Uso dell’MDMA come risorsa terapeutica: MDMA e trattamento dei traumi

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27 agosto, 2021 - 18:23
  1. Introduzione
    (Annalisa Valeri, Marta Giovannini)

Il lavoro che presentiamo nasce dal profondo interesse per gli Stati Non Ordinari di Coscienza (SNOC), che come “Gruppo Nosc” stiamo studiando nelle loro differenti forme (analisi dei sogni, sostanze psicoattive come strumento di cura e di espansione della coscienza, ecc) e da un’occasione: una psicoterapia nella quale una persona comunica di aver intrapreso un percorso con l’MDMA in maniera autonoma e ci permette di seguire il processo che la porterà a interrompere la terapia con gli psicofarmaci e ad affermare un sostanziale miglioramento in molte aree della sua vita.

Questa esperienza ci porta ad allargare il nostro campo di conoscenza sull’MDMA, approfondendo il fenomeno nella sua dimensione storica, in quella psicoterapeutica ma anche in quella relativa al movimento rave degli anni ’90, per arrivare agli studi moderni che in questi ultimi anni hanno caratterizzato un rinnovato interesse per le sostanze psichedeliche e stanno contribuendo alla possibilità di utilizzare L’MDMA per il trattamento dei traumi e del PTSD. In Italia, l’utilizzo dell’MDMA è illegale e l’unico modo di poter studiare gli effetti della sua assunzione è attraverso le controculture o quando, ad esempio nel nostro caso, le persone riportano le loro esperienze e le riflessioni che ne scaturiscono nei colloqui di una terapia psicologica.

L’MDMA, appartenente alla classe delle fenitelamine, si differenzia nettamente dagli psichedelici dal punto di vista farmacologico, tossicologico e per gli effetti psicologici che produce e può essere definito un empatogeno anche se, in comune con gli psichedelici, ha la capacità di produrre uno SNOC ed effetti terapeutici che saranno l’oggetto degli studi riportati in seguito.

Speriamo che questo lavoro possa contribuire allo studio rigoroso e quanto più possibile scevro da pregiudizi sull’uso terapeutico delle sostanze empatogene e psichedeliche e sensibilizzare il mondo scientifico e l’opinione pubblica sulla ricerca in Italia.

  1. Cenni storici sull’uso dell’MDMA negli anni ’90 e movimenti di controcultura
    (Leonardo Montecchi)

Nei primi anni ‘90 del secolo scorso cominciarono ad arrivare nei dipartimenti di emergenza e poi nel servizio per le dipendenze casi di persone che avevano assunto sostanze che ancora non conoscevamo bene. Eravamo abituati alla eroina, alla cocaina ma anche agli effetti di un bad trip di LSD o ad una "paranoia" da cannabis, ma queste situazioni, come ipertermie acute o attacchi di ansia e di panico, o, in alcuni casi, dissociazioni importanti, non erano legati alla assunzione di quelle sostanze. Dai colloqui emergevano situazioni a me sconosciute, in particolare non riuscivo a capire il contesto "contro culturale" da cui emergevano. Si trattava in grandissima parte di frequentatori di alcune discoteche di tendenza dove circolava una musica di cui avevo sentito parlare ma che non conoscevo. Era la musica techno.

Con il tempo, ci siamo resi conto che la scena contro culturale era cambiata sotto i nostri occhi e noi non ce ne eravamo accorti. Eravamo abituati agli anni ‘60/’70 alla controcultura del tempo, con gli hippies in tutte le varianti, i grandi concerti, le pop star, la psichedelia e gli allucinogeni, poi la ribellione punk e la scoperta del no-future, la rabbia contro la Thatcher e la sua ideologia secondo cui "la società non esiste, esistono gli individui". Distruzione, autodistruzione, oppiacei, eroina, siringhe.

Questi da dove venivano? Si era sviluppato un movimento che aveva circolato "underground" dalla musica elettronica alla necessità di ballare, di non essere più spettatori dei concerti cercando una identificazione con la pop star. Già il punk aveva distrutto il palco e gli "spettatori di merda" come urlavano gli Skiantos di Freak Antoni, ma qui si andava più in là. Il centro della scena non era più occupato dal palco, ma dallo spazio dedicato al ballo e come diceva il musicologo Philip Tagg ciò che prima era sullo sfondo -la musica, gli spettatori- diventava figura, gli spettatori diventavano attori e i musicisti diventavano musicanti sullo sfondo di un rito metropolitano radicalmente mutato.

In questo nuovo movimento si diffondeva l'MDMA e si capiva perchè. Innanzitutto la durata dell'effetto era di quattro o cinque ore, quindi non le dodici o più ore dell’LSD, inoltre non dava dipendenza come l'eroina, la componente anfetaminica favoriva la performance atletica importante per resistere a ballare tante ore, ma la componente enantogena ( che tocca dentro) ed empatogena favoriva la comunicazione non verbale ed aumentava il senso di appartenenza e di comunione della comunità che si era formata ad hoc per celebrare quella festa.

Abbiamo appreso poi che le feste si chiamavano rave party ed erano di due tipi: quelli neo hippy che si svolgevano in ambienti naturali non urbani e neo punk che si svolgevano in città, in strutture abbandonate post-industriali.

Queste feste erano dei veri e propri emergenti del nuovo movimento contro culturale, e a queste situazioni si adattava molto bene la definizione che aveva elaborato Hakim Bey di Taz o zona temporaneamente autonoma, cioè una Zona o se vogliamo utilizzare un altro concetto che ha elaborato Henri Lefebvre, un momento in cui sono sospese le routines della vita quotidiana e si entra in uno stato di coscienza che non è quello ordinario.

Queste "feste mobili" o nomadi erano una parte visibile del movimento techno che nella provincia di Rimini aveva un vero e proprio tempio nel Cocorico'.

Era evidente che l'MDMA era parte di questo movimento che si poteva distinguere in tre cerchi concentrici: il primo, più esterno costituito dai partecipanti occasionali alle feste, intercambiabili, poco differenziati dalla vita quotidiana, un secondo cerchio, più interno, con frequentatori abituali e un terzo di adepti utilizzatori di MDMA che organizzavano le feste, si scambiavano informazioni, vivevano tendenzialmente in uno stato modificato di coscienza permanente.

Non è questa la sede per approfondire la descrizione del movimento, però questo accenno è utile per capire che per comprendere l'effetto dell’ Ecstasy, che è il nome dato all'MDMA, è fondamentale questo setting ed il set è dato dal desiderio di uscire dallo stato di coscienza della vita quotidiana, dallo stato di coscienza ordinario.

Certamente tutti i passaggi che portano ad un rave illegale o che introducevano al tempio techno di Riccione alta, sono porte che modificano progressivamente le percezioni e predispongono ad un’esperienza dissociativa che si attiva anche solamente con la veglia quando ordinariamente ci sarebbe il sogno, con la musica che non è solamente udita ma toccata perchè il setting di un rave party o di una discoteca di tendenza è costruito in modo che chi si trova al centro della scena si sente attraversato dalle onde sonore. Le "vibrazioni " di cui parlavano gli hippies toccano il corpo ed il ritmo vertiginoso di 160/180 battiti per minuto fa esplodere il parossismo del ballo che pur essendo singolare e unico si coniuga direttamente con la moltitudine presente in una sinestesia in cui si possono vedere i suoni luci e udire i colori.

In questo " momento " è possibile che un operaio di un calzaturificio si trasformi in Superman indossando una maglietta o una telefonista di un call center in Zora la vampira.

L'MDMA in questo contesto è uno degli induttori di uno stato modificato di coscienza che abbiamo chiamato "transe metropolitana" per distinguerlo dagli stati di transe dei riti di possessione della Africa occidentale che si sono sviluppati anche in America come il Voodoo haitiano, la Santeria cubana, l’Umbanda, il Candomblè e la Macumba brasiliana, portati dagli schiavi che hanno mantenuto la loro cultura modificandola per non farsi totalmente sottomettere dagli schiavisti bianchi. Questi riti assieme a quelli del nord Africa come gli Gnaua del Marocco o lo Stambali tunisino sono stati studiati fra altri da Georges Lapassade che ha partecipato alla nostra ricerca e che lavorava sull’ipotesi che ci fosse un’analogia fra gli stati di transe tradizionali e le dissociazioni che andavamo individuando nei rave party e nelle discoteche dì tendenza.

