APPUNTI JANETTIANI
Argomenti di clinica del trauma e della dissociazione
di Giuseppe Craparo

Pierre Janet (2016), Trauma, Coscienza, Personalità ; Scritti clinici. (Una prefazione a cura di Giovanni Liotti)

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16 febbraio, 2021 - 12:53
di Giuseppe Craparo
 

Prefazione di Giovanni Liotti, in Pierre Janet (2016), Trauma, Coscienza, Personalità. Scritti clinici. Ed. Italiana a cura di Francesca Ortu e Giuseppe Craparo, Raffaello Cortina Editore.

 
Un’antologia degli studi clinici di Pierre Janet, a prima vista, potrebbe apparire lettura interessante solo per i cultori di storia della psicoterapia. Credo invece che questo libro possa nutrire o rinnovare l’amore per le esplorazioni della coscienza e dei suoi disturbi in lettori appartenenti a categorie molto più ampie: psichiatri e psicoterapeuti desiderosi di ampliare le loro conoscenze dei disturbi conseguenti a traumi psicologici, clinici e ricercatori interessati ai processi mentali dissociativi, psicopatologi e anche quei filosofi che dagli anni Ottanta hanno ripreso a indagare gli enigmi della coscienza umana.
Questo libro offre, infatti, molto più di un approfondimento delle splendide pagine che il canadese Henri F. Ellenberger1 ha dedicato all’opera di Janet nella sua storia della psichiatria dinamica. Certamente il lettore potrà godere qui dell’affascinante affresco, dipinto dal pennello di uno dei suoi protagonisti, delle prime indagini che la psichiatria di fine Ottocento cominciò a condurre sulla coscienza e sui suoi disturbi funzionali, ma vi troverà anche molto di attuale e numerosi spunti che possono essere di stimolo alla ricerca futura. Coloro che, guidati da questa raccolta di scritti, ripercorreranno le strade della “grande città sepolta sotto le ceneri” (la metafora usata da Ellenberger per descrivere l’oblio in cui per mezzo secolo cadde l’opera di Janet), potranno accorgersi che la profezia dello storico canadese sta avverandosi: quella città, una volta dissotterrata, può davvero essere “riportata in vita”.
La ritrovata vitalità del pensiero di Janet si è manifestata anzitutto con il ritorno di interesse per la sua tesi fondamentale, ossia che i disturbi dissociativi della coscienza (désagrégation), conseguenti alle emozioni veementi dei traumi psicologici, sono spiegabili con il fallimento delle funzioni mentali superiori (la “sintesi mentale”) piuttosto che con un meccanismo di difesa dell’io. Gli studi clinici qui antologizzati illustrano con chiarezza le ricadute di questa concezione sulla psicoterapia, che conduce a interventi ben diversi dal lavoro sulle resistenze teso a superare la barriera delle difese, invocato dalla psicoanalisi. Un tipo di intervento congruente con il metodo terapeutico di Janet è attualmente molto frequente nella clinica psicopatologica, ed è sostenuto da numerosi contributi della ricerca di base congruente con la tesi di Janet2 (tesi che fra l’altro rimanda a una concezione gerarchica dei processi mentali coscienti di grande interesse per psicologi, psicopatologi e filosofi). Per fare un solo esempio, le tecniche proposte da Janet per incrementare le capacità di “sintesi mentale” (si veda il caso di Justine) sembrano consonare con quelle contemporanee intese ad aumentare le capacità di mentalizzazione, ossia le abilità metacognitive, del paziente. Notevole, inoltre, è lo stimolo che il lavoro clinico di Janet può fornire alla psicoterapia contemporanea perché riconsideri il ruolo dei deficit di attenzione nella genesi e nel mantenimento della désagrégation, che non consiste soltanto nella mancata integrazione di stati dell’io, ma anche in ciò che oggi tendiamo a concettualizzare come deficit metacognitivo. Gli studi clinici di Janet, naturalmente, hanno un grande valore illustrativo delle sue complesse concezioni teoriche oltre che delle sue molteplici strategie di intervento psicoterapeutico. Un esempio è fornito dal brano in cui, traendo spunto dalle osservazioni condotte sul famoso caso di Madeleine, l’autore riflette sul ruolo delle posture corporee negli scambi interpersonali. Janet afferma che giungiamo a conoscere e riconoscere l’altro riproducendo in noi, al di fuori della volizione cosciente, le sue posture tipiche. L’esempio clinico e le riflessioni di Janet sembrano congruenti con le implicazioni per la psicoterapia delle recenti scoperte sul funzionamento dei neuroni specchio, oltre a rimandare a un altro tema centrale della psicoterapia contemporanea, esplorato in