza dell’operatore epistemico Elo psicanalista può storcere il naso. Se non si distingue tra sapere e sapere di sapere, dove va a finire la differenza tra sapere inconscio e sapere inconscio che diventa conscio? La preoccupazione è sensata ma non costituisce un’obiezione. Infatti, non tutti gli operatori costruiti su leggi classiche non intuizioniste sono idempotenti. Per esempio, per l’operatore D, costruito sulla doppia negazione, vale la persistenza della verità (se X allora DX), ma non vale l’idempotenza o meglio vale a metà. Vale

se DX allora DDX,

ma non vale:

se DDX allora DX.

Ciò mi autorizza a interpretare come operatore di desiderio. Su suggerimento di Lacan, infatti, il desiderio implica desiderare il desiderio, ma desiderare il desiderio, tipicamente nel transfert psicanalitico, non implica alcun desiderio. Ciò giustifica la regola freudiana di trattare il transfert in astinenza, perché in un certo senso il transfert rappresenta il desidero a vuoto. Nella seduta della Società Psicanalitica di Vienna di mercoledì 9 marzo 1910 Freud enunciò il principio che nel setting l’analista deve essere un oggetto “perfettamente freddo” (kühl). Insomma, niente empatia nella psicanalisi di Freud. Sia detto a tutti i Binswanger del mondo, che pretendono coartare la psicanalisi nella psicoterapia. Anche l’attenzione equifluttuante dell’analista (die gleichschwebende Aufmerksamkeit) si giustifica in questa logica che non dà per predeterminata nessuna verità. (Ho perso pazienti, non ancora divenuti analizzanti, perché non tolleravano la mia scarsa partecipazione emotiva alle loro sciocchezze.) 
 
Il desiderio è una forma di sapere
Ora che siamo giunti in ambito freudiano, faccio notare la natura epistemica del desiderio inconscio, espressa dal teorema:

se EX allora DX,

secondo il quale il sapere, ovviamente quello che non si sa ancora di sapere, è la materia del desiderio inconscio: ogni desiderio include un sapere, a prescindere dalla sua ontologia. Il desiderio del nevrotico coatto è impossibile perché non ha contropartita ontologica, quello dell’isteria è insoddisfatto perché ogni ente è insoddisfacente.

Colgo l’occasione per far notare che la logica intuizionista, essendo epistemica, è poco ontologica, ultimamente poco orientata alla psicoterapia. Nella versione con quantificatori di questa logica si verifica che dall’esistenza di un elemento per cui si può sapere che vale X(x) non si deduce che si sappia che tale elemento esista (contro l’argomento ontologico di Anselmo). Lasciamo l’ontologia a chi non ha il coraggio di prendere le distanze dalla logica classica, per la quale è vero ciò che è ed è falso ciò che non è e quindi venera il principio del terzo escluso per cui un enunciato o è vero o è vera la sua negazione (binarismo, in pratica a servizio del padrone).

Esistono teoremi comuni agli operatori D, che confermano la natura epistemica del desiderio. Ne elenco alcuni:

non non EX;
non non DX.

Mi piace chiamare non nonEX teorema di Freud; a parole, tu non puoi non sapere. Se esiste l’inconscio, esiste un sapere che non si sa di sapere, ma alla fine si sa e si arriva a sapere dopo il tempo necessario: il tempo di sapere. Simmetricamente, vale il teorema di Lacan: non nonDX, tu non puoi non desiderare, perché c’è sempre l’Altro che desidera per te.

Questi teoremi non sono mie invenzioni; sono casi particolari del teorema generale di Kolmogorov (1932), che Gödel conosceva, secondo cui le doppie negazioni delle tesi classiche ma non intuizioniste, come il terzo escluso EX o la doppia negazione DX, sono teoremi intuizionisti. In questo modo Kolmogorov dimostrò la coerenza della logica classica dal punto di vista intuizionista, secondo cui le tesi classiche non possono non essere vere nell’intuizionismo. Segnalo l’interessante concezione etico-pragmatica (costruttivista) che Kolmogorov ebbe dell’intuizionismo, i cui enunciati corrisponderebbero a “compiti” assegnati al soggetto. In questo senso sapere significa che il soggetto sa trovare la soluzione di un problema. La precisazione va fatta perché alcuni miei colleghi del giro lacaniano sono convinti che la scienza precluda il soggetto. La matematica intuizionista è certamente più soggettiva della classica. La presenza del soggetto si manifesta nella tecnica semantica del forcing, che forza certi enunciati a essere veri o falsi, come abbiamo visto sopra per gli operatori V.

La situazione è precisata dalla seguente seconda coppia di teoremi, apparentemente contraddittori. Niente paura; già Freud nel V capitolo del Compendio di psicanalisi (postumo) sosteneva che l’inconscio è il regno dell’illogica.

Se non EX allora EX.

A parole, se non sai, allora sai, come giustamente vide Cartesio nel cogito. Ricordo che il motto della rivista di psicanalisi fondata da Lacan, intitolata Scilicet, era proprio “Tu puoi sapere”.

