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di Sabino Nanni

Quando papà e mamma litigano per la salute dei figli: il conflitto fra i sessi come segno d'immaturità

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20 gennaio, 2022 - 11:50
di Sabino Nanni
        Questa è un’epoca di conflitti, a tutti i livelli; conflitti particolarmente aspri perché sono in gioco interessi vitali: la libertà, la salute, la vita. Particolarmente dolorosi e gravi sono quelli fra uomo e donna; soprattutto quando si tratta di padre e madre, e l’oggetto del contendere è l’interesse dei figli.
        I conflitti non nascono dal nulla: affinché si verifichino occorre, oltre che un fattore scatenante, anche una predisposizione; e tale predisposizione è una diffusa immaturità che interessa, in egual misura, il maschio e la femmina.
        Come definire tale immaturità? Qui si incontrano difficoltà di ordine emotivo che rendono talora impossibile una discussione pacata. Proprio per queste difficoltà, la maggior parte delle persone (compresi alcuni “addetti ai lavori”) non ha le idee chiare su cosa s’intende realmente quando si parla di “orgoglio fallico” maschile e di “invidia del pene” femminile. Sicuramente, a questo punto, i maschilisti più accesi e le femministe più intransigenti “salteranno sulla sedia” e si rifiuteranno di proseguire la lettura. Chiedo, perciò, un po’ di pazienza a chi, al di là delle difficoltà emotive, è interessato a chiarire ed a risolvere i conflitti. Leggere fino in fondo questo scritto può essere d’aiuto, se non altro, per stimolare una discussione fatta di argomenti, e non di offese ed accuse.
        Soprattutto due Autori (Melanie Klein e Heinz Kohut) hanno chiarito, sviluppato e, in parte, rettificato i concetti freudiani di “orgoglio fallico” e di “invidia del pene”; concetti che il padre della psicoanalisi attribuiva esclusivamente ad una reazione emotiva alle differenti caratteristiche anatomiche dei due sessi.
        Per la Klein, la forma più antica e più devastante d’invidia è quella per il seno materno. È un sentimento intollerabile, per sfuggire al quale il maschietto esalta il valore del pene e l’orgoglio di possederlo. La mortificazione che nasce dal non possedere un seno capace di nutrire si trasforma, così, in fierezza per il proprio fallo, e in disprezzo verso le femmine che non ne sono dotate. La femminuccia, per evitare un conflitto con la madre che la priverebbe di un sostegno insostituibile, sposta il suo sentimento d’invidia dal seno materno (di cui non è ancora dotata) al pene maschile. In condizioni non troppo malate, si crea un conflitto più gestibile, perché temperato dalla tenerezza paterna e dalla naturale predilezione del papà per la figlia femmina.
        Kohut allargò il suo campo di visuale alla mentalità prevalente che porta ad attribuire un significato particolare alle caratteristiche anatomiche. Il pene, nel contesto di una cultura ancora in parte dominata da caratteristiche patriarcali, diviene oggetto d’orgoglio o d’invidia in quanto “sineddoche”, ossia una figura retorica con la quale una parte sostituisce il tutto. Il pene, in realtà, significa “sesso maschile”. La femminuccia risente dolorosamente del fatto che le sue caratteristiche femminili (e non solo quelle strettamente sessuali) non sono sufficientemente valorizzate; di qui l’invidia verso il fratellino maschio che ha l’impressione venga più stimato di lei.
        In una famiglia sufficientemente sana ed evoluta, le qualità maschili (quelle reali) e quelle femminili vengono riconosciute e stimate per il loro valore, senza mai divenire oggetto né di orgoglio eccessivo ed ingiustificato, né di mortificazione e d’invidia. Ciò favorisce la maturazione dei figli, che divengono capaci di acquisire una fierezza di sé fondata sulle proprie caratteristiche reali: il ragazzo per le proprie particolari doti virili, e la ragazza per quelle femminili. Ciò rende anche possibile la concordia fra i due sessi: ognuno ha il suo “territorio” che si integra, valorizzandosi, con quello dell’altro; il che consente di superare ogni rivalità. Fra maschio e femmina si crea un rapporto di complementarità e di collaborazione.
        Purtroppo non altrettanto si verifica fra padre e madre, rimasti immaturi, quando si tratta di prendere decisioni di capitale importanza riguardo alla salute dei figli. Qui è facile che il narcisismo ferito dell’uno e/o dell’altra prenda il sopravvento impedendo, spesso ad entrambi, di formulare giudizi razionali e realistici. Questo tipo di padre vede messa in discussione la sua autorità (il suo “scettro fallico”) e irrigidisce fino all’inverosimile la sua presa di posizione; la madre immatura risente l’umiliazione, di origine antica, dell’essere considerata “inferiore” in quanto femmina, e reagisce attaccando, spesso per partito preso, l’autorità del marito. Entrambi, nella loro smania d’affermarsi l’uno sull’altra, perdono di vista la realtà dei problemi dei figli, e la cosa finisce spesso in tribunale. Ciò significa, di fatto, che entrambi i genitori non sono più in grado di svolgere il loro ruolo che consiste, innanzi tutto, nel collaborare allo scopo di proteggere la loro prole.
        Per non appesantire ulteriormente la lettura, rimando ad altra occasione le mie considerazioni su come il conflitto fra i sessi sia stato mirabilmente illustrato dai Poeti, fin dall’antichità. Mi limito, qui, a menzionare personaggi come Giasone e Medea, Antigone e Creonte. Da quell’epoca, per certi aspetti, abbiamo perso terreno, anziché progredire. Solo i legami familiari sani, affettuosi ed empatici, possono consentire di superare tali conflitti e favorire la maturazione dei figli. Purtroppo, però, attualmente la famiglia è in fase di disfacimento, ed i futuri genitori che ne emergono non possono essere all’altezza delle loro responsabilità. L’esperienza affettiva correttiva, creata in un trattamento psichiatrico-psicoterapico, può sopperire solo in parte alle carenze originarie.
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