Così l'effetto dell’MDMA non si spiegava solamente con la sua composizione chimica, ma con quel setting che richiamava un set disponibile ad accedere ad uno stato di coscienza non ordinario.

Insomma la formula dell’ecstasy non spiegava tutto, così come la formula dell'acqua (H2O) non spiega cosa sia l'acqua santa.

Per tutti questi motivi questa sostanza non ha solamente un’indicazione terapeutica nel disturbo post-traumatico da stress, ma è un induttore per accedere a Stati di coscienza non ordinari che per noi non significano psicopatologia ma una risorsa dell'essere umano.

Anzi, la progressiva riduzione della coscienza ad una unica dimensione ci si presenta come una vera e propria malattia che comporta la riduzione della psiche ad algoritmi, a sistemi di calcolo che sono riproducibili con l'intelligenza artificiale.

Contro queste procedure stereotipate, queste ripetizioni, le forme di vita compaiono in tutti quei deragliamenti che mostrano l'esistenza di molti Stati di coscienza e ne rivelano in primo luogo a se stessi e poi agli altri la forza e la bellezza.

3.Utilizzo odierno di MDMA in un piccolo campione

E' stata condotta, attraverso un questionario autosomministrato, un’indagine su tredici persone che avevano assunto MDMA per conto proprio in base a motivazioni differenti.

Si tratta di undici maschi e due femmine, l'età si distribuiva principalmente fra i 18 e 30 anni, solo una persona era nella decade dai 30 ai 40. Fra di loro otto erano studenti e cinque occupati in varie attività lavorative. Nessuno era disoccupato.

Se utilizziamo la classificazione dell'uso di sostanze in a) consumatori b) abusatori, c) dipendenti, si tratta senza ombra di dubbio di consumatori. L'uso della sostanza non incide complessivamente sul loro stile di vita. Per quanto riguarda le motivazioni al consumo si tratta nella quasi totalità dei casi di curiosità per gli effetti della sostanza e per divertimento o svago, solo una persona motiva l'esperienza come " sperimentare una alterazione dello stato di coscienza", per tutti gli altri si tratta comunque di una esperienza con amici, sociale e non solitaria. Il consumo è avvenuto negli ultimi tre anni.

Vengono segnalati  dei cambiamenti  che riguardano la comunicazione verso gli altri, il senso di empatia, a volte come scoperta, la disinibizione per esempio. Una persona dice: " ho imparato a ballare".
Vengono segnalati come problemi un cambiamento di stile di vita che ha portato a conflitti in famiglia. Questi cambiamenti non sono necessariamente problemi, diventano problemi quando sono vissuti come tali. Molti hanno segnalato l'effetto della stanchezza e basso tono dell'umore dopo l'esperienza che comunque in questi casi era una festa notturna e dunque già di per se "violava" il bioritmo.

Qualcuno segnalava la difficoltà a riportare nella vita quotidiana lo stato di coscienza modificato sperimentato. Questo in ogni caso è il classico conflitto fra coscienza ordinaria e stati di coscienza modificati, il conflitto aumenta e diventa complicato quando lo stato di coscienza straordinario viene patologizzato o criminalizzato. In quel caso la persona o accede alla possibilità di considerare gli stati modificati come risorsa umana o ricade nella vita quotidiana vivendo con nostalgia o con paura lo stato sperimentato.

Una persona comunque sostiene di essere " guarita" dal disturbo del comportamento alimentare proprio grazie alla sperimentazione di uno stato di coscienza modificato che le ha fatto percepire la " voglia di vivere, praticamente assente da tempo" e le ha donato " la voglia di guarire, fiducia nella possibilità di riuscirci, fiducia nella terapia".

Alcuni hanno segnalato un eccesso di sensibilità : " mi ha portato a percepire che delle persone a cui voglio bene stessero male anche se magari non stavano male”.

Questo aumento di sensibilità all'altro facilmente può virare nella paura di ciò che l'altro può farci, cioè in una forma di: "paranoie legate alla percezione che le persone avevano di me e di quello che dicevo/facevo".
Alla domanda se è stato percepito un cambiamento dal punto di vista  spirituale c'è chi risponde "sì nel significato laico del termine, inteso come senso di presenza consapevole".

Alla domanda di descrivere ulteriori cambiamenti una persona risponde:

La mia visione della realtà è mutata in meglio e con essa anche l'importanza delle manifestazioni di affetto".

Questa risposta ci permette di riflettere sulla "realtà" come costruzione sociale e come sia necessario andare al di là della realtà per comprendere che ci sono molteplici visioni della realtà e che può succedere di vivere in una realtà, una prospettiva, un punto di vista, in definitiva uno stato di coscienza in cui siamo infelici e che percepiamo come una "realtà immutabile". 

A questo proposito una persona segnala un’esperienza negativa : ”una volta ne ho presa troppa ed ho ho visto gli zombie“

Come nel film di John Carpenter: Essi vivono, la sostanza gli ha fatto vedere una realtà in cui vivono dei simulacri di esseri umani. L’esperienza negativa in questo caso avviene nell’elaborazione che lo porta a pensare di avere una “ psicosi al cervello perchè per molti giorni, appena mi coricavo, rivedevo quei volti putrefatti”, anziché pensarlo come una metafora di un mondo alienato.

Nessuno riporta di aver sviluppato dipendenza, nonostante l’uso prolungato (per alcuni un paio di anni), ma la maggior parte consiglia un uso consapevole e non superficiale della sostanza.

Queste esperienze ci dimostrano che esistono delle vie di fuga per accedere ad altre realtà, ad altre prospettive, in cui è possibile anche una coscienza felice attraversata da passioni allegre.

  1. MDMA e potenzialità terapeutiche per il trattamento del PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder)
    (Cecilia Scipioni)

a. Fenomenologia dell’MDMA

La 3,4-metilenediossimetanfetamina, conosciuta anche come MDMA o ecstasy, è una sostanza psicoattiva che agisce a livello cerebrale legandosi ai recettori del circuito neurotrasmettitoriale serotoninergico. Appartenente alla classe delle feniletilamine, è un composto semisintetico che provoca effetti stimolanti e empatogeni (si ottiene a partire dal safrolo, uno degli olii essenziali presenti nel sassofrasso, nella noce moscata, nella vaniglia, e in altre spezie vegetali e la sua metabolizzazione avviene per via epatica).

L'MDMA fu sintetizzata per la prima volta nel 1890, e successivamente fu brevettata dalla Merck Pharmaceuticals il 24 dicembre 1912, ma fu solo negli anni ‘70 che A. Shulgin ne scoprí il suo potenziale come empatogeno. Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 l'MDMA è stata utilizzata come strumento psicoterapeutico in particolare per le terapie di coppia.

Il suo utilizzo e la crescente fama all' interno dei circoli underground l’ha resa illegale negli Stati Uniti nel 1985, e da allora è rimasta circoscritta alla cultura dei raves party, della musica trance e del neosciamanesimo.

L’MDMA puó essere assunta in pasticche, polvere o cristalli, tramite somministrazione per ingestione, per via nasale o meno comunemente fumata (o intravenosa). A seconda del dosaggio, dell'abitudine o della soglia personale può avere effetti più o meno intensi. Si registra comunque una soglia di attivazione dai 30mg, una media di 125 mg, e un picco intenso tra I 150 e 200 mg.

L'effetto insorge tra circa 30/70minuti dalla somministrazione, per una durata variabile dalle 3 alle 5 ore; presenta un after effect fino a 24 h dopo la somministrazione.

b. Effetti neurochimici

L'MDMA agisce come potente agonista delle monoamine serotonina, noradrenalina e dopamina. Il suo effetto è dovuto perciò al rapido aumento della loro concentrazione a livello sinaptico, in particolare della serotonina. Essendo un substrato dei trasportatori delle monoamine (SERT, DAT, NET) che lo trasportano all'interno del neurone, l’MDMA agisce da agonista nei confronti del recettore associato alle monoamine (TAAR1), mentre inibisce l'azione del trasportatore vescicolare per le monoamine di tipo 2 (VMAT2). Questo provoca il blocco del trasporto delle monoamine (serotonina, noradrenalina e dopamina) all'interno delle vescicole plasmatiche, aumentando la loro concentrazione nel citosol.

