Per la filosofia. Ovvero: o il vaccino o la vita.

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2 aprile, 2022 - 10:02

La presa di posizione di Agamben e Cacciari del 26 luglio 2021 a proposito del "green pass" ha suscitato, come era prevedibile, molte e vivaci reazioni. Tra queste in particolare colpisce, anche  e soprattutto perché proviene da un loro collega filosofo, quella di Luca Illetterati. Apparsa, a quanto si apprende, dapprima sui quotidiani veneti del gruppo GEDI, la critica di Illetterati è stata riprodotta il 28 luglio 2021 sul sito dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, nella medesima rubrica "Diario della crisi", che aveva ospitato in precedenza il documento originale di Agamben e Cacciari. 

  Sorprende innanzitutto, nel testo di Illetterati, il tono abbastanza irriguardoso, forse comprensibile in sede giornalistica, dati i tempi, meno in sede accademica, trattandosi per di più di due veri e propri monumenti della filosofia continentale contemporanea. Ma forse oggi il termine "monumento" va riservato alle corse in bicicletta... 

  Illetterati ne parla in buona sostanza come di due sessantottini di successo, ai quali imputa, come a due scolaretti, "pasticci argomentativi" e scarsa "pulizia" di pensiero.  

  Al di là di queste espressioni piuttosto irridenti, si tratta comunque di una critica nel merito. 

  Fatta salva la prima parte del documento originale in effetti, che stigmatizza il rischio di un dérapage verso il principio del "dovere di mantenersi sani", il Gesundheitsplifcht di hitleriana memoria, tutte le argomentazioni successive sono radicalmente contestate. 

  A dire il vero, nel secondo capoverso del testo di Illetterati i due pirlini in questione ridivengono per un istante "raffinati filosofi", ma solo per farsi subito rimproverare di usare i dati della scienza "un tanto al chilo".  

  Così non sembra.  

  Agamben e Cacciari, volutamente in versione uomini della strada, si limitano a constatare che la sicurezza (e l'efficacia naturalmente) dei vaccini non è assoluta. 

  Insomma lo slogan "...o il vaccino o la morte..." che nello stesso periodo si è ritenuto di potere evocare, enfaticamente, in sede politica, appare eccessivo, allorché si tenga presente che  "...still exist many uncertainties about the vaccine's long term effectiveness, cost-effectiveness and safety..."   

  Appare poi abbastanza gratuito il rimprovero di goffaggine mosso dal filosofo teoretico ai suoi due bersagli a proposito del loro approccio alla scienza (ma non sarebbe meglio dire "le scienze" al plurale, alla Georges Canguilhem ?). 

  In estrema sintesi: si lasci pure da parte, come una anticaglia, la vecchia questione, tra l'altro anch'essa di sapore vagamente sessantottesco, del soggetto della scienza, e si lasci dunque Althusser riposare in pace.  

  Si eviti anche di citare formule, pure di un certo valore euristico, come ad esempio quella di scienza come "paranoïa réussie", cara a un semi-barbaro non privo di ingegno, formule  che oggi sarebbero inesorabilmente etichettate come blasfeme e sovversive. 

  Ci si limiti dunque a una popperianamente minimalista visione della scienza come metodo: ebbene, non si può non constatare che l'accusa di pressapochismo avrebbe dovuto (e dovrebbe) essere indirizzata altrove. Confortare questa asserzione con adeguate citazioni sarebbe lungo: tuttavia, solo a titolo di esempio, possono essere menzionati almeno due interventi critici da parte di specialisti sull'attuale "amalgama" scientifico-politico, interventi che si collocano volutamente all'incrocio tra ricerca, divulgazione e attualità: " Ma che dati ci date ? " di Cesare Cislaghi, sul sito di Prospettive Sociali e Sanitarie e, visto che da parte di Illetterati viene tirata in ballo la Francia, " Comment la France compte-t-elle ses morts ? " di Gilles Pison e France Meslé, sul sito di The Conversation. 

  Illetterati ricorda, con ragione, che i dati non sono mai già "dati", che essi si costruiscono, e questo richiede tempo. Si potrebbe anche andare oltre, e dire che, in un certo senso, non c'è nulla di meno evidente, in ogni caso nulla di meno "immediato" delle cosiddette evidenze scientifiche. 

  Ma allora e ancora una volta la non lieve accusa di uso ideologico dei dati dovrebbe cercare altri destinatari, come certe istanze tecnico-politiche ad esempio, che devono decidere certo ma non possono farlo trincerandosi dietro la scienza, soprattutto quando la scienza, che per essere seria ha bisogno di tempo, è ancora lungi dall'essere pervenuta a risultati non definitivi ma perlomeno "robusti", come si usa dire. 

 

  In conclusione: oggi c'è più che mai bisogno di filosofia, in particolare, ma non solo, nel campo delle scienze umane e della psichiatria. 

  Forse i filosofi tra i quali Illetterati (di cui tra l'altro chi scrive ha potuto apprezzare in passato una coraggiosa riflessione sul processo di "aziendalizzazione" in corso nelle Università) non hanno bisogno di sfottersi fra loro per svolgere, tra i tanti, anche il prezioso compito di aiutare la opinione pubblica a mantenere un atteggiamento critico e non fideistico nei confronti della scienza, cercando di evitare che questa si trasformi in una ideologia politica totalitaria e insieme in un nuovo (e farmacodinamicamente poco efficace) oppio dei popoli.  

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