psicoanalisi nelle cornici concettuali dell’inconscio non rimosso e dell’enactment diadico, e nel cognitivismo clinico attraverso la prospettiva del conoscere relazionale implicito. Un altro tema di grande attualità (si pensi alla svolta relazionale nella psicoanalisi contemporanea)3 che traspare dagli studi clinici ripubblicati in questa antologia riguarda la gestione della relazione terapeutica. La minuziosa attenzione che prestava ai suoi pazienti e il suo assoluto rispetto per la loro maniera di vivere e pensare, indipendentemente da quanto fosse gravata da manifestazioni psicopatologiche, suggeriscono che Janet usasse un atteggiamento che sembra configurare un’interessante variante dell’empatia. Una lettura frettolosa dei casi clinici qui ripubblicati può rendere poco credibile quest’affermazione: può sembrare al lettore che, al contrario, Janet adotti un atteggiamento “oggettivante”, direttivo e di distanza emotiva verso i suoi pazienti. Si consideri però che inevitabilmente il linguaggio usato da Janet risente dello stile dell’epoca e delle formalità richieste dal gergo in uso nelle riviste mediche (e anche del suo amore per le battute di spirito, di cui Ellenberger offre testimonianza). Un attento esame da parte del lettore della minuziosa e rispettosa cura con cui Janet riporta le frasi pronunciate o scritte dai pazienti per esprimere le loro credenze ed esperienze soggettive, e del modo con cui si sforza di coadiuvarle, senza correggerle direttamente ma cercandone le origini nei traumi del passato, può suffragare l’impressione che ci troviamo di fronte a un’interessante variante dell’empatia: quando Janet interagiva con i pazienti e non era occupato a scrivere resoconti delle sue terapie destinati a riviste scientifiche, cercava anzitutto di entrare in uno stato intersoggettivo di condivisione empatica con le parti dissociate della loro personalità (si vedano i suoi interventi iniziali nei casi di Achille e di Justine). Un aneddoto riportato da Ellenberger è rivelatore a questo riguardo. A un medico (Ernest Harms) che proveniva dalla clinica di Emil Kraepelin, perplesso perché Janet permetteva che pazienti con deliri di persecuzione parlassero liberamente fra loro in corsia potenziando apparentemente l’uno il delirio dell’altro, Janet rispose: “Credo a quelle persone finché non mi si prova che ciò che dicono non è vero”. E aggiunse che bisognava analizzare ogni convinzione di ciascuna di quelle persone con rispetto, in un dialogo attento, fino a che non si svelassero le condizioni causali originarie delle sue credenze. Quando parlava a un interlocutore in carne e ossa, Janet diceva dunque, spontaneamente, “persone”; non “soggetti”, né “malati”.
A conclusione di questa Prefazione, è appena necessario ricordare che il lavoro di Pierre Janet – padre riconosciuto della psicotraumatologia – offre tuttora spunti di attualissima riflessione per il chiarimento di che cosa debba intendersi con il termine da lui coniato, désagrégation, che adesso forse un po’ impropriamente traduciamo con “dissociazione”. Attenendoci alla concezione originaria di Janet potremmo risolvere dibattiti come quello che oppone oggi, a chi invece è di diversa opinione, coloro che considerano racchiuse nel concetto di dissociazione sia la depersonalizzazione sia la mancata integrazione di parti della personalità. Gli esempi clinici contenuti nel saggio sul subcosciente (qui ripubblicato nel capitolo 7) e il commento che vi fa seguito offrono indicazioni notevoli e molto attuali per dirimere la questione.
Importanti, dunque, sono i frutti che si possono trarre da questa antologia, sia per la futura ricerca sulla coscienza e sui suoi disturbi funzionali, sia per la pratica clinica. Spero che, al termine della lettura del libro, molti condividano la gratitudine per il prezioso lavoro dei curatori, Francesca Ortu e Giuseppe Craparo, e per il dono che, pubblicandolo, l’editore Raffaello Cortina ha fatto alla cultura italiana.
 
 
Bibliografia
 
1. H.F. Ellenberger, La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica, tr. it. Boringhieri, Torino 1976.
2. Per una breve rassegna vedi G. Liotti, “Le critiche di Pierre Janet alla teoria di Sigmund Freud: corrispondenze nella psicotraumatologia contemporanea”, in Psichiatria e Psicoterapia, 33 (1), 2014, pp. 31-39.
3. V. Lingiardi, G. Amadei, G. Caviglia, F. De Bei (a cura di), La svolta relazionale. Itinerari italiani, Raffaello Cortina, Milano 2011.

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