L'azione agonista al TAAR1 attiva il segnale mediato dalle proteine chinasi A e proteine chinasi causando la fosforilazione dei trasportatori delle monoamine e quindi un'inversione della direzione del trasporto delle monoamine che vengono immesse nel vallo sinaptico. Farmaci che bloccano il reuptake delle monoamine (come la cocaina) contrastano gli effetti di questo composto, impedendone la ricaptazione. (1)(2)(3)

L'MDMA ha un'affinità superiore per il trasportatore della serotonina, e presenta un effetto prevalentemente serotoninergico: in uno studio è riportato che una dose di tale composto è stata in grado di aumentare dopo 40 minuti dalla somministrazione del 900% i livelli extracellulari di serotonina, non aumentando in maniera significativa quelli di dopamina (mentre l'amfetamina ha aumentato del 400% quelli di dopamina non modificando significativamente quelli di serotonina). (4) (5)

L'MDMA è anche parzialmente agonista dei recettori 5-HT1 e 5-HT2, e ciò può essere dovuto al notevole aumento delle concentrazioni ematiche di ossitocina, cortisolo e prolattina, che si verifica negli assuntori. Inoltre, in modo analogo alla metanfetamina, induce un incremento della produzione di adrenalina da parte del surrene (6).

c. Effetti psicoattivi

Tra i principali effetti psicoattivi a breve termine (8)(9)(10)(11) abbiamo un notevole innalzamento dei livelli di felicità ed euforia auto esperiti, con coincidente aumento del senso di benessere generale e di rilassamento. Inoltre provoca una sensazione di forte carica, con relativa diminuzione della fatica e del bisogno di assumere cibo. Appare un notevole aumento del livello di empatia che provoca senso di vicinanza e legame emotivo con cose e persone, con un aumento della socialità e dell'emotività. L’MDMA puó provocare delle dispercezioni come l'alterazione della percezione dello scorrere del tempo o leggere allucinazioni, specie se a dosi elevate. L'MDMA presenta inoltre effetti collaterali a breve termine tra cui: movimenti involontari come nistagmo, mascelle digrignanti, lieve perdita del controllo muscolare, iperreflessia, mioclono, convulsioni; sintomi psicologici quali cambiamenti significativi nell’ attivitá di decision-making, irrequietezza, confusione e panico. Inoltre causa risposte automatiche come piloerezione, secchezza alle fauci, ipertermia, sbalzi di pressione, iposalivazione. Gli effetti a lungo termine dell'uso di MDMA non sono stati ancora del tutto dimostrati, ma numerosi studi hanno sostenuto che in tale composto sia presente una tossina serotoninergica (12), in grado di danneggiare i neuroni che producono serotonina (13): alterandone la quantitá (14)(15) e modificando l'attività di alcune aree cerebrali, diminuisce i livelli di serotonina nell'ordine del 5-10%, valori che tendono a normalizzarsi nuovamente nell'arco di 2-3 mesi di astinenza(16).

In alcuni studi si è affermato che queste alterazioni sono evidenti nei consumatori abituali o in coloro che hanno assunto alti dosaggi, nei quali alcune di queste alterazioni sono rilevabili anche dopo mesi di astinenza (17). Sulla tossicità dell’MDMA tuttavia esistono alcune posizioni discordanti, per cui si afferma che la neurotossicità avvenga in condizioni di forte esposizione all’empatogeno, mentre c’è una maggiore unanimità su possibili effetti tossici acuti con una dose elevata o ripetute somministrazioni comprovata su cavie animali (18). In uno studio riportato da Adriana D’Arienzo in “Terapie psichedeliche” sono stati raccolti dati di studi clinici che sostengono la sicurezza dell’uso di MDMA, se utilizzata all’interno di un setting clinico, con una dose singola fra i 75 e i 125 mg in pazienti sani. Tale uso ha prodotto risultati positivi ed effetti collaterali dopo i 100 mg per le donne (19).

d. Breakthrough Therapy con MDMA

Già negli anni 70 questa sostanza aveva suscitato l'interesse di alcuni famosi ricercatori come Leo Zeff, Claudio Naranjo, George Greer, Joseph Downing, e Philip Wolfson.

Dal 2009 l'MDMA è di nuovo rientrata nei laboratori, suscitando l'interesse farmaceutico, e ancora piú recentemente si sta dimostrando essere un buon coadiuvante nella cura del disturbo post-traumatico da stress, con risultati molto promettenti negli studi riportati da MAPS, in quanto accelera e migliora i progressi della psicoterapia, tali risultati hanno visto l’approvazione della Food and DrugsAdminisration (20).

Nel 2017 lo studio clinico sviluppato da Maps (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies) ha raggiunto la fase 3, volta a confermare il rapporto efficacia-sicurezza di questa combinazione terapeutica (psicoterapia per PTSD - MDMA) (21).
La psicoterapia coadiuvata dall'MDMA per Il PTSD è stata definita "Breakthrough Therapy", e si basa sull'effetto neuropsicologico di questa sostanza sulle funzioni di estinzione della paura e riconsolidamento dei ricordi, due processi fortemente alterati ed implicati nel disturbo da stress post traumatico.

Attualmente la psicoterapia focalizzata sul trauma è considerata un trattamento di prim’ordine per Il PTSD, assieme a farmaci quali Sertraline e Paroxetine (22). Le farmacoterapie esistenti, tuttavia, risultano inefficaci per molte persone con PTSD, con un range tra il 40-60% dei pazienti che non rispondono adeguatamente (23)(24)(25). Inoltre tali farmaci possono avere effetti collaterali problematici, e in generale richiedono un uso a lungo termine per mantenere l'efficacia (26). La Breakthrough therapy si sviluppa attraverso un percorso che prevede diversi tipi di sedute: sedute psicoterapeutiche di preparazione, seguite da sedute di drug-assisted therapy che prevedono la somministrazione della sostanza, e sedute psicoterapeutiche di integrazione posteriori all'esperienza.

L'MDMA aumenta il rilascio di monoamine e altre molecole di segnalazione a valle (BDNF) per modulare dinamicamente i circuiti di memoria emotiva.

Riducendo l'attivazione nelle regioni del cervello implicate nell'espressione della paura e nei comportamenti legati all'ansia, l'amigdala e l'insula, e l'aumento della connettività tra amigdala e ippocampo, l'MDMA consente il ritrattamento dei ricordi traumatici e il coinvolgimento emotivo con processi terapeutici.

Il notevole effetto dell'MDMA sulla riduzione dei sintomi del disturbo post traumatico da stress si basa in primis sugli aspetti farmacologici della sostanza stessa, e poi sulla sua azione nei circuiti deputati ai processi di riconsolidamento della memoria, e di apprendimento della paura, aspetti compromessi dal PTSD (27).

Questa sostanza non smette di mostrare il suo effetto terapeutico, infatti nel 2014 era già stato avviato uno studio per approfondire i benefici dell'MDMA contro l'ansia negli individui affetti da autismo (28)(29), e nel 2017 in Inghilterra è stato avviato il primo trial sperimentale per valutare il potenziale nella cura della dipendenza da alcool (30).

5.Nuova frontiera nella Psichiatria e Psicoterapia: MDMA per il trattamento del PTSD

(Post-traumatic Stress Disorder) e le sue proprietà benefiche rispetto ai trattamenti

psicofarmacologici attuali

(Matteo Gori)

Introduzione

 

Tra le malattie mentali che maggiormente affliggono la salute ed il benessere psico-fisico delle persone, nel mondo, ai primi posti si può sicuramente trovare il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).

Andando ad esaminare contesti specifici, negli USA tale disturbo mentale ha una prevalenza (percentuale di popolazione che manifesta un disturbo in un momento preciso o nell’arco della sua esistenza) del 4% nella popolazione adulta, tra gli altri disturbi più diffusi. (1)

MAPS (Multidisciplinaryassociation for psychedelic studies), un’organizzazione che si può ritenere a tutti gli effetti“leader” nella ricerca contemporanea sul potenziale terapeutico dell’MDMA, stima che tale percentuale corrisponda a circa 8 milioni di persone negli USA che soffrono di PTSD ogni anno, con un numero piuttosto elevato di 350 milioni di persone in tutto il mondo.

Altre stime fatte da MAPS indicano che circa 20 veterani di guerra, soggetti particolarmente esposti al rischio di sviluppare PTSD, commettono suicidio ogni giorno negli Stati Uniti.

I veterani di guerra sono anche economicamente assistiti dallo stato, con 1 milione di essi che ottiene una pensione di invalidità ogni mese, raggiungendo una spesa pubblica di circa 17 miliardi di dollari ogni anno.