Se non DX allora DX.

A parole, se non desideri, allora desideri, come giustamente vide Freud in l’analisi. Ma Brouwer conobbe Freud? Di certo Freud non conobbe Brouwer.
 
Sulla negazione freudiana

Lungi dall’essere illogici, questi teoremi gettano luce sulla natura della negazione freudiana, che non sempre nega. La giustificano senza ricorrere al trucco metapsicologico dell’aggiramento della rimozione, usato da Freud. La negazione stessa non è una rimozione, o un’Ausstossung, un rigetto fuori dai confini dell’Io, come Freud ropose nel saggio sulla negazione del 1925. La negazione è un giudizio sull’infinito; perciò va formulato con prudenza. Mi spiego meglio.

Ho detto prima della semantica infinita nell’intuizionismo. L’intuizionista ha meno fretta di negare del logico classico. Per negare X, non gli basta considerare lo stato presente in cui il soggetto enuncia X; gli occorre passare in rassegna tutti gli stati, magari infiniti, in cui potrebbe verificarsi ma non si verifica. Dal punto di vista semantico la negazione intuizionista è un quantificatore esistenziale negativo: afferma che non esiste uno stato epistemico in cui l’enunciato sia vero. L’intuizionista nega se affermare è impossibile, cioè se l’affermazione di non vale in nessuna circostanza, in nessun mondo, direbbe Leibniz. La semantica della negazione intuizionista è quella dell’assurdità, fa notare Heyting; vale a dire, supposta ultimata la costruzione di X, da nonX deriva una contraddizione, cioè l’assurdità di nonX. Ciò costituisce essenzialmente la dimostrazione per assurdo vista sopra. In sintassi vale il teorema di Brouwer, secondo cui per negare effettivamente bisogna negare tre volte, come ben sapeva l’apostolo Pietro.

Giustamente allora Freud corregge il paziente che gli dice: “Non è la madre”. “Aspettiamo a dirlo, precisa Freud. Per ora assumiamo che sia la madre. Vedremo in seguito se tutto depone contro l’ipotesi che sia la madre”. Così correggo Freud dai suoi tic metapsicologici, fatti di meccanismi di difesa e rimozioni (tutti meccanismi essenzialmente paranoici, tanto da far dire a Lacan che la paranoia è il fondamento della personalità). Così conservo ciò che è scientificamente ancora valido di Freud. In particolare conservo il tempo di sapere, che non è il tempo cronologico, da Freud espulso dall’inconscio. L’inconscio freudiano è una struttura sincronica, non diacronica. Non è una narrazione, anche se molti psicanalisti sbandierano i propri casi clinici, per dimostrare quanto sono bravi come terapeuti – una fallacia in cui Lacan non cadde. L’inconscio assomiglia più all’algebra delle simmetrie di Evariste Galois che alla storia delle guerre del Peloponneso di Tucidide. Ricordo che già negli Studi sull’isteria del 1895 Freud deplorava che le sue storie cliniche si leggessero come novelle, prive del marchio serio della scientificità. Tuttavia, ringraziamo Freud per averci informato dei suoi fallimenti, narrando le sue Krankengeschichte, che dicono più di lui che dei suoi pazienti.
 
Sulla logica del collettivo

Concludo questa esposizione sommaria dell’intuizionismo in chiave epistemica (o psicanalitica, ma è lo stesso) con una considerazione che mi riporta all’inizio.

Ho già detto che l’operatore epistemico è estensionale e idempotente. Sarà per caso un operatore di chiusura topologica? mi chiede il matematico che conosce gli operatori topologici di chiusura secondo Kuratowski (1966), i quali sono estensionali, idempotenti, conservano la riunione e lasciano invariato il vuoto.

La risposta è negativa: gli operatori epistemici intuizionisti, basati su leggi classiche non intuizioniste, nonsono chiusure; sono aperture; aprono a ulteriori acquisizioni epistemiche. non è un operatore di chiusura, perché non conserva la riunione, o meglio la conserva a metà.
Vale il teorema:

se E(X vel Y) allora (EX vel EY).

Non vale il teorema in direzione inversa:

se (EX vel EY) allora E(X vel Y).

La stessa situazione si presenta con l’operatore e con altri operatori più deboli, sempre derivanti da leggi classiche non intuizioniste. L’unione dei saperi non si collettivizza nel sapere dell’unione.
Esistono altri non-teoremi altrettanto interessanti dei teoremi. Ne cito ancora uno. Il sapere di non è transitivo, cioè dal sapere dell’implicazione non si passa automaticamente all’implicazione dei saperi. In formule, non vale il teorema:

se E(se X allora Y) allora (se EX allora EY).

In altri termini, il sapere analitico non si acquisisce sui libri. Devi verificare effettivamente che dal sapere di deriva il sapere di Y; non basta sapere che implica Y.