Inoltre, MAPS stima anche che il 6-10% delle persone può sviluppare PTSD nell’arco della propria vita, con circa un due terzi dei pazienti che non rispondono adeguatamente ai trattamenti disponibili. (2)

Ma che cosa sarebbe esattamente il PTSD in quanto malattia mentale?

Quali sono le sue principali cause e I sintomi più comuni sperimentati dalle persone?

Che impatto ha sulla vita di che ne soffre?

I trattamenti attualmente più diffusi e normalizzati sono davvero efficaci nel trattamento di questo disturbo mentale?

Quali speranze riservano la psichiatria e la psicoterapia nei prossimi anni?

PTSD: definizione, cause e sintomi più comuni

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è un disturbo psichiatrico che può verificarsi in persone che hanno vissuto o assistito ad un evento traumatico, come un disastro naturale, un incidente grave, un atto terroristico, guerra/combattimento, stupro, o che sono state minacciate di morte, violenza sessuale o lesioni gravi.

Il PTSD non si sviluppa unicamente nei veterani di guerra.

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress può verificarsi in tutte le persone, di qualsiasi etnia, nazionalità o cultura, e a qualsiasi età.

Le persone con disturbo post-traumatico da stress hanno pensieri e sentimenti intensi e inquietanti legati alla loro esperienza, che durano a lungo anche dopo la fine dell’evento traumatico.

Possono rivivere l’evento attraverso flashback o incubi, possono provare tristezza, paura o rabbia, e possono sentirsi distaccati o estraniati dalle altre persone.

Le persone con disturbo da stress post-traumatico possono evitare situazioni o persone che ricordano loro l’evento traumatico e possono avere forti reazioni negative a qualcosa di ordinario come un forte rumore o un tocco accidentale.

Una diagnosi di PTSD richiede l’esposizione ad un evento traumatico sconvolgente.

Tuttavia, l’esposizione potrebbe essere indiretta piuttosto che di prima mano.

Ad esempio, il disturbo da stress post-traumatico potrebbe verificarsi in un individuo che apprende la morte violenta di un parente stretto o di un amico.

Può anche verificarsi a seguito di esposizione ripetuta a dettagli orribili di traumi, come agli agenti di polizia esposti a dettagli di casi di abusi sui minori. (3)

I sintomi del Disturbo Post-Traumatico da Stress rientrano in quattro categorie principali. I sintomi specifici possono variare per gravità.

1) Intrusione: pensieri intrusivi come ricordi ripetuti e involontari; sogni angoscianti; o flashback dell'evento traumatico. I flashback possono essere così vividi che le persone sentono di rivivere l'esperienza traumatica o di vederla davanti ai propri occhi.

2) Evitamento: evitare i promemoria dell’evento traumatico può includere evitare persone, luoghi, attività, oggetti e situazioni che possono innescare ricordi angoscianti.

Le persone possono cercare di evitare di ricordare o di pensare all’evento traumatico.

Possono resistere nel parlare di quello che è successo o di come si sentono al riguardo.

3) Alterazioni della cognizione e dell’umore: incapacità di ricordare aspetti importanti della situazione traumatica, pensieri e sentimenti negativi che portano a convinzioni continue e distorte su se stessi o sugli altri (ad esempio, "sono cattivo", "nessuno può essere considerato affidabile"); pensieri distorti sulla causa o le conseguenze dell'evento che portano a incolpare ingiustamente se stessi o gli altri; sentimenti continui di paura, orrore, rabbia, colpa o vergogna;

molto meno interesse per le attività godute in precedenza; sentirsi distaccati o estraniati dagli altri; o non essere in grado di provare emozioni positive (un vuoto di felicità o soddisfazione).

4) Alterazioni dell’eccitazione e della reattività: I sintomi di eccitazione e reattività possono includere irritabilità e scoppi di rabbia; comportarsi in modo sconsiderato o autodistruttivo; essere eccessivamente vigile dell’ambiente circostante in modo sospetto; essere facilmente spaventato; o avere problemi di concentrazione o di sonno.

Molte persone che sono esposte ad un evento traumatico sperimentano sintomi simili a quelli sopra descritti nei giorni successivi all’evento.

Affinchè si possa diagnosticare ad una persona il Disturbo Post-Traumatico da Stress, tuttavia, i sintomi devono durare più di un mese e devono causare disagio o problemi significativi nel funzionamento quotidiano dell’individuo.

Molte persone sviluppano sintomi entro tre mesi dal trauma, ma i sintomi possono comparire più tardi e spesso persistono per mesi e talvolta per anni.

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress si verifica spesso con altre condizioni correlate, come depressione, abuso di sostanze, problemi di memoria ed altri problemi di salute fisica e mentale. (3)

Diventa chiaro dunque che si tratti di un disturbo mentale molto serio e disabilitante per la persona che ne soffre, la quale spesso può ricorrere ad un abuso di sostanze per alleviare i sintomi, o, in un’ultima istanza, al suicidio.

 

Trattamenti psicofarmacologici attualmente disponibili

 

I farmaci possono aiutare a controllare i sintomi del PTSD. Inoltre, il sollievo dai sintomi fornito dai farmaci consente a molte persone di partecipare in modo più efficace alla psicoterapia.

Alcuni antidepressivi come gli SSRI e gli SNRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e inibitori della ricaptazione della serotonina-noerepinefrina), sono comunemente usati per trattare i sintomi principali del PTSD.

Sono usati da soli o in combinazione con psicoterapia o altri trattamenti. (3)

L'attuale base di evidenze per la psicofarmacologia del PTSD è più forte per gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI): Sertralina, Paroxetina (..).

Attualmente solo la Sertralina (Zoloft) e la Paroxetina (Paxil) sono approvate dalla Food and Drug Administration (FDA) per il disturbo da stress post-traumatico. (4)

La sertralina è un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI), un tipo di antidepressivo usato per curare la depressione, il disturbo ossessivo compulsivo, il disturbo da stress post-traumatico (..).

Farmaci come la sertralina possono ripristinare l’equilibrio chimico tra i neurotrasmettitori nel cervello.

Gli SSRI bloccano la ricaptazione della serotonina, modificando quindi il livello di serotonina in circolo.

Viene raggiunto un equilibrio della serotonina tra l’attaccamento ai nervi vicini e la ricaptazione.

La paroxetina è un antidepressivo inibitore della ricaptazione della serotonina che agisce prevenendo la ricaptazione della serotonina da parte delle cellule nervose dopo che è stata rilasciata.

Poichè la ricaptazione è un meccanismo importante per rimuovere i neurotrasmettitori rilasciati e per terminare le loro azioni sui nervi adiacenti, l’assorbimento ridotto causato dalla Paroxetina aumenta la serotonina libera che stimola le cellule nervose nel cervello. (5)

La serotonina è una sostanza chimica prodotta dalle cellule nervose.

La serotonina impatta ogni singola parte del corpo, dalle emozioni alle abilità motorie. La serotonina è considerata uno stabilizzatore dell’umore naturale.

È la sostanza chimica coinvolta con il sonno, l’alimentazione e la digestione.

La serotonina aiuta anche a ridurre la depressione, a regolare l’ansia, a curare le ferite.

Si ritiene che la serotonina nel cervello regoli l’ansia, la felicità, e l’umore.

Bassi livelli della sostanza chimica sono stati associati alla depressione e si ritiene che l’aumento dei livelli di serotonina indotto dai farmaci diminuisca l’eccitazione. (6)

La dose raccomandata di Setralina è da 25 a 100 mg una volta al giorno.

Il trattamento del disturbo da stress post-traumatico viene iniziato con una dose di 25-50mg una volta al giorno.

Le dosi vengono aumentate a intervalli settimanali fino a quando non si ottiene la risposta desiderata.

La dose raccomandata di Paroxetina è da 20 a 60 mg al giorno di compresse a rilascio immediato o da 12,5 a 75mg al giorno utilizzando compresse a rilascio controllato.

La paroxetina viene somministrata in un’unica dose giornaliera, di solito al mattino.

Come con tutti gli antidepressivi, l’effetto completo potrebbe non verificarsi fino a dopo alcune settimane di terapia. (5)

Come descritto in precedenza, il PTSD è un disturbo mentale complesso, che coinvolge la persona a tutti i livelli, non solo neurochimico. Pensare che tale disturbo possa essere ridotto ad uno squilibrio chimico di neurotrasmettitori risolvibile attraverso un trattamento unicamente farmacologico, sarebbe parziale e scorretto.

Di sicuro un intervento psicofarmacologico può alleviare i sintomi del PTSD e favorire una migliore adattabilità alla vita quotidiana, ma gli effetti collaterali non sono assenti, ed il paziente necessità di un trattamento economicamente costoso e temporalmente lungo.

Inoltre, si rischia di non andare ad agire sul nucleo centrale di questo disturbo mentale, ed unicamente ridurre quelli che sono i suoi sintomi principali, senza che però la persona ripristini veramente un suo sano funzionamento psicosociale.

Gli effetti collaterali di Sertralina e Paroxetina che sono simili includono: sonnolenza, problemi di sonno (insonnia),nausea, costipazione, perdita di appetito, mal di testa, diarrea, bocca secca e aumento della sudorazione.

Effetti collaterali della Setralina che differiscono da quelli della Paroxetina includono: nervosismo, vertigini, tremore, eruzione cutanea, disturbi di stomaco, eiaculazione anormale, diminuzione dell’interesse per l’attività sessuale e perdita di peso.

Effetti collaterali della Paroxetina che differiscono da quelli della Setralina includono ansia e debolezza.

Interrompere bruscamente il trattamento con questi farmaci può anche dare origine a tutta una serie di spiacevoli effetti collaterali. (5)

Va sottolineata l’importanza di coadiuvare un trattamento farmacologico ad un trattamento psicoterapico, per agire a trecentosessanta gradi sul paziente, alleviandone i sintomi e favorendone un riadattamento psicosociale.

In una meta-analisi sull’efficacia dei trattamenti per il PTSD, il “Journal of Clinical Psychiatry” ha riportato i seguenti risultati.

Le fonti dei dati: i database “PubMed”, “MEDLINE”, “PILOTS” e “PsycINFO” sono stati ricercati per studi clinici controllati e randomizzati di qualsiasi trattamento per PTSD negli adulti, pubblicati tra il 1 Gennaio 1980 e il 1 Aprile2012, scritti in lingua inglese.

Gli articoli selezionati erano quelli in cui tutti i soggetti erano adulti e con una diagnosi di disturbo da stress post traumatico, basata sui criteri del DSM, ed era stata riportata una misura valida dei sintomi di PTSD. Altre caratteristiche degli studi sono state raccolte sistematicamente.

Il campione era costituito da 137 confronti di trattamenti raccolti da 112 studi.

I risultati indicano che le psicoterapie efficaci includevano terapia cognitiva, terapia dell’esposizione e desensibilizzazione e rielaborazione del movimento oculare. Le farmacoterapie efficaci includevano paroxetina, sertralina.

Sia per la psicoterapia che per i farmaci, gli studi con più donne hanno avuto effetti maggiori e gli studi con più veterani hanno avuto effetti minori.

Gli studi di psicoterapia con controlli in lista di attesa hanno avuto effetti maggiori rispetto agli studi con confronti di controlli attivi.

I risultati suggeriscono che i pazienti e gli operatori sanitari hanno una varietà di opzioni per la

scelta di un trattamento efficace per il Disturbo Post-Traumatico da Stress. Le differenze sostanziali nel disegno dello studio e nelle caratteristiche dei partecipanti ad esso rendono difficile l’identificazione di un singolo trattamento migliore.

Non tutti i farmaci o le psicoterapie sono efficaci. (7)

Esistono soluzioni alternative agli attuali trattamenti psicofarmacologici e psicoterapeutici?

Esistono trattamenti psicofarmacologici più efficaci, con minori effetti collaterali, e che vadano ad agire sul nucleo del disturbo piuttosto che sui suoi sintomi?

Le ricerche di MAPS sull’MDMA sembrano puntare in questa direzione.
 

MDMA per il trattamento del PTSD

Quali sono i risultati principali emersi dalle ricerche sull’efficacia dell’MDMA unita alla psicoterapia per il trattamento del PTSD?

Fondata nel 1986, MAPS è un’organizzazione educativa e di ricerca senza scopo di lucro che sviluppa contesti medici, legali e culturali per consentire alle persone di beneficiare degli usi responsabili di sostanze psichedeliche e marijuana.

Gli studi clinici sponsorizzati da MAPS sono condotti dalla MAPS Public Benefic Corporation (MPBC), una consociata interamente controllata da MAPS e formata nel 2014 con lo scopo speciale di bilanciare i benefici sociali con il reddito derivante dalla vendita legale di MDMA, altri psichedelici e marijuana.

I risultati complessivi di sei studi clinici di fase 2 sulla psicoterapia assistita da MDMA per il trattamento del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) sono stati pubblicati sulla rivista peer-reviewed “Psychopharmacology”.

Il documento è l’analisi più completa finora pubblicata della ricerca sull’efficacia e la sicurezza della psicoterapia assistita da MDMA per il Disturbo Post-Traumatico da Stress.

I sintomi del PTSD sono stati valutati utilizzando la scala PTSD somministrata da un clinico (CAPS-IV) allo stato di base (no trattamento), da uno a due mesi dopo l’ultima sessione di psicoterapia assistita da MDMA e almeno 12 mesi dopo la sessione finale.

I risultati mostrano che, per la maggior parte dei partecipanti, i benefici della psicoterapia assistita da MDMA per il PTSD si sono estesi per almeno 12 mesi dopo le sessioni di trattamento.

Sponsorizzati dalla non-profit MAPS, gli studi in doppio cieco controllati con placebo su 103 soggetti in totale hanno rilevato che il 56% dei partecipanti al gruppo di trattamento attivo (75-125 mg MDMA) non si è più qualificato per una diagnosi di PTSD (non presentava cioè più i sintomi necessari per la diagnosi), rispetto al 23% nel gruppo di controllo (0-40 mg MDMA).

Nell’analisi recentemente pubblicata, 91 partecipanti sono stati intervistati almeno 12 mesi dopo il trattamento.

Di questi partecipanti, il 67% non ha riportato sintomi tali da potere effettuare una diagnosi di PTSD.

Uno degli studi includeva dati da una media di 3.8 anni dopo il trattamento.

I risultati sono stati valutati da “giudici” indipendenti “in cieco”.

Nell’analisi pubblicata, il corso del trattamento in doppio cieco comprendeva due sessioni da 8 ore di psicoterapia assistita da MDMA, distanziate da tre a cinque settimane, combinate con sessioni settimanali di psicoterapia non farmacologica (tre sessioni da 90 minuti, ciascuna in precedenza della prima somministrazione di MDMA, e dalle 3 alle 4 sessioni in seguito a ogni sessione sperimentale).

I trials clinici sono stati condotti da investigatori indipendenti in South Carolina (due trials), Colorado, Canada, Svizzera ed Israele. I partecipanti allo studio includevano uomini e donne con PTSD cronico, resistente al trattamento, a causa di un’ampia varietà di fattori.

L’analisi combinata mostra un profilo di rischio accettabile per l’MDMA, con le reazioni avverse riportate più frequentemente durante le sessioni sperimentali quali ansia, mal di testa, affaticamento, il serrarsi della mascella e mancanza di appetito.

Le reazioni avverse a seguito del trattamento includevano ansia e umore depresso.

Durante le sessioni di MDMA sono stati registrati anche aumenti temporanei di polso, pressione sanguigna e temperatura che non hanno richiesto intervento medico. Non ci sono state reazioni avverse inaspettate.

Lo studio di follow-up ha rivelato che gli eventi avversi a lungo termine erano minimi, al contrario i benefici erano sostenuti. Il danno più comune riportato nel follow-up a lungo termine è stato il peggioramento dell’umore, segnalato da meno del 4% dei partecipanti allo studio. Un’ulteriore valutazione dei benefici e rischi a lungo termine della psicoterapia assistita da MDMA è necessaria in studi futuri che includano gruppi di controllo.

Questi risultati di follow-up a lungo termine mostrano che una volta che le persone con PTSD imparano che possono elaborare in modo produttivo i ricordi traumatici invece di sopprimerli, possono continuare a guarire da soli anche dopo aver smesso di ricevere la psicoterapia assistita da MDMA”, ha detto il co-autore Rick Doblin, Ph.D., fondatore di MAPS e direttore esecutivo.

Sulla base di questi risultati, nell’Agosto 2017, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha concesso la designazione di terapia rivoluzionaria (breakthrough therapy) alla psicoterapia assistita da MDMA per il PTSD, riconoscendo che “potrebbe dimostrare un miglioramento sostanziale rispetto alle terapie esistenti” e accettando di accelerarne lo sviluppo e la revisione.