Tuttavia, in questa logica vale il modus ponens in formato epistemico:

se (EX et (se EX allora EY)) allora EY.
 
Conclusione semi-positiva

La mia conclusione è semplice: facendo posto all’infinito, l’intuizionismo evidenzia il punto debole del freudismo, che è una dottrina individualistica, poco sensibile al collettivo. Freud considerava il collettivo come causa del disagio dell’individuo. Freud fu un fanatico ricercatore di cause. Nel terzo saggio sull’Uomo Mosè e la religione monoteista ammise candidamente di essere animato da un “imperativo bisogno di causalità”. Insomma, Freud fu un coatto eziologico. La sua scienza fu lo scire per causas del canone aristotelico. Che funziona in due direzioni: il collettivo causa il disagio nell’individuo, ma l’individuo causa l’ontologia del collettivo.

Infatti, la psicologia dell’Io e la psicologia delle masse, tipicamente la Chiesa e l’esercito, sono secondo Freud la stessa psicologia, basata sull’identificazione al Führer, posto come oggetto d’amore nell’Ideale dell’Io, in sostituzione del padre. I tic metapsicologici di Freud, come li ho chiamati, cioè i suoi cosiddetti meccanismi di difesa dall’irruzione dell’inconscio, sono fenomeni individualistici di stampo paranoico. La psicologia freudiana delle masse Freud non esiste; anzi, esiste ed è proprio una psicologia delle masse e non dei collettivi. La massa freudiana non prevede interazioni positive o negative, cooperazioni o competizioni, tra gli individui che la compongo: è un insieme di monadi senza finestre. Il lemma “interazione” non ricorre negli scritti di Freud. A torto si classifica Freud come positivista. Fu solo un seguace di Ippocrate; fu uno strenuo determinista a livello strettamente individuale, più aristotelico che galileiano. Il suo allievo Adler, fondatore della psicologia individuale, aveva imparato bene la lezione di Freud.

L’intuizionismo permette di approfondire questa analisi. Freud utilizza il sapere collettivo, depositato nell’inconscio, E(X vel Y) per tradurlo nei diversi saperi individuali: EX vel EY. Ma non sa fare il percorso inverso: ricostruire il sapere collettivo E(X vel Y) a partire dai saperi individuali, EX vel EY. Jung aveva capito bene la fallacia di Freud; non sapeva però come porvi rimedio, se non ricorrendo al vecchio trucco idealistico, ancora più debole, degli archetipi, che spiegano tutto e il contrario di tutto. Spiegare tutto è tipico delle dottrine religiose.
 
Achtung!
Da ultimo un warning. Come dimostra l’aneddoto biografico sopra riportato, l’intuizionismo non ha avuto molta fortuna nell’accademia italiana, nonostante i qualificati contributi di Kurt Gödel, che stabilì l’infinitezza della semantica intuizionista (1933), di Arend Heyting, allievo di Brouwer, che assiomatizzò la logica intuizionista (1955), di Alfred Tarski, che costruì la semantica topologica (1938), di Saul Kripke, che propose la semantica ordinale (1965), e da ultimo di Alexander Grothendieck, che dell’intuizionismo fece un topos della teoria delle categorie, per non parlare delle opzioni semi-intuizioniste di Henri Poincaré ed Hermann Weyl. Non spreco tempo e spazio a commentare le ragioni dell’avversione all’intuizionismo, che ritengo puerili e pregiudizialmente contrarie all’avanzamento della scienza, frutto della cultura idealistica dominante in Italia sotto le mentite spoglie fenomenologiche. La fenomenologia non capisce molto di scienza galileiana: o la ritiene (nel bene) un’idealizzazione (Husserl) o la confonde (nel male) con il positivismo. Non so quale opzione sia più erronea. Husserl non imparò molto dal suo maestro, dal “padre dell’analisi moderna”, Karl Weierstrass, cattedratico a Berlino. Scrisse una Crisi delle scienze europee (1936), quando erano al massimo del loro fulgore, prima di essere devastate dal nazismo (psicanalisi compresa).

Avverto, quindi, l’ingenuo che, sulla base della mia striminzita esposizione, volesse iniziare ad applicare la matematica intuizionista al campo freudiano, che correrebbe senz’altro il rischio di aumentare le resistenze alla psicanalisi. Crescerebbero, infatti, in doppio modo: primo, perché l’intuizionismo è una teoria matematica, quindi è brutta e cattiva, rigida e contraria alla vita del soggetto, come sostiene l’ordinaria fobia collettiva della matematica; secondo, perché l’intuizionismo non è aristotelico, quindi va contro il senso comune, in genere cattivo ma spacciato per buono, perché servile nei confronti del padrone.

Al fondo di tutto ciò troviamo l’oggetto infinito, il vero promotore della nostra volontà d’ignoranza; l’infinito è ciò di cui non vogliamo sentire parlare. L’infinito è peggio dell’inconscio, che lo ospita nella sua rimozione originaria, da dove il poeta e lo psicanalista talvolta lo stanano in modi diversi.

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