Il primo di due studi clinici di fase 3 sulla psicoterapia assistita da MDMA per il PTSD ha iniziato ad arruolare partecipanti nel Novembre 2018, ed arruolerà 100-150 volontari in 15 siti negli Stati Uniti, Canada e Israele.

La seconda sperimentazione avrà luogo dopo un’analisi ad interim dei dati della prima sperimentazione e arruolerà altri 100-150 partecipanti.

Le sperimentazioni sono iniziate nel 2019.

MAPS sta continuando i suoi trial clinici in fase 3 sulla psicoterapia assistita da MDMA per il PTSD negli Stati Uniti, Canada ed Israele.

I trial clinici della fase 3 potrebbero essere completati per la fine del 2021, con l’approvazione della FDA possibile già a metà del 2022.

Una volta approvata, la psicoterapia assistita da MDMA sarà disponibile su prescrizione in contesti terapeutici supervisionati da operatori di salute mentale appositamente formati.

Le persone con Disturbo Post-Traumatico da Stress possono sperimentare una qualità della vita e delle relazioni molto inferiore, condizioni negative di salute mentale correlate, e tendenza al suicidio.

È necessario con urgenza un nuovo approccio al trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress, sopratutto per coloro che non rispondono ai trattamenti esistenti.

La psicoterapia assistita da MDMA utilizza l’MDMA per migliorare l’efficacia della psicoterapia per il PTSD.

Il trattamento prevede fino a tre somministrazioni di MDMA (75-125 mg), in combinazione con la psicoterapia, in un contesto clinico controllato, come parte di un percorso psicoterapeutico.

Una volta approvato, i pazienti non saranno in grado di portare a casa l’MDMA; i pazienti non riempiranno le loro prescrizioni presso la farmacia locale.

Invece, il trattamento psicoterapeutico assistito da MDMA sarà disponibile solo attraverso un medico e solo in contesti terapeutici supervisionati da medici certificati. (8) (9)

MAPS ha iniziato questo viaggio 34 anni fa – nel 1986. A quel punto, era già noto che l’MDMA ed altri psichedelici – se combinati con la psicoterapia – potrebbe aiutare notevolmente le persone che soffrono di problemi di disturbi mentali.

È stato un lungo viaggio, strano e gratificante. Siamo motivati a continuare su questa strada a causa delle persone che ci dicono che i nostri trattamenti hanno cambiato le loro vite per il meglio, e in alcuni casi le hanno salvate”. (2)

- Rick Doblin, Ph. D, fondatore di MAPS e direttore esecutivo

6. Il caso di Sara
(Annalisa Valeri)

Veniamo a conoscenza dell’esperienza di Sara con l’MDMA attraverso le sue parole durante una psicoterapia, tuttora in corso. Sara ha 40 anni, è una professionista ed è madre di una ragazzina di 13 anni.

La sua vita è stata caratterizzata da un accudimento parentale poco contenitivo da un punto di vista emotivo. I genitori l’hanno concepita quando erano adolescenti e la gravidanza ha generato un forte impatto sulla famiglia della madre, in quanto la notizia è stata accolta con vergogna. Sara ha vissuto con la madre i primi anni ed è stata riconosciuta dal padre verso i 4 anni. Durante l’infanzia le capitavano spesso seri incidenti domestici nei quali si faceva male e non chiedeva aiuto ai genitori.

Nel corso del tempo ha attraversato traumi ripetuti e violenti; oltre a quello relativo alla trascuratezza emotiva ha subito molestie e un abuso sessuale ripetuto negli anni delle Medie ed una risposta non congrua da parte della famiglia. Ha studiato ed è andata all’estero dove ha avuto una figlia, ma si è presto allontanata dal compagno che aveva comportamenti violenti.

Di ritorno in Italia ha vissuto, nella città dove abitava, un evento naturale catastrofico, con perdite materiali ed emotive importanti ed una minaccia scampata di morte. Dopo questo avvenimento, che ha cambiato completamente la sua vita, Sara ha iniziato a sentire più fortemente un malessere che percepiva da tempo, ma che si è acutizzato, determinando nel 2014 la comparsa di sintomi relativi al disturbo del comportamento alimentare ed una prima richiesta di aiuto psicologico.

I sintomi con cui è arrivata in psicoterapia nel 2017 erano relativi ad un profondo malessere esistenziale e a problematiche alimentari, che si erano manifestate prima con modalità restrittive e poi bulimiche. Presentava inoltre apatia ed alessitimia. Mostrava grande disagio nel parlare delle proprie emozioni e molta confusione rispetto a quello che provava. Si definiva autistica, ma sembrava profondamente sensibile e capace di comprendere le emozioni degli altri, mentre presentava grosse difficoltà rispetto alle proprie. Ho ipotizzato una diagnosi di Disturbo Post Traumatico da Stress, in quanto erano stati i traumi cumulativi e persistenti a generare, a mio parere, la sofferenza psichica.

Durante il percorso terapeutico Sara era quasi ostile alla conversazione ed esprimeva una sofferenza nel partecipare alla terapia, che viveva dolorosamente nonostante fosse stata una scelta volontaria. Era sempre puntuale e presente, ma a volte doveva assumere degli ansiolitici prima di entrare in seduta, non riusciva a parlare nemmeno di argomenti neutri e non riusciva a definire le proprie emozioni. Il suo malessere si manifestava con un distacco da se stessa ed una difficoltà a sentire il proprio corpo ed il proprio mondo interno. In questi anni la compliance alla terapia (psicologica, medica, farmacologica, che aveva parallelamente alla psicoterapia) è sempre stata difficile e anche se la richiesta d’aiuto era chiara, Sara non poteva fare altro che porsi in modo difeso durante la terapia. Inoltre modificava autonomamente la farmacoterapia in quanto non trovava una risposta soddisfacente al proprio malessere. Ma nonostante tutto continuava e venire alle sedute di psicoterapia e, con grande fatica reciproca, il percorso continuava. Lentamente si delineavano aree problematiche che provavamo ad esplorare.

Durante il lockdown del 2020 il malessere è peggiorato ulteriormente e dopo la sospensione della terapia psicologica in relazione al Covid, Sara mi ha inviato delle mail (la modalità della scrittura ha sortito varie volte l’effetto di compensare il dialogo che stentavamo ad avere ed arricchiva di sentimenti e riflessioni il nostro legame terapeutico) nelle quali tornavano immagini e pensieri relativi al disastro naturale che aveva vissuto, che paragonava al lockdown e che proprio il lockdown aveva fatto riemergere.

Nei mesi successivi, quando abbiamo ripreso la terapia in presenza, Sara si è mostrata sempre più restia a partecipare e ha chiesto di sospendere per un mese le sedute. A posteriori, quando la terapia è ripresa, ha raccontato di avere avuto il desiderio di togliersi la vita e una notte ha assunto medicine e alcool finendo in Ospedale. Anche in adolescenza aveva provato, con un metodo ancora più pericoloso, a togliersi la vita.

E’ al ritorno dal mese di sospensione che Sara racconta di aver assunto MDMA come tentativo di auto cura in questo periodo estremamente difficile, di disperazione. C’era già stata qualche esperienza sporadica con sostanze come Subutex, THC, LSD che tuttavia non erano state esperienze significative. Il racconto dell’esperienza e di ciò che aveva vissuto, pensato e sentito durante le assunzioni sono diventate tema degli incontri terapeutici. Ho chiesto a Sara anche di compilare un questionario che poi abbiamo proposto ad altre persone dopo di lei e che abbiamo riportato sopra, per approfondire lo studio sull’MDMA.

L'esperienza di Sara con l’MDMA è iniziata a fine luglio 2020 e si è conclusa a fine novembre 2020. Il nome della pasticca era Darth Vader, la quantità dichiarata per pasticca 236 mg. In tutto ha assunto per 9 volte la sostanza, le prime tre a distanza di 7 giorni (80 mg, 80 mg più 40 mg, poi 80 mg) nelle quali ha riportato di aver avuto come effetti collaterali fastidiosi la secchezza delle fauci e rigidità della mascella (durante la terza autosomministrazione), poi un’assunzione a distanza di 18 giorni (100 mg), un’altra dopo 7 giorni (100 mg), la successiva dopo 22 giorni (80 mg), quella dopo a 15 giorni (80 mg), una a 18 giorni (60 mg, con down forte nei due giorni seguenti) e l’ultima dopo 22 giorni (60 mg, down leggero nei giorni successivi).

Abbiamo parlato a lungo della tossicità della sostanza, del pericolo delle assunzioni fatte in autonomia e degli effetti collaterali anche gravi a cui si è esposti. Sara ha accettato di consultare un medico esperto in sostanze psicotrope perchè fosse informata degli effetti collaterali, sul rischio dell’assunzione da sola, sull’interazione con altri farmaci e sui possibili effetti della sospensione degli psicofarmaci, che autonomamente aveva interrotto. Ha poi avvertito il suo medico di aver sospeso l’utilizzo di psicofarmaci.

L’esperienza con l’MDMA è stata percepita come estremamente positiva. Alla domanda relativa ad una valutazione generale del processo di assunzione Sara ha risposto:

Mi ha restituito la vita. Ma senza la psicoterapia sarebbe stata una grandiosa esperienza ludico creativa fine a se stessa. Quando ha smesso di essere terapeutica, quando cioè ha smesso di aiutarmi a trovare delle risposte, quando le cose che venivano fuori potevo dirmele senza dover usare quella condizione di estremo benessere per poterle accettare, ha perso per me ogni attrattiva. Non trarne benefici, a parte il divertimento, ha sicuramente contribuito a rendere più pesanti i postumi dell’assunzione.”

In psicoterapia ha affermato di sentirsi più connessa e più lucida con se stessa, che il benessere che provava da quando ha iniziato il percorso con l’MDMA aveva qualcosa a che fare con la spinta vitale, con una sensazione molto antica che definiva come un “ne vale la pena”. Le riflessioni di Sara portano a pensare che l’MDMA possa permettere l’accesso ad un altro stato di coscienza, quello che abbiamo definito come “inconscio selvatico” (1), cioè l’esperienza di una connessione profonda con l’essere animale, vegetale e minerale della vita. Sara ha affermato che questo benessere è qualcosa che ha cercato per tanto tempo nel cibo.

In una seduta Sara ha poi riportato un’intuizione avuta durante un’assunzione, relativa la fatto che “il benessere dipende dal poter affievolire il dolore”. A questa intuizione ha associato una citazione di Primo Levi da “Se questo è un uomo” che recita così: “ Nel Lager pensare è inutile .. ed è dannoso, perchè mantiene viva una sensibilità che è fonte di dolore e che qualche provvida legge naturale ottunde quando le sofferenze sorpassano un certo limite” (pag. 152). Questo ci ha fatto pensare che le difese con cui Sara ha affrontato la terapia avevano a che fare con un dolore insopportabile che non poteva tollerare e che ora, grazie al processo con il composto empatogeno e alla psicoterapia, sono diventate più gestibili.

I sintomi con cui si manifestava il profondo malessere sono cambiati fortemente. Sara si dichiara guarita dal DCA, in quanto le abbuffate ed il vomito sono scomparse immediatamente. Descrive una situazione per cui dopo la prima assunzione di MDMA è rimasta 36 ore senza mangiare, sentiva che il cibo era un veleno, poi è comparsa la fame come sensazione che non provava da tanto tempo:

poi ho avuto FAME! Per la prima volta dopo anni e il cibo è stato per la prima volta solo cibo”.

Il cibo sembra essere stato spogliato da tutti i significati simbolici che lo sovra investivano ed è tornato ad essere qualcosa di naturale, come in modo naturale sono riemerse le percezioni del corpo, alterate profondamente in precedenza dal disturbo alimentare.

Ma la scomparsa del sintomo che si manifesta in modo radicale e repentino ha anche degli effetti negativi, di cui bisogna tenere conto e che rende necessario inserire questa esperienza all’interno di un processo di cura più allargato:

Oltre alla felicità però avevo un vuoto enorme, perchè quella cosa che c’era prima (che era mia, era parte di me, ero proprio io) non c’era più. Per circa un mese mi è mancato. Non avevo un appiglio per i momenti difficili. Quando si presentavano situazioni stressanti (anche semplici) non sapevo come uscirne velocemente, quindi ho dovuto imparare a starci. Le strategie imparate in un gruppo DBT hanno molto aiutato. Cose che prima mi sembravano impossibili da applicare mi sono sembrate sensate, logiche, applicabili”.

Le riflessioni di Sara ci portano a pensare che il sintomo ha una funzione di compromesso rispetto al conflitto e alla situazione problematica che si vive ed è spesso la migliore soluzione che la persona ha trovato per poter far fronte al suo dolore. La scomparsa del sintomo in modo così radicale può portare ad uno sperdimento. In una seduta, dopo l’incontro con la madre che generalmente le causava tensione, Sara riporta che trovarsi sprovvista dello strumento del vomito l’aveva fatta stare male. Per far fronte a queste sensazioni Sara aveva assunto il giorno dopo MDMA.

Il cambiamento repentino dei sintomi quindi porta sia vantaggi che svantaggi, che dobbiamo tenere presente. Nel caso di Sara la quantità di angoscia è stata gestibile e il vomito non è più stato necessario, ma in altre situazioni le cose potrebbero essere differenti. Ci ha colpito inoltre che l’uso dell’MDMA non ha in alcun modo sostituito altri dispositivi terapeutici ( se non l’uso di psicofarmaci, di cui parleremo in seguito) ma al contrario ha permesso di poter usufruire di questi trattamenti in modo più profondo e completo e di integrarli fra di loro.

Alla domanda “Se stai facendo una psicoterapia, ha in qualche modo influenzato l’esperienza con la sostanza? (ha aiutato, ostacolato o non ha avuto impatto?)” Sara infatti risponde:

Ha assolutamente influenzato l’esperienza. E viceversa. Dopo la prima assunzione prettamente esplorativa, nelle successive ho cercato di pormi le domande poste dalla terapeuta nel corso della psicoterapia che facevo e alle quali non avevo trovato risposta. Le risposte le avevo e venivano fuori da sole. Durante l’esperienza ero disponibile ad ascoltare le mie risposte e ad accettarle”

Questo fa pensare che l’MDMA abbia avuto la funzione per Sara di diminuire le resistenze all’ emergere di materiale inconscio e conscio, diminuire la paura nei confronti delle proprie emozioni, abbassare le difese, come riportano studi in passato (2).

Oltre ai sintomi Sara riporta che sono cambiate alcune disposizioni d’animo che avevano invalidato potentemente la sua vita, fra cui la voglia di vivere, la voglia di guarire e la fiducia che questo potesse accadere. Sono cambiate le relazioni nel senso che sono diventate più semplici quelle con i colleghi e più profonde ed intime quelle con gli amici, quelle con i familiari a cui si sono potute finalmente esprimere alcune esigenze di comunicazione prima portatrici di malessere. Rispetto alla sfera spirituale c’è stato un avvicinamento alla meditazione, pratica esperita ora quotidianamente, come ricerca di una dimensione consapevole e spirituale.

E’ avvenuta una interruzione repentina degli psicofarmaci dalla prima assunzione, in modo autonomo e solo in seguito condiviso con il medico. Dal 2016 Sara aveva assunto Fluoxetina, integrandolo con il Topamax, sostituendo poi la Fluoxetina e Zoloft, poi Gabapentin e infine Bupropione. L’uso degli psicofarmaci non è mai stato vissuto da Sara come risolutorio, al contrario è stato sempre ambivalente, perchè in alcuni momenti di profondo malessere era lei a richiederli, per poi però ridurli o sospenderli autonomamente perchè ritenuti inefficaci rispetto alle proprie problematiche.

La sospensione repentina è un elemento di criticità perchè avrebbe potuto portare a effetti collaterali non conosciuti dalla persona. E, allo stesso tempo, utilizzare MDMA e psicofarmaci avrebbe potuto causare altri effetti collaterali altrettanto sconosciuti. In entrambi i casi la disinformazione, il non essere seguiti da una persona che ha delle competenze e conoscenze chimico farmacologiche può essere un problema. A questo si aggiunge la tossicità dell’MDMA che rende necessario una conoscenza d’utilizzo per massimizzare gli effetti terapeutici e ridurre il più possibile gli effetti negativi.

Un altro elemento da tenere in considerazione è il desiderio psicologico di riassunzione della sostanza che può favorirne una dipendenza psicologica. Sara afferma di aver avuto forte desiderio di ripetere l’esperienza dopo le prime tre volte, per poi sentire affievolire la voglia nei giorni seguenti. Afferma di non aver accusato desiderio fisico, ma nella penultima assunzione ha avuto un “down” forte in termini di stanchezza fisica e mentale, durato un paio di giorni.

Il fatto che Sara fosse un adulta, con una struttura della personalità comunque forte ha permesso che non ci fossero conseguenze negative, ma che non possiamo sottovalutare in altri casi.

In sintesi, la tossicità dell’MDMA, la possibilità di sviluppare desiderio e potenzialmente la dipendenza psicologica, l’interazione con altri farmaci definiscono la necessità di conoscenze sull’argomento, di una guida ed un contesto (non necessariamente sanitario a nostro avviso, ma di sostegno e preparato) che possa proteggere la persona e potenziare gli effetti della sostanza. Un ulteriore elemento di criticità è quello relativo al singolo caso che abbiamo descritto e al poco tempo che è passato per valutare la continuità degli effetti benefici. E’ necessario quindi monitorare la situazione nel tempo per valutare gli esiti.

Ma come funzionano gli allucinogeni e gli empatogeni a livello cerebrale?

(3) (4) Dai risultati di esami cerebrali su soggetti che avevano assunto allucinogeni (in senso lato) si è scoperto che una funzione della sostanza è quella di diminuire l’attività di un’area chiave che funziona come filtro di informazioni e che si chiama Default Mode Network. Il DMN è un circuito corticale che si attiva quando il soggetto non pensa a niente o pensa a se stesso. Si è ipotizzato fosse il substrato della coscienza. Il DMN centralizza le informazioni che arrivano al cervello, le filtra per non farle arrivare tutte insieme, costruendo quindi una percezione soggettiva della realtà. Le sostanze allucinogene disattivano questo filtro e permettono una connessione fra zone del cervello che solitamente non comunicano fra loro, permettendo una “tempesta” percettiva. Il risultato è che pensiamo e percepiamo diversamente dal solito. I ricercatori che hanno fatto questa scoperta paragonano questa tempesta percettiva ad una tempesta di neve che copre le vecchie tracce neurali le quali corrispondevano ad abitudini, comportamenti fissi. Queste sostanze avrebbero cioè la funzione di scardinare le vecchie connessioni neuronali e crearne di nuove, potendo così sostituire vecchi comportamenti con comportamenti alternativi. L’effetto tuttavia non è perenne, in quanto il contesto e le modalità che la persona ripropone potrebbero ricreare vecchie connessioni neurali e pattern precedenti. Per questo pensiamo che Sara debba continuare a lavorare per non ritrovarsi ad affrontare gli eventi della vita con strumenti antichi che le hanno procurato un importante malessere.

Tuttavia, speriamo che l’esperienza di Sara possa contribuire a riflettere intorno all’uso delle sostanze empatogene e sulla ricerca di strumenti nuovi che possano favorire il benessere delle persone e la salute mentale.

(Le amiche di Sara, grande risorsa della sua vita, ci hanno tenuto a portare le loro considerazioni in merito al suo cambiamento. Queste sono le loro parole :“La nostra amica ha finalmente imparato a parlare, sostituendo parole di senso compiute a mugugni gutturali di vario tipo”)

 

Conclusioni

Ci è sembrato fondamentale riportare nel panorama italiano alcune informazioni relative a studi internazionali sull’MDMA, la dimensione storica e qualche parziale considerazione clinica. Riteniamo che il momento sia particolarmente importante, per il rinnovato interesse nel mondo nei confronti delle terapie che si avvalgono di sostanze psichedeliche ed empatogene, ma anche dispositivi (per es. il respiro olotropico, ecc) capaci di attivare stati non ordinari di coscienza. Riteniamo, con Lapassade, che la dissociazione possa essere un’importante risorsa per l’individuo quando permette di accedere ad altre possibilità di stare nel mondo. Ma perchè questo accada è necessario, a nostro parere, la presenza di persone preparate in grado di guidare il processo, gestire la dissociazione e permettere l’integrazione fra i vari stati di coscienza. Per questo motivo riteniamo inefficace se non addirittura dannoso l’utilizzo delle sostanze psichedeliche ed empatogene come fossero semplici farmaci, senza uno studio approfondito sulle sostanze che si utilizzano e su come sia possibile favorire l’integrazione delle esperienze vissute in stati non ordinari. L’opportunità che si apre con l’utilizzo di queste sostanze in terapia non può non tenere conto dell’irriducibile complessità nella quale l’aspetto corporeo, psichico e sociale e spirituale sono profondamente connessi ed inscindibili e che pertanto vanno tenuti necessariamente in pari considerazione. Solo una terapia a tutto tondo che tenga conto di questi elementi può essere, a nostro modo di vedere, davvero adeguata.

 

Bibliografia (paragrafo 2)

Leonardo Montecchi, Officine della dissociazione, 2000, Pitagora

Georges Lapassade, Dallo sciamano al raver. Saggio sulla transe, 2020, Jouvence

Philip Tagg, La tonalità di tutti i giorni, 2011, Il Saggiatore

 

Bibliografia (paragrafo 3)

1. Bogen I. L. (2003) Short- and long-termeffects of MDMA (“ecstasy”) on synaptosomal and vesicularuptake of neurotransmitters in vitro and ex vivo, in Neurochemistry International, 43, 393–400

2. Lee E. Eiden e Eberhard Weihe, (2017) VMAT2: a dynamicregulator of brain monoaminergicneuronalfunctioninteracting with drugs of abuse, in Annals of the New York Academy of Sciences, 1216, 86–98

3. Gregory M. Miller (2017) The EmergingRole of Trace Amine Associated Receptor 1 in the FunctionalRegulation of MonoamineTransporters and Dopaminergic Activity, in Journal of neurochemistry, 116-2, 164–176

4. Gregory C. (2017) 4-Methylmethcathinone (Mephedrone): NeuropharmacologicalEffects of a Designer Stimulant of Abuse, in The Journal of Pharmacology and ExperimentalTherapeutics, vol. 339, n. 2, 9 maggio 2017, pp. 530–536,

5. J Kehr, F Ichinose e S Yoshitake, (2017) Mephedrone, compared with MDMA (ecstasy) and amphetamine, rapidlyincreasesboth dopamine and 5-HT levels in nucleusaccumbens of awakerats, in British Journal of Pharmacology, 164, 1949–1958

7. Shulgin, Alexander; Shulgin, Ann, (1991) A Chemical Love Story, Transform Press.

8. Betlezer, F. (2016) Decision-making in chronic ecstasy users: a systematic review, European Journal of Neuroscience, 45, 34-44

9. Shaun L. Greene, Fergus Kerr e George Braitberg, Review article: amphetamines and relateddrugs of abuse, in Emergency medicine Australasia: EMA, vol. 20, n. 5, 1º ottobre 2008, pp. 391–402,

10. Margaret C. Wardle e Harriet de Wit, MDMA altersemotional processing and facilitates positive social interaction, in Psychopharmacology, vol. 231, n. 21, 28 maggio 2017, pp. 4219–4229

11. Matthew J. Baggott, Jeremy R. Coyle e Jennifer D. Siegrist, Effects of 3,4-methylenedioxymethamphetamine on socioemotional feelings, authenticity, and autobiographicaldisclosure in healthyvolunteers in a controlled setting, in Journal of Psychopharmacology (Oxford, England), vol. 30, n. 4, 1º aprile 2016, pp. 378–387,

12. Gouzoulis-Mayfrank E;Daumann J. (2009)Neurotoxicity of drugs of abuse - the case of methylenedioxyamphetamines (MDMA, ecstasy ), and amphetamines, in Dialogues in ClinicalNeuroscience, vol. 11, n. 3, 2009-9, pp. 305–317

13. Garg A, Kapoor S. (2015) FunctionalMagneticResonance Imaging in Abstinent MDMA Users: A Review. Curr Drug AbuseRev, 8, 15-25

14. Scheffel U, Lever JR, Stathis M, Ricaurte GA. (1992)Repeatedadministration of MDMA causestransient down-regulation of serotonin 5-HT2 receptors. Neuropharmacology, 881-893

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16. EszterKirilly, Long-termneuronaldamage and recovery after a single dose of MDMA: expression and distribution of serotonintransporter in the rat brain, in Neuropsychopharmacologia Hungarica: A Magyar Pszichofarmakologiai EgyesuletLapja = Official Journal of the Hungarian Association of Psychopharmacology, vol. 12, n. 3, 1º settembre 2010, pp. 413–423.

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Bibliografia (paragrafo 6)

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(3) Narby, 2020, Uso delle piante sciamaniche e dipendenza, Conferenza Centro Sagara, Pisa

(4) Pollan, 2019, Come cambiare la tua mente, Adelphi

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